Giudici 17-21
Ambedue queste storie, quella del sacerdote di Mikah e quella della concubina del levita, avvennero verso l’inizio del periodo dei giudici. Sulla base di Giudici 18:11 e 25, possiamo concludere che la prima storia avvenne probabilmente prima che Israele fosse oppresso dai filistei. Il fatto che Fineas, il figlio di Eleazar, compaia come sommo sacerdote nella seconda storia indica anch’esso all’inizio del periodo dei giudici.
Queste storie gettano luce sul deterioramento della vita nel patto. A quanto pare quel deterioramento s’era introdotto fin dall’inizio, non molto dopo la conquista di Canaan. Il peccato di Mikah e dei daniti fu un peccato contro la prima tavola della legge (Giudici 18:30) mentre il peccato degli abitanti di Ghibea fu una violazione della seconda tavola (il settimo comandamento). Quando vediamo i daniti adorare idoli e il peccato di Sodoma diffondersi tra i beniaminiti, ci rendiamo conto di quanto Israele avesse imparato dai canaaniti.
In ambedue le storie il ruolo centrale è svolto dal un levita. Nella prima incontriamo un levita che andava in cerca di lavoro e di un luogo in cui vivere (Giudici 17:9). Nella seconda storia incontriamo un levita che godeva il lusso peccaminoso di una concubina.
La tribù di Levi, che era consacrata al Signore, era diventata una pietra d’inciampo per Israele. Questa tribù divenne un fattore sacrilego nella vita del popolo. Il Cristo, che aveva chiamato i leviti come tribù per usarli per rivelare ad Israele la sua grazia, fece invece inciampare e cadere il suo popolo quando abbandonarono il suo servizio. A quel punto i leviti non avevano più niente da fare nonostante il fatto che la loro vocazione fosse la più alta di tutte. Per mezzo della tribù di Levi, il Cristo fece inciampare e cadere tutto Israele.
In Israele si potevano trovare ambedue il peccato di adorazione degli idoli quanto quello di Sodoma (forme innaturali di attività sessuali, ad es. omosessualità). Ma la rottura della relazione pattizia portò la gente alle forme più estreme di questi peccati.
Nella famiglia della madre di Mikah le cose erano già messe male. La sua superstizione la portò a consacrare il denaro recuperato ad una forma di culto divino sancito autonomamente. E quando il levita entrò nella situazione, il peccato divenne completo.
A quanto pare il peccato di Sodoma si poteva già trovare nella tribù di Beniamino. Ma gli uomini di Ghibea sapevano che lo straniero in mezzo a loro era un levita. Poiché serviva nella casa del Signore (mi reco alla casa dell’Eterno, 19:18) nessuno voleva alloggiarlo in casa propria. Ma poi, durante la notte, gli uomini di Ghibea partorirono un’idea diabolica: avrebbero sodomizzato il levita. Ciò avrebbe significato la peggiore dissacrazione che si potesse immaginare per qualcosa di santo, per qualcosa di consacrato. Così il Cristo li stava facendo cadere (vedi Luca 2:34).
In Dan il culto degli idoli durò “fino al giorno della cattività” (Giudici 18:30). Questo non può essere un riferimento alla rimozione d’Israele da Canaan da parte degli assiri. È impensabile che un simile culto abbia continuato ad esistere indisturbato durante la riforma che avvenne sotto Samuele e i primi re. Non leggiamo neppure che quando Geroboamo istituì il culto dei vitelli in Dan abbia edificato sopra qualche cosa che già c’era; al contrario, stabilì qualcosa di nuovo. Perciò le parole “fino al giorno della cattività del paese” deve significare fino a che l’onore del paese fu rimosso, ovvero fino a quando quando l’arca fu portata via (vedi I Samuele 4:22).
Alla fine il Cristo esercitò il giudizio sui daniti per il loro peccato. Giudicò pure Beniamino mediante le altre tribù quanto l’intero popolo d’Israele per mezzo delle sconfitte iniziali per mano di Beniamino. Con quel giudizio Cristo stava facendo rialzare Israele ancora una volta.
In questi capitoli leggiamo più di una volta: “In quel tempo non c’era re in Israele, ognuno faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi”. Il peccato pubblico sarebbe stato sradicato mediante un’autorità regale, centralizzata, provvisto che tale autorità fosse esercitata nel nome del Signore. Siccome non c’era re, la risposta al peccato dipendeva dallo spirito nella maggioranza delle tribù e dal grado di comunione che avevano tra di esse. Se ci fosse di fatto stato un senso di solidarietà radicato nella fede, allora il timore del Signore sarebbe stato preservato mediante l’azione congiunta delle tribù. Quel senso di comunità fu decisamente evidente nell’azione presa contro gli abitanti di Ghibea. Tuttavia, l’esercizio della giustizia degenerò in vendetta sfrenata. Come risultato, la tribù di Beniamino fu spazzata via quasi completamente. La gente era già diventata disavvezza alla comunione che avevano il privilegio di condividere nel patto. La vocazione delle tribù d’Israele a mantenere insieme la giustizia dovrebbe insegnare qualcosa alle nazioni (un tempo) cristiane del mondo occidentale.
Concetto principale: Il Cristo causa la caduta e il rialzamento
di molti in Israele.
Culto privato, determinato autonomamente. Durante i primi anni dei giudici, ci fu un uomo di nome Mikah che viveva nella regione montuosa di Efraim. Un giorno sua madre scoprì che mancavano 1100 pezzi d’argento. Evidentemente le erano stati rubati. Nella sua ira maledì il ladro in presenza di suo figlio. Poco dopo il fatto, Mikah andò da lei e confessò di essere il ladro. A quanto pare la maledizione di sua madre lo aveva impaurito.
Allora su madre disse: “Benedetto sia mio figlio dall’Eterno”. A quanto pare ella era più felice di aver recuperato il denaro che preoccupata della cattiva azione del figlio. In una famiglia che aveva il privilegio di vivere nel patto del Signore, la situazione era degenerata al punto in cui un figlio aveva rubato alla madre e la madre, nel lanciare una maledizione a causa della perdita di denaro, non era preoccupata della frattura nella famiglia! Senza alcun indugio, la frattura fu sanata quando Mikah restituì il denaro. Non c’era rettitudine pattizia in questa famiglia e la benedizione pronunciata dalla madre era empia.
Ciò divenne presto evidente. A quanto pare alla madre di Mikah non mancavano i soldi perché consacrò al Signore tutto il denaro recuperato. Se la sua intenzione fosse stata santa lo avrebbe dato per il servizio del Signore nel santuario a Shiloh. Ma ordinò invece a suo figlio di farne fare un’immagine. Egli avrebbe dovuto porre l’immagine scolpita su un piedistallo e istituire intorno all’immagine un centro di culto in casa propria.
Ciò che aveva in mente era un centro di culto per il Signore che avrebbe potuto mentalmente immaginare mentre guardava l’idolo. Voleva adorare il Signore a modo suo, nel modo che lei pensava migliore. A questo scopo diede il denaro liberamente. Nel dedicare il suo denaro a tale scopo stava in effetti mettendo per prima se stessa, seguendo i propri desideri. Di conseguenza, tanto lei che suo figlio erano in conflitto con la volontà del Signore.
Mikah seguì i desideri di sua madre. Portò 200 pezzi d’argento a un fonditore perché li trasformasse in un’immagine su un piedistallo. Il resto del denaro lo usò per arredare un tempio privato di tutto ciò che era necessario per il culto, incluso un efod sacerdotale e degli idoli domestici. Qui vediamo il trionfo in Israele di nozioni pagane. Questa forma di adorazione era prodotta dall’uomo, seguendo i desideri del proprio cuore e senza alcun riconoscimento del Dio unico, colui che ha ogni autorità nel suo patto.
In quei giorni non c’era re in Israele. Ci fosse stato un re che regnava secondo il patto, non avrebbe tollerato quest’abominio. Le tribù avevano la responsabilità di tenersi d’occhio reciprocamente ma mancarono di adempiere a questa responsabilità. Di conseguenza, Israele stava correndo il pericolo di affondare nell’abisso del paganesimo.
Dapprincipio Mikah istituì come sacerdote uno dei suoi figli. Ma un giorno a casa sua arrivò un giovane, un levita di Betlemme. Stava cercando lavoro e un luogo ove abitare. Ora, la tribù di Levi era stata chiamata a servire il Signore nel santuario. Perciò Mikah insediò questo giovane come sacerdote nel suo tempio personale. Il suo centro di culto era completo! In questo modo perfino la tribù consacrata fu usata impropriamente per scopi peccaminosi e per trasgredire il patto. E il levita si lasciò usare in modo vergognoso.
Nella sua cecità Mikah pensò che ora il Signore lo avrebbe fatto prosperare, perché aveva un levita come sacerdote. La tribù consacrata divenne una maledizione per Israele. La grazia che il Signore vuole mostrarci nel Cristo può essere per noi una benedizione, ma l’incredulità la trasforma in una maledizione.
Culto autonomo nella tribù di Dan. Al tempo di Giosuè la tribù di Dan aveva ricevuto un’eredità a ponente, vicino al territorio di Giuda (Giosuè 19:40 s). Ma siccome gli amorei li avevano fatti retrocedere, avevano bisogno di altra terra. Decisero di cercare altrove spazio per espandersi e mandarono cinque uomini come spie.
Nel loro cammino, le spie giunsero a casa di Mikah. Dalla sua parlata notarono che proveniva dalla loro regione. Fecero la sua conoscenza, e dopo che seppero cosa facesse colà, gli chiesero qualche lume divino sulla loro impresa. Il levita disse loro che la missione avrebbe avuto successo. Qui abbiamo un classico esempio di persone che si ingannano da sole e l’un l’altro. Essi pensarono che il Signore avrebbe usato un tale culto peccaminoso per conferire loro la sua luce e la la sua grazia!
Dopo aver lasciato la casa di Mikah, le spie trovarono ciò che stavano cercando. Nel nord del paese, nella città di Laish, si imbatterono in un popolo che viveva un’esistenza piuttosto nascosta, isolata da altri e libera da vincoli di vassallaggio. Nessuno contestava la loro presenza nel paese. Sarebbe stato facile attaccarli e prendersi il loro territorio.
Dopo che le spie furono tornate ed ebbero fatto il loro rapporto alla tribù, 600 uomini, insieme alle loro famiglie e masserizie fecero preparazioni per conquistare quel territorio. Quando passarono per a casa di Mikah nel loro cammino verso Laish, le spie menzionarono che in quella casa c’era in centro di culto mantenuto privatamente. I daniti decisero di trasportare quel centro di culto nel territorio che si apprestavano a catturare. Il levita fu velocemente convinto alla causa quando i daniti gli promisero che sarebbe diventato sacerdote di un’intera tribù.
Stette al loro gioco malvagio e permise che rubassero tutto il contenuto del sacrario di Mikah. Poi fuggì con loro. Il piccolo esercito di daniti mise davanti bambini e masserizie in modo che Mikah non avrebbe osato attaccarli dal retro. Quando infatti Mikah li inseguì essi minacciarono d’ucciderlo e lo fecero desistere.
Quando i daniti giunsero a Laish, attaccarono la città e la bruciarono, uccidendo gli abitanti. Ricostruirono la città e vi si stabilirono. La chiamarono Dan e stabilirono lì il loro centro autonomo di culto.
In questo modo i daniti furono causa dell’inciampo e caduta di un’intera regione. Era chiaro che i daniti non avevano preso possesso di quella regione del nord nel nome del Signore o con lo scopo di servirlo quivi. Ciò fece della cattura di Laish una vera e propria rapina; i daniti non stavano operando in qualità di agenti del giudizio del Signore. La grazia che rigettarono divenne per loro sempre più una maledizione. I daniti andarono per la loro strada in opposizione al Signore, il Dio del patto.
Questo centro di culto a Dan durò finché il Signore consegnò Israele nelle mani dei filistei in modo talmente completo che perfino l’arca dell’Eterno fu portata via. A quel punto il Signore esercitò il giudizio su tutto Israele per la sua apostasia, inclusa la tribù di Dan.
Per mezzo di quel giudizio Israele fu fatto rialzare a nuova fede. Per mezzo del giudizio, dunque, il Cristo fece rialzare di nuovo Israele. Dio rimase federe malgrado il popolo fosse infedele. Il popolo sarebbe stato tenuto al sicuro fino a che il Redentore fosse venuto a salvare il suo popolo dai loro peccati.
L’abominio di Ghibea. In quello stesso tempo, all’inizio del periodo dei giudici, c’era un levita che viveva nella regione montuosa di Efraim. Benché avesse già una moglie, questo levita prese in casa sua un’altra donna ma senza mostrarle sufficiente rispetto da sposarla. Ella era la sua concubina.
Questa donna gli divenne infedele e ritornò alla casa di suo padre a Betlemme. Dopo alcuni mesi il levita andò a trovarla per riconquistarla. I due si riconciliarono e il padre di lei ricevette il levita in casa sua. Celebrarono insieme la rinnovata relazione flirtando incurantemente col peccato. Comportandosi come se non ci fosse nulla di sbagliato nella loro relazione, si divertirono insieme. Il padre della donna ne godette così tanto da insistere che rimanessero anche per un quarto giorno. Perfino nel quinto giorno non li lasciò partire fino a tardo pomeriggio.
Lungo il loro viaggio sopraggiunse l’oscurità mentre approcciavano Gerusalemme. Il levita non volle passare lì la notte perché i canaaniti abitavano ancora quella città. Proseguì invece verso Ghibea, dove vivevano i beniaminiti. Il levita pensò che sarebbe stato al sicuro in mezzo al proprio popolo. Ma poiché era levita nessuno lo accolse in casa. Ecco quanto il servizio del Signore già era disprezzato a Ghibea.
Nella strada, dove il levita si aspettava di dover passare la notte con la sua concubina e il suo garzone, incontrò un vecchio che lo condusse a casa propria. Quella notte gli uomini di Ghibea circondarono la casa e comandarono che il levita fosse fatto uscire in modo da commettere sodomia con lui. Per onorare i suoi doveri di padrone di casa il vecchio rifiutò. Invece, consegnò loro la concubina che ne facessero ciò che volevano.
Quando il levita lasciò la casa al mattino per continuare il viaggio, trovò la sua concubina che giaceva morta sulla soglia di casa. Era stata violentata da quegli uomini. Il levita ne fu grandemente sconvolto. Quando giunse a casa, tagliò il suo corpo a pezzi e li mandò in tutto il territorio d’Israele. Un grido d’orrore si levò in tutto il paese.
Il popolo di Dio era scivolato talmente in basso che nel suo mezzo si commettevano perfino i peccati più orribili del paganesimo. Gli abitanti di Ghibea avevano concentrato il loro peccato specialmente sul levita perché era un levita. Tutto ciò che era sacro doveva essere calpestato. Se la grazia di Dio non s’impossessa di noi giungeremo ad odiarla.
Giudizio. Tutte le tribù d’Israele si riunirono davanti al Signore a Mitspah per vendicare questo abominio. Dopo aver sentito il levita giurarono di distruggere Ghibea, ucciderne gli abitanti e dare il territorio ad un’altra tribù.
Prima di tutto chiesero alla tribù di Beniamino di consegnare gli uomini di Ghibea. Ma Beniamino rifiutò e si schierò dalla parte della città. Pertanto la maledizione per questo peccato venne sull’intera tribù.
Israele andò in battaglia con un esercito di 400.000 uomini. Contro quell’esercito, Beniamino potè opporre solo 26.000 uomini. Ma tra di essi c’erano 700 soldati speciali che lanciando un sasso con una fionda potevano colpire un capello senza sbagliare mai.
Nel primo scontro Israele perse 22.000 uomini. Questo, comunque, non fece rinsavire le persone. Non si chiesero se il Signore magari non fosse contro il suo popolo a causa dei loro peccati. In effetti chiesero al Signore, per mezzo del sommo sacerdote, se avessero dovuto rinnovare la battaglia contro Beniamino. Dopo aver ricevuto un comando affermativo dal Signore attaccarono una seconda volta e persero 18.000 uomini.
Questa volta rinsavirono. Tornarono a Bethel dove l’arca dell’Eterno era stata portata da Sciloh. Lì consultarono Fineas, il sommo sacerdote. Digiunarono e confessarono i loro peccati. Poi rinnovarono il patto offrendo olocausti e sacrifici al Signore. Nel nome del Signore Fineas disse loro che Beniamino sarebbe stato dato nelle loro mani il giorno successivo.
Il popolo era uscito a fare la guerra con un peccaminoso senso di autostima, credendo di essere in loro stessi migliori dei beniaminiti. In se stesso, nessuno è migliore del peggiore dei peccatori.
Questa volta gli Israeliti sconfissero Beniamino con uno stratagemma, tendendo un’imboscata. Distrussero Ghibea e uccisero tutti i suoi abitanti. Ma l’esercizio del giudizio deteriorò in vendetta sfrenata col risultato che l’intero paese di Beniamino fu distrutto. Della tribù non rimase nulla eccetto 600 uomini che si nascosero nella grotta di Rimmon. Ancora una volta il popolo aveva mancato di esercitare il giudizio nel nome del Signore. Seguì invece le proprie pulsioni.
Comunione restaurata. Quando lo sterminio fu terminato gli Israeliti si resero conto di quanto avevano fatto. Ora dalla loro assemblea mancava una tribù. Quella tribù era destinata all’estinzione perché gli Israeliti avevano giurato di non dare le proprie figlie in moglie ai beniaminiti.
In questa difficile situazione non ricercarono la faccia del Signore chiedendo a lui come preservare la tribù. Cercarono di superare il problema da soli. Scoprirono che una città, Jabes di Galaad, non aveva partecipato alla guerra contro Beniamino e decisero di distruggere quella città. Ma quando lo fecero, risparmiarono le donne giovani che diedero ai beniaminiti sopravvissuti. Siccome non bastarono, consigliarono ai Beniaminiti di rapire delle mogli per sé quando il popolo si sarebbe radunato per la festa annuale del Signore a Sciloh. I beniaminiti fecero così.
Con queste misure la tribù di Beniamino fu preservata. Ma gli Israeliti avevano affrontato il problema in modo presuntuoso, arrogante, arbitrario. Com’era diventato estraniato Israele al servizio del Signore! Quanto poco vivevano per la sua luce! È un miracolo che sia uscito qualche cosa da quel popolo, che sia stata praticata la giustizia e che sia stata preservata la comunione tra le tribù. Per questo miracolo non c’è altra spiegazione se non che Dio, nella sua grazia in Cristo, desiderava dimorare in mezzo al suo popolo nonostante i loro peccati.
Per quanti peccati gravi e numerosi Cristo avrebbe un giorno dovuto fare espiazione! Lo Spirito di Cristo era attivo nel popolo, causandone ripetutamente la caduta, ma anche causando di nuovo il rialzamento di molti in Israele.