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14: Il primo e l’ultimo

Matteo 19:13-20:16

L’obbedienza richiesta dentro al Regno dei cieli è diversa dall’obbedienza che troviamo fuori da esso. Dentro il regno qualsiasi concetto di merito è fuori questione.

L’obbedienza del Regno è obbedienza di fede. Ci è donata insieme al Regno. Poiché è così, il Regno può appartenere a bambini. Questo spiega come i primi possano essere ultimi e gli ultimi, primi.

          Concetto principale: Nel Regno dei cieli, molti di quelli che sono primi saranno
ultimi e molti degli ultimi saranno
primi.

          Di tali è il Regno dei cieli. L’opera del Signore Gesù in Galilea era giunta al termine. Ora sarebbe salito a Gerusalemme per soffrire. Ma prima operò in Giudea per un periodo. Attraversò perfino il Giordano e operò in un distretto del Transgiordano che era calcolato parte della Giudea.

Alcune madri portarono i loro figli a Gesù. Gli chiesero di posare le sue mani sui loro figli e di pregare per loro. Portare i figli a Gesù era la cosa migliore che potessero fare. Se avesse loro imposto le mani i bambini sarebbero sicuramente stati benedetti.

Se solo quelle madri coi loro figli avessero ricevuto quella benedizione in fede! Devono averlo fatto perché chiesero anche al Signore Gesù di pregare per i loro figli. Pertanto non collegavano la benedizione con la magia. Certamente non sapevano completamente chi Gesù fosse. Se avessero saputo che era il Mediatore e il Figlio di Dio avrebbero dato alla sua benedizione valore ancora maggiore. Ma lo riconobbero davvero come mandato da Dio, come un profeta che compiaceva Dio, un profeta la cui preghiera aveva molto potere.

Che gioia deve aver dato a Gesù questa esibizione di fede da parte di quelle madri! Ma ecco che arrivarono i discepoli i quali spinsero via madri e figli rimproverandoli. Il Maestro, pensarono, aveva di sicuro cose migliori da fare che interessarsi di bambini. Il Regno che proclamava non era certamente per bambini!

Ma perché non avrebbe dovuto essere per bambini? Dopo tutto era un dono! E perché Dio non sarebbe stato capace di darlo a bambini? Perché Dio non accetterebbe bambini anche piccoli nel suo Regno?

Se il Regno è un puro dono, i bambini lo possono ricevere proprio come i grandi. È ben possibile che i bambini potessero avere la precedenza sugli adulti, perfino sui discepoli che li avevano spinti via. I discepoli non avevano compreso ancora bene che il Regno è puramente un dono.

Ma c’era di più. Qui c’erano bambini cui Dio aveva promesso il Regno. Di fatto erano figli di genitori pattizi. I ragazzi avevano ricevuto il segno del patto. Come potevano i discepoli spingerli via? Non si erano ancora resi conto che il Regno era il compimento della promessa pattizia? Proprio per quello il Signore Gesù disse che i discepoli avrebbero dovuto permettere che i bambini venissero a lui, perché a tali appartiene il Regno.

Posò le sue mani sui bambini e li benedì. Nel fare questo rese chiaro che i bambini appartenevano a lui e a suo Padre nei cieli e che le benedizioni del Regno della grazia erano per loro. Se solo avessero accettato in fede — allora e successivamente! Nello stesso modo, il Signore Gesù ha posto le sue mani sui bambini al battesimo per benedirli. Nel battesimo i bambini ricevono lo stesso suggello della promessa della circoncisione, ovvero, che di tali è il regno dei cieli. I bambini che sono stati battezzati lo devono accettare in fede. Sarebbe terribile se lo rigettassero in incredulità. Un bambino non battezzato anelerà al battesimo.

          La giustizia e la legge. Quando il Signore Gesù partì per andare in un’altra città gli si fece incontro un giovane ricco. Fin dalla sua giovinezza aveva vissuto con decoro; tutta la sua vita era stata esemplare. Eppure non aveva pace. Gli sembrava di mancare ancora di qualcosa. Doveva fare qualcosa di più per guadagnare la vita eterna. Per lui la vita eterna era qualcosa che sentiva di dover guadagnare con i propri meriti. Era quello che gli avevano insegnato gli scribi. E i nostri cuori ignoranti ci insegnano la stessa cosa. Quest’uomo voleva chiedere al Signore Gesù un’opinione, così gli disse: “Maestro buono, che buone azioni devo fare per guadagnare la vita eterna?” Considerava Gesù come uno dei tanti insegnanti che facevano opere buone e insegnavano le buone opere affinché la gente guadagnasse la vita eterna per mezzo di esse.

Per prima cosa il Signore Gesù dovette rigettare questo approccio. Nessuno fa il bene di suo e nessuno può guadagnare alcunché facendo il bene. Gli deve essere conferito perché solo Dio è buono.

Il Signore Gesù volle istruire ulteriormente questo giovane. Perciò gli disse di osservare i comandamenti se voleva guadagnare la vita eterna. Se osserviamo i comandamenti e facciamo la volontà di Dio dimostriamo di essere figli di Dio. Allora abbiamo vita eterna. Ma l’obbedienza ai comandamenti deve essere qualcosa che ci è data da Dio, un fatto che il giovane non comprendeva. Pensava di aver già fatto molto con le proprie forze e di dover aggiungere solo qualcosa in più. Perciò chiese quali fossero questi comandamenti. E quando il Signore Gesù menzionò i ben conosciuti comandamenti della seconda tavola della legge, enfatizzando che l’amore per il prossimo era fondamentale, il giovane rispose di averli osservati fin dalla giovinezza. Con un certo sentimento di disappunto per la risposta di Gesù chiesa cosa gli mancasse ancora.

Quell’uomo era ancora fuori da quel Regno dove tutto è un dono, quel regno in cui vediamo l’amore e la grazia di Dio e dal quale riceviamo tutto e per il quale sacrifichiamo tutto. Il Signore Gesù voleva che scoprisse questo. Perciò gli disse di vendere tutto ciò che aveva e darlo ai poveri. Allora avrebbe avuto un tesoro in cielo. Dopodiché avrebbe dovuto seguire il Signore Gesù come discepolo.

Questo, il giovane non fu capace di farlo. Aveva sempre confidato nelle sue ricchezze e amava l’indipendenza che pensava gli garantissero. Era sempre stato indipendente ed era vissuto per se stesso. La sua vita apparentemente virtuosa era stata superba ed egoista. I suoi occhi non erano mai stati aperti all’amore di Dio. Era ancora fuori dal Regno.

Il giovane si allontanò addolorato.  Gli era stata fatta ora una richiesta che non poteva soddisfare perché amava le sue molte ricchezze. Quella richiesta non sarebbe mai stato capace di soddisfarla da solo, ma se in fede avesse visto la grazia di Dio nel suo regno avrebbe gioiosamente sacrificato i suoi beni. Così, la sola cosa che importava era che vedesse il Regno. Ma nel suo orgoglio ed egoismo era ancora inquieto, il che suggerisce che non avesse trovato pace nelle sue ricchezze e fosse molto vicino al Regno. Se era un’inquietudine che lo Spirito santo aveva risvegliato in lui si sarebbe avvicinato e sarebbe stato convertito. “Com’è difficile che un ricco entri nel Regno dei cieli” disse il Signore Gesù ai suoi discepoli. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio. Pertanto spesso concludiamo che sia impossibile ed assurdo che un ricco vi entri.

I discepoli trassero la stessa conclusione. Sgomenti chiesero: “Chi dunque può essere salvato?” Tutti noi possediamo qualcosa in questo mondo e pertanto non possiamo essere salvati. Di fatto, se ancora possediamo qualcosa non possiamo essere salvati. Cristo intendeva questo: fintantoché possediamo ancora qualcosa per noi stessi, fintantoché abbiamo ancora qualcosa che pensiamo di meritare (di averne diritto); fintantoché abbiamo qualcosa al di fuori di Dio in cui poniamo la nostra fiducia; fintantoché non consideriamo tutto un dono di Dio, non possiamo essere salvati. Questo dovevano comprendere i discepoli. Per questo il Signore Gesù rispondendo si volse direttamente verso di loro in modo che non ci fossero fraintendimenti: “Per gli uomini questo è impossibile, ma per Dio ogni cosa è possibile”.

Non è necessario che diamo via tutto ciò che abbiamo. Il Signore Gesù lo richiese al giovane solo per mostrargli che era ancora fuori dal Regno. Ma tutti noi dobbiamo imparare che non possediamo nulla per poter imparare che tutte le cose che abbiamo sono doni della grazia di Dio. Dopo tutto, solo lui ne ha diritto. Allora abbiamo un nome e un posto nel Regno per sempre.

          L’obbedienza della fede è premiata. Il Signore Gesù dichiarò che l’obbedienza ha il suo premio. Lo disse rispondendo a una domanda di Pietro che aveva sottolineato che i discepoli avevano lasciato tutto per seguire lui. Dichiarò che al rinnovamento di cielo e terra i discepoli sederanno su dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele. Infatti quello che loro avevano fatto avrebbe dovuto farlo tutto Israele, cioè seguire il Signore Gesù e sacrificare tutto per lui perché avevano visto in lui la grazia di Dio. Il comportamento dei discepoli sarebbe dunque stato un giudizio su tutto Israele. I discepoli non potevano vantarsene perché era stato Dio ad aprire i loro occhi alla grazia. La chiamata di Dio in loro era divenuta così forte che seguirono Gesù.

Tale onore sarà la ricompensa di chiunque abbia seguito il Signore Gesù, che si sia dato completamente a lui e che abbia sacrificato tutto per lui. Ciò che a volte dobbiamo rinunciare per amore suo egli ce lo restituirà cento volte tanto. Tuttavia, la decisione di ricompensare appartiene al Signore. Non dobbiamo pensare che se qualcuno ha sacrificato moltissimo per il Signore Gesù potrà quindi rivendicare un posto d’onore. Il Signore giudica diversamente da noi. Oltretutto, tutto ciò che abbiamo il privilegio di fare per lui ce l’ha dato lui da fare. Pertanto può ricompensare il nostro lavoro in qualsiasi maniera gli sembri adeguata. Riceveremo vita eterna per grazia mediante la fede, ma ciò che egli desidera concederci in onore e posizione dobbiamo lasciarlo al suo giudizio. Non saremo mai in grado di biasimarlo per quale onore e posizione ci abbia o non abbia dato. Molti che sono primi saranno ultimi e molti che sono ultimi saranno primi.

Il Signore Gesù lo insegnò ancora in un altra parabola. Parlò del padrone di una vigna che una certa mattina assunse dei lavoratori a giornata. Promise loro un denaro per la giornata di lavoro. Diverse altre volte durante il giorno assunse altri disoccupati a lavorare nella sua vigna. Perfino un’ora prima della fine del giorno lavorativo ne assunse un’altra squadra. Alla fine della giornata li pagò tutti lo stesso salario. Questo fece adirare quelli che avevano cominciato la mattina presto. Quando mormorarono il proprietario della campagna fece loro notare che erano stati pagati il salario pattuito. In un certo senso aveva dato agli altri lavoratori un dono. Non aveva diritto di farlo?  Non poteva col suo fare quello che voleva? Così anche il Signore Gesù è libero di dare i suoi doni a chiunque voglia scegliere. Nessuno di noi avrà mai una giusta rimostranza da fare a tal proposito. Qualsiasi cosa riceviamo è tutto dono della sua grazia.


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