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4: Il potente d’Israele

Giudici 13-16

Sansone giudicò Israele più o meno nello stesso periodo di Jefte. A occidente Israele era oppressa dai filistei e a oriente dagli ammoniti. L’oppressione dei filistei durò 40 anni; terminò con la vittoria d’Israele sotto Samuele. Sansone produsse solo un inizio nella liberazione di Israele dai filistei.  Le sua attività cominciarono probabilmente intorno al tempo in cui l’arca fu portata via ed Eli improvvisamente morì. Pertanto le azioni di Eli precedettero quelle di Sansone. (Il motivo per cui sono registrate nel libro di Samuele anziché in quello di Giudici è dovuto al fatto che l’opera di Samuele seguì immediatamente il sacerdozio di Eli.)

Sansone, il potente d’Israele, occupò un posto speciale tra i giudici perché combatté i nemici del Signore da solo. Specialmente in questo aspetto fu un tipo del Cristo. Poiché la sua vita personale è messa così tanto in rilievo ci sono raccontati anche gli eventi che riguardano la sua nascita. Anche in questo aspetto Sansone è chiaramente un tipo del Cristo.

Benché Sansone abbia combattuto completamente da solo, le sue azioni rivelavano a tutto Israele che la potenza di Dio si sarebbe manifestata nella debolezza d’Israele se Israele fosse rimasto attaccato al Signore. Il Cristo vuole che il suo Spirito viva in tutto il suo popolo.

Perché fu il potente d’Israele, a Sansone non fu permesso di sparire nelle nebbie dell’oscurità. La sua morte non fu solo la restituzione del suo onore personale: fu anche la restituzione dell’onore per lui come liberatore d’Israele e come tipo del Cristo. La sua morte fu a favore di Israele. Per questo non possiamo parlarne come di un peccaminoso suicidio. Dobbiamo invece considerarla come un promemoria del sacrificio di sé di Cristo. Effettivamente Sansone pregò che fossero vendicati i suoi occhi ma stava realmente chiedendo vendetta per l’accecamento del liberatore d’Israele.

È vero che la Scrittura non ci dice nulla del pentimento di Sansone per i peccaminosi giochi che fece col suo statuto speciale di nazireo. Tuttavia Sansone sapeva che lo scopo della sua vita era un tutt’uno con la causa del Signore e che lui personalmente poteva trovare rifugio nel Signore che lo avrebbe protetto per amore della sua vocazione. Questo si deduce da Giudici 15:18.

Come nazireo Sansone fu un tipo del Cristo in senso speciale. Non era diventato un nazireo di propria volontà; era stato determinato tale perfino prima della sua nascita. La sua vocazione come nazireo determinò perfino il modo in cui sua madre visse durante la gravidanza.

Un nazireo era una persona separata, consacrata al servizio speciale al Signore. Attraverso i nazirei veniva dimostrato al popolo che l’uomo non deve la sua forza a ciò che è dal basso, ovvero da qualche potere immanente, un potere inerente la vita stessa: tale potenza immanente non esiste. Perciò il nazireo doveva astenersi da tutto ciò che proveniva dalla vigna e dalle raffinatezze della terra. In più doveva astenersi dal toccare qualsiasi cosa fosse impura o morta. La morte è il risultato del peccato. Il nazireo, poiché era consacrato a Dio, doveva evitare ogni contatto col peccato. (Però, in vista della vocazione di Sansone, il comando di evitare ogni contatto coi morti non fu dato nel suo caso.) Infine, i nazirei dovevano farsi crescere i capelli come segno dell’integrità della forza del consacrato al Signore, colui che aveva ricevuto il suo Spirito.

Non dobbiamo descrivere la forza fisica di Sansone come una forza straordinaria che gli apparteneva in modo naturale.  Se commettiamo questo errore non possiamo più parlare ai fanciulli dello Spirito del Signore. Era lo Spirito che guidava Sansone. Se focalizziamo sulla forza di Sansone il pensiero di lui che porta via le porte della città di Gaza diventa il pezzo forte della storia. In quel caso i fanciulli non riusciranno più a vedere che il liberatore d’Israele era il Signore. Lo Spirito del Signore, cioè lo Spirito del fedele Dio del patto, dava a Sansone quella forza straordinaria che lui poi usava per vincere i nemici del popolo di Dio. Pertanto non dobbiamo raccontare ai fanciulli la storia della vita di Sansone; dobbiamo concentrarci sulla liberazione del popolo da parte del Signore.

Dall’altro lato, non dobbiamo dimenticare di evidenziare i peccati di Sansone. Lo Spirito del Signore si agitava (rimescolava) continuamente nel suo essere interiore tenendo in agitazione tutto il suo spirito. Lo Spirito del Signore, che s’impossessò di lui in tal modo poderoso, rimescolava anche la peccaminosità dentro a Sansone col risultato che spesso nella sua vita il peccato irrompeva sfrenato.

Non c’erano scuse per questo peccato sfrenato. A quanto pare Sansone non si era sufficientemente arreso allo Spirito del Signore nel suo cuore e non era sufficientemente governato dallo Spirito. Perché non era completamente nel pugno dello Spirito del Signore la sua vita quotidiana non era consacrata quanto avrebbe dovuto. In quel dispiegamento peccaminoso della sua vita fu anche un anti-tipo del Cristo e pertanto un tipo del popolo con i loro desideri peccaminosi e le loro infedeltà al Signore.

È evidente dalle azioni di Sansone che i suoi conflitti con i filistei erano di natura personale. Gli israeliti che a quei tempi non avevano ricevuto sufficiente guida spirituale, furono risparmiati. Alla luce di questo fatto dovrebbe esserci chiaro che la ricerca di Sansone di una donna filistea veniva di fatto dal Signore (Gc. 14:4). Ciò non significa negare che il desiderio di una donna filistea da parte di Sansone non fosse contrario al patto del Signore e della sua volontà rivelata. Pur tuttavia, il Signore usò questo peccato per portare Sansone in conflitto coi filistei. In questo modo il Signore stava eseguendo il proprio consiglio per liberare Israele.

          Concetto principale: Il potente d’Israele entra in scena
per liberare
il suo popolo.

          Il miracolo della grazia nella nascita di Sansone. Dopo la liberazione sotto Barak e sotto Gedeone, gli israeliti continuarono ad allontanarsi dal Signore. Di nuovo il Signore permise che cadessero nelle mani dei loro nemici usando a oriente gli ammoniti e a occidente i filistei. Abbiamo già visto come il Signore avesse provveduto liberazione dai nemici a oriente per mezzo di Jefte. Il Signore volle dare sollievo anche a occidente.

Nel sudovest di Canaan, nella piccola città di Tsorah, che apparteneva effettivamente al territorio di Giuda ma era stata data alla tribù di Dan, viveva un uomo di nome Manoah. Manoah e sua moglie non avevano figli. Ciò dev’essere stato causa di grande tristezza per loro. Non c’è dubbio che pregassero per un figlio. Quando il Signore trattenne quella benedizione sembrò loro che li avesse abbandonati. Questo deve aver loro dato la sensazione che in quel tempo il Signore aveva abbandonato l’intero popolo d’Israele a causa della sua infedeltà.

Un giorno, un uomo con un aspetto molto distinto, venne dalla moglie di Manoah e le disse che il Signore le avrebbe dato un figlio. Sarebbe stato un figlio speciale: un nazireo, ovvero uno messo da parte per un servizio speciale a Dio. Inoltre, sarebbe stato un nazireo dalla nascita. Non gli sarebbe stato permesso consumare alcunché proveniente dalla vite né doveva bere bevande inebrianti. Avrebbe dovuto essere chiaramente visibile che non aveva ricevuto la sua forza da alcunché proveniente dalla terra, ma che essa proveniva solamente dallo Spirito del Signore. Non avrebbe potuto neppure tagliarsi capelli. La sua enorme testa di capelli sarebbe stata un segno della sua integra forza come d’uno che era consacrato al Signore. Neppure alla madre fu permesso alcun vino o bevanda forte durante la gravidanza. In questo modo avrebbe dovuto essere consacrato al Signore perché avrebbe cominciato a liberare Israele dai filistei.

Manoah non era presente quando l’uomo venne da sua moglie. Ella pensò che l’uomo fosse un profeta benché disse al marito che in realtà la faccia dell’uomo era come il sembiante di Dio. Ed ella non aveva nemmeno pensato di chiedere il suo nome. Manoah, per onorare la sua posizione come marito, chiese al Signore in preghiera di mandare anche a lui il profeta in modo che, come capo famiglia, potesse compartecipare pienamente nella responsabilità di allevare il figlio. Manoah e sua moglie vivevano per fede nella Parola del Signore. Il Signore avrebbe apportato un cambiamento nella loro situazione, e in quella di Israele.

Il Signore ascoltò la preghiera di Manoah. Quando il profeta apparve di nuovo alla donna, ella chiamò Manoah ed egli ricevette la stessa promessa e le stesse istruzioni. In fede grata Manoah invitò l’uomo a mangiare con loro. Egli rifiutò ma disse che sarebbe stato accettevole che Manoah portasse al Signore un olocausto. Normalmente ciò era consentito solo sull’altare in Sciloh. Ma la Parola del Signore aveva dichiarato che in questa occasione andava bene che fosse fatto a Tsorah. Questo rese Manoah un po’ più consapevole che l’uomo che aveva davanti non era un uomo qualunque. Quando chiese il suo nome non ricevette altra risposta che il suo nome era meraviglioso.

Dopo che Manoah ebbe sacrificato un giovane capretto e lo ebbe deposto sulla roccia, lui e sua moglie stettero a guardare per vedere se l’uomo avrebbe acceso l’olocausto. Come lo fece fu sorprendente: quando il fuoco si accese egli ascese al cielo nella fiamma sprigionata dall’altare. Questo rese Manoah e sua moglie consci che l’uomo era un angelo del Signore e caddero sulla loro faccia. Con timore superstizioso Manoah disse che ora sarebbero certamente morti perché avevano visto la gloria del Signore.

Quest’idea era ampiamente diffusa. Questa è la misura in cui ci siamo estraniati da Dio! Dimentichiamo che la gloria di Dio, per mezzo del Signore Gesù Cristo, è diventata una gloria che non ci colpisce più a morte ma che rende meravigliosa la nostra vita. Manoah fu corretto da sua moglie. “Perché il Signore vorrebbe ucciderci” chiese lei, “se ci ha dato questa meravigliosa promessa?”

Manoah e sua moglie vedevano di fatto molte cose nella luce giusta — ma non tutto. Quell’uomo non era un mero angelo: era l’Angelo del Signore che era apparso già molte volte al suo popolo. Egli era il Signore Gesù Cristo. Non aveva detto che il suo nome era meraviglioso?

In Dio, nel Signore Gesù Cristo, noi vediamo un miracolo della grazia. Ciò che non avremmo mai sospettato da soli  si trova in lui. In lui c’è grazia per noi, per peccatori, per un popolo ribelle!

La grazia di Dio in Cristo può vincere ogni peccato. Questo fu dimostrato anche nella nascita del figlio promesso a Manoah e a sua moglie. Perciò la sua nascita fu una profezia che guardava avanti al Redentore che avrebbe liberato il suo popolo non solo dai filistei ma anche dal peccato e da tutti i nemici. Dopo la sua apparizione nella carne non ha mai più rifiutato di mangiare pane col suo popolo. Vuole vivere con loro in piena comunione continuamente.

Quando il bambino nacque, Manoah e sua moglie gli misero nome Sansone che significa il potente. La scelta di quel nome mostrò che erano guidati da Dio: questo figlio sarebbe stato un eroe che avrebbe portato sollievo a Israele.

          Il liberatore rivelato a Israele. La parte della tribù di Dan cui Sansone apparteneva viveva vicino al confine del territorio dei filistei. Quando Sansone divenne un uomo, lo Spirito del Signore cominciò ad agitarsi in lui. Irrequieto in mezzo al proprio popolo, visitò gli avamposti di Dan e spesso venne in contatto coi filistei.

Un giorno vide a Timnah una ragazza filistea che volle per moglie. Qui Sansone cadde nello stesso peccato degli altri israeliti, ovvero cercare comunione coi popoli pagani di Canaan. Ne parlò coi propri genitori ma essi erano contrari al matrimonio. Chi mai avrebbe potuto sapere che Dio avrebbe usato questo peccato di disobbedienza per portare Sansone in conflitto coi filistei e con ciò rivelarsi come il liberatore d’Israele?

Alla fine i suoi genitori si arresero e andarono con lui a Timnah. Durante il viaggio Sansone camminò da solo per un po’. Proprio in quel momento gli venne incontro un leone ruggente. A quel punto lo Spirito del Signore venne su di lui in modo potente. Lo Spirito aprì il suo cuore in fede di modo che vide ciò che sarebbe stato capace di fare nella forza del Signore. In quella forza fece a pezzi il leone come se fosse stato un mero capretto. Questo gli mostrò cosa sarebbe stato capace di fare contro i nemici d’Israele in fede, facendo affidamento sulla forza del Signore. In questo modo vide la propria vocazione. Tenne però segreto questo straordinario incontro col leone, non lo raccontò nemmeno ai suoi genitori.

Successivamente, quando ritornò a Timnah per sposare la ragazza, prese la stessa scorciatoia per vedere che fine avesse fatto la carcassa del leone. Fu ricondotto al luogo ove gli era stata rivelata la sua vocazione. Lì scoprì che il corpo non si era decomposto. S’era essiccato al sole e uno sciame d’api vi aveva fatto il nido e prodotto del miele. Prese il miele e ne mangiò. Ne diede anche ai suoi genitori senza dire loro dove lo aveva trovato. Ci sarebbe stata abbondanza per lui e la sua famiglia se fosse stato fedele alla sua vocazione.

La festa nunziale ebbe inizio. Sarebbe durata sette giorni. Gli furono procurati trenta compagni capeggiati dal cosiddetto amico dello sposo (il nostro “compare”). Sansone fece loro un indovinello: “Dal divoratore è uscito del cibo, e dal forte è uscito del dolce”. Nel fare riferimento al suo incontro col leone Sansone stava agendo in modo sconsiderato. Stava scherzando con qualcosa che il Signore gli aveva dato, qualcosa che avrebbe dovuto mantenere segreto. Più tardi nella sua vita cadde diverse volte nello stesso peccato.

Ma qui ne ricevette la sua prima lezione. L’accordo era che i suoi compagni gli avrebbero dato trenta tuniche e trenta vesti se non fossero stati capaci di risolvere l’indovinello. D’altra parte, Sansone avrebbe fatto lo stesso se lo avessero risolto. Verso la fine del periodo di sette giorni i 30 filistei minacciarono la giovane moglie di Sansone. Per paura di loro ella lo implorò di rivelarle la risposta dell’indovinello. Sansone rifiutò dicendo di non averlo rivelato neppure ai propri genitori. Alla fine, siccome lei continuava ad assillarlo, le rivelò il segreto. A quel punto rivelò qualcosa di molto speciale della sua vita ad una donna pagana e per mezzo di lei ai filistei. L’intero popolo d’Israele scherzava con la propria speciale vocazione associandosi coi nemici del Signore.

A causa di questo imbroglio da parte dei filistei Sansone giunse a vedere che essi si ponevano effettivamente da nemici. Allora lo Spirito del Signore lo riempì in modo potente. Andò ad Askelon, uccise 30 filistei e diede le loro vesti ai suoi compagni. Adirato dal loro imbroglio lasciò sua moglie e tornò a casa di suo padre.

Dopo un po’ di tempo gli dispiacque d’aver lasciato la propria moglie. Qui, di nuovo, non la considerò come donna filistea. Il suo cuore si volse di nuovo a lei. Prese un piccolo capretto come dono di riparazione per averla umiliata ma quando arrivò a casa del padre di lei scoprì che sua moglie era stata data a qualcun altro, all’uomo che era stato il suo “compare” al matrimonio. Nella sua ira Sansone punì i filistei: legò insieme le code di alcune volpi, vi attaccò delle fiaccole, e le liberò nei campi di grano dei filistei. Il raccolto fu rapidamente distrutto. Per vendetta i filistei bruciarono vivi la moglie di Sansone e suo padre. Sansone rispose uccidendo molti filistei massacrandoli di botte.

Malgrado tutte le cose sbagliate che Sansone fece, ai filistei fu reso chiaro che in Israele era sorto un liberatore, che c’era in Israele qualcuno che era più forte di tutti loro messi insieme perché il Signore era con lui. Se solo gli israeliti avessero creduto, sarebbero stati più potenti di tutti i loro nemici, infatti il vero Liberatore viveva in Israele, Colui del quale Sansone era solo un tipo. Avrebbero riconosciuto Sansone come liberatore e lo avrebbero ricevuto come un dono dalla mano del Signore? Gli eventi provarono presto il contrario.

          La sentinella (il guardiano) d’Israele. Sansone si ritirò e visse solitario sulle alture della roccia di Etam. I filistei erano al corrente che il protettore d’Israele viveva lì. Se non lo vincevano il loro potere su Israele sarebbe stato spezzato. Perciò marciarono su Giuda con un esercito.

Con grande timore gli uomini di Giuda chiesero ai filistei perché si fossero accampati contro di loro. Avevano già saputo che era per Sansone. Gli uomini di Giuda gioirono forse che il Signore aveva dato loro un liberatore? Al contrario, 3000 uomini di Giuda scesero alla caverna della roccia di Etam e lo rimproverarono d’aver inasprito i filistei. Dissero di essere venuti a legarlo e consegnarlo ai filistei. La sola richiesta che Sansone fece loro è che non sarebbero stati loro ad ucciderlo. Quando lo promisero si lasciò legare con due corde e fu portato via per essere consegnato nelle mani del nemico.

Il liberatore d’Israele fu disconosciuto dagli stessi israeliti e consegnato al nemico! Gli israeliti non vollero, o non ebbero il coraggio di credere nella liberazione che il Signore voleva concedere loro.

A questo punto non  possiamo non pensare a come il Redentore Cristo fu rigettato e consegnato al nemico dal suo popolo. Non sono molti oggi quelli che lo rinnegano con la loro incredulità? Nonostante tutto il rinnegamento che subì, il Redentore si sottopose a quella sofferenza per espiare il peccato del suo popolo. Se solo smettessimo di rinnegarlo del continuo in disgustosa ingratitudine!

Quando a Lehi i filistei videro Sansone legato gli vennero incontro gridando credendo di avere nelle mani il loro nemico. Ma lo Spirito del Signore venne su Sansone in modo potente; egli vide il favore del Signore sul suo popolo e ricevette la forza per rompere le funi. Con la mascella di un asino trovata nei paraggi uccise un migliaio di uomini. Perciò chiamò quella località Ramath-Lehi, che significa collina della mascella.

Stanco di tutto quel combattimento, Sansone cercò dell’acqua ma non ne trovò. Ebbe una grandissima sete. Il Signore usò quella sete per umiliarlo. Subito dopo la vittoria si era vantato: “Con una mascella d’asino, mucchi su mucchi! Con una mascella d’asino ho ucciso mille uomini”. Quello era un altro esempio della sua temerarietà. Ma ora pregò: “Tu hai concesso questa grande liberazione per mano del tuo servo; ma dovrò ora morire di sete e cadere nelle mani degli incirconcisi?” Qui conobbe la comunione col suo Dio. Riconobbe che era stato il Signore a dargli la vittoria e riconobbe la sua dipendenza. La sua causa era la causa di Dio. Qui, nel senso più esaltato, fu un tipo del Signore Gesù Cristo nella sua sofferenza.

A motivo del suo timore di Dio  la preghiera di Sansone fu accolta. Un giorno il Cristo avrebbe sopportato pienamente la sofferenza. Dio allora spaccò una roccia, na sgorgò acqua e Sansone bevve. Lì bevve la benevolenza del Signore che riversa sul suo popolo per amore di Cristo.

Dopo questa battaglia Israele cominciò a riconoscere Sansone come un dono di Dio. Nel nome del Signore egli fu giudice d’Israele come suo liberatore per 20 anni.

          Umiliato ed esaltato. Sansone era soggetto alla stessa debolezza del resto degli israeliti, ovvero un desiderio d’associarsi coi canaaniti. Andò spesso cercando donne Canaanite. Sebbene lo Spirito del Signore operasse potentemente in Sansone, il peccato rivelava in lui il suo potere.

Un giorno si trovò con una peccatrice a Gaza. Rimase in città dopo il tramonto. I suoi nemici stettero in attesa tutta la notte. Come al solito avevano chiuso i portoni della città. Pensarono che Sansone avrebbe tentato la fuga durante la notte ma con le porte chiuse avrebbe dovuto attendere il mattino. Lo avrebbero catturato e ucciso allora.

Sansone infatti voleva lasciare la città durante la notte. Quando trovò le porte sbarrate sradicò portoni, stipiti e sbarra e li portò su una collina di fronte alla città israelita di Hebron distante quasi 60 chilometri.

Sansone stava in effetti giocando con la grazia di Dio. Aveva intrapreso una strada di peccato. Tuttavia il Signore non volle che il liberatore d’Israele perisse a Gaza. Gli fu permesso di rendersene nuovamente conto in fede. E per quella fede ricevette la forza per portarsi via le porte della città. Però, come si era dato completamente al peccato!

Ciò nonostante, le porte della città, si trovavano sulla collina alla vista di tutto Israele come segno che tutte le città dei filistei erano aperte per la misericordia di Dio. Nulla poteva resistere il liberatore d’Israele! Questa verità non fu pienamente compresa fino alla venuta del vero Redentore del popolo di Dio — il Cristo.

Sansone continuò a cedere al peccato. Dopo quell’episodio andò in cerca di un’altra donna filistea, ovvero Delilah. Era una tentatrice che aveva fatto un accordo coi principi dei filistei per cui avrebbe cercato di scoprire il segreto della forza di Sansone per poi venderlo a loro.

Per due volte Sansone la imbrogliò. La terza volta cominciò a giocare col segreto della sua vita perché parlò di intessere i suoi capelli nel telaio da tessitrice. La realtà dei fatti era che i suoi capelli erano un segno della sua vocazione di nazireo, della sua devozione e consacrazione al Signore come liberatore d’Israele. Al quarto tentativo tradì l’intero segreto alla sua tentatrice. Con ciò non solo si consegnò al nemico, disdegnò anche la misericordia del Signore che veniva conferita al popolo per mezzo di lui. Cosa ne sarebbe stato di Israele ora che anche il suo liberatore aveva dimostrato tale disprezzo per il favore di Dio? Fortunatamente il Signore rimase fedele.

Quando fu rasato divenne impotente. Il Signore lo aveva lasciato e lui cadde nelle mani dei suoi nemici. Gli cavarono gli occhi, lo incatenarono con due ceppi di bronzo e lo portarono a Gaza dove gli fecero macinare il grano in prigione.

Non era solo che un uomo di nome Sansone era stato catturato: il liberatore d’Israele era nelle mani del nemico. Sembrava che il popolo di Dio fosse stato vinto per sempre. Non poteva essere permesso che tale situazione si protraesse indefinitamente. Per amore dell’unico Redentore Gesù Cristo anche Sansone sarebbe risorto.

I filistei indissero una grande festa per il loro dio Dagon, una festa di ringraziamento per la vittoria su Sansone. Una grande folla di filistei si radunò nel tempio dell’idolo. L’accecato Sansone fu condotto dentro al tempio da un ragazzo in modo che tutta la gente lì riunita potesse deriderlo.

Durante la prigionia i suoi capelli erano ricresciuti. Sansone aveva anche meditato di nuovo sulla sua vocazione. Chiese al ragazzo di portarlo vicino alle due colonne centrali del tempio su cui poggiava il tetto. Lì pregò il Signore di ripagare i filistei per il male che avevano fatto a lui, il liberatore d’Israele. Allora, nello Spirito, vide di nuovo la grazia di Dio sul suo popolo e credette. Nella forza di quella fede appoggiò le mani su quelle due colonne centrali e le spinse via talché il tempio intero collassò.

Sansone morì coi filistei. Si immolò per la liberazione del suo popolo. Nella sua morte uccise più nemici che durante la sua vita. Il liberatore d’Israele provò di essere più forte dei nemici d’Israele. Che conforto per Israele! In vita e in morte, Sansone rimase un liberatore — il potente d’Israele, un tipo del Redentore che un giorno avrebbe liberato l’intero popolo di Dio da tutti i suoi nemici.

La sua famiglia venne e recuperare il suo corpo e lo seppellì nella tomba di suo padre Manoah. Sansone fu seppellito in mezzo al suo popolo malgrado il fatto che avesse abbandonato la via dell’obbedienza. Egli apparteneva a Israele. Egli fu uno dei grandi figli d’Israele che portò liberazione mediante la fede. Era stato giudice d’Israele per 20 anni.


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