10. La prima chiesa confronta il mondo

INTRODUZIONE

Tra le battaglie che la chiesa primitiva dovette condurre contro il mondo e contro lo spirito dell’umanesimo infiltrato nella chiesa ci furono le seguenti:

Primo, si dovette mantenere la dottrina della perfetta e vera umanità di Cristo e della sua divinità, senza alcuna confusione tra le due nature. Questo fu compiuto dal Concilio di Calcedonia del 451 d.C..

Secondo, la dottrina secondo cui la salvezza viene da Cristo, non dallo Stato, dovette essere difesa e sostenuta. Solitamente, nel mondo antico, la salvezza era politica. Lo Stato era visto come il salvatore e la speranza dell’uomo.

Terzo, ciò significava sostenere Cristo come Re dei re, Signore assoluto su governanti e imperatori. Per questo motivo, gli uomini che predicavano la Parola di Dio sentivano che, in nome del loro Re, era loro dovere rimproverare gli imperatori per la loro disobbedienza a Cristo.

Quarto, le eresie che assediavano la Chiesa erano tutte umanesimo mascherato che sosteneva un ritorno alla salvezza da parte dello Stato o dell’uomo. Il moderno movimento della “morte di Dio” ha marcato affinità con alcune eresie gnostiche e ariane dei primi secoli.

L’odio contro i cristiani fu intenso e la loro persecuzione reale e feroce. Tertulliano nella sua Apologia del cristianesimo (197 d.C.), scrisse dei processi giudiziari e delle persecuzioni dei cristiani:

Se è certo che siamo i più colpevoli tra gli uomini, perché ci trattate diversamente dai nostri simili, cioè dagli altri criminali? Perché è giusto che alla stessa colpa venga riservato lo stesso trattamento. Quando altri vengono accusati delle accuse mosse contro di noi, essi usano la propria lingua e si avvalgono di avvocati pagati per dichiarare la loro innocenza. Hanno piena possibilità di replica e di controinterrogatorio; poiché non è lecito condannare uomini indifesi e inascoltati. Solo ai cristiani non è consentito dire nulla per discolparsi, per difendere la verità, per salvare un giudice dall’ingiustizia. Si cerca solo quello che l’odio pubblico richiede: la confessione del nome, non l’accertamento dell’accusa.

CAPITOLO DIECI

Prima che finisse l’epoca apostolica, la testimonianza a Gesù Cristo fu portata fino agli angoli più remoti della terra. La nostra conoscenza di questo vasto annuncio missionario è scarsa, ma piccoli frammenti di prove confermano la dichiarazione apostolica secondo cui esso venne predicato in tutto il mondo. San Tommaso, ad esempio, morì e fu sepolto in India, a quanto pare al ritorno da un viaggio missionario in Cina.

La Giudea rifiutò la fede, preferendo le sue tradizioni alle Scritture e a Cristo. Il Vangelo fu poi portato in Samaria, in Asia Minore, in Europa e in altre aree. Anche dove la fede veniva accettata sorgevano grossi problemi. Ogni cultura aveva la propria religione e la propria eredità. Le religioni misteriche: mitraismo, neoplatonismo, culti della fertilità e altri movimenti,  non solo combatterono contro il cristianesimo, ma colorarono anche le menti dei convertiti. Ovunque il cristianesimo sia andato allora, e ovunque sia andato da allora, è stato vino nuovo che la gente ha cercato di contenere nei loro vecchi otri. Il risultato è stato ed è tuttora conflitto ed esplosione culturale. Il cristianesimo è inevitabilmente in guerra con l’uomo caduto e con la sua cultura, e il conflitto può essere definito solo una guerra mortale. Il mondo cerca incessantemente di compromettere, diluire e distruggere la fede, e questo non fu meno vero nel primo secolo che adesso.

Il vangelo proclamò la buona novella della grazia di Dio per la salvezza. L’uomo, peccatore condannato, era ed è incapace di osservare la legge. Cristo divenne il capo rappresentativo (federale) dell’uomo, l’ultimo Adamo, e pagò il prezzo del peccato dell’uomo con la sua morte vicaria ed espiatoria. Con la sua risurrezione, ha distrutto il potere della morte, e con la sua vita perfetta, ha osservato perfettamente la legge per l’uomo. Con la sua presenza interiore come nuova vita nell’uomo e con la dimora dello Spirito Santo, egli consente all’uomo di osservare la legge, non perfettamente, ma comunque in modo accettabile.

La pietra angolare di questo piano di salvezza è la dottrina della grazia. Il mondo greco e il mondo giudaico ellenizzato, come Filone, vedevano la grazia come una sorta di charis, da cui derivano le parole carismatico e carisma.La  Charis era una specie di dono naturale che era un dono di Dio; quindi invece di essere una grazia, era una sorta di dotazione. Il Nuovo Testamento greco dovette usare questa parola, la cosa più vicina ad esprimere il suo significato, ma rese chiaro, come ha detto Thomas P. Torrance, che Charis o “Grazia è infatti identica a Gesù Cristo in persona, in parole e in opere.” Giovanni chiarì che “La grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Giovanni 1:17). Ogniqualvolta e dovunque la grazia venga naturalizzata, anche la salvezza viene naturalizzata nella stessa misura. Così nella Didaché, presumibilmente un manuale di insegnamento apostolico, scritta all’inizio del II secolo, l’uomo che diventa cristiano ha solo  cominciato sulla strada giusta: non è salvato dalla grazia; deve salvare se stesso. Nella Prima Lettera di Clemente, scritta intorno al 96 d.C., non la grazia di Dio in Gesù Cristo, ma la conoscenza immortale di Dio salva l’uomo. La morte di Cristo, invece di essere un’espiazione per il peccato, fornì semplicemente un’opportunità di pentimento. L’idea greca della salvezza mediante la conoscenza, che è fondamentale anche per l’educazione moderna, è chiaramente evidente in Clemente nonostante il suo sincero desiderio di annunciare Cristo. Le Lettere di Ignazio (70-17 d.C. circa) ci danno un quadro vivido di un uomo morto per la fede. Eppure Ignazio fondò il perdono non sulla morte espiatoria di Gesù Cristo, ma sulla fede e sull’amore del peccatore pentito. Cristo è la Gnosi della conoscenza di Dio e il portatore della Gnosi all’uomo. La salvezza non è grazia, ma piuttosto invito di Dio. Peggio ancora, Ignazio, nella sua Lettera ai Filadelfi (cap. 8), introduce l’idea pericolosa che ci sia perdono solo per coloro che si uniscono al vescovo; L’ira di Dio è su tutti gli altri: “Perché dove c’è divisione e ira, Dio non dimora. A tutti coloro che si pentono, il Signore concede il perdono, se si convertono con penitenza all’unità di Dio e alla comunione con il vescovo,” e insistette sull’unità con il vescovo (cap. 1 e 2). Nella Lettera agli Smirnesi ordinò che nulla si facesse senza il vescovo, poiché “senza il vescovo non è lecito né battezzare, né offrire, né presentare sacrifici, né celebrare la festa dell’Amore (l’Agape)“ (cap. 8). Ci sono divergenze di opinione su cosa intendesse Ignazio con il termine vescovo, ma è chiaro che egli identificava l’appartenenza a Cristo con l’unità col pastore o vescovo. Per Ignazio la presenza del Signore e l’unità erano uguali. La grazia era un possesso esclusivo della Chiesa unificata, e l’uomo doveva essere in unità con il vescovo per essere in relazione con Dio e ricevere la grazia. Ignazio morì per la sua fede, dichiarando in prigione: “Io sono il grano di Dio, e lasciate che io sia macinato dai denti delle bestie feroci, affinché io possa essere trovato il pane puro di Cristo.” Eppure ha anche scritto: “Dovremmo guardare al vescovo proprio come vorremmo guardare al Signore stesso”. La sua concezione della chiesa era più vicina all’antica idea della città-stato che al corpo pattizio dei credenti in Gesù Cristo.

Uno dei destinatari delle lettere di Ignazio fu Policarpo di Smirne (70-155 d.C.), che scrisse lui stesso un’Epistola ai Filippesi, ca. 112.

Per Policarpo come per Ignazio il significato della salvezza era offuscato. Ignazio, scrivendo Agli Efesini (9:1), parlò dell’amore come “la via che conduceva a Dio”. Policarpo (10:2) si rifà al Libro di Tobia (4:10; 12:9), per affermare che “le elemosine liberano dalla morte”.

La presenza del paganesimo è molto chiara anche ne Il pastore di Erma, allegoria di Erma, fratello di Pio, vescovo di Roma. Questo documento può essere datato già dal periodo di Clemente o più tardi fino al c. 148. Per Erma le opere hanno una particolare importanza. L’uomo può rendere soddisfazione per il peccato con le opere e con i meriti supererogatori, cioè i meriti accumulati dai santi di cui altri uomini possono appropriarsi. Il perdono arrivò all’uomo non per mezzo dell’opera espiatoria e la grazia di Gesù Cristo, ma con la penitenza e la purezza. L’idea greca di una natura superiore e di una natura inferiore nell’uomo è presente anche in Hermas; La fede biblica insegna, tuttavia, che tutto l’uomo caduto è malvagio e tutto l’uomo redento è in processo di santificazione. Per Erma anche il battesimo è necessario alla salvezza.

Questi documenti appartengono al primo secolo dopo l’era apostolica. Mostrano chiaramente che il paganesimo stava contagiando i segmenti più fedeli della Chiesa. Invece di fondare il cristianesimo e la vita cristiana su Gesù Cristo, il “credente” si fondava sull’uomo naturale, e la questione principale della grazia veniva elusa. Come affermò Torrance, “Non vivevano tanto da Dio quanto verso di Lui”, e questo è naturalismo religioso pagano.

Ben presto i cristiani iniziarono a scrivere “Apologie” o Difese della fede come parte dei loro dibattiti con pensatori e filosofi secolari e pagani. Molti degli Apologisti erano più vicini ad Atene e alla sua filosofia che a Gesù Cristo, eppure si preoccuparono di difendere apertamente una fede perseguitata. In Una lettera a Diogneto, scritta forse da Aristide c. 150, l’autore dichiara:

In una parola, i cristiani sono per il mondo ciò che l’anima è per il corpo. L’anima è dispersa in tutte le membra del corpo: così i cristiani sono dispersi in tutte le città del mondo. L’anima abita nel corpo, tuttavia non ne fa parte: così i cristiani abitano nel mondo, eppure non ne fanno parte … La carne odia l’anima e le fa guerra, sebbene l’anima non la ferisca, ma le impedisce solo di soddisfare le sue concupiscenze: così il mondo odia i cristiani, sebbene essi non lo feriscano, ma si oppongono solo ai suoi piaceri. L’anima ama la carne che la odia: così i cristiani amano coloro che li odiano… Dio ha assegnato loro un certo posto, da occupare, e non è loro lecito rifiutarsi di occuparlo.

Questo bellissimo passaggio riflette la convinzione platonica secondo cui l’anima è di origine divina, mentre il corpo è terrestre e degradato. Nella Bibbia l’uomo è creatura totale, corpo e anima, ugualmente caduto o salvato in tutto il suo essere. Ma questo passaggio mostra anche la differenza morale tra pagano e cristiano.

L’apologista Taziano (110-172), nel suo Discorso ai Greci, presenta un interessante studio sul contrasto tra pagani e cristiani. Taziano nacque in Assiria e divenne prima seguace della filosofia greca e poi di Cristo. Si scagliò contro il dualismo pagano. Il mondo della materia non è indipendente da Dio: “Infatti la materia non è, come Dio, senza principio, né, poiché non ha principio, ha la stessa potenza di Dio; è generata e non prodotta da nessun altro essere, ma portata all’esistenza soltanto dal Creatore di tutte le cose.” Così Taziano vedeva tutte le cose come create da Dio; respinse la dottrina del “Destino, una flagrante ingiustizia” e dichiarò: “poiché non seguiamo la guida del Fato, rifiutiamo i suoi legislatori”. Affermò la dottrina della creazione e dichiarò che il peccato dell’uomo è il prodotto del suo libero arbitrio originario. Taziano, dopo aver condannato il dualismo, cadde comunque sotto il suo dominio, poiché in seguito arrivò a condannare non solo il matrimonio, ma anche il consumo di carne. Tali pratiche ascetiche si fondano sulla convinzione che il mondo materiale sia malvagio, non venga da Dio né possa essere redento da Dio, e sia quindi da evitare.

Il maestro di Taziano, un uomo leggermente più giovane, fu Giustino Martire (114-168), un filosofo che riteneva che la rivelazione soddisfacesse la ragione e incoronasse la filosofia. Purtroppo la sua idea di ragione era ellenica, autonoma, ovvero la ragione indipendente dell’uomo naturale che ha il diritto di giudicare su tutte le cose. In effetti, Giustino Martire era quasi pronto a fare di Platone una sorta di profeta non israelita che aveva preso in prestito da Mosè. Disse che Gesù Cristo non è solo il “Primogenito di Dio”, ma come Logos o Verbo è allo stesso tempo “la ragione di cui è partecipe ogni razza umana”. Ciò rendeva tutti gli uomini più o meno membra di Cristo. “Coloro che vivevano secondo la Ragione sono cristiani, anche se venivano chiamati empi come, tra i Greci: Socrate ed Eraclito e altri come loro. Quindi non era stato il Gesù storico a salvare gli uomini mediante la sua morte espiatoria, ma piuttosto la Ragione. Gran parte dell’esistenzialismo religioso moderno e della neo-ortodossia sono semplicemente uno sviluppo di questa stessa linea di pensiero.

Va ricordato che questi uomini non erano gli eretici del loro tempo, ma i difensori erranti e ciechi della fede. Il docetismo fu un’eresia antica e importante che scaturì da un’avversione o un odio per la materia. Questo fu uno sviluppo del neoplatonismo. I docetisti non erano disposti a credere che Cristo si fosse letteralmente fatto carne; Il suo corpo veniva quindi chiamato un fantasma, oppure, se accettavano il suo corpo come reale, negavano che il Cristo fosse realmente unito ad esso. Alcuni sostenevano che Egli si fosse allontanato dal suo corpo prima della crocifissione, lasciando a soffrire l’uomo Gesù. Il Nuovo Testamento denuncia il docetismo e I Giovanni 4:2, ad esempio, richiede ai cristiani di credere che Gesù Cristo venne nella carne.

Lo gnosticismo, un’altra eresia molto importante, era anch’esso una forma di dualismo pagano. Riteneva che il mondo materiale fosse malvagio e non potesse essere correlato a Dio; deve essere abbandonato. L’uomo era spirito, possedeva una scintilla dell’essenza divina, e la sua salvezza stava nello sviluppare quella scintilla. C’erano due dei, il Dio geloso e odioso della giustizia dell’Antico Testamento e il buon Dio dell’Amore del Nuovo Testamento, e i due erano in continua guerra. Lo gnosticismo non fu sempre neppure semi-cristiano nella sua forma, essendo originariamente una setta pagana; nella sua fede era vicina al manicheismo. Alcune forme di gnosticismo sostenevano la salvezza mediante la conoscenza, altre per mezzo dell’unione mistica con il Dio dell’Amore, e altre attraverso pratiche ascetiche con le quali l’uomo abbandonava il mondo malvagio della materia del Dio cattivo. Una scuola di gnostici, i seguaci di Carpocrate, non solo si vantavano di essere più avanti di Gesù, ma vedevano anche Satana come il buon pastore che riconduceva le anime perdute al vero dio e al sovrano supremo. Credevano inoltre che fosse necessario sperimentare ogni tipo di vita, e quindi spesso conducevano vite di grande depravazione. Ogni membro di questa scuola veniva marchiato con un piccolo segno identificativo all’interno del lobo dell’orecchio destro.

Ireneo (120 o 130-202) cercò di difendere la fede contro queste eresie. Nei suoi scritti, Ireneo sottolinea, primo, la differenza tra Dio come Creatore e l’uomo come creatura, e secondo, la caduta dell’uomo. Terzo, ha enfatizzato l’uguaglianza del Figlio con il Padre. Quarto, ha sottolineato l’incarnazione attuale e storica, e quinto, ha evidenziato, secondo le parole di Cornelius Van Til, “la necessità che la Parola di Cristo sia presente agli uomini nel canone delle Scritture”, affinché la fede si affermi nei suoi pensieri. Tuttavia, Ireneo si atteneva ancora a metodi e idee filosofiche pagane. Perché la sua salvezza non era una giustificazione mediante l’espiazione di Gesù Cristo ma una sorta di divinizzazione.

Tertulliano (c. 150-220) fu uno dei più grandi padri della chiesa. Fu un grande difensore della fede, anche se  qualche tempo prima del 207 divenne membro della chiesa montanista. Il montanismo fu fondato da Montano, un frigio, che presto iniziò ad entrare in trance estatiche e frenesie e “profetizzò” quand’era in quella condizione, spesso proclamando cose contrarie alla fede.

Questo “profetizzare” divenne una parte importante del suo movimento, così come l’ascetismo. Il matrimonio era disapprovato e i secondi matrimoni (di divorziati o vedovi) erano proibiti. Gli adepti ritenevano inoltre che non vi fosse alcuna assoluzione per i “peccati mortali” commessi dopo il battesimo. Inoltre si astenevano da tutto tranne che dai cibi secchi ed evitavano di fare il bagno. Tendevano ad essere persone impopolari.

Tertulliano sottolineò la differenza tra rivelazione divina e ragione umana. Per comprendere la fede, bisogna credere alla fede. Nella sua Prescrizione contro gli eretici, Tertulliano scrisse: “Il mio primo principio è questo: Cristo ha stabilito un determinato sistema di verità a cui il mondo deve credere senza riserve, e che dobbiamo cercare proprio per crederci quando lo troviamo”. Non sapeva che farsene dei filosofi che rifiutavano di accettare la verità perché credevano nella ricerca perpetua. “Non ho pazienza con l’uomo che cerca sempre, perché non troverà mai.” Si oppose fermamente all’idea che la verità non possa essere trovata da nessuna parte. C’erano incoerenze nel pensiero di Tertulliano: a volte seguiva la fiducia greca nell’uomo, a volte la sua diffidenza verso la materia era quasi dualistica. Tuttavia fu un difensore della fede e uno dei più grandi padri della chiesa. Fu importante anche nella difesa della dottrina della Trinità.

Questi uomini e altri con loro furono i padri anti-gnostici della Chiesa. Qualsiasi fossero i loro fallimenti, essi sottolinearono la realtà dell’incarnazione, della crocifissione e della resurrezione della carne. Con questa fede armarono i santi contro la persecuzione. Essi aprirono la strada alla dottrina cattolica romana della Chiesa, ma mantennero anche viva la realtà della vita e dell’opera di Cristo.

La persecuzione dei cristiani fu un fattore importante nella storia della chiesa prima dell’ascesa di Costantino. Anche se prima della caduta di Gerusalemme non esisteva una politica imperiale di persecuzione, il conflitto già allora fu inevitabile. Fu ritardato solo perché si presumeva ancora che i cristiani fossero una setta ebraica e la religione della Giudea aveva il riconoscimento ufficiale. Ben presto, soprattutto dopo la caduta di Gerusalemme, questa situazione finì. L’impero credeva nella divinità dell’imperatore come genio di Roma e nella salvezza politica. Gli imperatori videro la questione come Cristo o Cesare. I cristiani sarebbero potuti esistere solo se avessero riconosciuto Cesare come superiore a Cristo e come il vero Signore e Salvatore. Così secondo Eusebio, nella sua Storia ecclesiastica, fu chiesto a Policarpo: “Perché, che male c’è nel dire che Cesare è il Signore, e offrire incenso per salvarsi?” Policarpo chiarì che non poteva farlo. Il proconsole in seguito gli ordinò: “Giura sul genio di Cesare; pentiti e dì: ‘Via con gli atei; insulta il Cristo.'” Policarpo rispose: “Ottanta sei anni sono stato suo servitore, ed Egli non mi ha fatto nulla di male”. Come dunque potrei bestemmiare il mio Re che mi ha salvato?” Per questa fede Policarpo fu bruciato sul rogo. Si noti che i cristiani erano chiamati “atei”. Negare Cesare e lo Stato come Signore e Salvatore dell’uomo era considerato ateismo, perché per loro il vero Dio esisteva solo nello Stato.

La prima grande persecuzione iniziò prima della caduta di Gerusalemme. Quando Roma bruciò nel luglio del 64 d.C., la gente incolpò Nerone per l’incendio. Nerone distolse da sé i sospetti incolpando i cristiani e ordinandone la persecuzione. Alcuni furono crocifissi, altri furono sbranati da cani feroci, altri ancora furono ricoperti di pece e usati di notte come torce umane. Sin dai tempi di Nerone, accusare i cristiani di causare ogni genere di disastri e calamità naturali fu considerato un buon modo per distogliere l’attenzione dai governi centrali e locali.

La seconda grande persecuzione avvenne durante il regno di Domiziano, dall’81 al 96 d.C., con Domiziano che si autoproclamò Dominus et Deus e richiese la propria adorazione.

La terza persecuzione avvenne con Traiano (98-117 d.C.).  Il cristianesimo era considerato una religione illegale e la sua professione divenne un reato capitale. Ignazio di Antiochia e Simeone di Gerusalemme furono i principali martiri di questo periodo.

La quarta persecuzione nel 162 avvenne con Marco Aurelio. Il grido: “I cristiani ai leoni!” si sollevava ormai per ogni genere di causa: se il Tevere straripava, o il Nilo non straripava, la colpa era dei cristiani e quindi dovevano morire.

La quinta persecuzione avvenne sotto Settimio Severo (193-211). Abbiamo una vivida testimonianza oculare della morte di due giovani donne in questa selvaggia ondata di persecuzione. Perpetua, di nobile nascita e giovane madre di circa ventidue anni, con un figlio neonato al seno, e Felicita, una schiava, furono tra quelli uccisi a Cartagine il 7 marzo 203. A causa della nobile famiglia di Perpetua, la sua famiglia e gli ufficiali romani fecero ogni tentativo per dissuaderla dalla sua fede. Le fu tolto il bambino e i suoi seni erano pieni di latte e le causavano dolore mentre desiderava suo figlio. Al processo, Perpetua riferì: “Mio padre apparve sulla scena con mio figlio e mi fece scendere dal gradino, pregandomi: ‘Abbi pietà di tuo figlio'”. Perpetua rimase ferma e fu condannata a essere gettata alle bestie insieme agli altri. “E in qualche modo Dio volle che né il bambino desiderasse più il seno, né mi causassero dolore e quindi mi furono risparmiati l’ansia per il bambino e il disagio personale.” Felicitas era incinta di otto mesi in quel momento. In prigione cominciò a partorire e si mise a gridare per le doglie. Un funzionario della prigione le urlò: “Tu che soffri adesso così tanto, cosa farai quando sarai gettata alle bestie, che hai disprezzato rifiutandoti di sacrificare?” Felicita rispose: “Ora sono io che soffro ciò che soffro; ma poi ci sarà un altro al mio fianco che soffrirà per me, perché io soffrirò per lui.” Diede alla luce una bambina, che sua sorella allevò. Andarono alla morte definendolo il giorno della loro vittoria, sapendo che Cristo era con loro, Perpetua cantò un salmo mentre entravano nell’arena. Gli uomini cristiani fecero conoscere al loro giudice la loro fede: “Tu puoi giudicarci, ma Dio giudicherà te!”, ma la turba solitamente lussuriosa reagì in modo strano. “La folla rimase scioccata, vedendo l’una, una ragazza delicata, e l’altra fresca di parto con i seni gocciolanti. In tale situazione furono richiamate e vestite con vesti larghe. I martiri subirono le lacerazioni e lo sbranamento delle bestie in preghiera e in silenzio, senza alcun grido, appena consapevoli di ciò che stava accadendo. Perpetua non credeva di essere stata toccata, finché uno degli uomini non le fece notare le sue ferite. Quando si dovettero sgozzare i martiri mezzi morti per terminare i giochi, essi si alzarono e si trasferirono al luogo designato. Quando toccò a Perpetua, “portò la mano destra vacillante del giovane gladiatore alla propria gola.” La sua calma sicurezza superava quella di lui. Il commento conclusivo del testimone oculare è di particolare interesse: “O martiri coraggiosi e benedetti! O veramente chiamati ed eletti per la gloria di nostro Signore Gesù Cristo! Chi magnifica, onora e adora, certamente dovrebbe leggere questi esempi per l’edificazione della Chiesa, non meno di quelli antichi, affinché anche nuove potenze testimonino che l’unico e sempre il medesimo Spirito Santo opera sempre fino ad ora, e Dio onnipotente Padre e suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore, al quale sia gloria e potenza infinita nei secoli dei secoli. Amen.”

L’opera dei padri alessandrini della Chiesa cominciò a diventare famosa più o meno nello stesso periodo. Il loro metodo, purtroppo, prevedeva l’uso delle speculazioni gnostiche come nuovo fondamento della fede. Il loro approccio alla Scrittura era allegorico. Questa scuola di pensiero fu fondata da convertiti e divenne famosa sotto Panteno, un filosofo stoico convertito.

I suoi due grandi seguaci furono Clemente (150-216 circa) e Origene (185-250). Il principio di Clemente era che i cristiani erano i veri gnostici, intendendo con questo termine coloro che soddisfano veramente le premesse gnostiche. Clemente (Titus Flavius ​​​​Clement) scrisse, tra le altre cose, una famosa trilogia su Conversione, Disciplina e Illuminazione: Protepticus, Pedagogus e Stromateis. Per Clemente il cristianesimo era superiore alla filosofia greca perché vedeva il cristianesimo come il compimento e non come il nemico di quella filosofia. Per lui la filosofia greca era vera e il cristianesimo doveva essere vero in relazione ad essa, il che significava reinterpretare il cristianesimo nei termini della filosofia greca. Il suo punto di partenza non era la sovranità di Dio, da difendere contro l’antropo-centrismo, ma la libertà dell’uomo, da custodire contro ogni assalto e dal potere predestinante di Dio. Di conseguenza, era meno interessato a sottomettere l’uomo alla rivelazione di Dio che a stabilire l’illuminazione dell’uomo. Di conseguenza, il Dio di Clemente è sostanzialmente inconoscibile, perché non è veramente rivelato. La funzione principale di Cristo è come Logos, di illuminare l’uomo nel senso greco e gnostico, affinché l’uomo possa conoscere e determinare il proprio destino. Invece della predestinazione da parte di un Dio sovrano, Clemente voleva la predestinazione da parte di un uomo autonomo, libero e illuminato. Poiché Clemente confuse la fede biblica con Platone, dovette leggere la Bibbia allegoricamente per farla riferire all’uomo, alla libertà e all’illuminazione, piuttosto che a Dio, alla predestinazione e alla rivelazione.

Clemente lasciò Alessandria quando iniziò la persecuzione nel 202. Il suo lavoro fu continuato da un allievo, Origene, che portò avanti il ​​metodo di Clemente. Origene fu torturato selvaggiamente durante la persecuzione di Decio (250 circa) e in seguito morì a Tiro. Origene si riteneva un vero difensore della fede e dichiarava che nulla si doveva ricevere che non fosse nella Scrittura né da essa dedotto. Tuttavia, per conservare la sua fede gnostica nell’uomo, dovette mantenere una dottrina della creazione eterna e della preesistenza dell’uomo. La caduta dell’uomo è stata una caduta nella materia piuttosto che nel peccato — nella disobbedienza a Dio. Come Clemente, la sua visione di Cristo era semi-docetica. Origene sosteneva che esistessero due vie di salvezza. La via esoterica per la maggior parte era la fede, che però era solo una condizione per la salvezza. La via esoterica era mediante la conoscenza. L’uomo moralmente autonomo si salva attraverso la gnosi, la conoscenza. Poiché l’uomo doveva essere salvato dall’illuminazione anziché dalla rivelazione e dalla grazia di Dio in Cristo, l’uomo doveva essere libero anziché predestinato. Un uomo libero non ha bisogno di rivelazioni che  sono un aiuto piuttosto che una necessità. Bisognava quindi respingere la predestinazione, che esige la rivelazione e la grazia, cioè l’iniziativa divina in tutte le cose; l’iniziativa apparteneva all’uomo. Origene definì “eretici” i credenti nella predestinazione quando fecero riferimento ai testi biblici; lui faceva affidamento a una “tradizione segreta”. La sua visione della moralità era ascetica piuttosto che biblica. L’estremismo di Origene portò alla condanna della sua posizione e alla chiusura della sua scuola, ma gli effetti degli insegnamenti alessandrini sono presenti ancora oggi nella chiesa. Anziché usare la Scrittura, Origene la sfruttò per difendere la libertà dell’uomo contro Dio. Bisogna riconoscere che era intensamente serio, devoto e coraggioso; che sia stato la fonte di molte eresie è ancora più chiaro.

La grande eresia del secondo secolo fu lo gnosticismo; L’eresia dominante del terzo secolo era il monarchianismo. Il monarchianismo era una negazione del trinitarismo. In varie forme, sosteneva che ci fosse un solo Dio e una sola persona nella Divinità. Paolo di Samosata riteneva che Gesù fosse interamente umano; Gesù non esisteva prima della nascita ed era semplicemente un uomo pieno di saggezza divina. Altri, come Sabellio, dissero che Padre, Figlio e Spirito Santo erano tutti semplicemente aspetti di una persona, maschere che quella persona indossava. I Patripassiani erano anche Monarchiani. Il monarchianismo era una sorta di unitarismo. Origene, nonostante tutte le sue eresie, si oppose sia allo gnosticismo che al monarchianisimo condividendo con loro idee comuni. Tertulliano e Ippolito difesero la posizione trinitaria in modo più coerente.

Nel frattempo, mentre la Chiesa combatteva l’eresia al suo interno, affrontava persecuzioni dall’esterno. La sesta persecuzione avvenne con Massimino il Trace (235-238), che iniziò ordinando la morte dei vescovi.

La settima persecuzione fu più dura delle sei precedenti e arrivò con Gaio Messio Quinto Traiano Decio (249-251), che era determinato a sradicare il cristianesimo e a spazzarlo via. Gli uomini venivano torturati ferocemente e pubblicamente per sottomettere gli altri al paganesimo. Furono piantati chiodi nei loro piedi; furono trascinati per le strade, flagellati, lacerati con uncini di ferro, bruciati con torce accese, torturati sulla ruota, bruciati o decapitati. Agata, una bella cristiana siciliana, fu desiderata dal governatore Quinziano, che lei rifiutò. Fu affidata alle mani di una donna infame, ma rifiutò di darsi alla prostituzione. Fu flagellata, bruciata con ferri roventi, lacerata con uncini affilati e poi adagiata nuda su un letto di carboni ardenti misti a vetro. Lei rifiutò di rinnegare la sua fede. Riportata in prigione in attesa di ulteriori torture, morì lì il 5 febbraio 251, una degli innumerevoli che resistettero.

Le proprietà dei cristiani furono confiscate ed essi furono esiliati, imprigionati e torturati per abbattere la loro fede e indurli a insultare Cristo e ad adorare Cesare e lo stato. Molti cristiani compromisero, ma moltissimi rimasero fermi.

La nona persecuzione avvenne sotto l’imperatore Valeriano (253-260), che per prima cosa tentò la confisca dei beni, l’esilio di alcuni leader cristiani e la proibizione delle assemblee cristiane. Questa misura non servì a nulla, quindi ordinò che tutti i chierici e i laici di alto rango fossero giustiziati se si fossero rifiutati di rinunciare a Cristo. Uno dei martiri più importanti di questo periodo fu Cipriano di Cartagine, un importante studioso e vescovo (248-260).

Cipriano aveva avuto un ruolo importante nella controversia con Novaziano. Era sorta una controversia sulla riammissione nella chiesa degli ex membri che avevano offerto incenso all’imperatore per sfuggire alle persecuzioni. Callisto, il vescovo romano (217-222), e Cornelio, il suo successore, avevano adottato un punto di vista lassista e li avevano riammessi. Credevano che fuori dalla Chiesa non ci fosse salvezza; Pertanto, i cristiani deboli ma credenti dovevano essere restituiti alla chiesa. I Novaziani facevano una distinzione tra il perdono di Dio e l’accoglienza nella comunione ecclesiale. L’uno poteva esistere senza l’altro, e la Chiesa non era la base del perdono. I novaziani negavano l’idea che fuori della Chiesa non ci fosse salvezza. Insistevano sul fatto che la Chiesa aveva l’obbligo di salvaguardare la propria purezza, soprattutto nella prospettiva di ulteriori prove. Cipriano inizialmente favorì l’idea novaziana, ma presto arrivò a sostenere che la Chiesa doveva riammettere le persone veramente pentite. Sviluppò una dottrina dell’unità della chiesa nel vescovo; la ribellione contro il vescovo era ribellione contro Dio. Insistette, però, sulla qualità di tutti i vescovi. Per lui i vescovi offrivano sacrifici e quindi erano un sacerdozio in virtù della loro opera ieratica.

Durante la persecuzione, a Cipriano fu ordinato di sacrificare all’imperatore ma rifiutò, dicendo: “Non sacrificherò”. Il proconsole lo ammonì dichiarando: “Considera bene!” Cipriano rispose: “Esegui i tuoi ordini; il caso non ammette considerazione. Fu poi decapitato. L’accusa formale contro di lui nella sua sentenza lo accusava di leadership nella “malvagia cospirazione” del cristianesimo. Agli occhi dello Stato, era esattamente così: credere in Gesù come Signore e Salvatore significava negare che lo stato fosse signore e salvatore ed essere coinvolti in una guerra contro di esso.

Valeriano, che ordinò la persecuzione, fu egli stesso catturato dall’imperatore Sapore di Persia. Sapore usò Valeriano come schiavo. Quando montava a cavallo, Sapore faceva inginocchiare Valeriano e lo usava come sgabello. Dopo sette anni ordinò che Valeriano fosse accecato, scorticato vivo e poi sfregato con sale; Durante questa tortura, Valeriano morì. La sua pelle fu riempita di paglia e posta in un tempio persiano. Alcuni storici, infastiditi dal fatto che i cristiani vedessero la giustizia di Dio in questa fine di Valeriano, hanno scelto di negarne la storicità.

Dopo Valeriano, la Chiesa ebbe quarant’anni di pace, salvo piccoli incidenti, e una breve minaccia durante il regno di Aureliano (270-275), il cui editto di persecuzione portò ad altri spargimenti di sangue, ma ebbe vita breve perché fu assassinato molto presto subito dopo.

La decima e più grande persecuzione iniziò sotto Diocleziano nel 303 e continuò fino a quando Galerio, il suo successore, ordinò la tolleranza dal letto di morte nel 311. Non solo furono proibite tutte le assemblee cristiane, tutte le chiese furono distrutte, tutte le copie della Bibbia furono bruciate, ma la persecuzione fu pure implacabile: mirava a cancellare del tutto il cristianesimo. Furono gettati in pasto alle bestie così tanti cristiani che gli animali stufi alla fine si rifiutarono di attaccarli. I soldati si stancarono delle uccisioni e le loro spade divennero spuntate o si ruppero. Le case furono date alle fiamme; I cristiani furono zavorrati con pietre e gettati in mare. Un’intera città cristiana della Frigia fu bruciata insieme ai suoi abitanti. I governatori più misericordiosi cercarono di ritardare gli ordini, o semplicemente di tagliare orecchie o di spaccare nasi, o di cavare gli occhi destri, o di mutilare in altro modo i cristiani. Fu un feroce spargimento di sangue dei migliori della chiesa, che erano il sale dell’impero. Spogliò l’impero di molti dei suoi migliori cittadini. Dodici anni dopo, quando Costantino incontrò i capi della chiesa al Concilio di Nicea, fu circondato da una strana assemblea. Molti erano senza occhi, altri senza braccia o senza mani, altri mutilati in vario modo: un’adunanza di uomini che avevano affrontato la morte per la fede. Ma il Concilio includeva anche uomini di altro genere.

La questione al Concilio di Nicea del 325 fu l’eresia contro l’ortodossia. La Chiesa era da tempo impegnata in una battaglia per la propria vita e non poteva rivolgere completamente la propria attenzione alle eresie al suo interno. La principale tra queste eresie era l’arianesimo, erede delle eresie precedenti dal giudaismo e dallo gnosticismo (che in alcuni punti erano collegati) fino a quelle del IV secolo. Arianesimo e ortodossia differivano più apertamente riguardo alla persona di Gesù Cristo. I tre punti principali dell’arianesimo erano (1) Cristo era un essere creato, (2) non era esistito eternamente e (3) non era della stessa essenza del Padre. La posizione ortodossa era che Cristo (1) fu generato, non creato, (2) generato prima dei mondi e (3) della stessa essenza del Padre. Per gli ariani Cristo, che non era veramente Dio, divenne ciò che non era veramente uomo: una persona meravigliosa, ma non un Salvatore. La visione ariana di Dio era monarchiana e antitrinitaria.

L’apostolo dell’arianesimo era Ario, presbitero di Alessandria. In termini moderni, la sua posizione si chiamerebbe unitaria e statalista. Dalla Talia di Ario, i seguenti passaggi illustrano la sua posizione:

Il “Senza Inizio” fece del Figlio un principio delle cose originate;

E lo elevò come un Figlio a sé stesso per adozione.

Non era niente di proprio a Dio nella propria di subsistenza.

Infatti non è uguale a lui, né sostanzialmente uguale a lui.

Estraneo al Figlio è per essenza il Padre, perché è senza principio.

Per volontà di Dio il Figlio è ciò che è e qualunque cosa sia.

E quando e da quando esiste, da allora è sussistito da parte di Dio

La filosofia di Ario era semplice ellenismo leggermente battezzato con la Scrittura ed espresso con linguaggio cristiano. Eliminava Cristo come Signore e Salvatore e riduceva la Bibbia a leggenda. In diversi modi, l’arianesimo ha distrutto la fede. Innanzitutto, negando che Cristo sia Signore e Salvatore, l’arianesimo ha fatto nuovamente dello Stato il signore e salvatore dell’uomo.

L’autorità divina apparteneva all’imperatore, non a Cristo. Di conseguenza, l’arianesimo fu molto popolare tra molti imperatori presumibilmente cristiani. Ha permesso loro di dichiararsi cristiani con l’appoggio dei vescovi ariani e poi, in nome di Cristo, di perseguitare i credenti ortodossi. L’arianesimo come pseudo-cristianesimo diede semplicemente a Roma una nuova arma nella sua guerra contro Cristo.

In secondo luogo, la fede ariana distrusse la risposta cristiana al problema filosofico fondamentale dell’uno e dei molti. Soltanto nella dottrina ortodossa della Trinità c’è una risposta a questa domanda. In un Dio di tre persone c’è l’eguale valore ultimo e importanza dell’uno e dei molti. Né l’unità totale a scapito dell’individualità né l’individualità atomistica a scapito dell’unità sono vere. Non è, ad esempio, solo lo Stato che è reale e i cittadini nulla, né solo i cittadini importanti e lo Stato superfluo, ma entrambi sono ugualmente importanti. Nella dottrina della trinità, un solo Dio, tre persone, unità e particolarità sono ugualmente importanti. Ario ripristinò l’enfasi pagana sull’unità, e quell’unità era l’impero. Lo statalismo trovò  ovunque nell’arianesimo una dottrina ideale, e per alcuni secoli esso fiorì in tutta Europa. È di nuovo prominente sotto altri nomi.

In terzo luogo, l’arianesimo riduceva Dio a un’astrazione. Non era visto come il Dio personale della Scrittura, il Dio che salva e giudica, ma come un concetto filosofico. L’unica grande persona sull’orizzonte dell’uomo era l’imperatore. Quando le implicazioni dell’arianesimo furono pienamente sviluppate l’udienza dell’imperatore era dunque migliore di quella di Dio.

Il grande avversario di Ario fu Atanasio, che partecipò al Concilio come arcidiacono. Il partito ortodosso, che si atteneva fermamente alla divinità di Cristo, iniziò in minoranza al Concilio di Nicea nel 325, con la maggior parte delle persone che assumevano una posizione moderata che sostanzialmente annullava l’ortodossia. La difesa della vera fede spettava a quegli uomini ortodossi che rifiutavano il compromesso guidati da Alessandro d’Alessandria, Eustazio di Antiochia, Macario di Gerusalemme, Marcello di Ancira, Osio di Cordova e, soprattutto, il piccolo e giovane Atanasio. Gli ariani erano guidati dal potente Eusebio di Nicomedia (poi di Costantinopoli), Teognide di Nicea, Maris di Calcedonia, Menofanto di Efeso e soprattutto lo stesso Ario. Il leader del gruppo di maggioranza, i compromettenti, era lo storico Eusebio di Cesarea.

Prima di Nicea, Ario fu deposto nel 321 dal Concilio di Alessandria. La “Deposizione di Ario” del presbitero Alessandro potrebbe essere stata scritta dallo stesso Atanasio. Denunciava l’arianesimo come “questa eresia più vile e anticristiana”. Sottolineava che quando fu chiesto agli ariani “se la Parola di Dio possa cambiare come cambiò il diavolo, non ebbero paura di dire che può farlo; poiché essendo qualcosa di fatto e creato, la sua natura è soggetta a cambiamento”. Ciò significa un Cristo inaffidabile. La “Deposizione” citava i numerosi allontanamenti dell’arianesimo dalla Bibbia e dichiarava che non poteva esserci “comunione della luce con le tenebre, né alcuna concordia di Cristo con Belial”, e avvertiva, citando ancora la Scrittura, di “prestare attenzione agli spiriti seduttori” e dottrine di diavoli, che rifiutano la verità.” Costantino, conoscendo la profonda spaccatura nella chiesa e sperando di mantenere un impero unito, convocò il Concilio e invitò Ario nella speranza di un compromesso.

Atanasio, in due scritti del 318, Contro i pagani e L’Incarnazione del Verbo, dichiarò l’eternità e la centralità del Verbo, Dio Figlio, e la sua necessità per le opere di creazione e redenzione.

Al Concilio, gli ariani proposero per primi un credo che fu rapidamente respinto da tutte le parti, compresi tutti i diciotto firmatari tranne due. Poi Eusebio di Cesarea, lo storico della chiesa, propose un credo evitando un solo termine nel parlare di Cristo, homousios, consubstantialis, “della stessa essenza” con Dio. L’imperatore approvò questo credo prima che fosse presentato, e anche gli ariani erano pronti ad accettarlo. Non affermava in alcun modo l’arianesimo, ma, evitando una dura e ferma dichiarazione di ortodossia, lasciò implicitamente il campo aperto a qualsiasi opinione, purché rimanesse una generale fedeltà formale. La minoranza ortodossa lo respinse. La loro premessa di base era semplice: per quanto buono potesse sembrare un credo, non aveva alcun valore se i seguaci di tutte le fedi potessero accettarlo. L’unico credo possibile era quello che escludeva gli eretici, un credo al quale nessun ariano poteva aderire onestamente. Insisterono quindi per aggiungere la parola evitata, il termine greco homoousios. Gli ariani cercarono di sostituire la parola homoi-usios: “di sostanza simile”, che avrebbe implicato che Cristo fosse simile a Dio ma ancora sicuramente non della stessa sostanza con Dio; questo sotterfugio fu rifiutato dagli uomini ortodossi. Alla fine, con l’imperatore che spostò il suo peso sulla forma ortodossa, fu adottato il Credo di Nicea. Nella sua forma originale, il Credo niceno citava le eresie ariane e dichiarava tra tutti coloro che le sostenevano: “queste la Chiesa cattolica e apostolica anatemizza”.

Alcuni che erano pronti a firmare il Credo si opposero alla formula di condanna; erano pronti ad essere a favore della fede ortodossa se necessario, senza essere contro nulla, il che era impossibile. Coloro che si rifiutarono di firmare vennero banditi da Costantino, primo ricorso alla punizione civile per i reati teologici, una misura disciplinare che ha attraversato tutta la storia. Ancora più importante, Nicea salvò la chiesa. Come ha affermato Philip Schaff, “Il concilio di Nicea è l’evento più importante del IV secolo, e la sua incruenta vittoria intellettuale su un pericoloso errore è di gran lunga più importante per il progresso della vera civiltà, di tutte le sanguinose vittorie di Costantino” e dei suoi successori”. Nel 381 il Concilio di Costantinopoli abbandonò le clausole di condanna e aggiunse al Credo la sua forma attuale, più adatta alla recitazione o al canto in chiesa e a scuola. Attraverso sua sorella, Costantino fu indotto a richiamare Ario e i vescovi ariani e a pensare bene di loro.  Atanasio, che fu fatto vescovo l’anno successivo al concilio, fu ormai oggetto di persecuzione religiosa e civile e non ebbe mai un giorno di pace fino alla sua morte. La sua vita fu costantemente in pericolo e fu continuamente esiliato per ogni genere di false accuse, inclusi immoralità e omicidio, allo scopo di allontanare il popolo da lui. Per due volte furono usate truppe per sostituirlo con vescovi politici. Dovette affrontare problemi con Costantino, Costanzo e Giuliano l’Apostata, e anche allora la sua persecuzione è continuata fino ad alcuni anni dopo Giuliano e terminò solo un anno prima della sua morte nel 373.

Ario non visse abbastanza per godersi la vittoria. Al suo richiamo, Alessandro, primate di Alessandria, in lacrime si prostrò nel sacrario, pregando: “Se Ario verrà domani in chiesa, portami via e fa’ ch’io non perisca con i colpevoli. Ma se hai pietà della tua chiesa, come hai pietà, porta via Ario, affinché, quando entrerà qui, non entri con lui l’eresia.” La mattina dopo, mentre si recava in chiesa per riconciliarsi formalmente e pubblicamente, Ario si fermò e lasciò improvvisamente il corteo a causa di un dolore gastrico. Dopo aver aspettato un po’, i suoi seguaci indagarono e scoprirono che il vecchio era crollato a terra coperto di sangue ed era caduto nella latrina. Il partito ortodosso ricordò trionfalmente le parole riguardanti la morte di Giuda, il quale «cadendo a capofitto, si squarciò in mezzo» e morì. Il modo di morire di Ario fu usato per sconfiggere gli eretici.

La questione non si concluse con la morte di Ario e Atanasio. Il cristianesimo era entrato in prima linea sulla scena storica e nessuno ne capiva il significato meglio dei suoi nemici statalisti. Nei secoli successivi, gli stati avrebbero favorito l’arianesimo, il maomettanesimo e l’ebraismo come religioni utilizzabili per scopi statali, mentre combattevano il cristianesimo. Lo statalismo e l’ortodossia devono sempre continuare ad essere nemici, in quanto l’ortodossia nega alle pretese stataliste il dominio sul regno di Cristo e il potere salvifico dello stato.

Abbiamo citato solo alcune forme delle eresie anticristiane e solo alcune delle fonti di controversia. La successiva grande controversia verté sulla persona di Cristo e sulla possibilità della fusione tra l’umano e il divino. L’influenza greca portò molti uomini di chiesa a vedere la salvezza come divinizzazione. Anche alcuni leader ortodossi furono contagiati da questa tendenza. Pertanto, Atanasio, nella sua Incanazione del Verbo, dichiarò: “Poiché Egli (Cristo) si è fatto uomo affinché noi potessimo diventare Dio”. La questione era questa: l’incarnazione di Cristo è stata una perfetta unione del divino e dell’umano con una confusione di queste due nature o senza confusione? La sua divinità era in perfetta unione con la sua umanità senza cambiarne la natura, oppure la sua umanità divenne divina e la sua divinità divenne umana? Se la confusione fosse stata possibile, allora avrebbe trionfato ancora l’idea greca e pagana secondo cui se Dio e l’uomo non fossero della stessa sostanza, sarebbero almeno potenzialmente una sola sostanza. Nei termini della Bibbia, l’uomo può essere uno nella sostanza con l’umanità redenta di Cristo mediante la rigenerazione, ma l’uomo può avere solo una comunità di vita, non di sostanza, con la divinità di Cristo. Il misticismo si basa sull’idea non cristiana di un’unione di sostanza.

Molte scuole eretiche sorsero per affrontare il problema: gli Apollinari, i Nestoriani, gli Eutichiani e altri. Per lo più o confondevano le due nature oppure le riducevano a una sola natura, negando o l’umanità o la divinità di Cristo. Il Credo niceno aveva risolto il problema dell’arianesimo. Ora era necessaria una dichiarazione ancora più precisa per definire la posizione ortodossa contro questa nuova minaccia. Questa formula fu sviluppata al grande Concilio di Calcedonia nel 451. Il Concilio si riunì in un clima orribile, con intensa acidità da entrambe le parti. Il nocciolo della questione, Dio o l’uomo, era stato messo in luce da questa controversia, e spesso gli animi si erano persi. Nel momento critico fu letta una lettera del vescovo Leone I di Roma, in difesa della fede ortodossa. Questa lettera è diventata nota come “Il Tomo di Leo”. Con forti applausi si levò il grido: “Questa è la fede dei padri! Questa è la fede degli apostoli! Così crediamo tutti! Così credono gli ortodossi! Anatema a chi crede altrimenti! Per mezzo di Leone, Pietro ha parlato così. Anche Cirillo insegnava così. Questa è la vera fede.” Anche se in seguito la Chiesa di Roma avrebbe abusato del riferimento a Pietro, ciò che si intendeva allora era che la fede apostolica di Pietro era stata affermata da Leone. La definizione o formula di Calcedonia riassume questa posizione:

Noi tutti, dunque, seguendo i santi padri, di comune accordo insegniamo agli uomini a riconoscere un solo e medesimo Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, insieme completo nella divinità e completo nell’umanità, vero Dio e vero uomo, composto anche di anima ragionevole e di corpo; di una sostanza con il Padre per quanto riguarda la sua divinità, e allo stesso tempo di una sostanza con noi per quanto riguarda la sua umanità; come noi in tutto, a parte il peccato; quanto alla sua divinità, generata dal Padre prima dei secoli, ma quanto alla sua umanità, generata, per noi uomini e per la nostra salvezza, da Maria Vergine, la generatrice di Dio; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, Unigenito, riconosciuto IN DUE NATURE, SENZA CONFUSIONE, SENZA CAMBIAMENTO, SENZA DIVISIONE, SENZA SEPARAZIONE: la distinzione delle nature non essendo in alcun modo annullata dall’unione, ma piuttosto i caratteri di ciascuna natura conservati e congiunti per formare una sola persona e sussistenza, non divisi o separati in due persone, ma un solo e medesimo Figlio e unigenito Dio il Verbo, Signore Gesù Cristo; come di lui hanno parlato i profeti fin dai tempi più antichi, e lo stesso nostro Signore Gesù Cristo ce lo ha insegnato, e la fede dei Padri ci ha tramandato.

Questa definizione del Quarto Concilio Generale o Ecumenico è rimasta la pietra di paragone dell’ortodossia. La Chiesa se ne è allontanata ripetutamente: nel misticismo, nella transustanziazione e nelle dottrine simili del sacramento della Mensa del Signore, nel modernismo, nella neo-ortodossia, nell’esistenzialismo e in altre eresie, ma la definizione è rimasta come criterio di giudizio contro di esse.  In due punti il ​​suo significato è particolarmente grande. In primo luogo, separò nettamente la fede cristiana dai concetti greci e pagani di natura ed essere. Ha reso chiaro che il cristianesimo e tutte le altre religioni e filosofie non potevano essere raggruppate. In secondo luogo, negando la confusione tra umano e divino, ha inferto un duro colpo all’idea della divinità dello Stato, del sovrano o della carica statale. Tutti erano creature di Dio e sotto la legge di Dio, non sopra. La maggior parte delle eresie successive furono ribellioni contro Calcedonia. Il Credo Atanasiano, non scritto da Atanasio ma che onora la sua difesa dell’ortodossia è un’affermazione in forma di credo della definizione di Calcedonia.

Un’altra vittoria molto importante per il cristianesimo fu ottenuta anche nel 451, da una chiesa non rappresentata a Calcedonia e da un popolo in lotta per la propria vita. Il potente impero persiano, che ora difendeva con forza una fede dualistica, si stava spostando verso ovest. Nella battaglia cruciale di Avarair, Vartan Mamigonian, eroe degli armeni, perse la vita in una sanguinosa resistenza che fermò la marcia persiana. Il dualismo fu fermato come forza militare, ma sarebbe apparso come un’eresia, nelle sette Pauliciane e Bogomili, che in Francia vennero conosciute come Catari e Albigesi in un’epoca successiva.

Abbiamo visto prima che con Nicea ebbe inizio la punizione civile del dissenso religioso. Gli storici ne hanno fatto un caso. Non hanno affermato, tuttavia, che in primo luogo si trattò semplicemente di una continuazione della politica imperiale romana rispettosa della religione. Il culto dello Stato doveva essere accettato da tutti, qualunque cosa credessero. Il culto dello stato era ormai una forma di cristianesimo. In secondo luogo, il culto dello Stato allora e nei secoli successivi fu solitamente uno pseudo-cristianesimo o un cristianesimo difettoso e sottomesso allo Stato. Lo Stato era preoccupato del proprio potere e del proprio benessere, e quindi di solito proteggeva il gruppo ecclesiastico che meglio rendeva la fedeltà principale a Cesare piuttosto che a Cristo. Di conseguenza è un errore parlare della persecuzione del cristianesimo come di qualcosa che si concluse con Costantino; è invece continuata attraverso i secoli e non è meno presente oggi. Abbiamo visto la persecuzione di Atanasio; non era affatto il solo a questo riguardo. La persecuzione dei cristiani sotto l’ormai potente impero persiano fu feroce e intensa. Gli eretici ariani perseguitarono e uccisero molti cristiani mediante il loro controllo sullo stato. Giuliano l’Apostata uccise i leader ortodossi per la loro opposizione al paganesimo. I barbari che divisero l’Impero Romano accettavano solitamente l’arianesimo ed erano ostili all’ortodossia. Ogni nuovo potere tendeva a vedere  l’ortodossia come nemico dello Stato.

L’arianesimo si diffuse verso nord in tutta l’Europa e in Asia, e continuò ad essere un fattore importante per alcuni secoli. Perdurò come influenza in molte aree. J. G. R. Forlong definì Ario “il fondatore degli Erastiani, dei Sociniani, degli Unitari e dei Razionalisti”, dichiarò che l’arianesimo “attaccò con grande effetto le basi dell’ortodossia antica, medievale e moderna”. Ario era stato vescovo di Alessandria. La successiva grande sfida all’ortodossia venne da Pelagio (370-418), un gallese.

Il vero nome di Pelagio era Morgan, che fu latinizzato in Morgantoo Marigena, o “nato dal mare”, e fu poi trasformato nel greco Pelagios, “Marinaio”. Potrebbe essersi ritirato a Roma con le legioni. Abile predicatore e insegnante, inizialmente ottenne le lodi del suo successivo nemico, Agostino, ma Girolamo presto diffidò di lui.

Il tentativo di sovvertire la fede attentando alla dottrina di Cristo si era verificato a Calcedonia. Esisteva ora una chiara affermazione di credo con la quale il più umile credente ortodosso poteva valutare le dichiarazioni dei predicatori. L’assalto ora giungeva attraverso un altro canale, la dottrina dell’uomo. La dottrina ortodossa di Cristo poteva essere vera, ma se l’uomo non aveva bisogno di essere salvato perché poteva salvarsi da solo, allora Cristo era irrilevante. Pertanto, senza una parola di dissenso riguardo alla dottrina ortodossa di Cristo, essa potrebbe essere resa nulla. Ancora una volta, la dottrina ortodossa di Dio affermava la sua libertà assoluta e il suo potere di governo. Secondo la chiara affermazione di Paolo e il riassunto della fede biblica, Dio non solo ha preconosciuto, ma ha anche predestinato (Romani 8:29-30). L’idea greca di Dio era un concetto limitante; la vera libertà e il potere di predestinazione (o di pianificazione) appartenevano invece all’uomo. Due idee erano quindi in conflitto: l’uomo era sotto il piano e il controllo di Dio, o Dio era sotto il potere e il controllo dell’uomo? Le opere dell’uomo avrebbero potuto salvarlo? Potrebbe l’opera dell’uomo legare e controllare Dio e strappargli non solo il diritto al paradiso, ma anche il controllo su tutto l’essere? Gli gnostici e gli altri eretici avevano deciso con grande coraggio in favore dell’uomo. Lo avevano fatto formulando una dottrina di Dio che lo rendeva meno di Dio, anzi meno dell’uomo. Questo approccio era stato smascherato dai padri ortodossi e contro di esso erano state erette barriere di formule di credo. Il nuovo approccio consisteva nel lasciare intatta la dottrina di Dio e nell’utilizzarla come cavallo di Troia dell’ingresso nel campo del cristianesimo della dottrina della libertà dell’uomo. L’uomo era fondamentalmente libero, ostacolato nella sua libertà solo da consuetudini e dogmi, e una volta illuminato avrebbe potuto rivelare i grandi poteri che Dio gli aveva dato; questo era il nuovo approccio, la libertà e la capacità dell’uomo illuminato.

Pelagio di conseguenza dichiarò, in primo luogo, che Adamo era stato creato una creatura mortale il cui peccato non poteva influenzare il resto dell’umanità. Gli uomini non ereditano da Adamo una natura decaduta, e il peccato non ha nulla a che fare con la morte. In secondo luogo, Pelagio insegnò che tutti i bambini nascono innocenti come fu creato Adamo, sono senza peccato originale e non hanno bisogno del battesimo per rimuoverlo. Se i bambini mostrano una propensione al peccato, non è la natura, ma il costume ad agire. Terzo, gli uomini potevano vivere e vivevano una vita senza peccato prima e dopo la venuta di Cristo. Quarto, la risurrezione di Gesù Cristo non aveva nulla a che fare con la resurrezione dell’umanità e non aveva alcuna connessione con il peccato e la caduta di Adamo. Quinto, la legge poteva salvare gli uomini con la stessa facilità del Vangelo. Sesto, la stessa natura umana potrebbe salvare gli uomini guidandoli verso pensieri e azioni buone. Settimo, l’uomo possiede il libero arbitrio, dono gratuito di Dio, il quale non predestina gli uomini, ma semplicemente li guida sulla retta via. Ottavo, questa guida è ciò che costituisce la grazia di Dio. Questi insegnamenti ebbero una vasta influenza, e il vescovo Zosimo di Roma fu tra coloro che li sostennero a lungo, anche se alla fine cedette davanti al partito anti-pelagiano, guidato da Cirillo d’Alessandria e Agostino.

In contrapposizione alla dottrina pelagiana della libertà dell’uomo e del potere dell’uomo illuminato, Agostino affermò le dottrine bibliche della predestinazione e della grazia di Dio e dell’assoluta dipendenza dell’uomo da Dio come fonte di ogni bene. La libertà, sosteneva Agostino, può essere ottenuta dall’uomo solo in Cristo. Solo il cristiano è l’uomo libero, e la sua libertà è un atto della grazia. La vera libertà è solo di Dio: poiché Dio ha fatto tutte le cose, nulla esiste di per sé, né ha alcun potere o attributo di per sé. L’uomo separato da Dio è quindi in totale schiavitù. Non può essere salvato se non per atto sovrano di Dio, e la salvezza è tutta e completamente opera di Dio. Come afferma in Lo Spirito e la Lettera, un uomo «non si può dire che abbia neppure quella volontà con la quale crede in Dio, senza averla ricevuta». Ciò ha negato la libertà all’uomo? «Dunque noi, per grazia, rendiamo nullo il libero arbitrio? Nient’affatto! Anzi, stabiliamo piuttosto il libero arbitrio. Infatti, come la legge mediante la fede, così il libero arbitrio mediante la grazia non è annullato, ma stabilito. Infatti neppure la legge è adempiuta se non per libero arbitrio; ma mediante la legge è data la conoscenza del peccato, mediante la fede è data l’acquisizione della grazia contro il peccato, mediante la grazia la guarigione dell’anima dalla malattia del peccato, mediante la salute dell’anima la libertà della volontà, mediante il libero arbitrio l’amore per la giustizia, mediante  l’amore per la giustizia, l’adempimento della legge. Pertanto, come la legge non viene annullata, ma è stabilita mediante la fede, poiché la fede procura la grazia con cui si adempie la legge, così il libero arbitrio non viene annullato mediante la grazia, ma è stabilito, poiché la grazia guarisce la volontà con cui la giustizia è liberamente amata. ” In altre parole, il fondamento stesso della libertà degli uomini è la predestinazione di Dio. Questa posizione, affermata in modo così potente da Agostino, fu poi sviluppata da Lutero contro Erasmo, e da Calvino contro Pighio.

La fede pagana e classica nella libertà dell’uomo lasciava l’uomo di fronte al mondo senza Dio e solo col proprio libero arbitrio. Ben presto si è visto che l’ambiente può limitare la libertà dell’uomo; poi l’ereditarietà è diventata un fattore. Una parte importante dell’ambiente limitante era il cosmo, le stelle e i corpi celesti. La libertà dell’uomo è rapidamente scomparsa davanti a tutte queste forze condizionanti e dominanti, e la speranza dell’uomo si è appoggiata alla “fortuna”. La dottrina cristiana della predestinazione ha dato all’uomo una nuova nascita di libertà. Nelle parole di C. N. Cochrane: «Con la scomparsa dal pensiero cristiano dell’antitesi classica tra ‘uomo’ e ‘ambiente’, scompare pure la possibilità di un simile conflitto. Il destino dell’uomo è, sì, determinato, ma né per un meccanismo senz’anima, né per il decreto di un potere arbitrario o capriccioso esterno a lui stesso, poiché le leggi che governano la natura, come quelle che governano la natura umana, sono ugualmente le leggi di Dio.” La risposta di Agostino fu in sostanza questa: Dio ha fatto l’uomo, e l’uomo non è nulla al di fuori di Dio. Come può l’uomo rivendicare una libertà separata da Dio, o poteri separati da Dio? Non è questa una forma di ateismo pratico? Agostino scrisse più tardi nelle sue Ritrattazioni: “Io difendo la grazia, non certo in opposizione alla natura, ma come ciò che libera e controlla la natura”. Non c’è libertà senza la grazia di Dio. Contrariamente a Pelagio, l’uomo è un peccatore, caduto in Adamo, nato al peccato e alla morte, nato alla libertà, alla vita e alla giustizia solo per la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo. In una delle sue ultime opere: Sulla predestinazione dei santi, Agostino ammise che, con orgoglio, si era ribellato a lungo contro la dottrina della predestinazione o grazia, ma era arrivato costantemente a vederne il significato glorioso. Un’altra importante opera di Agostino, La Città di Dio, fu in parte ispirata alla caduta di Roma. Due città sono alla base di tutta la storia, la Città di Dio e la Città dell’Uomo, o del Mondo. Queste due città, spesso mescolate, sono ancora in perenne conflitto. Per Agostino lo Stato del suo tempo era la Città di questo Mondo. I cittadini della Città dell’Uomo cercano la propria felicità nella libertà dell’uomo e nell’indipendenza da Dio. I cittadini del Regno di Dio vivono per fede. Trionferanno nel tempo e nell’eternità, mentre la città terrena erediterà miseria e dannazione.

L’agostinianesimo trionfò per un certo periodo, ma il semi-pelagianesimo, le dottrine di Pelagio adattate per conformarsi ai riti ecclesiastici, trionfò rapidamente nelle chiese orientali o greche e fu poi adottato dalla chiesa latina. L’antropologia semi-pelagiana, o dottrina dell’uomo, governò la maggior parte dei pensatori medievali e fu rovesciata solo con la Riforma. Le tendenze pelagiane riapparvero rapidamente nel liberalismo protestante, nell’arminianesimo, nel latitudinarismo e nel modernismo, così come nella neo-ortodossia.

Concentrandoci su alcune questioni chiave, abbiamo sorvolato su molte controversie importanti, nonché su importanti figure cristiane, come Giovanni Crisostomo, Ambrogio e molti altri.

Un movimento però va menzionato brevemente: l’ascetismo, con i suoi risultati nel movimento monastico. L’ascetismo era già un fattore nella società pagana, e la corruzione di Roma stimolò la repulsione pagana e ascetica verso la decadenza regnante. Anche l’ascetismo entrò nella chiesa. Ascetismo è una parola che viene dal greco per “formazione”, e significa formazione alla vita veramente spirituale. La vera ascesi è sempre di origine pagana, in quanto implica un disprezzo della carne, che è la sua origine anti-biblica; è dualismo o monismo, mai teismo cristiano, l’ascetismo dualista crede che esistano due mondi in conflitto, il mondo malvagio della materia e il mondo buono dello spirito, mentre la visione biblica è che sia la materia sia lo spirito furono creati buoni da Dio, sono entrambi ugualmente (rovinati) nella Caduta, sono entrambi redenti da Dio e sono àmbiti di santificazione. Il cristiano è chiamato a santificare la materia insieme allo spirito piuttosto che a negarla. L’ascetismo dualistico vede la materia come malvagia. Pertanto, l’evitarla asceticamente, e non Gesù Cristo, costituisce la salvezza.

L’ascetismo monista sostiene che tutto l’essere è uno e che tutto è più o meno divino o parte di Dio. Tutto fa parte della grande scala o catena dell’essere. Lo spirito, però, ha più sostanzialità d’essere della materia, sicché l’uomo, per crescere nella sua divinità, che è la sua salvezza, deve abbandonare l’essere debole della materia per l’essere più forte dello spirito. Attraverso questo percorso ascetico e mistico egli diventa sempre più forte nella propria divinità o salvezza.

L’ascetismo, per quanto ben intenzionato da credenti fuorviati, fu un movimento implicitamente anticristiano. Ha fatto del clero monastico il clero “più santo” e più importante dei rettori sposati delle parrocchie. Nel Medioevo forzò progressivamente il celibato sul clero parrocchiale. Tuttavia, subito dopo il potere del clero monastico cominciò a scemare nella Chiesa latina, e il “clero secolare” divenne dominante.

La Chiesa primitiva affrontò un impero grande e potente, Roma, come una causa apparentemente debole e senza speranza.  Durante quanto meno l’era del Nuovo Testamento, non c’è traccia di nemmeno un solo edificio di chiesa. Le persecuzioni uccidevano regolarmente la sua leadership e molti dei suoi membri. Fu una guerra mortale e  la spada era in mano del nemico. Logicamente, la chiesa non aveva alcuna possibilità di sopravvivere. Era assediata da nemici esterni e invasa da eretici, il nemico interno. Ma Roma cadde e la Chiesa trionfò; perché la Chiesa, per quanto fragile e difettosa nel suo aspetto terreno, era anche qualcosa di più: era il corpo di Gesù Cristo, che è Re dei re e Signore dei signori.

DOMANDE PER LO STUDIO

1. Un Monarchiano come definirebbe Cristo? Quali sono alcune delle implicazioni teologiche e pratiche dell’Unitarismo?

2. Nerone accusò i cristiani di aver causato ogni sorta di “disastri e calamità naturali” che erano avvenute. Anche se Nerone stava ovviamente cercando un capro espiatorio, questa accusa è mai stata vera? Come si comporta Dio con i nemici del suo popolo? (Considera l’obbedienza/disobbedienza al patto e i disastri naturali come un giudizio.)


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