II Samuele 6-9
Ciò che ci è detto in II Samuele 7 è il fulcro dei quattro capitoli cui volgiamo ora la nostra attenzione. Davide voleva costruire una casa al Signore, ma il Signore dichiarò che Lui avrebbe costruito una casa a Davide. Qui, ancora una volta, diventa evidente che l’opera del Signore precede la nostra. Il Signore non avrebbe permesso che la sua casa fosse costruita finché Egli non avesse cominciato a compiere la sua promessa di stabilire la casa di Davide (durante il regno di Salomone). Le nostre azioni sono sempre una risposta alle azioni del Signore.
In I Cronache 17 leggiamo che a Davide non fu permesso costruire la casa del Signore perché le sue mani avevano sparso sangue. Da questo non si deve concludere che nelle spedizioni militari di Davide ci fosse qualcosa di implicitamente peccaminoso perché anzi stava combattendo le battaglie del Signore. Il sangue sparso lo contaminò solo in senso cerimoniale; era un simbolo del peccato ancora presente nel mondo, il peccato che era punito con la morte. Solo quando il peccato è completamente conquistato sarà concessa la piena dimora di Dio. Solo allora il tempio di Dio può essere in mezzo al suo popolo.
La costruzione del tempio fu una profezia che anticipava questa completa assunzione di dimora. Ma non dobbiamo dimenticare che in senso ultimo la dimora divenne reale nella venuta del Cristo e il susseguente spargimento dello Spirito santo nella chiesa in comunione col Cristo.
La promessa a Davide che la sua casa sarebbe stata stabilita, che suo figlio avrebbe regnato per sempre, e che avrebbe costruito una casa al Signore fu compiuta in Salomone solo parzialmente. Quella promessa fu compiuta perfettamente nel Cristo. Il compimento del patto di Dio con Davide lo troviamo descritto in Luca 1:32-33. In quel patto Dio promise anche di accettare Salomone come proprio figlio. Anche quella promessa trovò il suo completo compimento nel Cristo.
Davide portò l’arca a Gerusalemme, ma non leggiamo che abbia eretto lì il tabernacolo. Ciò si può forse spiegare dal fatto che c’erano due sommi sacerdoti (vedi sopra, capitolo 17). Davide volle che l’arca, che rappresentava il trono di Dio, fosse con lui a Gerusalemme. La sua presenza lì avrebbe dimostrato che il Signore era il vero Re d’Israele. Potrebbe essere stato in questo periodo che Davide compose Salmo 24.
Le storie in II Samuele 6-9 non sono tutte registrate in ordine cronologico. Non possiamo assumere che tutto ciò ch’è descritto nel capitolo 8 sia avvenuto dopo gli eventi del capitolo 7. La battaglia contro gli ammoniti e i siriani è descritta solo brevemente nel capitolo 8; nel capitolo 10 viene trattata per esteso perché quivi è vista come la causa immediata del peccato di Davide.
Concetto principale: Il re d’Israele regnerà sul popolo di Dio per sempre.
Che entri il re di gloria. Una volta che il Signore ebbe inizialmente stabilito il regno di Davide, Davide si ricordò dell’arca, il simbolo della presenza di Dio in Israele. L’arca si trovava ancora a casa di Abinadab. Davide la volle a Gerusalemme, la città capitale del suo regno. La presenza del trono di Dio (l’arca) a Gerusalemme avrebbe dimostrato che il Signore e non Davide era il vero re d’Israele. Davide, quale re del popolo, poteva essere benedetto solamente se viveva stretto al Signore e in comunione con Lui.
Davide radunò tutti i rappresentanti del popolo nella località ove era stata tenuta l’arca. Il popolo concordò con le intenzioni di Davide e l’arca fu posta su un carro nuovo. Ahio, uno dei figli di Abinadab, andava davanti all’arca, mentre l’altro figlio Uzzah le camminava a fianco. Davide e tutto Israele seguivano danzando, cantando, e suonando davanti al Signore ogni sorta di strumenti musicali.
Lungo la strada i buoi inciamparono vicino all’aia di Nacon e il carro minacciò di rovesciarsi. Uzza allungò le mani per tener ferma l’arca per impedirle di cadere. Immediatamente il Signore lo fulminò. Malgrado le sue buone intenzioni, Uzza aveva perso di vista la santità del Signore. Nel patto Dio vuole essere il nostro Dio, ma è un Dio santo. Noi dobbiamo servirlo solo secondo la sua volontà.
Davide fu fortemente amareggiato, non col Signore o contro Uzza ma con se stesso. Si rese conto che ci doveva esser qualcosa di sbagliato nella processione, benché non sapesse cosa, altrimenti il Signore non avrebbe lasciato accadere questa cosa.
Davide fu profondamente scosso dal fatto che il peccato aveva rovinato tutta la processione. In queste circostanze non osava far salire l’arca a Gerusalemme. La santità del Signore lo aveva impaurito. Avrebbe dovuto scoprire cosa ci fosse di peccaminoso nella processione. L’arca non sarebbe avanzata oltre; Davide la fece portare nella casa di Obed-Edom che era nei pressi.
Dopo tre mesi fu riferito a Davide che il Signore aveva benedetto la casa di Obed-Edom a motivo dell’arca. Allora si rese conto ancor più chiaramente che la santità del Signore non deve provocare paura, concesso che viviamo nella giusta relazione col Signore nel suo patto. Durante quei mesi Davide aveva anche compreso quale fosse stata la causa dell’ira del Signore. L’arca era stata trasportata su un carro nuovo. Davide aveva copiato i filistei e non aveva prestato attenzione al comando del Signore che l’arca fosse trasportata dai leviti.
Perciò Davide decise che l’arca poteva tranquillamente essere portata a Gerusalemme. Questa volta si assicurò che a portarla fossero i leviti. Ecco l’arca che arriva, trasportata sul pendio che sale a Gerusalemme. Adesso è passata attraverso le porte. Davide e il popolo cantavano e suonavano e danzavano davanti al Signore. Il Signore quale vero Re d’Israele, avrebbe dimorato in mezzo al suo popolo a Gerusalemme. Il regno di Davide avrebbe derivato il proprio splendore dalla presenza dell’arca.
Davide era vestito di un efod o tunica di lino bianco con una cappa, un abbigliamento che richiamava quello sacerdotale. Dopo tutto, era re di una nazione di sacerdoti. All’inizio e alla fine della processione furono offerti sacrifici al Signore e Davide benedì il popolo. Fu imbandito un grande banchetto sacrificale, ove Davide distribuì al popolo: pane, carne e vino (KJV). Mangiarono in comunione col Signore che ora dimorava a Gerusalemme.
L’arca e Davide erano inscindibili. L’arca era un segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo mediante l’Angelo del patto. Il regno di Davide derivava il proprio splendore da questo dimorare di Dio. A motivo di questo legame con l’arca, Davide fu un tipo del Signore Gesù Cristo. Il Cristo è l’Angelo del Signore che è ora divenuto carne per potere essere egli stesso Re del suo popolo.
In quella processione Davide cantò alle porte di Gerusalemme: “Alzatevi, o porte eterne, e il re di gloria entrerà!” Il Signore Gesù Cristo fu onorato nella stessa maniera quando accettò la sua autorità regale al tempo della sua ascensione. E un giorno sarà onorato di nuovo quando si rivelerà in tutta la sua gloria.
Non tutti furono contenti in questa occasione. La figlia di Saul, Mikal, che era stata ripristinata a moglie di Davide, guardò la processione da una finestra e notò come il re gioiva in mezzo al suo popolo. In quel momento ella lo disprezzò nel suo cuore. Lei amava in Davide l’eroe famoso, non il semplice credente. Nessuno della famiglia di Saul si era interessato dell’arca. Per Mikal era un mistero come Davide e il popolo fossero così felici per l’arrivo dell’arca.
Quando Davide entrò in casa per benedire i suoi dopo aver benedetto il popolo, Mikal lo affrontò con provocazioni sarcastiche. Lo derise per essersi abbassato al livello delle serve dei suoi servi. Quella non era l’idea di Mikal di portamento regale. Davide rispose che aveva lodato il Signore che gli aveva dato il posto di suo padre proprio perché Saul si era interessato del proprio onore anziché di quello del Signore. L’atteggiamento di Mikal era una perfetta illustrazione del peccato di suo padre. Davide aggiunse che lei avrebbe testimoniato come lui fosse tenuto in onore da quelle serve.
Siccome Mikal non condivideva la fede di Davide, il Signore non le diede figli. La casa di Davide non sarebbe stata edificata attraverso di lei. L’atteggiamento di Davide verso il popolo era diverso da quello di Mikal. Quando temiamo il Signore, siamo uno col suo popolo.
Il patto con Davide. Davide dovette combattere molte guerre. Quando finalmente venne la pace e potè riposarsi nel suo palazzo gli vene in mente che lui viveva in una casa mentre l’arca del Signore era ancora in una tenda. Davide non riusciva a togliersela dalla mente. Voleva essere re solo nel nome del Signore. E desiderava onorare il Signore per mezzo dell’arca. Parlò dunque col profeta Nathan riguardo al suo desiderio di costruire una casa al Signore. Di primo acchito Nathan approvò il piano.
Però, quella stessa notte il Signore disse in visione a Nathan che a Davide non sarebbe stato permesso costruirla. Fino a quel giorno il Signore aveva usato una tenda per dimora; non aveva ancora dato istruzioni che gli fosse costruita una casa. Non era ancora giunto il tempo. Prima, in Israele, doveva essere stabilito completamente il regno.
Era vero che il Signore aveva dato a Davide la vittoria sui suoi nemici, ma a causa di quelle guerre il regno di Davide era stato pieno di conflitti. Il figlio di Davide avrebbe raccolto i frutti delle vittorie; lui sarebbe stato un re di pace. A lui e ai suoi discendenti il Signore avrebbe dato potere sovrano per sempre. Il Signore sarebbe stato un padre per figlio di Davide e lui gli sarebbe stato un figlio. Se avesse peccato, il Signore non lo avrebbe risparmiato ma lo avrebbe castigato. Tuttavia, il potere sovrano non si sarebbe mai dipartito dai suoi discendenti come la corona era stata tolta a Saul. Pertanto, il Signore avrebbe edificato la casa di Davide per sempre, e il figlio di Davide, in gratitudine, avrebbe edificato una casa al Signore. L’opera di grazia del Signore precede sempre la nostra opera; il Signore è sempre quello che prende l’iniziativa.
Questo fu il patto del Signore con Davide. Il Signore diede a Davide quella grande promessa non per qualche merito da parte di Davide ma per pura grazia. La promessa non poteva essere compiuta appieno nel figlio di Davide che non avrebbe mai potuto essere un re eterno. Pertanto si trattò in realtà della promessa che il Cristo sarebbe nato della stirpe di Davide. Lui era il grande figlio di Davide. Il figlio di Davide costruirà un tempio a Gerusalemme ma il Cristo avrebbe costruito il vero tempio. La dimora di Dio in mezzo agli uomini divenne infatti una realtà nel Cristo che avrebbe fatto del suo popolo, e un giorno della terra intera, una casa in cui Dio si sarebbe compiaciuto di dimorare.
Nathan ripetè a Davide tutto ciò che Dio aveva detto. Profondamente commosso, Davide rispose: “Chi sono io, Signore, che tu mi faccia questo? Cosa dirò per esprimere in mio umile ringraziamento? Tu hai fatto tutto questo per glorificare la tua grazia verso il popolo che hai scelto che è già benedetto in modo inestimabile. In questo renderai glorioso il tuo nome. Il tuo nome sarà glorificato per la tua grazia che concederai nel Messia”. Davide concluse la sua preghiera non dubitando se tutto ciò sarebbe avvenuto ma accettando la promessa in fede.
Non ha forse il Signore adempiuto quella promessa in modo meraviglioso? Il Cristo, il grande figlio di Davide, è ora il nostro eterno re. Ed egli ha edificato il suo popolo come un tempio quando ha sparso il suo Spirito santo. Quando ritornerà, farà di tutta la terra una casa di Dio.
Giustizia ed equanimità. Quando il Signore diede a Davide potenza ed onore tutti i nemici di Israele si rivoltarono contro di lui. Erano spinti da inimicizia verso il popolo del Signore e in ultima analisi verso il Signore stesso. Ma il Signore concesse a Davide la vittoria suoi suoi nemici.
Per primo sconfisse i filistei e li sottomise. Poi sconfisse i moabiti. Mise a morte due terzi dei prigionieri, un terzo lo perdonò. In tempi passati si era rivolto ai moabiti per protezione per un breve lasso di tempo e nel loro paese aveva trovato sicurezza per suo padre e sua madre. Deve essere accaduto qualcosa di orribile perché li abbia puniti così severamente. Dopo questo evento furono costretti a pagargli regolarmente il tributo.
Soggiogò anche due re siriani, uno da Zobah e uno da Damasco. Fece tagliare i garretti ai loro cavalli come segno che non c’è forza che possa vincere il popolo del Signore. Tolse alla Siria molto oro e argento che dedicò a Signore per il santuario che doveva essere costruito. Il re di Hamath, che era sempre stato in guerra contro i siriani, mandò da Davide suo figlio con doni regali. Davide dedicò anche questi al Signore.
Poi, sconfisse gli ammoniti, gli edomiti e gli amalekiti. Mise truppe d’occupazione nelle nazioni sconfitte in modo che i conquistati continuassero a pagargli tributi.
In tutte questa guerre, Davide ebbe mancanze e difetti; non era senza peccato. Tuttavia, esercitò più di una volta il giudizio di Dio sulle nazioni vicine a Israele perché erano state ostili verso il popolo del Signore e verso la grazia ad esso dimostrata. In aggiunta, nella sottomissione delle nazioni circostanti risiedeva la promessa che un giorno tutti i popoli si sarebbero sottomessi al governo di grazia di Cristo, e anche un avvertimento che Cristo avrebbe eseguito il giudizio su tutti quelli che si fossero opposti alla sua grazia.
In mezzo al suo popolo Davide eseguì giustizia ed equanimità (o diritto) Gli israeliti non erano nelle mani di un governante arbitrario: potevano sentirsi sicuri sotto lo scudo del loro re. Com’è sicuro il popolo del Signore sotto lo scudo del Cristo di cui Davide fu solo un tipo!
Davide ebbe sotto di sé molto ufficiali di governo. Durante la sua vita ci furono due sommi sacerdoti: Tsadok e Ahimelek figlio di Abiathar (il solo scampato al massacro dei sacerdoti di Nob ordito da Saul). Davide dovette attendere che fosse il Signore stesso a rimuovere le irregolarità in Israele. I figli adulti del re furono ufficiali in capo nel servizio del re.
La fedeltà del re. Davide si ricordò anche della casa di Saul. Fece convocare Siba, che era stato servitore nella casa di Saul e che era probabilmente in possesso delle terre dalla casa del suo padrone. Da lui seppe che Mefibosheth, il figlio storpio di Gionathan, era ancora vivo. Qualcuno in Israele lo aveva preso nella propria casa.
Al comando di Davide, Mefibosheth venne a corte temendo che il re lo avrebbe ucciso. Ma Davide gli parlò amichevolmente, per amore di Gionathan, e gli diede le proprietà di Saul mettendo Siba come amministratore dei terreni. Dichiarò anche che Mefibosheth avrebbe mangiato alla sua tavola.
Qui vediamo la benignità del Signore verso la discendenza di Saul. La sua famiglia non fu obliterata via dal popolo d’Israele. Mefibosheth aveva già un figlio piccolo di nome Mica. Il nome della famiglia e la sua eredità in Israele furono preservate.
Il re d’Israele aveva dimostrato la sua fedeltà al patto fatto con Gionathan. Se può essere mantenuto un patto fatto tra due persone, come vediamo dalla fedeltà di Davide al suo patto con Gionathan, quanto più fedele sarà il Cristo al patto nel quale Egli vive con tutti quelli che gli appartengono!