Nascita e morte dell’impero romano

 

Quando Cesare cadde, vittima del suo stesso programma di clemenza, i cospiratori non riuscirono a conquistare il potere. Il Secondo Triumvirato prese il potere dopo aver sconfitto Cassio, Bruto e le loro forze a Filippi nel 42 a.C. . Questo trio fu confermato al potere nel novembre del 43 a.C. e superò la prova del potere vincendo. Lepido giocò un ruolo importante nell’impedire che la cospirazione conquistasse la città di Roma. In questo era stato assistito da Marc’Antonio, che divenne presto il leader dei tre. Il terzo triumviro era Gaio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote ed erede di Giulio Cesare, un giovane di diciotto anni il cui nome e posizione lo rendevano utile alle ambizioni di Antonio. Marc’Antonio sposò la sorella di Ottaviano, Ottavia. Tra i nemici politici che Antonio aveva condannato alla pena capitale c’era Cicerone che morì nonostante gli sforzi di Ottaviano per salvarlo. Il triumvirato divise la  giurisdizione sull’impero, con Antonio che prese il ricco est, Ottaviano l’ovest e Lepido, la Gallia e l’Africa. Ottaviano costrinse presto Lepido al ritiro. Sesto Pompeo nel frattempo controllava la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e il Peloponneso; successivamente fu sconfitto a Mylae e Nauloco nel 36 a.C. da Marco Vipsanio Agrippa e poi fuggì in Asia Minore, dove le truppe di Antonio lo catturarono e lo giustiziarono. Agrippa fu poi responsabile della vittoria navale su Antonio ad Azio, nel 13 a.C..  Antonio aiutò Ottaviano contro Sesto Pompeo fornendogli navi, mentre Ottaviano inviò truppe in aiuto di Antonio contro i Parti, che lo sconfissero nel 36 a.C.

  Antonio, mentre era ancora sposato con Ottavia, sposò Cleopatra d’Egitto, una donna brillante e di grandi ambizioni. In precedenza, aveva dato alla luce un figlio, Cesarione, a Giulio Cesare e, dopo aver ucciso suo fratello minore, che era anche suo marito, aveva nominato suo co-governatore Cesarione di tre anni con il titolo: “Tolomeo Cesare, Dio e Figlio diletto del Padre e della Madre.” Non meno di Roma, Cleopatra mirava al regno divino e al dominio del mondo. Non il sesso, ma il potere era la sua preoccupazione nelle sue relazioni con Cesare e Antonio. In entrambi i casi, sperava di unire le due grandi tradizioni del potere mondiale e del diritto divino in un unico filone, sotto il proprio controllo.

Ottaviano e Antonio erano già alleati scomodi e potenziali nemici. Sposando Cleopatra e unendosi a lei nel sogno dell’impero, Antonio si assicurò la rottura con Ottaviano. Due pretese rivali per il dominio del mondo non potevano coesistere a lungo. Nella lotta pacifica che precedette la guerra in corso, Ottaviano ottenne un grande vantaggio, che minò l’impero di Cleopatra e Antonio. Antonio emise moneta debole, di rame ricoperto con argento dorato, e si guadagnò il disprezzo del suo impero. Pretendere, come fece Antonio, di essere il salvatore del mondo e di emettere cattiva moneta fu un errore spaventoso. Ottaviano, nipote di un cambiavalute, emise denarii d’argento massiccio e stabilì il proprio regime da responsabile e degno di fiducia. Nella battaglia di Azio, il 2 settembre 31 a.C., Cleopatra e le sue forze abbandonarono Antonio, riconoscendo, mentre lo faceva, che il potere più grande in termini del futuro era Ottaviano, che sperava di convertire alla sua causa come aveva fatto con Cesare e Antonio. Non riuscendo a conquistarlo, si suicidò, come aveva fatto in precedenza Antonio. Nel 29 a.C. Ottaviano celebrò la pace chiudendo il Tempio di Giano, cosa che prima era stata fatta solo due volte, sotto Numa e nel 235 a.C..

Ottaviano che venne successivamente nominato Augusto: cioè “riverito” o “venerato” dai romani, nome da lui molto apprezzato, cercò di restaurare le forme della repubblica accrescendo al contempo il proprio potere. Visse dell’essenziale, si vestiva in modo semplice, rifiutò di comportarsi o di pretendere di essere un re e visse semplicemente come il primo cittadino del paese. Il voto, il governo rappresentativo, i procedimenti ordinati di autorità e la cura per i diritti e le forme dell’antica Roma resero Augusto caro alla maggior parte delle persone, ma il potere effettivo non era nelle vecchie forme, ma nelle mani di Augusto. La pace e la prosperità del suo governo mascherarono la perdita di potere del popolo. Augusto continuò ad acquisire potere attraverso elezioni e attraverso l’acquisizione di importanti cariche e titoli. Alcuni dei suoi titoli furono i seguenti: Cesare (che lo contrassegna come erede di un importante clan, e da cui derivano le parole Kaiser e Zar), Imperator (comandante in capo delle legioni), Princeps (primo cittadino), Augusto, Potere Tribuniciano – Podestà- (che lo dichiarò sacro, erede dei tribuni, col possesso di un veto perpetuo su tutti gli atti del Senato e sulla voce del popolo), Imperium Proconsolare (la detenenzione del potere militare sulle province), Encomio (il diritto di nominare persone per la maggior parte degli uffici) e Pontifex Maximus, o capo del collegio sacerdotale. Ogni carica ricoperta da Augusto gli fu assegnata per elezione. La democrazia era diventata maggiorenne a Roma nella persona di un uomo che veniva dichiarato essere sia la voce del popolo che la voce degli déi. Augusto era imperatore in realtà, anche se non di nome, preferendo onorare la democrazia definendosi Princeps, capo tra pari. Il titolo Augusto, invece, era un titolo divino, che fece di Ottaviano Zeus incarnato. In varie parti dell’impero furono costruiti templi alla dea Roma e al dio Augusto. Virgilio scrisse dell'”avvento” di Augusto, dichiarando: “Questo è l’uomo, colui che è stato promesso volta dopo volta” e “la svolta dei secoli è arrivata”. Augusto, come Pontefice Massimo, guidò il collegio dei sacerdoti nell’offrire sacrifici per purificare il popolo da tutte le colpe passate in una celebrazione dell’Avvento di dodici giorni nel 71 a.C. Il salvatore del mondo era venuto nella persona di Augusto. Lo storico numismatico Stauffer ha riassunto così il simbolismo delle monete emesse nell’impero: “La salvezza si non si trova in nessun altro eccetto Augusto, e non esiste altro nome dato agli uomini nel quale possano essere salvati.” Anche a Gerusalemme, al Tempio veniva offerto un sacrificio quotidiano per il bene di Augusto. Augusto stesso espresse le sue speranze riguardo al lavoro che stava svolgendo in un proclama ufficiale: “È stato mio sforzo essere descritto nei giorni a venire come il creatore dello status optimus (il miglior stato di cose possibile) e sperare, quando verrò a morire, che le fondamenta che ho gettato dureranno inamovibili.” Doveva essere “Roma eterna”.

Apparentemente Roma aveva risolto il dilemma dell’uomo. In primo luogo, il problema dell’uomo non era il peccato ma la mancanza di ordine politico, e questo ordine politico era fornito dallo stato divino e messianico. In secondo luogo, Roma ha risposto al problema dell’uno e dei molti a favore dell’unità, dell’unità delle cose nei termini di Roma. Quindi, l’eccessiva organizzazione, l’indebita semplificazione e la centralizzazione caratterizzarono sempre più Roma.

Gesù Cristo è nato c. 4 a.C. e Augusto morì il 19 agosto 14 d.C. Augusto era stato abilmente assistito da Gaio Cilnio Mecenate,  abile amministratore e mecenate, e da Marco Vipsanio Agrippa, eccezionale generale e amministratore. Roma fu ampiamente ricostruita. Le grandi opere architettoniche e artistiche di Roma (così come della Grecia) furono prodotte principalmente durante il periodo dello statalismo, della dittatura e del declino. Molto comunemente nella storia, quando la grandezza di un popolo svanisce, la nazione tende a ricercare la grandezza nei monumenti. Si ritiene quindi spesso, erroneamente, che i costruttori di monumenti rappresentino la gloria del passato, quando molto comunemente ne rappresentano gli aspetti più tristi. Nei giorni dell’apparente gloria di Roma, nacque Gesù, colui che non lasciò monumenti. Considerate le pretese che Roma aveva su se stessa, il conflitto tra Gesù e Cesare era inevitabile. Chi era il Cristo, il Salvatore del mondo?

Augusto, che si sposò tre volte, sposò il figliastro Tiberio, figlio di Livia Drusilla, sua terza moglie, con Giulia, figlia della seconda moglie, e nominò Tiberio suo successore. Augusto aveva settantasei anni quando morì.

In superficie, il regno di Augusto fu “un’epoca d’oro” di pace e prosperità. Nel secolo precedente la decisiva battaglia di Azio, i principali scrittori erano stati Catullo, Lucrezio, Sallustio, Varrone, Cesare e Cicerone. La loro visione del mondo non era piacevole, ma piuttosto un quadro cupo di battaglia, cinismo ed epicureismo. Nelle figure letterarie, il loro mondo era più prospero e più a suo agio con se stesso, ma non era più felice. Prima della fine del secolo, il cinismo di fondo doveva divampare in un disprezzo sfrenato per tutte le cose.

Tiberio (14-37 d.C.) fu un abile successore di Augusto, rafforzò l’amministrazione delle province, stabilì un confine tedesco, creò province della Cappadocia e di Commagene e pose un re filo-romano sul trono dell’Armenia. Una ribellione in Gallia fu repressa, così come una cospirazione a Roma orchestrata da Seiano, che progettava di ottenere per sé la successione. Nonostante tutte le sue capacità, Tiberio fu un sovrano impopolare a Roma a causa delle sue misure economiche rispetto ai circhi. Tiberio non aveva nessuna delle illusioni di Augusto e divenne un uomo sempre più riservato, praticamente un eremita, lasciando per un certo periodo il governo nelle mani di Seiano mentre lui viveva a Capri. Un popolo prospero voleva solo più prosperità e più sollievo, più pane e circhi. Di conseguenza, il popolo insaziabile dichiarò che Tiberio aveva “cambiato l’epoca d’oro” nell’ “epoca del ferro”.

A Tiberio, soffocato a morte in vecchiaia da Marco, un amico, comandante della guardia imperiale, successe il feroce Caligola, il figlio sopravvissuto di Germanico, nipote di Tiberio, che in precedenza era stato in linea di successione a Tiberio. Il Senato scelse Caligola al posto del giovane nipote di Tiberio, Tiberio Gemello, che Caligola mise a morte. Caligola (37-41 d.C.) fu allievo del filosofo degenerato Seneca, che in seguito agì come filosofo di corte per Nerone. Il folle Caligola prese sul serio la propria divinità e istituì un regno di terrore nel  quale si compiaceva del suo potere di uccidere. Alla fine fu ucciso lui stesso da un ufficiale della guardia pretoriana e gli successe Tiberio Claudio Druso (41-54 d.C.), che regnò col nome di Claudio. Costui era uno zio di Caligola che era sopravvissuto al terrore solo fingendosi debole di mente, il che per Claudio non era un ruolo difficile da interpretare. Era un uomo debole che a sua volta era governato da ciascuna delle sue quattro mogli, la più famosa della quali fu Messalina, il cui bisnonno era Antonio. La sua quarta moglie fu sua nipote, Agrippina la Giovane, il cui figlio avuto da un precedente matrimonio, Lucio Domizio Enobarbo, è meglio conosciuto come Nerone. Nerone ottenne la successione da Claudio e fu adottato come suo figlio, spodestando Britannico, figlio di Claudio da Messalina.  Nerone sposò poi Ottavia, sorella di Britannico. Successivamente Nerone fece avvelenare  Britannico. Si ritiene che Agrippina abbia fatto avvelenare Claudio per portare al potere suo figlio Nerone.

Nerone governò dal 54 al 68 d.C. Nerone ha i suoi difensori, come Arthur Weigall, ma l’impressione popolare che lo vede come un mostro immorale è sostanzialmente corretta. Altri considerano i suoi primi anni come una prova di buon governo e attribuiscono questo successo a Seneca e Burro; alcuni dicono che sia diventato pazzo dopo otto anni di governo. C’è, tuttavia, una coerenza religiosa nel regno di Nerone. Seneca lo salutò come il salvatore che avrebbe adempiuto le promesse del regno di Augusto: “Egli ripristina al mondo l’epoca d’oro.” Nerone si considerava il Salvatore del mondo. Nell’ultimo anno del suo regno, il 68, fu acclamato al suo ritorno a Roma come quel salvatore, dalle moltitudini che gridavano: “Ave, Vincitore dell’Olimpo! Ave, Vincitore della Pizia! Augusto! Augusto! Ave a Nerone che è il dio Apollo! Il nostro unico Vincitore nazionale, l’unico dall’inizio dei tempi! Augusto! Augusto! O Voce divina! Beati coloro che l’ascoltano!” Le monete di Nerone testimoniano la sua devozione religiosa al Liber Pater, e dopo la sua morte molti tentarono di fondare una repubblica rivoluzionaria, adottando come emblema delle proprie speranze il berretto frigio della Libertà. Lo stesso Senato venne coinvolto in questo fervore e questa speranza. L’essenza della dottrina salvifica di Nerone era quindi la libertà raggiunta distruggendo la distinzione tra bene e male, vivendo al di là del bene e del male. Nella sua vita Nerone esemplificò questa fede commettendo adulterio, incesto, omicidio e varie perversioni, il tutto in conformità con il suo concetto di salvezza, condiviso nell’ultimo secolo e mezzo da molti rivoluzionari, esistenzialisti, scrittori, giuristi e anche molti ecclesiastici. La guardia pretoriana si ribellò, nominò sovrano Galba, il quale fu approvato dal senato, e Nerone, ultimo della linea giulio-claudia si suicidò.

Servio Sulpicio Galba (68-69 d.C.) durò solo pochi mesi, il tempo sufficiente per emettere alcune monete che proclamavano il suo programma e la sua venuta come “Salus Generis Humani”, la salvezza del genere umano.

I suoi successori, Ottone, Vitellio e Vespasiano, furono ugualmente ambiziosi, governando ciascuno a turno nell’anno 69. Il 1° gennaio le legioni del Reno rifiutarono di riconoscere Galba e la loro scelta fu Aulo Vitellio. Nel frattempo, a Roma, Marco Salvio Ottone, amico di Nerone, la cui moglie, Poppea, Nerone aveva sposato, si assicurò l’appoggio della guardia, fece assassinare Galba e fu confermato dal Senato che non poteva decidere liberamente. Il conservatorismo antiquato di Galba riguardo al denaro lo aveva già reso impopolare. Le politiche di Nerone furono riprese da Ottone, per la gioia della folla. Quando le forze di Vitellio si avvicinarono a Roma, la posizione di Ottone era forte, ma dopo una sconfitta l’effeminato dandy si suicidò.

Nel frattempo era in corso la rivolta della Giudea (66-70 d.C.), una guerra dagli orrori notevoli e senza eguali. Le forze romane erano sotto Tito Flavio Vespasiano, che lasciò il comando a suo figlio Tito e fu proclamato imperatore da Tiberio Giulio Alessandro, prefetto d’Egitto. Vitellio fu ucciso nella successiva guerra civile il 20 dicembre dalle forze al comando dei suoi amici. Vespasiano, figlio di un usuraio, governò dal 69 al 79 d.C. Uomo capace, cercò solo di dare stabilità a Roma e considerò assurda la divinizzazione del suo ufficio. Mentre stava morendo, osservò con sarcasmo, sapendo che presto avrebbe ricevuto l’onore divino dal popolo: “Penso che sto per diventare dio”. Alla fine chiese di essere sorretto in piedi dicendo: “Un imperatore deve morire in piedi”. Mentre Vespasiano era imperatore, le antiche forme repubblicane furono da lui mantenute ed enfatizzate.

Gli successe il figlio, Tito Flavio Vespasiano che regnò dal 79 all’81 d.C., un povero sovrano a cui succedette il fratello minore, Tito Flavio Domiziano, dall’81 al 96 d.C. . Mentre Tito era inefficace, Domiziano era un amministratore forte e capace. Fece una campagna contro le tribù germaniche e costruì una serie di forti per difendere la frontiera dai barbari.

Successivamente i forti furono collegati con bastioni di terra, con sopra una palizzata di legno. Mentre Vespasiano aveva enfatizzato le cariche repubblicane, Domiziano aveva sottolineato quelle monarchiche. Fece divinizzare suo padre e si fece ufficialmente intitolare “Dio il Signore”, il primo imperatore a portare quel titolo. I poeti Marziale e Stazio acclamarono le loro opere. Nei banchetti statali si alzava il grido: “Salute al Signore”. Vespasiano fu acclamato con molte grida religiose: “Tu solo, degno sei; degno sei di ereditare il regno, vieni, vieni, non tardare, vieni ancora”. Era “dio di tutte le cose”, “Signore per sempre, Signore dall’eternità all’eternità, Signore per tutti gli eoni”. In Tacito e Svetonio, due storici, abbiamo un quadro vivido del secolo, delle sue follia, pretese e dissolutezza. Nell’Apocalisse dell’apostolo Giovanni conosciamo la sofferenza e la perplessità dei cristiani di fronte alle pretese e al potere di Domiziano. Lui stesso immorale, Domiziano cercò di sopprimere le forme più grossolane di immoralità, un’azione che aumentò la sua impopolarità. Dopo una ribellione fallita nel 93, Domiziano visse i suoi restanti tre anni in uno stato di intenso sospetto di perdere la vita che portò al suo assassinio il 18 settembre 96 d.C. Il Senato si rallegrò della sua morte.

Marco Cocceio Nerva succedette a Domiziano, governando dal 96 al 98 d.C. Nerva era stato scelto dal Senato ed era lui stesso senatore. Il suo governo fu l’ultimo significativo risveglio del potere e dell’autorità del Senato. Nerva, un uomo anziano, riconobbe che il nuovo potere era l’esercito e nominò rapidamente l’agente Marco Ulpio Traiano (Traiano), 98-117 d.C., come suo successore.

Gran parte del II secolo fu dominato da una successione di “buoni imperatori”, conosciuti come i cinque buoni imperatori: Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio, i cui regni si estesero dal 96 al 180 d.C. Nerva adottò Traiano come proprio figlio, un metodo di successione adottato da Traiano, Adriano e Antonino Pio, i quali non avevano figli propri.

Traiano, nato vicino a Siviglia in Spagna, era un abile generale che si unì all’impero ed è riconosciuto come una delle più grandi figure militari di Roma. Ai tempi di Traiano, divenne necessario che il governo romano interferisse nei comuni, soprattutto in Oriente, poiché i governi locali cominciavano a crollare, a fallire e a dipendere sempre più dalle autorità centrali.

A Traiano successe il cugino Adriano (Publius Aelius Hadrianus, 117-138), stoico ed ellenista. Istituì ottime riforme giuridiche, ma la sua opera rese evidente che, per quanto tutelasse le forme antiche e stabilisse i diritti, la fonte del diritto era ormai l’imperatore. Di particolare interesse è una delle leggi di Adriano: egli considerava reato penale accusare qualcuno falsamente di essere cristiano. Essere un cristiano allora significava essere entrambi un nemico dello Stato e creatura disprezzata, e accusare di cristianesimo chiunque non fosse cristiano era un’offesa terribile. Adriano, come quelli prima di lui, non fu in grado di far fronte alla crescente crisi economica. Gli aiuti stavano diventando un problema cronico per l’impero, come del resto fu ai tempi della repubblica. Man mano che le cose peggioravano, le pretese messianiche dello Stato di essere il salvatore dell’uomo diventavano più stravaganti. Invece di umiliarsi davanti ai propri fallimenti, lo Stato si limitò a intensificarli. La persecuzione del cristianesimo, di cui abbiamo parlato più avanti, non fu un incidente politico né dell’Impero Romano, ma una necessità. Due rivali piani di salvezza erano in guerra tra loro: la salvezza per mezzo  della politica e la salvezza per mezzo di Gesù Cristo, mediante il suo sacrificio espiatorio. Era Cristo o Cesare, oppure un compromesso da parte di Cristo, che sarebbe equivalso alla resa.

Ad Adriano succedette Antonino Pio (138-161), il cui regno continuò a garantire la pace e la prosperità dell’epoca, una prosperità limitata ad alcuni segmenti della popolazione, con un crescente numero di sussidi permanenti. Ad Antonino Pio successe il genero Marco Aurelio (161-180), uno dei più famosi filosofi stoici.

Secondo questa filosofia, applicata a Roma, l’imperatore, se era fedele alla sua vocazione, era l’incarnazione della ragione guida dell’universo, e quindi il principio vivente del bene. Nel diritto, la fratellanza degli uomini era il principio guida. Marco Aurelio, l’ultimo dei “Buoni Imperatori”, perseguitò duramente i cristiani come nemici dello Stato e come minaccia a questo grande ideale religioso dello Stato. Certamente i cristiani negavano l’incarnazione della ragione nell’imperatore e la fratellanza degli uomini al di fuori di Cristo.

Quando Marco Aurelio morì, quel re-filosofo lasciò a succedergli un figlio, un figlio che era stato allevato nella filosofia di suo padre e avrebbe dovuto essere la ragione personificata. Commodo (180-192) era una figura di uomo bello, abile e potente che si immaginava come un Ercole, nelle parole di Stauffer, come: “L’uomo forte inviato dal cielo e armato di potere sovrumano per liberare il povero mondo dai poteri della distruzione”. Invece di essere la ragione personificata, era forse un po’ debole mentalmente e sicuramente moralmente depravato. Mantenne, essendo un pervertito, un doppio harem di dimensioni molto grandi; la sua donna preferita era una concubina, Marcia, che per lo meno era amica del cristianesimo. Costei fece assassinare il mostro il 31 dicembre 182.

L’esercito ora prese il controllo della monarchia, dopo un periodo in cui prima Pertinace e poi Didio Giuliano tentarono di governare nel 193. La famiglia Severi ottenne poi il potere attraverso le legioni, regnando dal 193 al 235. Il primo fu Settimio Severo, 193-211, un amministratore abbastanza abile che fece dell’esercito il suo primo principio di potere in tutte le cose, dicendo ai suoi figli: “Arricchite i soldati. Nient’altro conta!”. Suo figlio e successore Caracalla (21-217) fece esattamente questo, aumentando la paga dei soldati a un tasso così alto che fu necessaria l’emissione di una moneta più degradata. Nell’editto di Caracalla del 212 la cittadinanza romana fu estesa praticamente a tutti gli abitanti liberi dell’impero. Questo passaggio ebbe poco significato. Un tempo i cittadini erano stati un’élite responsabile; ora la cittadinanza li includeva praticamente tutti, e l’élite responsabile venne prima sopraffatta e poi praticamente distrutta.

La cittadinanza ora non significava più nulla per coloro che un tempo la richiedevano. Non era più un privilegio onorato, ma un diritto vuoto in uno stato totalitario. Caracalla, che si prendeva cura dell’esercito, fu preso in cura da un gruppo di ufficiali del suo esercito, che lo uccisero l’8 aprile 217, mentre si preparava all’invasione della Partia. Gli succedette uno dei suoi ufficiali, Macrinus, 217-218, il primo imperatore della classe equestre, che cadde lui stesso quando tentò di ridurre la paga dell’esercito. Gli successe un Severii, Eliogabalo, 218-222, una figura selvaggia e folle che prese il nome da un dio-sole siriano, Elagabalo, che significa il dio della formazione o della plastica. Eliogabalo si vestiva da donna e assecondava il suo gusto per ogni genere di rarità. Quindi non mangiava frutti di mare vicino al mare, ma solo a grande distanza dal mare dove era difficile procurarseli. Fu assassinato il 1 marzo 222 e gli successe il figlio adottivo, Severo Alessandro (o Alessandro Severo), 222-235, che deprezzò ulteriormente la moneta, assunse il governo delle corporazioni commerciali e vide vari disordini nell’impero comprese le invasioni tedesche e una rivolta persiana. Fu assassinato dall’esercito nel marzo del 235.

Con la sua morte scomparve ogni pretesa di mantenere un governo costituzionale. Seguì un periodo di governo militare e di anarchia, 235-285. Nel frattempo il potere persiano cresceva sotto l’antica bandiera di “Un Dio, un Re, un Impero in tutto il Mondo”. A Roma, i cristiani furono aspramente perseguitati man mano che gli “Imperatori da Caserma” si succedettero, venti in cinquant’anni, di cui uno solo morì di morte naturale. I barbari iniziarono a invadere le frontiere. Aureliano, 270-275, si considerava il “Restauratore del Mondo” e riuscì a sconfiggere i tedeschi, riconquistando la Gallia, la Spagna, la Gran Bretagna e Palmira, ma fu assassinato dai suoi ufficiali mentre si preparava a invadere la Persia. Sotto Aureliano, l’economia di welfare o socialista di Roma fu ampliata. Non solo aumentarono gli aiuti individuali, ma il diritto al welfare fu anche reso ereditario nel 274. Nel frattempo, l’oro e l’argento cominciarono a fluire verso est, verso l’impero persiano e lontano da Roma. Si spostò verso ovest, verso Roma, la religione della Persia, il mitraismo essendo particolarmente popolare nell’esercito e fu la principale potenza religiosa oltre al cristianesimo perseguitato. Culturalmente e politicamente l’iniziativa non apparteneva più a Roma. Le città dell’impero iniziarono a costruire mura o a proteggersi. Le tasse divennero così alte che era molto difficile riscuoterle.

Dopo questo periodo di anarchia salì al potere Diocleziano (284-305), deciso a creare una nuova età augustea. Di umile stirpe illirica, Diocleziano era un uomo vigoroso e capace. Per rendere l’impero più facilmente governabile, creò due imperatori uguali, ciascuno un Augusto, con due ulteriori divisioni nell’impero, assistenti e successori, chiamati Cesari. Maximani fu nominato Augusto d’Occidente, con capitale a Milano, e Diocleziano d’Oriente, ora l’area più importante, con capitale a Nicomedia. Per rilanciare il commercio furono decretati severi controlli sui prezzi e sui salari implementati con la pena di morte. Il risultato fu un’ulteriore depressione invece della cura. Gli uomini d’affari  chiusero i battenti piuttosto che restare aperti e rischiare la rovina o la morte. Ne risultarono rivolte per il cibo e le leggi furono rigettate solo per essere seguite da altri controlli. La popolazione aveva già iniziato a diminuire, mentre le tasse continuavano ad aumentare e la burocrazia a crescere, talché sempre meno persone mantenevano sempre più persone, burocrati e soldati. Per molte persone, stava diventando vero che non c’era nulla nell’impero romano per cui valesse la pena combattere, e l’Impero rappresentava una minaccia tanto quanto qualsiasi nemico. Diocleziano si considerava Giove ed era venerato come il padre degli dei, e sia lui che Massimiano portavano come titolo ufficiale Dominus Noster, Nostro Signore. Il principio del suo nuovo accordo o nuovo ordine era Utilitas Publica, il bene comune. Perché il suo nuovo accordo avesse successo, fu necessaria la feroce persecuzione dei cristiani, e perfino ragazze di dodici anni furono processate e martirizzate. In un caso, un’intera città di cristiani in Frigia fu rasa al suolo insieme a tutti i suoi abitanti, uomini, donne e bambini, senza che un solo cristiano abiurasse e passasse al nemico. Nonostante tutto questo orrore la chiesa crebbe. Meglio la morte con Cristo che la vita con la miserabile Roma. Romani che avevano iniziato salutando i loro leader politici come messia e déi cominciarono a vederli come demoni. Nel 305 Diocleziano e Massimiano si dimisero e i loro due sostituti divennero Augusti che nominarono due nuovi Cesari. I nuovi Augusti furono Galerio e Costanzo, e i loro due Cesari Flavio Valerio Severo e Galerio Valerio Massimiano.

Nel giro di un anno scoppiò una rivolta in Gran Bretagna e Costantino I, il Grande, fu acclamato imperatore dalle truppe. Seguì una lunga lotta per il potere, con una grande vittoria di Costantino vicino a Roma il 28 ottobre 312, presso il Ponte Milvio. Subito dopo Costantino emanò l’Editto di Milano, proclamando pari diritti per le religioni e restituendo ai cristiani i beni confiscati.  Poco prima della sua morte, Costantino divenne filo-cristiano e accettò il battesimo. Per un certo periodo, Costantino condivise l’impero con Licinio, che governava l’Oriente, ma tra i due scoppiò la guerra, con la politica anti-cristiana in parte da biasimare, e Licinio fu sconfitto e giustiziato. Dal 324 fino alla sua morte nel 337, Costantino governò un impero riunificato. Prese parte attiva negli affari ecclesiastici, nello scisma donatista del 316, e convocò il Concilio di Nicea nel 325 per combattere l’arianesimo. Nel 330 fondò una nuova capitale, Costantinopoli, sul sito di Bisanzio. Questa nuova località doveva essere il centro di un grande impero, l’Impero Romano d’Oriente o Bisanzio. I passi compiuti da Costantino per stabilizzare l’economia fallirono e il declino della parte occidentale dell’impero continuò. A est, le riforme valutarie si rivelarono più efficaci e la vicinanza al più prospero impero persiano fu un vantaggio.

Si possono trovare molti difetti nella vita e nell’opera di Costantino, ma il giudizio di Stauffer è ancora accurato: “Costantino non promise un’epoca d’oro, come avevano fatto gli imperatori e i profeti di corte del passato, ma un’età di grazia, un impero che praticasse il perdono, perché era fondato e dipendeva dall’atto di perdono di Dio.” Eppure, nel giro di un secolo, l’Impero d’Occidente e la città di Roma caddero davanti ai barbari. Fatta eccezione per Giuliano l’Apostata (355-363) che cercò di restaurare il paganesimo e iniziò concedendo tolleranza e parità di statuto alle religioni, gli imperatori d’Occidente erano effettivamente o nominalmente cristiani. Perché, allora, il fallimento dell’Impero d’Occidente? Mentre aveva un sovrano, come Teodosio il Grande (378-395), campione dell’ortodossia, Roma preferiva l’arianesimo, l’unitarismo dell’epoca, che esaltava lo stato e degradava Cristo. La regalità di Cristo era una minaccia alla sovranità dello stato, e la salvezza mediante l’opera espiatoria di Cristo era una negazione della salvezza statalista. Molti imperatori volevano la moralità cristiana senza la teologia cristiana; preferivano un popolo ordinato e rispettoso della legge a un popolo pagano, ma non volevano che nessun Cristo sovrano sfidasse la loro stessa posizione. Si cercava di contenere il vino nuovo di Cristo negli otri vecchi dello statalismo ed era una speranza impossibile.

Già prima della caduta di Roma i barbari si erano trasferiti nell’Impero d’Occidente. Non solo le tribù germaniche, ma anche gli Unni dell’Asia centrale. Furono Alarico e i Visigoti che invasero l’Italia nel 409, e nell’agosto del 410 saccheggiarono Roma e poi proseguirono. La Gran Bretagna era stata evacuata dai romani nel 407; l’imperatore Onorio (395-423) governava il suo fatiscente impero da Ravenna. La città di Roma era stata praticamente ceduta dagli imperatori alle folle amanti del circo e del benessere. L’antica capitale non era più un luogo adatto all’autorità.

Nei giorni delle ripetute invasioni e disastri, Il presbitero Salviano scriveva dell’incuria dei romani: “Ma solo per questo ci serviamo della pace data da Dio, per vivere nell’ubriachezza e nel lusso, nell’empietà e nella rapina, in ogni sorta di crimine e di cattiva condotta. In effetti, accettiamo da un Dio donatore i benefici di una pace data come dispensa all’infamia, e accettiamo un armistizio per la pace in modo da poter peccare più liberamente e in sicurezza.” Prima che i barbari conquistassero Roma, Roma si era distrutta da sola, Salviano dichiarò: “Nessuno la pensi diversamente. Solo i vizi della nostra cattiva vita ci hanno vinto”.

Ma non tutti erano malvagi. Per i devoti, a Roma non c’era nulla da difendere. Per coloro che erano oppressi dalle tasse e dalla burocrazia, la sua caduta è sembrata quasi un sollievo. Come ha osservato William Carroll Bark, “milioni di romani furono sconfitti da decine di migliaia di tedeschi”. Molti non avevano la volontà di combattere, e altri non avevano più nulla per cui combattere. La religione romana, come tutto il paganesimo, fu fin dall’inizio centrata sull’uomo. Essa trovò il suo compimento e la sua morte nel dare tutto all’uomo, sicurezza dalla culla alla tomba, e la sua legge suprema non era stata la legge di Dio, ma il benessere e la salute del popolo, e i risultati dell’uomo gratificato furono il caos morale ed economico. La tassazione raggiunse livelli di confisca, il denaro venne svalutato e stava scomparendo del tutto, il suolo era esaurito, le strade erano fatiscenti o insicure, le città erano semplicemente centri di assistenza sociale piuttosto che di commercio, la burocrazia divenne estremamente grande e inefficiente, e così, alla fine, molte persone furono pronte ad accogliere gli invasori barbari. La popolazione, inoltre, era diminuita poiché il morale basso comportava una maggiore suscettibilità alle malattie e alle pestilenze, una Roma più interessata a usare il cristianesimo che a obbedire a Cristo.

Anche dopo la caduta di Roma, molti non riuscivano a credere che la sua caduta fosse qualcosa di più di una battuta d’arresto temporanea. Nel sud della Francia, il vescovo gentiluomo Sidonio viveva la vita di un romano dell’antico ordine, con una villa in collina, una biblioteca, una sala da pranzo con caminetti, bagni e feste di caccia e cene. Sebbene i barbari distruggessero le città e devastassero le campagne di tutto l’Impero d’Occidente, Sidonio non poteva credere che Roma fosse finita. Come scrisse a un amico: “Non dubito che la Provvidenza concederà un felice esito alle nostre preghiere e con nuove benedizioni di pace guarderemo indietro a questi terrori come semplici ricordi”. Subito dopo la morte di Sidonio, la sua villa fu bruciata e la vita facile e colta che conosceva scomparve. La Provvidenza, come sempre, non si era mossa secondo i desideri degli uomini, ma secondo la legge indefettibile di Dio.

DOMANDE DI STUDIO

  1. Come ha risposto l’Impero Romano al problema dell’uno e dei molti? La loro risposta era principalmente teorica e filosofica o pratica? Spiegare.
  2. In che modo le sofferenze e il martirio della chiesa primitiva si accordano con la natura vittoriosa del regno di Cristo.

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