INDICE:

21. Santificazione verso il rinnovamento.

Giobbe 40-42

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La storia del mondo è divisa in tre periodi: prima della caduta, dalla caduta al ritorno di Cristo e dopo il ritorno di Cristo. I tre periodi si riflettono nella vita di Giobbe: prima del suo soffrire, durante il suo soffrire e dopo la sua restaurazione. Il terzo periodo ha significato profetico: addita alla gloria del regno di Dio e dovrebbe essere interpretato in questo modo. Diversamente ci saranno problemi monumentali.

Nel caso di Giobbe, naturalmente, non poteva esserci dubbio su una totale restaurazione. Che Giobbe abbia avuto altri dieci figli non cancellò il dolore per la perdita dei suoi figli precedenti. Dovette portare quella croce per il resto della sua vita. Anche in questo modo rifletté il Cristo. Il mondo oggi è collocato all’ombra della croce. Tuttavia, Giobbe subì una meravigliosa restaurazione della sua posizione terrena. Ma anche nel suo caso, la Scrittura non offre il conforto di una meravigliosa vita in cielo. La promessa scritturale è di una restaurazione sulla terra, una restaurazione che la storia di Giobbe profetizza.

Non dobbiamo svalutare il finale della storia di Giobbe come un mero resoconto veterotestamentario assumendo che la storia sarebbe finita diversamente se fosse accaduta in tempi del Nuovo Testamento. Il Nuovo Testamento infatti enfatizza la terra proprio quanto il Vecchio Testamento. Il Nuovo Testamento termina con la glorificazione della terra in cielo, anche se questa restaurazione della terra è ritardata fino al ritorno di Cristo. In questo modo la fede è richiamata alla pazienza. Per la dimora dello Spirito impariamo ad attendere con speranza.

Bisognerebbe notare qui che Giobbe ottenne il proprio riconoscimento aggrappandosi al Signore. Il Signore riconobbe la propria opera in Giobbe il quale servì Dio per amore di Dio e non per amore di qualunque dono potesse riceverne. Egualmente Dio coronò questo amore con i suoi ricchi doni. Pertanto l’ultimo capitolo di Giobbe è legato al primo mentre il libro giunge ad un finale adeguato. Un giorno i credenti saranno restituiti all’onore dal Signore per amore dello Spirito di Cristo che è in loro.

Il riconoscimento da parte di Dio è anche evidente dal comando dato a Giobbe di pregare per i suoi tre amici. Qui Giobbe ci rammenta dell’unico Sommo Sacerdote che è chiamato il nostro intercessore a motivo dell’espiazione che ha fatto per noi.

L’intercessione di Giobbe per i suoi amici fu necessaria perché non avevano detto il vero riguardo al Signore (42:7). Da puri pelagiani [1] avevano definito l’uomo il padrone del proprio destino — mettendo l’uomo per primo e Dio per secondo. Quella fu una negazione di qualsiasi legame con Dio mediante la fede, un diniego della relazione pattizia e una reiezione del Mediatore del patto.

          Concetto principale: La santificazione di questa vita è una
                                                   preparazione per il completo rinnovamento.

          Vedere Dio. Dopo che il Signore parlò a Giobbe la prima volta, Giobbe promise di stare zitto. Aveva pertanto imparato ad ascoltare. Ma non aveva ancora umiliato se stesso davanti alla maestà di Dio abbastanza da arrendersi a Dio completamente confessando che questa maestà di Dio era anche la maestà del suo amore. Pertanto Dio gli dovette parlare di nuovo.

Dio si rivelò a Giobbe per la seconda volta nella tempesta e gli parlò distruggendo la fede che Giobbe aveva nella propria saggezza e nella sua capacità di reggersi da solo. Dio sembrò ridicolizzare Giobbe dicendo: “Prenditi il governo del mondo da me se puoi!” Poi il Signore indicò l’ippopotamo (Behemoth) e il coccodrillo (Leviatano) come due mostri dal Nilo egiziano che nessun uomo può addomesticare. Cosa ne sarebbe dunque di qualsiasi tentativo dell’uomo di governare il mondo intero?

Giobbe dovette riconoscere che il potere di Dio si estende su tutta la creazione, che lui governa il mondo intero. Questo Dio aveva ben diritto di trattare Giobbe secondo il suo beneplacito. Ora che Giobbe aveva udito Dio rivendicare questo mondo come suo con tutte le sue sofferenze, e si era reso conto che Dio era stato con lui anche quando era contro di lui nel suo soffrire, poteva arrendersi al governo di Dio.

Perciò disse: “Non discuterò più con te. Da ora in poi parlerò con te solo come un figlio parla a suo padre. Ti prego di rispondermi quando ti chiedo qualcosa”. Il Signore è ben disposto a risponderci, ma non se lo sfidiamo. Dobbiamo invece parlargli con fede simile a quella dei piccoli fanciulli.

Inoltre, quando Giobbe si arrese al Signore sentì come se stesse vedendo il Signore da vicino mentre prima era stato come se ne avesse solo sentito parlare. Ora stava alla presenza di Dio e lì trovò rifugio per la sua vita e le sue sofferenze. Pertanto si pentì della sua precedente ostilità e ribellione.  Questo è il modo in cui Dio ci insegna ad arrenderci a lui.

          Chiamato a fare l’intercessore. A quel punto il Signore parlò ad Elifaz: “La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici perché non avete parlato di me rettamente come ha fatto il mio servo Giobbe”. Quegli amici avevano pensato d’aver visto la relazione tra Dio e l’uomo nella giusta prospettiva, ma avevano sbagliato malamente: avevano collocato al centro l’uomo e non Dio. Perciò Dio era adirato con loro.

Se avesse prevalso la loro concezione, ogni legame tra Dio e l’uomo sarebbe stato tagliato. Perciò fu loro detto di offrire sette tori e sette montoni in olocausto. Tale offerta sarebbe stata completamente consumata col fuoco per simboleggiare che quelli che facevano il sacrificio volevano dedicare le loro intere vite al Signore. I tre amici avrebbero dovuto in questo modo proclamare la loro resa al Signore.

Ma non era una faccenda facile perché essi avevano dimostrato la loro ignoranza della corretta relazione col Signore e avevano parlato di lui in modo inappropriato. Perciò Giobbe avrebbe dovuto pregare per loro e chieder a Dio di non trattarli secondo la loro stoltezza. Se Giobbe avesse interceduto per loro, Dio avrebbe potuto perdonare i loro peccati per amore di Cristo.

Anche Giobbe aveva parlato impropriamente di Dio ma aveva confessato che in tutte le cose Dio viene primo. Giobbe riconobbe il legame col Signore che è la ragione per cui fu in grado di intercedere per i suoi amici.

Strettamente parlando, nessun uomo è sufficientemente degno di intercedere per un altro, neppure Giobbe. C’è stato solamente un Uomo  che veramente conosceva e riconosceva Dio, vale a dire il Signore Gesù Cristo il quale intercede per quelli che gli appartengono. Se fu concesso a Giobbe fare questo atto d’intercessione fu perché qualcosa dello Spirito di Cristo era in lui.

Il Signore accettò le preghiere di Giobbe e non trattò i suoi amici come meritavano. La bibbia non ci dice se questi amici furono realmente convertiti e giunsero a comprendere cosa sia la grazia. L’intercessione di Giobbe era intesa solo a salvarli dal pericolo cui andavano incontro a causa di ciò che avevano detto riguardo al Signore. Quant’è più grande per noi l’intercessione di Cristo presso il Padre perché egli ha effettivamente espiato per i peccati del suo popolo!

Quando il Signore permise a Giobbe di svolgere il ruolo di intercessore stava anche incoronando l’amore di Giobbe. Questo amore non era fattura di Giobbe: era l’opera di Dio in lui. Quando pregò per i suoi tre amici quest’amore trionfò, infatti Giobbe non biasimò i suoi amici in alcun modo. Nei suoi pensieri si mise al loro posto e presentò a Dio i loro bisogni chiedendo il perdono dei loro peccati. Nella stessa maniera Cristo si mette al nostro posto e porta i nostri bisogni davanti a Dio. Come devono essersi vergognati gli amici di Giobbe quando videro la sua attitudine, infatti non avevano mai realmente simpatizzato con lui nel suo soffrire.

Giobbe fu capace di agire come fece perché il suo cuore era pieno d’amore per Dio stesso. Per amore di Dio desiderò la salvezza dei suoi amici cosa che rese facile per lui passare sopra ciò che gli avevano fatto.

          Restaurazione. Nell’intercessione di Giobbe, il suo disinteressato amore per Dio conquistò una grande vittoria. Ora Dio aveva fatto il suo punto con satana. In tutta la sofferenza di Giobbe e anche nella sua intercessione, Giobbe manifestò un disinteressato amore per Dio. Dio aveva vinto la scaramuccia con satana e perciò il Signore poteva ora restituire i possedimenti di Giobbe.

Il Signore gli diede il doppio di quello che aveva avuto prima. I suoi parenti, che avevano finto di non conoscerlo durante il tempo della sua sofferenza, presto vennero a trovarlo. Mangiarono con lui e gli diedero doni. Non sappiamo se il loro interesse per Giobbe sia stato genuino ma per Giobbe fu un certo segno che il Signore si era di nuovo volto verso di lui in misericordia.

Il Signore non solo aumentò i suoi possedimenti ma gli diede anche altri figli e figlie. Giobbe permise che le sue figlie condividessero l’eredità con i loro fratelli riconoscendo in questo modo le sue figlie e le loro famiglie come veri rami della sua linea genealogica.

Malgrado i suoi sette figli e le tre figlie, Giobbe fece cordoglio per la perdita dei suoi primi figli. Avrebbe dovuto portare questa croce per il resto della sua vita. Eppure, nella sua famiglia godette ancora una volta il favore di Dio e quella fu sempre la cosa più importante per Giobbe. Aveva conosciuto il favore di Dio nella sua prosperità precedente, poi pensò di averla persa quando tutto gli fu tolto, ed ora lo godeva di nuovo nella pienezza delle sue nuove benedizioni.

La benedizione di Giobbe è una promessa a tutti i credenti che Dio mostrerà loro un giorno il suo pieno favore nella gloria che darà loro, ma  pure ricevono già le sue benedizioni qui sulla terra. Vero che hanno da portare la loro croce ma possono lo stesso gustare il favore di Dio in molti, molti modi. Questa benedizione provvisoria è una profezia della piena benedizione che  un giorno Dio conferirà loro.

Giobbe visse altri 140 anni e godette i suoi figli e i figli dei suoi figli, in tutto quattro generazioni. Poi morì, un vecchio che aveva vissuto una vita piena. La vita gli aveva dato tutto quello che avrebbe potuto chiedere. Nella resurrezione dai morti l’avrebbe ricevuto tutto indietro nella nuova gloria.

Note:

  1. Pelagio, un monaco inglese contemporaneo di Agostino, percorse le chiese dell’Africa e del Medio oriente insegnando che la volontà dell’uomo in ogni volizione e in qualsiasi momento della vita è libera, ovvero capace di scegliere il bene e il male indipendentemente dal previo carattere dell’individuo. Negò la caduta come evento che condiziona tutti quelli venuti dopo. In altre parole, il peccato non è una questione della nostra natura ma della volontà. Dio ci aiuta a fare il bene, ma con mezzi esteriori. Scegliamo il bene o il male da noi. Possiamo perché dobbiamo.


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