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Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 8

Di Phillip G. Kayser, sermone del 19/07/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone tratta dell’ermeneutica biblica utile all’interpretazione della letteratura profetica. Inoltre, presenta ciò che questo libro ha da dirci circa la natura e la conclusione della profezia del Nuovo Testamento.


Leggiamo ancora una volta i primi tre versetti di Apocalisse 1, sempre secondo il “maggioritario”:

1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi le cose che devono presto accadere, e che egli comunicò mandando il suo angelo al suo schiavo Giovanni, 2 il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto: le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse. 3 Beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia e osserva le cose che sono scritte in essa, perché il tempo è vicino[1].

 

Introduzione

Abbiamo visto come ogni singola parola in questi primi tre versetti del capitolo 1 sia di fondamentale importanza per la comprensione dell’intero libro. In essi l’apostolo Giovanni ha inserito gli indizi ermeneutici che stiamo scoprendo ed esaminando in questa prima parte della serie. Oggi ci dedicheremo all’analisi del principio n. 19, secondo cui l’Apocalisse è un libro profetico. Giovanni lo definisce tale così da spingerci sin dall’inizio ad assumere il giusto approccio interpretativo, vale a dire considerando ed applicando gli stessi principi standard utili alla comprensione della profezia veterotestamentaria. Ora, si potrebbe pensare che questo non sia generalmente un dato problematico e controverso. Eppure, come vedremo, lo è eccome.

 

Il principio n. 19 dice: l’intero libro dell’Apocalisse è definito profezia (v. 3b; cfr. 22:7,10,18,19) e dovrebbe essere interpretato con i principi del genere profetico

Rileggiamo la prima parte del versetto 3: “Beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia…”.

Vediamo come ci si riferisca agli scritti di questo libro chiamandoli esplicitamente “profezia”. Ciò accade nel verso appena letto, come pure ben quattro volte ancora nel capitolo 22 (ai versi 7, 10, 18 e 19). Ma cosa significa ciò? Come influisce questo dato sulla nostra interpretazione? Beh, c’è innanzitutto da rimarcare come vi siano due modi fondamentali di approcciare questo argomento. In campo riformato le profezie del Nuovo Testamento – incluse quelle dei due profeti in Apocalisse 11 – si sono sempre viste come equivalenti a quelle dell’Antico Testamento. In campo carismatico, invece, si afferma come la profezia del Nuovo Testamento sia abbastanza diversa da quella dell’Antico: si direbbe come gli apostoli siano l’equivalente neotestamentario degli antichi profeti, ma come i profeti del Nuovo Testamento operassero (e continuino ad operare) in modo del tutto diverso da quelli dell’Antico. Ad esempio, Wayne Grudem direbbe come la profezia dell’Antico Testamento fosse ispirata, infallibile e seguisse principi di scrittura capaci di renderla conforme al genere profetico. Invece, in riferimento alla natura della profezia del Nuovo Testamento, direbbe come sia non autoritativa, non infallibile, trattante di idee generali e non delle parole stesse di Dio – e, quindi, non caratterizzata da inerranza.

Ma allora come gestirebbe il fatto che questo libro appaia nella categoria profezia? Beh, Grudem direbbe come quello riscontrato in Apocalisse sia un uso atipico del termine “profezia”. Non diversamente da noi, egli vede chiaramente l’Apocalisse come libro ispirato, tuttavia non in quanto profetico. Per lui il libro è ispirato perché è apostolico… e guarda caso anche profetico. Pertanto, la sua particolare idea del carattere profetico di questo libro lo porterà ad interpretarlo in modo diverso da come lo faremmo noi. Quindi, prima ancora di poterci concentrare sulla presentazione ed applicazione di questo diciannovesimo principio, si rende da parte mia necessario entrare in questo dibattito intercorrente tra Grudem e la tradizionale visione riformata per quel che riguarda il tema della “profezia”.

 

È fondamentale stabilire come la “profezia” faccia parte della rivelazione ispirata

Io sono convinto di come l’Apocalisse e l’intero Nuovo Testamento usino i termini “profeta”, “profezia” e “profetizzare” esattamente alla stessa maniera dell’Antico Testamento. Grudem è in disaccordo con ciò: volendo egli preservare l’idea secondo cui il dono della profezia continua ancora oggi, non può che esserlo. Devo dire come in questa delicata fase introduttiva della serie entro mal volentieri in questa disputa teologica. Tuttavia, al fine di stabilire il principio ermeneutico n. 19 mi vedo costretto a farlo.

Ora, apprezzo il fatto di come Grudem abbia cercato e cerchi tuttora con tutte le sue forze di convincere i carismatici ad onorare l’autorità della Scrittura: a vederla, cioè, come la rivelazione finale ed unicamente infallibile di Dio per la chiesa. E c’è da dire come in tal senso sia sicuramente riuscito ad esercitare un’ottima influenza sulla chiesa carismatica. Ma il suo tentativo di esprimere da una parte continuazionismo per quel che riguarda la profezia e dall’altra cessazionismo per quel che riguarda l’apostolato semplicemente non funziona. Se Efesini (capitoli 2 e 3) insegna che l’apostolato cessa nel I secolo (come lo stesso Grudem si ritrova obbligato ad ammettere), allora insegna anche altrettanto chiaramente che la profezia cessò nel medesimo periodo, perché secondo Efesini 2 sia gli apostoli che i profeti fanno parte di quel fondamento di rivelazione per la chiesa definitivo e conclusivo. In quel brano apprendiamo come Gesù sia la pietra angolare, mentre apostoli e profeti costituiscano il resto del fondamento, fornendo tutto il necessario per l’edificazione della chiesa. È nella Bibbia, dunque, che abbiamo questo fondamento.

 

La teoria di Wayne Grudem

Ora, come ho detto, Grudem si ritrova in disaccordo con questa posizione. La sua teoria può essere riassunta in poche affermazioni. Non andrò in profondità nella mia critica oggi, poiché ne ho già parlato nella serie sugli Atti. E, in ogni caso, tratteremo più da vicino l’argomento della cessazione della profezia quando arriveremo ai capitoli 10 e 11 dell’Apocalisse. Adesso farò, quindi, soltanto alcune rapide considerazioni riassuntive sulla teoria di Grudem.

  • Egli afferma come la profezia non apostolica non sia autoritativa.

Allora, il primo punto che Grudem rimarca è che la profezia non apostolica, a differenza del resto delle Scritture, non segni una regola infallibile ed autoritativa per la fede e la pratica. E, in un certo senso, lodo il Signore per questa enfasi da parte sua, perché ammonisce e scoraggia i carismatici dall’avventurarsi in dichiarazioni (alla “così dice il Signore…”) ammantate di falsa inerranza. Il problema è, però, che in Atti 21:11 vediamo, ad esempio, il profeta Agabo formulare la propria profezia dicendo: “Questo dice lo Spirito Santo…”. E anche le parole dei due profeti nel capitolo 11 dell’Apocalisse sono contrassegnate davvero da assoluta autorità. E tutto ciò mal si adatta al paradigma di Grudem. Quando arriveremo a questo brano farò notare come Giovanni indichi un’imminente cessazione della rivelazione dei misteri divini data ai profeti del Nuovo Testamento e che i due nel capitolo 11 siano gli ultimi dei profeti. E forse alla fine del sermone tornerò brevemente ancora una volta su questo argomento. In ogni caso, nei termini della teoria di Grudem, la profezia è priva di autoritatività (a differenza della Scrittura). E vedremo che questo suo primo pilastro è contraddetto dal capitolo 11, così come pure da altri versetti dell’Apocalisse che esamineremo più tardi nel corso del sermone.

  • Egli afferma che i profeti del Nuovo Testamento sono completamente diversi dai profeti dell’Antico.

Quindi, a differenza dei profeti dell’Antico Testamento, i quali proferiscono esattamente le stesse parole di Dio e parlano con tutta la sua autorità, i profeti moderni del Nuovo Testamento possono commettere errori, senza che siano falsi profeti, e non proferiscono esattamente le stesse parole di Dio, il che priva le loro profezie di “autorità divina assoluta”[2]. Tali profeti – secondo le parole di Grudem – “esprimono semplicemente parole umane per riferire qualcosa che Dio porta alla loro attenzione”[3]. Grudem è, quindi, persuaso di come gli scritti apostolici, proprio come quelli dell’Antico Testamento, siano ispirati in quanto parola stessa di Dio all’uomo; i doni profetici, invece, quelli negli scritti neotestamentari tanto quanto quelli che scorgiamo nei credenti di oggi, producono, secondo lui, soltanto impressioni generali che possono contenere un misto di errore e verità mescolate insieme[4].

…questa sua idea è, però, in contrasto con lo stesso libro dell’Apocalisse (cfr. 1,3; 22,6,7,9,10,18,19)

Grudem riconosce ovviamente come l’intero libro dell’Apocalisse venga definito “profezia” (una prima volta nel versetto 3 e quattro volte ancora nel capitolo 22). Intende come questi scritti dell’Apocalisse vengano detti essere parole di una profezia, però di un tipo abbastanza diverso dal modo in cui, secondo lui, il resto del Nuovo Testamento definisce la profezia. Riconosce che questa dell’Apocalisse porta con sé imperativi etici, autoritatività e funziona esattamente come la profezia dell’Antico Testamento. Eppure – sorprendentemente – invece di ammettere come l’Apocalisse smentisca la sua tesi, afferma come l’ultimo libro della Bibbia sia unico nella sua natura e costituisca, quindi, un’eccezione alla regola. Permettetemi di citarvelo. Grudem dice:

“Si può dire con certezza come per autorità, contenuto e portata nessun’altra profezia come questa sia mai stata data nella chiesa del Nuovo Testamento. In conclusione, il libro dell’Apocalisse mostra che un apostolo potrebbe fungere da profeta e registrare una profezia per la chiesa del Nuovo Testamento. Ma, poiché il suo autore era un apostolo e poiché è un libro unico, non fornisce informazioni che siano direttamente rilevanti per il dono della profezia così come funzionava tra i cristiani comuni nelle chiese del I secolo”.

Lasciatemi subito dire che, quando segnala l’unicità della profezia dell’Apocalisse nel panorama neotestamentario, si sbaglia di grosso. Infatti, Romani 16:26 definisce chiaramente tutte le Scritture del Nuovo Testamento “Scritture profetiche”; vedremo, inoltre, come pure Marco, Luca, Giacomo e Giuda scrissero, in realtà, in qualità di profeti, non come apostoli. Detto ciò, quanto Grudem qui fa è in pratica escludere il libro dell’Apocalisse dal dibattito sulla profezia, poiché secondo lui, in quanto profezia anomala, rappresenta un caso irrilevante per la discussione. Insomma, una mossa alquanto conveniente la sua, no? Abbiamo a che fare con un libro che usa i termini “profezia”, ​​”profetizzare” e “profeta” ben 21 volte, usandoli tra l’altro in modi che contraddicono la tesi di Grudem su come abbia da essere un profeta del Nuovo Testamento, e tuttavia non ci permette di utilizzare questo libro per definire la profezia del Nuovo Testamento. Insomma, si tratta di un’esclusione piuttosto arbitraria ed ingiustificabile, la sua.

…affermare come la profezia del Vecchio Testamento sia diversa da quella del Nuovo è in contrasto anche con il modo in cui i due profeti di Apocalisse 11 vengono paragonati ai profeti dell’Antico Testamento (Mosè, Elia, Zorobabele e Giosuè)

Ma anche se dovessimo concedere a Grudem questo punto, accettando, cioè, la sua argomentazione circa l’unicità degli scritti di Giovanni e della sua profezia, sarebbe per lui comunque alquanto difficile gestire l’evidenza dell’Apocalisse, i cui scritti contengono chiari riferimenti a profeti non apostolici. Che dire, infatti, dei due testimoni in Apocalisse 11? Si tratta di due profeti, di cui non conosciamo il nome, che muoiono a Gerusalemme nel I secolo. Se, come sostenuto da Grudem, i profeti del Nuovo Testamento sono completamente diversi da quelli dell’Antico, perché mai allora Giovanni vorrebbe nel capitolo 11 confonderci le idee confrontando direttamente questi due profeti (del Nuovo Testamento) con Mosè, Elia, Zorobabele e Giosuè? Insomma, Giovanni in tal modo non aiuta Grudem più di tanto nel presentare la sua tesi in modo convincente. Anzi, pare proprio smentirla. Se questi due profeti non parlano direttamente a nome di Cristo, come mai allora vengono detti suoi testimoni nella sua causa pattizia? E se non fossero ispirati, come mai allora le loro parole vengono paragonate ai due olivi di Zaccaria che riversano l’olio puro della rivelazione dello Spirito Santo? Questo riferimento a Zaccaria sarebbe, infatti, un chiaro indizio dell’ispirazione divina dei due profeti. E se non fossero ispirati, perché allora vengono paragonati anche ai due candelabri di Zaccaria che irradiavano luce pura ed inalterata? La verità è che Grudem snobba questi due testimoni proprio perché minerebbero pericolosamente la sua tesi. Non sono solo gli scritti dell’Apocalisse ad essere in continuità col modello di profezia dell’Antico Testamento; anche gli stessi due profeti del capitolo 11 lo sono.

In effetti, potrei concludere qui la vicenda essendo queste appena esposte evidenze alquanto schiaccianti contro la teoria di Grudem. Penso, però, che a questo punto convenga andare fino in fondo per una risoluzione definitiva della questione.

  • Egli afferma, sbagliando, come l’Apocalisse adoperi i termini “profeta”, “profezia” e “profetizzare” sì secondo il modello dell’Antico Testamento, però in maniera totalmente unica e singolare.

L’unico tentativo di difesa della propria teoria che Grudem attua è quello di insistere su di una supposta unicità del libro dell’Apocalisse: secondo lui, in nessun’altra parte del Nuovo Testamento i termini “profeta”, “profezia” e “profetizzare” vengono adoperati in un modo che possa essere equivalente ai termini dell’Antico Testamento. Ma possiamo mai pensare che lo Spirito Santo non sia stato in grado di trovare per l’Apocalisse una parola chiara che si scostasse in maniera decisa dal significato standard del termine “profezia” come era in uso da 2000 anni? Insomma, mi pare qualcosa di assolutamente non credibile. Inoltre, l’Apocalisse non è semplicemente unica nell’affermare come ogni vera profezia sia autoritativa. Nella serie di sermoni sugli Atti ho dimostrato come in quel libro i termini “profeta”, “profezia” e “profetizzare” vengano adoperati per descrivere i profeti dell’Antico Testamento, come pure quelli del Nuovo Testamento, a volte persino mescolandoli nello stesso versetto[5].

Ma non si tratta solo di Atti. Ho già evidenziato come Romani 16:26 chiami tutte le Scritture del Nuovo Testamento scritte fino a quel momento “le Scritture profetiche”. Profezia e Scrittura sono chiaramente collegate. Ora, Grudem dice che quel passaggio deve essere un riferimento all’Antico Testamento. Ma Paolo è molto chiaro nel dire che la rivelazione di cui sta parlando è la “rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche…”. Sono state le Scritture profetiche a far conoscere questo mistero. Si tratta chiaramente delle Scritture del Nuovo Testamento. Romani 16:26 dichiara dunque che ogni libro del Nuovo Testamento è stato effettivamente scritto dai profeti del Nuovo Testamento. Quindi non solo il libro dell’Apocalisse. Eppure, Grudem ha l’audacia di affermare: “Per quanto ne so, da nessuna parte nel Nuovo Testamento c’è traccia di un profeta che non sia un apostolo ma che parli con assoluta autorità divina attenendosi esattamente alle sue stesse parole”[6].

Ma un momento – Luca era un apostolo? No, non lo era. Giacomo era un apostolo? Neppure. Inoltre, abbiamo l’apostolo Pietro che contraddice completamente Grudem. Lasciatemi leggere ancora una volta Grudem e poi andiamo a 2 Pietro 1, verso 21. Ascoltate bene – egli dice: “Per quanto ne so, da nessuna parte nel Nuovo Testamento c’è traccia di un profeta che non sia un apostolo ma che parli con assoluta autorità divina attenendosi esattamente alle sue stesse parole”. Pietro, da parte sua, insiste invece sul fatto che «nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo» (2 Pietro 1:21). Non v’è mai stata, quindi, profezia giunta per volontà d’uomo. E questo senza eccezioni. Secondo Pietro, semplicemente non esistono due tipi di vera profezia: questa era sempre ispirata. Ecco perché in Matteo 7 Gesù dice ai suoi ascoltatori di mettere alla prova i veri e i cattivi profeti per giudicarli dai frutti delle loro profezie. Gesù afferma che i profeti del Nuovo Testamento erano buoni alberi che non portavano mai frutti cattivi. Erano sempre infallibili al 100%, come Agabo – ispirato e perfettamente esatto nelle sue profezie.

Ma se fosse vero che solamente gli apostoli possano apparire tra coloro che scrissero le Scritture del Nuovo Testamento, cosa facciamo allora con gli autori di Marco, Luca, Atti, Giacomo, Giuda ed Ebrei, i quali chiaramente non furono apostoli? Beh, dal mio punto di vista la risposta a questa domanda è semplice: gli autori di questi libri erano profeti. Romani 16 dice che tutte le Scritture del Nuovo Testamento furono scritte da profeti. Grudem non è d’accordo con ciò. Insiste sul fatto che ciascuno di quegli autori scrisse qualcosa di vero sotto la supervisione apostolica e, una volta che gli apostoli approvarono lo scritto, esso divenne ispirato. Ma non è così che funziona l’ispirazione per 2 Pietro 1:21. L’ispirazione agisce sull’autore del libro, non sul presunto supervisore del libro. Furono Luca, Giacomo, Marco e Giuda ad essere mossi direttamente dallo Spirito Santo, così che nulla della loro profezia fu “mosso” dalla loro volontà.

  • Egli afferma che la profezia del Nuovo Testamento può essere tranquillamente ignorata (a meno che non sia un apostolo a trasmetterla). Questa affermazione è contraria al libro dell’Apocalisse e ciò è reso chiaro in diversi passaggi (vedi 10:7; 11:1-14; 18:20; 19:10; 22:6,9).

Ignorare, ad esempio, i due profeti del capitolo 11 fa sì che ci si ritrovi in grossi guai. Grudem afferma ripetutamente che le profezie moderne non equivalgono alle esatte parole di Dio o di Gesù. L’Apocalisse, però, afferma il contrario: il libro si presenta come profezia e afferma che le sue parole profetiche costituiscono la vera testimonianza di Gesù Cristo. Ad esempio, Apocalisse 19:10 dice che altri profeti, oltre a Giovanni, avevano la testimonianza di Gesù, che è lo spirito di profezia. Insomma, qui viene definito ciò che caratterizza ogni profezia. Cito letteralmente la parte finale di Apocalisse 19:10: “Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia”.

Il commentario di Mounce, a proposito della seconda parte di questa proposizione, dice: “I lettori di Giovanni avrebbero certamente compreso il suo riferimento allo ‘spirito di profezia’ nei termini dello Spirito Santo – come colui che ha ispirato ogni profezia”[7]. E la prima parte della proposizione, invece? In un sermone precedente abbiamo visto che l’espressione “la testimonianza di Gesù”, che si trova nel capitolo 1, versetti 2 e 9, è un riferimento alle esatte parole di Gesù. L’inevitabile conclusione di questi due fatti significa che Apocalisse 19:10 ci insegna che lo Spirito Santo, ispiratore della profezia, trasmise le esatte parole di Gesù Cristo. Ora, è qui che la cosa diventa interessante. Abbiamo già visto che anche tutto il libro dell’Apocalisse è testimonianza di Gesù. Leggendo, però, Apocalisse 19:10 ci diventa chiaro come ogni profezia di ogni profeta sia testimonianza di Gesù. La logica ci porta dunque a concludere come ogni profezia della Scrittura condivida la stessa natura: ogni singola profezia che troviamo nella Scrittura vale come parola di Dio destinata all’uomo per il tramite di Cristo. Grudem confessa di non ben sapere cosa significhi Apocalisse 19:10. Ma invocare l’ignoranza non è sufficiente. Il versetto appena citato rende la profezia chiaramente equivalente al resto della Scrittura.

  • Egli afferma che “la profezia del Nuovo Testamento è imperfetta e impura”: i profeti possono sbagliarsi e tuttavia non passare per falsi profeti. Questa affermazione è contraria all’uso di “falso profeta” come riscontrabile nell’Apocalisse e all’affermazione di Giovanni secondo cui “il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti” rende le profezie “fedeli e veritiere”.

Quindi, da una parte abbiamo Grudem, il quale afferma che un profeta di oggi può sbagliarsi per il 20, 30 o anche per il 40%, senza tuttavia passare per falso profeta (egli afferma, infatti, che: “C’è una testimonianza quasi uniforme da tutte le sezioni del movimento carismatico su come la profezia sia imperfetta e impura, e contenga elementi a cui non bisogna obbedire o di cui non ci si deve fidare”[8]); dall’altro abbiamo, invece, l’Apocalisse, nel quale tutte le vere profezie affermano di essere autoritative (comprese quelle dei profeti non apostolici nel capitolo 11) e tutte le profezie affermano di essere, per l’appunto, veritiere. Ad esempio, Apocalisse 22:6 dice delle parole date dall’angelo a Giovanni: “Queste parole sono fedeli e veritiere”. Il resto del versetto precisa come il messaggio profetico sia stato trasmesso da Dio, il quale controlla gli spiriti dei profeti – non solo di Giovanni, ma dei profeti. Leggiamo l’intero verso: “Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi schiavi ciò che deve accadere tra poco”[9]. Notate il plurale di schiavi. Giovanni non è l’unico destinatario di queste rivelazioni. Queste rivelazioni profetiche non sono fedeli e veritiere semplicemente perché date ad un apostolo, ma perché Dio è il Signore degli spiriti di tutti i profeti.

  • Egli afferma che la profezia del Nuovo Testamento non cesserà mai. Questa affermazione è, però, in pieno contrasto con diversi passaggi delle Scritture (Apocalisse 10:1-11:14; cfr. Efesini 2:19-3:7. cfr. discussione del mistero in 1 Cor. 13:2; 11:25; 16:25; 1 Cor. 13:2; 14:2; Ef. 3:3,4,9; Col. 1:26,27; 4:3. cfr. collegamento di apostoli e profeti in Ef. 2:20; 3:5; Apocalisse 18:20; Luca 11:49; 2 Pt 3:2).

Ora, questa non è un’asserzione al quale penso di voler dedicare ancora del tempo. Sono convinto di come si tratti di una questione abbastanza chiara. E se così non dovesse essere, allora vi consiglierei di approfondirla leggendo il mio volume sulla canonicità delle Scritture (The Canon of Scripture: A Presuppositional Study)[10], nel quale affronto questa faccenda in maniera molto dettagliata. Argomentando in breve alcune delle affermazioni di Grudem circa la natura della profezia nel Nuovo Testamento, il mio obiettivo principale è stato quello di chiarire come l’Apocalisse non sia un unicum nel panorama degli scritti neotestamentari. L’Apocalisse non è una strana eccezione per quel che concerne l’uso dei termini “profeta”, “profezia” e “profetizzare”. Piuttosto, l’ultimo libro della Bibbia ci offre un’esemplare ed eccellente definizione di questi termini e concetti. Il punto principale da ritenere è questo: trattasi di termini che implicano una rivelazione ispirata. Difatti, nel libro dell’Apocalisse ci sono solo due tipi di profeti: profeti ispirati e falsi profeti. In mezzo non v’è null’altro!

Quando poi arriveremo ai capitoli che trattano della chiusura definitiva dell’Apocalisse, dell’apostolato e della profezia, fornirò maggiori dettagli sul motivo per cui la profezia risulta sigillata, terminata e completamente ed eternamente fissata nella Bibbia. La Bibbia che ho tra le mani contiene la collezione di ogni profezia che non è da disprezzare. Ulteriori rivelazioni generali che Dio continua a dare al suo popolo (cosa che, in effetti, credo seguiti a fare) non dovrebbero passare per “profezie”; non dovrebbero essere chiamate in tal modo. Alla stessa maniera dei miei amici carismatici, anche a me capita di sperimentare questo tipo di illuminazione, senza tuttavia riferirmi ad essa con il termine “profezia”. Infatti, ritengo tale pratica rischiosa, in quanto mina l’autorità della Scrittura. Tali esperienze valgono come forme di guida ed illuminazione personale, ma non di rivelazione ispirata: risultano, quindi, prive di autoritatività.

So che è stato un lungo cappello introduttivo, ma, prima di poterci dedicare all’analisi delle implicazioni della nostra proposizione del versetto 3, “le parole della profezia“, dovevo assolutamente sgomberare il campo da ogni fraintendimento legato al significato e all’uso di questo termine. Non c’è una disgiunzione radicale tra profeta del Nuovo Testamento e profeta dell’Antico Testamento. Al contrario, Giovanni ci spinge a trattare l’intero libro nello stesso modo in cui tratteremmo la letteratura profetica dell’Antico Testamento.

 

Ciò aiuta ad orientare la nostra interpretazione del libro dell’Apocalisse (ermeneutica)

E acquisire questo dato ci è di grande utilità perché per l’interpretazione delle profezie dell’Antico Testamento abbiamo regole molto chiare. I lettori ebrei del I secolo, imbattendosi in questa parte del versetto 3, indicante gli scritti dell’Apocalisse come profezia, avrebbero subito rammentato le regole standard utili all’interpretazione della letteratura profetica. Invece, per quel che ci riguarda, prima di darci alla lettura di questo libro, abbiamo bisogno di riscoprire ed acquisire queste importanti regole. Non interpretando questi scritti come appartenenti al genere profetico ci porterebbe ad incappare in gravi errori.

 

L’Apocalisse, in quanto profezia, va interpretata secondo le norme del “genere profetico”, un genere ben distinto dagli altri della letteratura biblica (storico, narrativo, poetico, parabolico, epistolare, ecc.).

E non mancano conosciute opere di ermeneutica che mostrano esattamente quali siano le regole per interpretare la profezia; opere che traggono norme e principi di interpretazione direttamente dalle Scritture – proprio come sto facendo io nei primi undici versetti di questa serie per i nostri trenta presupposti ermeneutici.

Milton Terry ha scritto due opere standard sull’ermeneutica, una delle quali tutta incentrata sull’interpretazione della profezia e l’altra con un intero capitolo trattante l’argomento[11]. Non sono d’accordo con ogni sua conclusione per quel che riguarda l’esito effettivo del suo lavoro interpretativo, ma è abbastanza solido nei principi generali di gestione di questo genere particolare – un genere unico, che, ripeto, è assai diverso dagli altri della letteratura biblica.

E, a proposito, non sono solo i postmillenaristi a sostenere il principio secondo cui l’Apocalisse abbia da essere interpretata secondo il genere profetico. Forse qualcuno di voi potrebbe pensare che questa sia semplicemente una mia opinione personale. Ma così non è. Questo, in realtà, è stato un principio storicamente condiviso da tutte le scuole. I principi interpretativi standard per l’interpretazione del genere profetico sono stati riconosciuti e adoperati dai premillenaristi storici, dagli amillennaristi storici, come pure dai postmillenaristi storici. Quindi, anche se questi principi sono utili, non risolvono ogni questione interpretativa lasciando spazio ad ogni scuola di lavorarci in maniera propria. Ma è triste vedere come i dispensazionalisti e molte altre scuole d’interpretazione moderne li ignorano del tutto. E i più colpevoli di ciò sono alcuni rami del premillenarismo, dell’amillenarismo e del preterismo integrale (che alcuni chiamano appropriatamente iper-preterismo).

Se voleste un riassunto (di sole sette pagine) per prender confidenza con questi principi, vi consiglio il fantastico libricino di Louis Berkhof intitolato Principles of Biblical Interpretation[12]. Ora, lui è un amillennarista, ma riesce ad illustrare egregiamente i tredici principi che sono stati storicamente utilizzati per interpretare la letteratura profetica dell’Antico Testamento. È un’opera chiara e di facile lettura. Per chi ritiene che l’Apocalisse debba essere interpretata all’interno del genere della letteratura profetica veterotestamentaria, usare le regole di Berkhof per interpretare questo libro è una garanzia.

Io darò adesso soltanto tre esempi di questi tredici principi e mostrerò come, in realtà, si inseriscano molto bene nel quadro generale dei 30 principi interpretativi di Giovanni per l’Apocalisse.

1) Berkhof usa la Scrittura per dimostrare che, mentre gli scritti di carattere profetico devono essere interpretati in modo diverso dalla narrativa storica, “la profezia è strettamente connessa con la storia”. Cosa vi ricorda ciò? Non è questo il nostro principio interpretativo n. 6? Questo presupposto è importante perché, come già abbondantemente spiegato nel recente passato, fa sì che un certo numero di approcci interpretativi difettosi – i quali mancano di vedere l’Apocalisse come quel superbo esempio di Storia della Provvidenza divina che è – decada.

2) Un altro suo principio afferma: “Sebbene i profeti spesso si esprimano simbolicamente, è errato considerare il loro linguaggio sempre simbolico”. Questo è un riassunto perfetto del principio n. 9 di Giovanni, esaminato alcune settimane fa. In altre parole, in questo libro c’è sia qualcosa di letterale che simbolico e molte volte i simboli stessi ricorrono effettivamente nella storia.

Menzionerò adesso ancora un altro dei principi di Berkhof, sul quale mi soffermerò, però, un po’ più a lungo. E non perché sia ​​più importante, ma semplicemente per rendere l’idea di come per ogni singolo punto sia davvero possibile scavare molto a fondo. In questi sermoni introduttivi non possiamo, infatti, che raschiare la superfice. Non riuscirò a rendervi degli esperti in materia, ma voglio che comprendiate almeno le nozioni di base.

3) Berkhof mette in risalto come i giudizi profetici sulle nazioni siano condizionati e dipendenti dalle azioni contingenti degli uomini. In altre parole, la profezia non è da considerarsi in chiave iper-calvinista. Piuttosto, il giusto e corretto approccio è sempre pattizio.

La ragione per cui questa regola interpretativa è di fondamentale importanza è che impedisce alle persone di assumere atteggiamenti fatalistici riguardo al futuro di una nazione. Aiuta anche ad evitare alcuni tipici errori del movimento carismatico. Mi è capitato, ad esempio, di sentire pastori carismatici affermare come gli errori contenuti nelle loro profezie non li rendessero falsi profeti; non più di quanto l’errore di Giona, riguardo al fatto che Ninive stesse per subire il giudizio entro quaranta giorni, fece di Giona un falso profeta. Beh, il fatto è che quello di Giona non fu per nulla un errore. Si trattava di una profezia contingente. E questo principio di Berkhof mostra quanto sia davvero sciocco questo esempio di Giona. Leggiamo adesso Geremia 18, versi da 7 a 12:

7 Talvolta riguardo a una nazione e riguardo a un regno, io parlo di sradicare, di abbattere e di distruggere; 8 ma se quella nazione contro la quale ho parlato si converte dalla sua malvagità, io mi pento del male che avevo pensato di farle. 9 Altra volta riguardo a una nazione e riguardo a un regno, io parlo di edificare e di piantare; 10 ma se quella nazione o regno fa ciò che è male ai miei occhi, non ascoltando la mia voce, io mi pento del bene che avevo promesso di farle. 11 Perciò ora parla agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme e di’: Così dice l’Eterno: Ecco, io concepisco contro di voi del male e formo contro di voi un disegno. Si converta ora ciascun di voi dalla sua via malvagia, ed emendate le vostre vie e le vostre azioni!». 12 Ma essi dicono: «È inutile; noi vogliamo camminare seguendo i nostri propri pensieri e vogliamo agire ciascuno secondo la caparbietà del proprio cuore malvagio».

La gente stava assumendo un atteggiamento fatalistico nei confronti della profezia. Pensava che, data la veracità della profezia, allora la situazione sarebbe stata da vedersi come senza speranza, così che non sarebbe valsa la pena ritirarsi dal peccato. E molti interpreti moderni dell’Apocalisse assumono questo stesso atteggiamento. Vedono il futuro dell’America come senza speranza e, quindi, si rallegrano di come le cose stiano peggiorando sempre di più, perché (secondo la loro interpretazione) ciò indicherebbe un prossimo ritorno di Gesù. E così finiscono per ritirarsi da ogni azione che contrasti lo status quo, esprimendo un’attitudine coincidente suppergiù con questo pensiero: “Beh, se è stato profetizzato, allora ciò accadrà, e non c’è nulla che possiamo fare al riguardo”. Ma questo pensiero, più che una visione pattizia della profezia, esprime fatalismo bell’e buono. Quindi, anche se credeste che i capitoli da 6 a 19 dell’Apocalisse siano da leggere in chiave futurista (cosa che non raccomando), non dovreste comunque essere fatalisti nel vostro atteggiamento nei confronti della cultura: è proprio questo il punto centrale di questo principio.

Consideriamo adesso un passaggio in Geremia 26. Questo ci fornisce un esempio di applicazione di questo principio nel contesto di una storia vera. Iniziamo a leggere dal versetto 10 proseguendo poi fino al 19. Geremia era stato catturato e processato per tradimento a causa del suo messaggio profetico contro la nazione. Ed ecco la sua risposta:

10 Quando i principi di Giuda udirono queste cose, salirono dalla casa del re alla casa dell’Eterno e si sedettero all’ingresso della porta nuova della casa dell’Eterno. 11 Quindi i sacerdoti e i profeti parlarono ai principi e a tutto il popolo, dicendo: «Quest’uomo merita la morte, perché ha profetizzato contro questa città come avete udito con i vostri stessi orecchi». 12 Allora Geremia parlò a tutti i principi e a tutto il popolo, dicendo: «L’Eterno mi ha mandato a profetizzare contro questa casa e contro questa città tutte le cose che avete udito. 13 Perciò ora emendate le vostre vie e le vostre azioni e ascoltate la voce dell’Eterno, il vostro Dio, e l’Eterno si pentirà del male che ha pronunciato contro di voi.

Geremia qui non ritira il proprio messaggio di giudizio così come farebbero oggi alcuni uomini di chiesa intimiditi, per esempio, delle minacce dell’agenzia delle entrate o da quelle del mondo LGBT. Il profeta, invece, ribadisce con determinazione il suo messaggio di giudizio e nei versetti 14 e 15 afferma baldanzosamente: “Uccidetemi pure se volete, ma non smetterò di predicare”. Leggiamoli: “14 Quanto a me, eccomi nelle vostre mani; fate di me come vi sembra bene e giusto. 15 Ma sappiate per certo che se mi fate morire, attirerete sangue innocente su di voi, su questa città e sui suoi abitanti, perché l’Eterno mi ha veramente mandato a voi, per dichiarare ai vostri orecchi tutte queste parole”.

Ora notate la saggia risposta dei principi nei versetti 16 e seguenti:

16 Allora i principi e tutto il popolo dissero ai sacerdoti e ai profeti: «Quest’uomo non merita la morte, perché ci ha parlato nel nome dell’Eterno, il nostro DIO». 17 Quindi si alzarono alcuni degli anziani del paese e parlarono a tutta l’assemblea del popolo, dicendo: 18 «Michea, il Morashtita, profetizzò ai giorni di Ezechia, re di Giuda, e parlò a tutto il popolo di Giuda, dicendo: “Così dice l’Eterno degli eserciti: Sion sarà arata come un campo, Gerusalemme diventerà un cumulo di rovine e il monte del tempio un’altura boscosa”. 19 Lo misero forse a morte Ezechia, re di Giuda, e tutto Giuda? Non temette piuttosto egli l’Eterno e non supplicò forse la faccia dell’Eterno, e così l’Eterno si pentì del male che aveva pronunciato contro di loro? Noi stiamo invece facendo un gran male contro noi stessi».

Vedete qui come il principio di condizionalità di Berkhof sia totalmente biblico. Non lo ha imposto alla Bibbia. È da essa che lo ha ricavato. Ed è così che dovremmo vedere anche i giudizi pronunciati da Dio nell’Apocalisse.

Quindi, nelle lettere alle varie chiese nei capitoli 2 e 3, vediamo come ci sia un ripetuto appello al pentimento; un pentimento che, se accolto dalle chiese, avrebbe allontanato il giudizio incombente. E vediamo la stessa benevolenza da parte di Dio anche verso Israele e Roma, due nazioni che nel I secolo avevano raggiunto alte vette di malvagità. Lasciate che vi legga quattro versetti come esempio. Si trovano in Apocalisse 9. Anche se il giudizio divino era già caduto sulla terra e andava aumentando in intensità, c’era ancora speranza, se vi fosse stato pentimento. Leggiamo i versetti 20 e 21.

20 Il resto degli uomini che non furono uccisi da questi flagelli non si ravvidero dalle opere delle loro mani; non cessarono di adorare i demòni e gli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare. 21 Non si ravvidero neppure dai loro omicidi, né dalle loro magie, né dalla loro fornicazione, né dai loro furti.

Capiamo, quindi, come, secondo le regole dell’interpretazione profetica, il giudizio promesso possa essere evitato in caso di pentimento. Eppure, dal modo in cui molte persone applicano l’Apocalisse ai nostri tempi moderni, si ha l’impressione di come il loro modo di vedere le cose sia fortemente governato dal fatalismo e dalla rassegnazione.

Andiamo al capitolo 16: vi vediamo un aumento d’intensità dei giudizi, eppure ancora ulteriori opportunità di pentimento. Quando, però, il pentimento non arriva, allora i giudizi si infuocano ancor di più. Al versetto 9 leggiamo: “E gli uomini furono bruciati dal gran calore; e bestemmiarono il nome di Dio che ha il potere su questi flagelli, e non si ravvidero per dargli gloria”.

Ora, è vero che Dio sapesse che quegli uomini non si sarebbero pentiti. Ma da un punto di vista pattizio è altrettanto vero che, se si fossero pentiti, il giudizio sarebbe decaduto. Ciò segue il medesimo principio schematizzato in Levitico 26, secondo cui quando Israele si mostra impenitente, Dio interviene castigandolo “sette volte di più”. E se con ciò non si addiviene ancora a nessun pentimento, allora egli interviene nuovamente castigandolo “sette volte di più”. Dio ripete ciò per ben quattro volte. E pure nell’Apocalisse abbiamo quattro giudizi, ognuno dei quali peggiora “sette volte di più”. Dopo ognuno di essi Dio dà l’opportunità di pentirsi; quando pentimento non c’è, procede con ulteriori giudizi. E così Dio versa ancora un’altra coppa del giudizio nel versetto 10. Ma andiamo a vedere la reazione descritta nel versetto che segue, l’11: “…e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei loro dolori e delle loro ulcere, ma non si ravvidero dalle loro opere”.

Il punto è che la profezia biblica non è semplicemente una predizione del futuro. Ci mostra un Dio misericordioso, che è disposto a recedere dai propri giudizi, se noi siamo disposti a pentirci. Persino i giudizi già decretati incoraggiano il cambiamento. C’è sempre speranza se c’è pentimento: è per questo che in maniera persistente e caparbia dovremmo continuare a spingere il nostro paese verso il pentimento. La profezia non deve essere semplicemente qualcosa che solletichi la nostra curiosità sul futuro. La profezia è profondamente importante per la vita, perché ha la capacità, quando ben accolta e compresa pattiziamente, di spronarci a compiere dei cambiamenti. Dobbiamo studiare il libro dell’Apocalisse in modo da poter conoscere il tipo di cose di cui la chiesa dovrebbe pentirsi e di cui le nazioni dovrebbero pentirsi.

Come anticipato, non avrò il tempo di esaminare tutti i tredici principi delineati da Berkhof nel suo libro, ma sappiate che l’apostolo Giovanni già li espone tutti nei suoi trenta principi che stiamo scoprendo e studiando. La rivelazione deve essere interpretata all’interno delle regole ermeneutiche del genere profetico, altrimenti non ce ne vedremmo bene.

Vorrei adesso elencare ancora alcuni sottopunti importanti circa la natura dell’Apocalisse in quanto appartenente al genere profetico.

 

1) In quanto profezia, l’Apocalisse è molto diversa dalla letteratura “apocalittica” non biblica del mondo antico che aveva una visione pessimistica della storia e vedeva il male trionfare nella storia.

Cercherò di essere abbastanza breve nel commentare questo sottopunto. Purtroppo, molti commentari moderni trattano l’Apocalisse nello stesso modo in cui trattano la letteratura apocalittica non biblica. Infatti, essi assumono la letteratura gnostica non biblica come paradigma autorevole o griglia interpretativa attraverso la quale cercano di intendere l’ultimo libro della Bibbia. I preteristi integrali, anche se non sono gli unici, fanno proprio questo. È diventato un fenomeno molto popolare negli ultimi cinquanta anni. E non userò mezzi termini: è qualcosa di sbagliato. È qualcosa che va contro il principio della Scrittura che interpreta la Scrittura. Il libro dell’Apocalisse non si lascia ascrivere alla letteratura apocalittica gnostica, come già approfondito nei primi due sermoni della serie. Questo è un presupposto liberale accettato, purtroppo, da fin troppi evangelici. L’Apocalisse è letteratura profetica – punto!

2) La visione profetica della storia è pattizia. Alla stessa maniera dei libri profetici dell’Antico Testamento, l’Apocalisse è strutturata come una causa legale pattizia. Molte scuole d’interpretazione mancano di considerare questo aspetto fondamentale.

Già abbiamo trattato l’aspetto delle cause legali pattizie esaminando il principio n. 12 di Giovanni in un sermone precedente[13], quindi non starò qui a ripetermi.

Ma lasciatemi adesso che vi mostri alcuni dei modi in cui gli interpreti moderni non colgono l’aspetto pattizio dell’Apocalisse. Tutta la letteratura profetica dell’Antico Testamento era completamente basata sul patto. Al di fuori della cornice pattizia, in effetti, l’intera attività profetica è da vedersi senza fondamento e risulta, quindi, insensata. I profeti applicavano le benedizioni e le maledizioni del patto di Deuteronomio 28 alle nazioni che si erano ribellate alla legge di Dio. E l’Apocalisse fa esattamente la stessa cosa. Ora, ecco il problema: nel momento in cui si pensa di star vivendo nella cosiddetta Grande Parentesi (come fanno i dispensazionalisti), allora non ci sono nazioni in patto con Dio in questa fase storica e, quindi, non ci sono giudizi che hanno da essere emessi da parte di Dio. Non esiste alcuna relazione di causa ed effetto tra il comportamento delle nazioni e i giudizi di Dio, perché la legge, il patto e il giudizio non si applicano in questo momento storico. Dicono: “Non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia”.

Ma secondo il dispensazionalismo, di punto in bianco, durante un futuro periodo di sette anni, Dio giudicherà severamente le nazioni in base al patto, proprio quelle nazioni che Egli aveva ignorato per ben 2000 anni. Spero che capiate che una tale teoria sia estremamente strampalata. Dopo aver ignorato per migliaia di anni il peccato e la ribellione delle nazioni, Dio annienta le povere e disgraziate nazioni che si ritrovano ad esistere in quello speciale periodo di tempo di giudizio – che sfortuna!

La visione amillenarista di Meredith Kline è esattamente la stessa. Afferma che non esiste alcuna ingerenza etica della legge e del giudizio sulle nazioni durante il nostro periodo di tempo e che nessuna nazione è in patto con Dio. Ma improvvisamente, durante gli ultimi tre anni e mezzo di storia, crede che l’etica divina tornerà prepotentemente al centro e che Dio giudicherà tutte le nazioni secondo il patto. Ciò non ha alcun senso. Sia nelle teorie dispensazionaliste che in quelle della dottrina “radicale dei due regni” (R2K), non esiste alcuna causa ed effetto del patto nel tempo intercorrente tra la morte di Cristo e quel futuro periodo di tempo di sette anni oppure, a seconda dei casi, di tre anni e mezzo. Ciò fa sì che l’escatologia vada a ridursi ad una questione di mera curiosità per il futuro, senza alcuna applicazione pratica per il presente.

Secondo la visione preterista, invece, le dinamiche di causa ed effetto della teologia pattizia sussistono lungo tutto l’arco della storia: non solo in quel peculiare momento di adempimento e transizione storica segnato dal 70 d.C., ma anche in qualsiasi altro periodo della storia in cui le nazioni voltano le spalle alla legge di Dio e alla sua grazia. In altre parole, il potenziale applicativo di questo libro è illimitato, valido in ogni tempo. L’interpretazione preterista dell’Apocalisse offre un superbo esempio di come nella storia Dio si sia relazionato in modo pattizio con le nazioni, sia con gli ebrei che con i gentili, oltre che con la sua chiesa. L’Apocalisse usa quel particolare periodo di giudizio (cioè, gli anni che precedono e conducono al 70 d.C.) per illustrare esemplificativamente come Dio operi con le chiese e le nazioni in ogni tempo. L’interpretazione preterista è, quindi, la più pratica in termini di applicazione. Insomma, il preterismo prende sul serio l’Apocalisse in quanto letteratura profetica seguendo l’esatto modello della letteratura profetica dell’Antico Testamento.

3) La visione profetica della storia è teleologica, progressista e ottimista con il trionfo finale di Dio sul male (1:5-7,9,19; ; 2:7,11,17,26-27; 3:5,9-12,21 ; 8,1-6; 12,1-7; 15,4; 19,15; 20-22; cfr. Isaia 9,1-7; Dan. 2,31-45; Ez. 47; Mt. 13: 33-35; 1 Cor. 15:24-28; ecc.) Molte interpretazioni futuriste dell’Apocalisse non solo violano questa visione della storia, ma isolano logicamente la maggior parte degli avvenimenti di questo libro dal resto della storia.

Sebbene questo rappresenti un presupposto molto importante, tralascerò il commento su questo punto. Ma alla nota n. 14, nel caso voleste, potreste trovare alcuni esempi di questa visione teleologica, progressista e ottimistica della storia[14]. La domanda da porci, volendo condurre una seria riflessione su questo principio, è la seguente: “Siamo pronti a vedere l’Apocalisse attraverso gli occhi della letteratura profetica biblica o, seguendo l’esempio di molti oggigiorno, ci avvicineremo a questi scritti con le lenti interpretative pessimistiche tipiche della letteratura gnostica apocalittica?”

4) La visione profetica della storia è etica. Non è un discorso irrilevante sul futuro, ma qualcosa che ci tocca ora (1:3; 22:9; 2:5,16,21,22; 3:3,19; ecc. Vedi Deuteronomio 28; Ger. 18 :7-10; ecc.). Qualsiasi interpretazione di questo libro che non si lasci applicare ad altre parti della storia, compresa quindi anche la nostra, è da ritenersi fallace.

Anche questo è un punto sul quale non mi soffermerò più di tanto. Che per l’Apocalisse l’aspetto etico-giuridico sia centrale, è qualcosa di cui abbiamo già abbondantemente parlato approfondendo il principio n. 18[15], ricorderete. Questo è, però, un punto che vale davvero la pena di menzionare ancora una volta, giacché tutta la letteratura profetica biblica è accomunata da questo carattere etico. Giovanni, in quanto profeta, è chiamato a fare appello alle infrazioni della legge (quella legge a cui il versetto 2 si riferisce usando l’espressione “la parola di Dio”) e fa ciò in rappresentanza di quel legislatore, la cui legge è stata infranta (e questo può essere dedotto sempre nel versetto 2 quando menziona “la testimonianza di Gesù Cristo”).

In altre parole, l’Apocalisse non mostra il modo insolito ed eccezionale di operare di Dio durante uno speciale periodo di sette anni alla fine della storia, no. Al contrario, questo libro ci presenta l’ordinario modus operandi divino per le questioni aventi a che fare con la condotta etica di ogni età.

5) La visione profetica della storia promuove un coinvolgimento attivo della Chiesa nella storia, non un’attesa passiva o fatalistica da parte dei suoi membri (1:5-6,20; 2:7,11,17,26-27; 3:5,9-12 ,21; 8:1-6; 12:1-7; ecc.). Qualsiasi interpretazione dell’Apocalisse che promuova passivismo, paralisi o impotenza culturale esprime una falsa visione di questo libro.

Non mi dilungherò neppure nel commentare questo punto, perché si tratta di un principio su cui ho già avuto modo di esprimermi nel recente passato.

Apocalisse 15:2 parla di “quelli che avevano ottenuto vittoria sulla bestia e sulla sua immagine”. Non è la bestia a vincere; sono i santi a farlo. In Apocalisse 17:14 leggiamo: “Combatteranno contro l’Agnello e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli”. Quindi, capite bene, se questo è veramente un libro profetico, un libro che quindi prevede un coinvolgimento attivo e combattivo, allora – come poc’anzi detto – qualsiasi interpretazione dell’Apocalisse che non promuova tale attitudine è da ritenersi difettosa.

 

Reiterazione del principio n. 8 – il tempo è vicino (v. 3d)

Bene, adesso siamo davvero pronti a finire il versetto 3. Questo termina dicendo: “…perché il tempo è vicino”. Queste parole non presentano nessun nuovo presupposto interpretativo: ribadiscono il concetto di imminenza già trattato con il principio n. 8[16]. Pertanto, sfrutterò l’occasione per illustrarvi altre cinque ragioni indicanti come il tempo fosse vicino per davvero.

1) I giudizi avvengono in un tempo in cui si possono ancora distinguere le dodici tribù d’Israele ed è possibile dimostrare l’appartenenza di ogni membro alla propria tribù (Apocalisse 7:4-8).

Il capitolo 7 indica le tribù d’Israele come ancora esistenti al momento in cui sopraggiungono i giudizi. L’elenco che appare ai versi da 4 a 8 riporta Giuda, Ruben, Gad, Aser, Neftali, Manasse, Simeone, Levi, Isaccar, Zabulon, Giuseppe e Beniamino. Efraim e Dan, invece, non vi sono, perché apparentemente prive di membri credenti sopravvissuti in quel momento storico.

Ed ecco il problema: oggi non esiste più nessuna delle tribù elencate – nessuna di loro. Basta chiedere a qualsiasi rabbino e non potrà che ammettere come tutte le tribù siano così irrimediabilmente mescolate l’una con l’altra da risultare ormai indistinguibili. Oggi come oggi, quindi, non è più possibile parlare di Giuda, Ruben, Gad e via dicendo. Le genealogie sono perse – non esistono più. Ciò significa che l’adempimento di questa profezia non può che esser fatta risalire al I secolo d.C., quando le tribù apparivano ancora intatte e separate l’una dall’altra. E Zaccaria (citato dall’Apocalisse) insiste sul fatto che ogni tribù, come persino ogni famiglia (ad esempio, quella di Davide), dimorasse ancora in aree separate. Insomma, nel I secolo, diversamente da oggi, ogni tribù era ancora ben riconoscibile l’una dall’altra.

Da ciò deriva come uscirsene dicendo che questa profezia farebbe riferimento ad individui che verranno salvati in futuro e che in qualche maniera presenterebbero, per dire, un po’ dei geni di quei loro antichi antenati d’Israele non sia cosa accettabile. Insomma, è inaccettabile perché, come visto, le tribù al momento dell’adempimento di queste profezie sono ben separate l’una dall’altra, abitano ognuna la propria regione e l’appartenenza dei dodicimila membri credenti alla propria tribù pare ancora facilmente dimostrabile. Ecco, però, come un premillenarista spiegherebbe la cosa. Anticipo subito come si tratti di un pensiero che “non regge”. In ogni caso, Oliver Greene dice: “Dove siano le dieci tribù perdute non lo so, né lo sa nessun altro uomo sulla faccia della terra. La loro identità è perduta. Ma Dio sa dove sono oggi, sparsi tra le nazioni. Quando Dio è pronto per loro, può trovarli. Non abbiamo da preoccuparci per le dieci tribù perdute. È dei peccatori perduti che dobbiamo preoccuparci…”[17].

Il fatto è che è cosa di gran lunga più confacente indicare semplicemente come i giudizi di questo libro si verificarono nel I secolo d.C. I liberali accusano gli evangelici di non essere onesti quando interpretano gli indicatori temporali “presto” e “vicino” come stanti a significare “tra duemila anni”. I liberali sostengono come Giovanni semplicemente si stesse sbagliando nel dire che il tempo fosse vicino. I futuristi, dal canto loro, tentano di difendere il loro sistema dicendo che agli occhi di Dio duemila anni sono vicini. Noi, invece, ribadiamo ancora una volta con decisione come Dio riveli per render noto ai propri schiavi, ai santi del I secolo, un messaggio espresso in una forma chiara ed accessibile – affinché capiscano con certezza. Quindi, per questi credenti “vicino” non poteva indicare un lasso di tempo di duemila e passa anni. Questa è una faccenda davvero importante, perché ne va dell’inerranza e dell’integrità della Scrittura. Non vedendo l’adempimento di questi fatti nel I secolo, faremmo sì che la Parola di Dio venga dichiarata inaffidabile. Siamo chiamati a credere che ciò che Giovanni disse che sarebbe accaduto presto accadde presto per davvero. Possiamo fidarci totalmente dell’accuratezza della Bibbia.

2) Le punizioni dell’Apocalisse sono identiche a quelle dei primi 34 versetti del discorso olivetano e di quei giudizi Cristo disse: “Io vi dico in verità che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute” (Matteo 24:34).

“Tutte queste cose…” – ma quali? Non le cose dopo il versetto 34, che si riferiscono alla Seconda venuta, ma evidentemente tutte le cose di cui egli aveva parlato nei versetti precedenti. Dal punto di vista preterista evangelico, quei giudizi sono avvenuti entro quarant’anni dal discorso olivetano.

3) Il tempio che doveva essere giudicato e distrutto nel giro di una generazione esisteva ancora ai tempi di Giovanni, aveva ancora adoratori e la sua distruzione era imminente (Apocalisse 11:1-2).

Apocalisse 11 chiarisce come, al tempo della stesura del libro da parte di Giovanni, il tempio fosse ancora intatto e funzionante. La distruzione imminente di cui si parla si riferisce, quindi, proprio a quel tempio, non certo ad un tempio futuro. E fin troppi commentatori ignorano il tempio di cui Giovanni parla speculando, invece, sulla costruzione di un ipotetico tempio futuro. In ogni caso, per quel che concerne la datazione del libro dell’Apocalisse – scritto presumibilmente tra il 64 e il 66 d.C. –, vi rimando alle ottime evidenze offerte dal libro di Kenneth Gentry, Before Jerusalem Fell[18].

4) Da Apocalisse 17:10 apprendiamo come Giovanni fosse impegnato nella stesura del libro durante il regno del sesto re.

Ed è durante il regno di quel sesto re che il giudizio cade su Israele e Roma. La successione dei primi sei re è questa: Giulio Cesare, Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Nerone è dunque il sesto della serie e il suo regno si adatta perfettamente al quadro temporale della persecuzione dei cristiani, della profetizzata guerra di sette anni contro Israele, della “morte e rinascita” dell’Impero dopo la sua morte. Tutto ciò, infatti, accade “presto” – nel giro di 2-4 anni.

5) La persecuzione ebraica della chiesa potrebbe essere avvenuta solo in un periodo precedente al 70 d.C. (cfr. 2:19; 3:19; ecc.).

L’intensità con la quale vediamo i cristiani essere perseguitati nei capitoli 2-3 e altri capitoli, come l’11, fu eccezionale. Gli anni che precedettero il 70 d.C. furono gli ultimi giorni, un tempo che vide le cose andare sempre peggio per la Chiesa – una Chiesa che, comunque, anche nel mezzo di quelle grandi difficoltà non smise di crescere.

Il Nuovo Testamento non definisce gli ultimi giorni come i nostri giorni. Da Ebrei 1:2, infatti, sappiamo che il ministero di Cristo sulla terra ebbe luogo negli ultimi giorni. Gioele profetizzò che il dono della profezia sarebbe stato effuso negli ultimi giorni e Atti 2:16-17 dice che l’adempimento di quella profezia fu Atti 2. Quindi, Atti 2 furono gli ultimi giorni. 1 Pietro 1:20 dice che Gesù è nato negli ultimi tempi. Genesi 49:1 dice che l’incarnazione sarebbe avvenuta negli ultimi giorni. Numeri 24:14 dice la stessa cosa: che l’incarnazione avverrà negli ultimi giorni. Deuteronomio 31:29 parla della distruzione di Gerusalemme negli ultimi giorni. Daniele 2:28 parla di Roma come un impero degli ultimi giorni. Insomma, tutti i riferimenti agli “ultimi giorni” rimandano agli ultimi giorni dell’Antica Alleanza.

Erano gli ultimi giorni del tempio, dei sacrifici, del sacerdozio, delle leggi cerimoniali, della terra santa e via dicendo. E l’Apocalisse descrive l’ultimo degli ultimi giorni nei capitoli da 7 a 19. Ma, come predetto ripetutamente nell’Antico Testamento, la profezia e la rivelazione ispirata sarebbero terminate nel momento in cui Israele fosse stato mandato in esilio nel 70 d.C. E questo è esattamente quello che è successo. Giovanni scrisse l’ultimo libro della Bibbia prima del 70 e Apocalisse 11 descrive l’ultimo dei profeti come morto nel 70. E Apocalisse 10:7 dice: “Ma nei giorni in cui si sarebbe udita la voce del settimo angelo, quando egli avrebbe suonato la tromba, si sarebbe compiuto il mistero di Dio, com’egli ha annunciato ai suoi servi, i profeti”.

Quale mistero si sarebbe compiuto? Secondo Paolo in Efesini 2-3, i profeti erano necessari nelle chiese per risolvere la disputa sull’inclusione dei Gentili nel Nuovo Israele – il mistero degli Ebrei e dei Gentili insieme. In Efesini 3:5, di questo mistero Paolo dice: “Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui”. Paolo conclude Romani 16 dicendo: “Conformemente alla rivelazione del mistero che fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti, ma che ora è rivelato e reso noto mediante le Scritture profetiche, per ordine dell’eterno Dio, a tutte le nazioni…” (vv. 25-26). Lo stesso mistero rivelato dal Nuovo Testamento è il mistero rivelato dai profeti in ogni chiesa nel I secolo. Ma Apocalisse 10:7 dice che il mistero di Dio si sarebbe compiuto al tempo dell’ultima tromba nel 70 d.C. Ed è allora che gli ultimi due profeti muoiono nel capitolo 11. Giovanni predice la fine della profezia nel 70 e quando termina il canone delle Scritture, dice che se qualcuno vi avesse aggiunto qualcosa, Dio allora avrebbe aggiunto ai suoi mali i flagelli descritti nel libro.

Potete, quindi, vedere come il principio n. 19 si adatti perfettamente al presupposto dell’imminenza ribadito nelle ultime parole del versetto 3 (“…perché il tempo è vicino”). E in realtà, tutti i principi nei versetti da 1 a 11 rappresentano un complesso insieme di punti coeso e coerente. E prego affinché il nostro esaminarli vi apra il libro in un modo veramente nuovo e ricco. Amen.


Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_3d-e?utm_source=kaysercommentary.com#user-content-fn-16

[1] Traduzione basata sul testo greco: The Greek New Testament According to Family 35 di Wilbur Pickering.

[2] Wayne Grudem, The Gift of Prophecy in the New Testament and Today, (Westchester, IL: Crossway Books, 2000), p. 90.

[3] Ibid., pp. 51 ss., 71 ss. Notare i titoli dei capitoli.

[4] Vedi Wayne Grudem, The Gift of Prophecy in 1 Corinthians, (Eugene, Or: Wipf and Stock Publishers, 1999); Wayen Grudem, The Gift of Prophecy in the New Testament and Today, (Westchester, IL: Crossway Books, 2000); Wayne Grudem, Systematic Theology (Grand Rapids: Zondervan, 1994), specialmente p. 1049 e seguenti.

[5] Consideriamo le seguenti prove: un esame delle seguenti Scritture mostrerà che Luca non mostra di comprendere la distinzione che Grudem sta facendo: Luca 1:67,70,76; 2:36; 3:4; 4:17,24,27; 6:23,26; 7:16,26,28,39; 9:8,19; 10:24; 11:29,47,49,50; 13:28,33,34; 16:16,29,31; 18:31; 20:6; 22:64; 24:19,25,27; 24:44; Atti 2:16,17,18,30; 3:18,21,22,23,23,25; 7:37,42,48,52; 8:28,30,34; 10:43; 11:27; 13:1,6,15,20,27,40; 15:15,32; 19:6; 21:9,10; 24:14; 26:22,27; 28:23,25. Luca usa il termine profeta indiscriminatamente per descrivere Zaccaria pre-carismatico e la profetessa Anna (Luca 1:67; 2:36), i profeti canonici e pre-canonici (Luca 1:70; Atti 3:18,21,24), Giovanni il Battista (Luca 1:76; 7:26,28; 20:6), singoli profeti canonici come Isaia (Luca 4:17; Atti 8:28,30,34; 28:25; ), Giona (Luca 11: 29), Gioele (Atti 2:16), Davide (Atti 2:30), Amos (Atti 7:42), Samuele (Atti 13:20), l’autore dei Re (Atti 7:48), tutto l’Antico Testamento profeti canonici (Luca 11:47,50; 13:28,34; Atti 7:52; 10:43), la Scrittura in generale (Luca 16:16,29,31; 24:25,27,44; Atti 7: 52; 13:15,27,40; 15:15; 24:14; 26:22,27; 28:23), così come profeti non canonici come Eliseo (Luca 4:27), Gesù (Luca 4: 24; 24:19; Atti 3:22,23; 7:37,42), i profeti del Nuovo Testamento che Gesù avrebbe “inviato” (Luca 11:49; Atti 11:27; 13:1,6; 15:32 ; 19:6; 21:9-10), e falsi profeti (Atti 13:6).

Da notare che gli unici riferimenti negli Atti a “profezia”, “profetizzare” o “profetizzato” si trovano in Atti 2:17-18 (citazione dell’Antico Testamento della profezia del Nuovo Testamento), Atti 19:6 e 21:9. Noterete che in 28 di questi versetti degli Atti la parola si riferisce a un profeta ispirato e infallibile nell’Antico Testamento o profetizzato nell’Antico Testamento. Ci sono solo sette versetti in cui la parola descrive ciò che Grudem chiama un profeta congregazionale del Nuovo Testamento. Ma questi riferimenti sono mescolati con riferimenti ai profeti dell’Antico Testamento, come se Luca li pensasse essere esattamente la stessa cosa. Ad esempio, in Atti 13 abbiamo due riferimenti ai profeti della chiesa di Antiochia mescolati con quattro riferimenti alla “Legge e ai Profeti”, al “profeta Samuele”, ai “Profeti che vengono letti ogni sabato” e una citazione da Profeti dell’Antico Testamento. Si tratta di quattro riferimenti ai profeti dell’Antico Testamento mescolati con due riferimenti ai profeti del Nuovo Testamento. Questo elenco è una prova schiacciante che non c’è la minima differenza tra un profeta dell’Antico Testamento e un profeta del Nuovo Testamento nei libri di Luca o degli Atti. Se gli autori del Nuovo Testamento avessero inteso fare una distinzione come sostiene Wayne Grudem, sicuramente sarebbe stata usata una parola diversa.

Un’altra nota a margine è il riferimento ai “falsi profeti” in Atti 13:6. Data la presenza di errori in tutti i “profeti” moderni, come potrebbe l’espressione “falsi profeti” essere una designazione utile se tutti i profeti del Nuovo Testamento avessero la possibilità di scadere in falsità e errore nelle loro profezie? L’evidenza si oppone chiaramente a qualsiasi differenziazione tra profeta dell’Antico Testamento e profeta del Nuovo.

[6] Vedi Wayne Grudem, The Gift of Prophecy In the New Testament and Today (Westchester, IL: Crossway Books, 1988), p. 56.

[7] Mounce, R. H., The Book of Revelation, (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1977), p. 350.

[8] Wayne Grudem, Systematic Theology (Grand Rapids: Zondervan, 1994), p. 1055.

[9] “spiriti dei” è presente in due delle tre principali linee di trasmissione del “maggioritario”. Vedi la traduzione di Pickering.

[10]https://store.biblicalblueprints.com/products/canon-of-scripture?pr_prod_strat=e5_desc&pr_rec_id=b5492e52f&pr_rec_pid=8297638101288&pr_ref_pid=8390999671080&pr_seq=uniform&variant=47043871768872

[11] Milton Terry, Biblical Hermeneutics, (Grand Rapids: Zondervan, 1978); Milton TerryBiblical Apocalyptics, (Grand Rapids: Baker, 1988)

[12] Louis Berkhof, Principles of Biblical Interpretation, (Grand Rapids: Baker, 1950).

[13] https://www.cristoregna.it/studibiblici/progetto-apocalisse/4-guida-divina-per-la-comprensione-del-libro-dellapocalisse-parte-4/

[14] Esempi di questa visione teleologica, progressista e ottimistica della storia: Apocalisse 1:5 mostra che Cristo sta regnando proprio ora sui re della terra. Lui ha il controllo, non Satana. Apocalisse 1:9 mostra la necessità di pazienza da parte del popolo di Dio. In altre parole, la vittoria del regno di Cristo non avviene da un giorno all’altro. È graduale. L’Apocalisse promette a più riprese qualcosa a coloro che vincono. Ma il superamento indica un progresso. Apocalisse 2:26-27 mostra che a coloro che vincono viene concessa la capacità di emettere giudizi sulle nazioni mentre sono seduti insieme a Cristo. Si tratta di una straordinaria applicazione della vittoria del Salmo 2. Apocalisse 8:1-6 mostra il potere che le nostre preghiere possono avere nel muovere la storia. E di esempi ve ne sarebbero ancora molti. Isaia 9 ci promette che il graduale aumento del governo di Cristo non finirà mai finché tutto non gli sarà sottomesso. Questo è lo stesso messaggio di 1 Corinzi 15 e delle parabole del progresso del Regno.

[15] https://www.cristoregna.it/studibiblici/progetto-apocalisse/7-guida-divina-per-la-comprensione-del-libro-dellapocalisse-parte-7/

[16] https://www.cristoregna.it/studibiblici/progetto-apocalisse/1-guida-divina-per-la-comprensione-del-libro-dellapocalisse-parte-1/

[17] Oliver B. Greene, The Revelation: A Verse By Verse Study, (Greenville, SC: The Gospel Hour, 1963), p. 225.

[18] https://www.amazon.com/gp/product/0982620608/?tag=kaysecomme-20


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