Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 6
Di Phillip G. Kayser, sermone del 14/06/2015
Parte della serie “Progetto Apocalisse”
Questo sermone si concentrerà principalmente sui diversi modi in cui premillenarismo, amillenarismo e postmillenarismo gestiscono il paradigma “già/non ancora”. Infatti, quasi tutti ora credono di essere già in una sorta di regno inaugurato, del quale però non è ancora possibile sperimentare la totalità della realtà. Come vedremo, il postmillenarismo presenta l’approccio più utile per la risoluzione delle tensioni in questo paradigma.
(Il contenuto di questa esposizione sarà maggiormente apprezzabile considerando il grafico sul “già/non ancora” che la accompagna. Vi consiglio, quindi, di aprire ed ingrandire in una finestra parallela l’immagine che troverete alla nota a piè di pagina n. 8)
Siamo ancora alle prese con i primi tre versetti di Apocalisse 1. Li leggiamo secondo il testo greco “maggioritario”:
1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi le cose che devono presto accadere, e che egli comunicò mandando il suo angelo al suo schiavo Giovanni, 2 il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto: le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse. 3 Beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia e osserva le cose che sono scritte in essa, perché il tempo è vicino[1].
Introduzione
La settimana scorsa abbiamo visto come il libro dell’Apocalisse sia assolutamente saturo delle Scritture tutte e, con più di mille allusioni, in particolar modo dell’Antico Testamento. Pertanto, un commentatore è arrivato persino a dire che: “Nessuno ha diritto di leggere l’ultimo libro se non ha letto i sessantacinque precedenti”[2]. Ora, una tale affermazione potrebbe suonare un pochino esagerata, ma è piuttosto efficace come frase ad effetto nel segnalare quanto questo libro sia strettamente intrecciato con il resto delle Scritture.
Con il sermone di oggi arriviamo ad esaminare altri due presupposti ermeneutici dei nostri trenta: il quattordicesimo e il quindicesimo principio.
Il principio n. 14 dice: questo è un libro che contiene un alto grado di visività, non semplicemente parole analitiche e non semplicemente simboli; è da pensare come un film o un’opera drammaturgica (v. 2c – εἶδεν passato di ὁράω – “vide”)
Questo è un presupposto, in realtà, abbastanza simile al nono – quello secondo cui “gli eventi del libro si devono vedere come comunicatici tramite simboli, segni e figure”. Ma questo quattordicesimo principio va oltre. Il versetto 2, infatti, dice che Giovanni riferisce tutto “ciò che ha visto”. Non si tratta, quindi, di sole parole – messaggi vocali trasmessi direttamente alla sua testa. Giovanni ha delle visioni, così che si ritrova immerso in un complesso panorama visivo. Il commentario di Vic Reasoner dice: “È stato detto che l’Apocalisse non è un libro di enigmi, ma un libro illustrato. La natura visiva del libro è dimostrata dal fatto che per quarantuno volte Giovanni «vede»”.
Guardiamo adesso in che modo questo principio differisca dal nono.
Un film o un’opera teatrale può presentare diverse modalità comunicative: orale, simbolica e ovviamente anche visivo-fotografica. Nella trilogia de Lo Hobbit, come pure in quella de Il Signore degli Anelli, l’anello sarebbe, ad esempio, un simbolo del potere della natura peccaminosa. Ma naturalmente, attorno a questo simbolo, si sviluppa pure tutta una narrazione fatta di normali parole, così che i personaggi possano comunicare e spiegare verbalmente quanto e come quel male si diffonda minacciando il mondo – talvolta, in maniera anche piuttosto analitica e dettagliata. Eppure, quel male simboleggiato dall’anello viene reso efficacemente visibile anche senza l’uso di parole: i nostri occhi, in maniera molto vivida e diretta, ne colgono tutta la sua portata ed esuberanza, per esempio, nelle tetre figure degli Orchi (che erano Elfi corrotti) oppure nel perfido Saruman (che era un mago corrotto). Insomma, queste visualizzazioni del male non necessitano di spiegazioni dettagliate per rendere l’idea di quanta crudeltà vi si concentri – la semplice fotografia scenica è più che sufficiente, tanta è la potenza ed efficacia della comunicazione visiva.
Purtroppo, quei commentatori che si concentrano esclusivamente sul principio n. 9 forzando la mano su un’Apocalisse tutta simbolica, cercano a volte di trattare come simbolico davvero l’intero contenuto del libro. Così, per esempio, accade come ogni tratto di Cristo diventi simbolo. Commentatori come Harold Camping poi riescono a far diventare simboliche le stesse spiegazioni dei simboli – pensate voi. Ma riflettiamoci: ha davvero senso un tale approccio? I versetti da 1 a 3 sono simbolici? No, non lo sono. I primi tre versetti sono chiaramente composti da semplici parole di carattere esplicativo che ci aiutano ad analizzare la natura di questo libro.
Diamo adesso un’occhiata ai versetti dal 12 al 20. Questo è un passaggio nel quale riscontriamo una combinazione di tutte e tre le forme comunicative. Iniziamo a leggere Apocalisse 1:12: “Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando”. In queste prime parole non vi è un simbolo: si tratta di un racconto diretto della reazione di Giovanni quando nella sua visione sente improvvisamente una voce. Nelle parole che seguono, invece, troviamo sia simboli che visualizzazioni sceniche. Infatti, nella seconda parte del verso 12 leggiamo: “Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro”. Al versetto 20, in linguaggio semplice, ci viene poi svelato il significato di questo che è simbolo. I candelabri, infatti, sono simboli. Tuttavia, non ogni elemento in questo paragrafo è un simbolo. Giovanni vi descrive una visione, in una maniera piuttosto cinematografica. Nei versi dal 13 al 15 leggiamo:
…e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque.
Quanto appena letto è visualizzazione scenica. Insomma, si tratta di una presentazione fortemente plastica e fotografica di Gesù. Il che, tra l’altro – aprendo una piccola parentesi – ci porterebbe a riflettere pure sulla legittimità di creare immagini di Gesù. So che è argomento controverso, ma Deuteronomio dice che il motivo per cui non ci facciamo immagini di Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo è che Dio non ha una forma. Gesù, però, una forma ce l’ha. Non vediamo alcuna immagine di Dio Padre, ma Giovanni dipinge un’immagine molto vivida di Gesù. Alcuni affermano come sia una bestemmia avere immagini di Gesù nella propria testa. Eppure, Giovanni ne dipinge in questi versi un quadro molto vivido.
Ma ecco il punto che più ci interessa: qui Gesù non rappresenta alcunché. Di Cristo vi sono simboli, certo, ma Cristo stesso non è un simbolo di qualcos’altro. La descrizione appena considerata è semplicemente una visualizzazione plastica di Gesù glorificato. Ma nel versetto che segue, cioè il 16, in questa visualizzazione (nel film, per così dire) troviamo dei simboli; infatti, vi leggiamo: “Nella sua mano destra teneva sette stelle [ecco il primo simbolo]; dalla sua bocca usciva una spada a due, affilata [e qui abbiamo il secondo], e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza”. E si potrebbe legittimamente discutere se anche l’aspetto del volto di Cristo sia qualcosa da considerare un simbolo oppure no.
Proseguiamo adesso con il versetto 17 leggendo fino al 20. Il linguaggio narrativo qui adoperato è di carattere descrittivo/analitico:
Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. [Ecco, qui Giovanni dà conto del panorama scenico nel quale è immerso, con una caduta, la sua, vera. Descrive graficamente la visione di Cristo e riporta allo stesso tempo quelle che sono le Sue parole]. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: «Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades. Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese.
Quindi, vediamo come, usando parole normali, Giovanni comunichi il significato dei simboli. Ma tutto questo avviene in un contesto narrativo con un alto grado di visività. Ed è proprio questa la sostanza del principio n. 14. Questo è, in realtà, un principio abbastanza semplice. L’utilità di questo presupposto consiste in ciò: ci dà un importante avvertimento di come gli scritti del libro contengano parole normali (dal carattere narrativo e descrittivo), parole dal valore simbolico e parole capaci di fornire fortissime impressioni visive di elementi ed ambienti che altrimenti sfuggirebbero alla nostra percezione. Rammentare questo principio – considerare, quindi, tutti e tre tipi distinti di comunicazione e la maniera con cui si alternano e intrecciano tra loro, proprio come accade nei film e nelle opere teatrali – ci aiuterà a mantenere un certo equilibrio nel nostro lavoro di analisi ed interpretazione, schivando in particolar modo la rischiosa tendenza di simbolizzare ogni parola del libro.
Proseguiamo adesso con il quindicesimo presupposto.
Il principio n. 15 dice: nei versetti 2, 3 e 19 c’è del già (“sono”) e non ancora (“le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse”) [v. 2 “και ατινα εισιν και α χρη γενεσθαι μετα ταυτα” ricorre nel “maggioritario”; v. 3 v. 19 – καὶ ἃ εἰσίν, καὶ ἃ μέλλει γίνεσθαι μετὰ ταῦτα]
Questo principio ruota attorno al concetto teologico noto come “regno inaugurato” o quello che la maggior parte delle persone usa indicare con l’espressione “già e non ancora”. Ciò sta a dire che siamo in un regno già avviato, tuttavia non ancora totalmente dispiegato: c’è ancora molto che deve accadere. Nel “maggioritario”, come letto all’inizio del sermone, alla fine del versetto 2 viene detto come Giovanni riporti tutte le cose che ha visto, “le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse”. E sebbene alcune Bibbie non contengano quest’ultima proposizione in questo versetto, tutte la contengono nel versetto 19, nel quale leggiamo: “Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo”.
Ora, la grammatica greca è piuttosto complicata e non vi annoierò esponendovi tutti e sette i punti di vista su questa frase storicamente attestati[3]. Ma basandoci sul contesto immediato, sulla grammatica e sull’allusione di Giovanni a Daniele, G. K. Beale [4], Mounce[5], Wall[6], Yeatts[7], alla stregua di tanti altri commentatori moderni, forniscono prove abbastanza convincenti di come il greco intenda l’intera visione di Giovanni (ciò che ha visto) implicare un’esperienza attuale (il “già”) di una traiettoria futura (il “non ancora”). In effetti, le prove a tal riguardo sono così forti che al giorno d’oggi non sono solo gli amillenaristi e i postmillenaristi a sostenere questo costrutto del “già/non ancora” nell’Apocalisse, ma lo fanno persino i dispensazionalisti. In realtà, non c’è più molta controversia sul fatto se siamo nel regno o meno. Lo siamo, ma siamo ancora divisi in tre campi escatologici in termini di cosa ciò significhi per davvero. La domanda attorno al quale ruota l’animata discussione dei teologi sul “regno inaugurato” è questa: “Come può Giovanni dire che siamo attualmente nel regno se non stiamo sperimentando tutto ciò che la Bibbia dice dovrebbe essere caratteristico del regno?”.
Quindi, per esempio, il versetto 5 del capitolo 1 dice che Gesù è adesso il sovrano dei re della terra. E il versetto 6 dice che Egli ci ha fatti diventare re a nostra volta. Beh, che dire, quanti di noi si sentono tali per davvero? Il fatto è che volte lo stesso Gesù non ci pare proprio regnare già qui ed ora. Difatti, nei capitoli dal 2 al 19 vediamo come vi sia una gran resistenze nei confronti della reggenza di Cristo. Apocalisse 17 dice come i re della terra facciano guerra a Gesù e Gesù, a sua volta, faccia guerra a quei re. Ma quando arriviamo alla fine del libro, scopriamo come tutti i re della terra e tutte le nazioni vengano salvate e si sottomettano volentieri a Cristo Re. Il fatto è che c’è una tensione tra il “già” (ciò che Giovanni dice del presente) – e, quindi, quanto stiamo sperimentando noi oggi (un’esperienza, la nostra, che a volte sa davvero poco di trionfale) – e come alla fine sarà la vittoria (come descritta da Giovanni alla fine del libro).
Così, nei capitoli da 21 a 22 ci viene presentata la vittoria totale di Cristo, la giustizia mondiale, la pace, tutte le nazioni asservite a Cristo, tutti i re inchinati davanti al Suo trono, la prosperità, l’osservanza della legge di Dio, il regno celeste di Dio pienamente venuto sulla terra e tante altre cose meravigliose. Eppure, anche questi capitoli sembrano indicarci come, in realtà, Gesù stesse facendo nuove tutte le cose già nel I secolo. Intorno a noi vediamo guerre, paganesimo, re ostili a Cristo, una chiesa che ad oggi certamente non segue la legge di Dio e ci chiediamo: “Come possiamo conciliare queste meravigliose prospettive future con ciò che ci ritroviamo a vivere nel presente?” Se non stiamo vivendo pienamente le splendide realtà illustrate nei capitoli 21 e 22, perché allora così tanti passaggi nella prima parte dell’Apocalisse parlano come se fossero realtà già inaugurate e stabilite?
Perché il capitolo 5 dice che Gesù ha prevalso quando, in realtà, pare essere il contrario – cioè, quando pare che il popolo di Cristo sia prossimo ad un annientamento totale? Perché Apocalisse 11:15 ci dice che i regni di questo mondo sono diventati i regni di nostro Signore e del Suo Cristo, ed Egli regnerà per sempre e in eterno, un’affermazione, questa, che viene rilasciata proprio nel bel mezzo di un’orribile guerra nel I secolo? Perché Giovanni dice alla chiesa di Filadelfia in Apocalisse 3:12 che i vincitori hanno il privilegio di partecipare alla Nuova Gerusalemme che sta scendendo dal cielo (notate come qui il greco sia, infatti, al tempo presente progressivo), quando invece Apocalisse 21:2 sembra indicare che la nuova Gerusalemme scenderà e si fonderà nella sua pienezza con la terra in futuro? Come possono i santi del capitolo 15 (nel mezzo di una feroce persecuzione) gioire della vittoria garantita di Dio e dire con tanta sicurezza: “Poiché tutte le nazioni verranno e adoreranno davanti a te”, quando il contesto sembra lasciarci intendere esattamente il contrario – cioè, che tutte le nazioni fossero in guerra contro Gesù? Vedete, questo è il tipo di tensioni tipiche del principio “già/non ancora”.
Nella trascrizione di questo sermone[8], alla nota n. 8, troverete un grafico che potrà aiutarvi a capire il punto di vista postmillenarista sul “già/non ancora” mettendolo a confronto con i punti di vista amillenarista e premillenarista. E so che può sembrare qualcosa di complicato, ma è una questione importante da considerare. Risolvere questo problema è fondamentale per comprendere il resto del libro dell’Apocalisse.
Se vi foste possibile, cercate da adesso in poi di continuare a seguirmi avendo quel grafico davanti.
In alto a sinistra c’è la creazione dei cieli e della terra in Genesi e si dice che l’antica creazione venne benedetta in Genesi 1-2, per essere, però, poi maledetta in Genesi 3. È da qui che abbiamo il tema “paradiso perduto/paradiso riconquistato” nel libro dell’Apocalisse.
Spostandosi con lo sguardo più a destra, quindi verso il centro, troviamo la croce di Gesù Cristo come fulcro centrale della storia. A destra di quella croce c’è scritto: “Tutte le cose sono legalmente rinnovate”. (E se vi fosse stato più spazio, beh, avrei potuto scrivere ancora tante altre cose, visto che la croce e la risurrezione sono davvero cariche di significato per la storia del mondo). Gesù disse: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Giovanni 12:31). Quanto appena letto è davvero accaduto alla croce? Beh, sul piano legale sì. E ci sono molte altre affermazioni nel Nuovo Testamento che danno ad intendere come la croce e la risurrezione abbiano portato all’inaugurazione del regno. Eppure, tutti riconoscono che come non si possa parlare dell’intera e completa realizzazione storica del regno. Quindi la maggior parte dei commentatori affermano come legalmente Gesù abbia acquistato tutto il necessario per un nuovo cielo e una nuova terra nella Sua vita e nella Sua morte, e come nella Sua risurrezione abbia inoltre già anche inaugurato la nuova creazione. Ogni promessa nella Bibbia gira attorno alla figura di Gesù; quindi, c’è chiaramente qualcosa del regno che si è adempiuto in Lui.
Spostandosi sul lato destro del grafico si vede una linea verde che parla della fine della storia. Dice: “Tutte le cose vengono definitivamente rese nuove”. Anche se ci fu una massiccia resurrezione nel I secolo, c’è ancora una massiccia resurrezione che dovrà avvenire in futuro per chiudere la storia. E anche se nella storia del prossimo futuro l’umanità sperimenterà prosperità fisica, lunga vita e pace, ci deve ancora essere un rinnovamento finale dei cieli e della terra per giungere allo stato finale.
Insomma, questa progressione lineare non è dunque qualcosa di davvero controverso: tutti gli evangelici sono d’accordo su come la storia si muova su di una linea progressiva che la porti dalla vecchia creazione alla nuova creazione, dal paradiso perduto al paradiso riconquistato. Ciò che è controverso è se questo cambiamento avvenga gradualmente nel corso della nostra epoca o se accada tutto all’improvviso in un giorno, alla Seconda Venuta. Quindi, ciò che è controverso in quel grafico è la freccia verde che muove le cose in avanti dalla croce alla linea finale della storia. Da qui alla Seconda Venuta, la chiesa passerà dall’essere un residuo di tutte le nazioni all’essere la pienezza di tutte le nazioni. E anche gli ebrei, ad un certo punto, passeranno dall’essere un residuo all’essere salvati interamente come nazione. Tutto ciò che è in verde in quella sezione è collegato al riquadro postmillenarista sul lato sinistro della pagina. Al contrario, l’amillennarismo e il premillenarismo sono entrambi racchiusi in una box di colore marrone. E la ragione di ciò è che queste due scuole non vedono questa progressiva conversione del mondo e trasformazione del mondo intero prima della Seconda Venuta.
Osservate adesso la grande freccia marrone in alto. Sopra vi ho scritto: “I residui anticipano il regno con profezie e tipi”. In tutto l’Antico Testamento la chiesa è sempre stata un piccolo residuo e mai la maggioranza della popolazione mondiale. Era in costante attesa del regno di Gesù, ma non lo possedevano ancora.
Il Nuovo Testamento e certamente il libro dell’Apocalisse dicono che tutto questo è cambiato come risultato della croce. A poco a poco è garantito che il Grande Mandato si adempirà e tutte le nazioni saranno rese discepoli di Cristo e diventeranno nazioni cristiane obbedendo a tutto ciò che Cristo ha loro comandato. Apocalisse 20:3 dice che le nazioni non verranno più sedotte ed ingannate da Satana come lo erano nell’Antico Testamento. Alla fine, si convertiranno tutte, così che Apocalisse 21:24 dice della chiesa: “E le nazioni di quelli che sono salvati [quindi, vedete come si parli proprio di nazioni salvate] cammineranno alla sua luce, e i re della terra porteranno la loro gloria ed onore in lei”. Questa è la traiettoria della storia. È un percorso molto emozionante: invece della sconfitta, vi è vittoria garantita. Apocalisse 22:2 dice: “e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni”. Non sono solo gli individui ad aver bisogno di grazia e guarigione, ma le nazioni proprio in quanto nazioni verranno salvate e guarite. Ci sarà una trasformazione culturale nella storia. Quindi è chiaro che alla fine il residuo cede il posto alla pienezza. Ed è per questo che nel grafico da me approntato con ciò si passa dal marrone al colore verde, che rappresenta la crescita.
Per l’amillenarismo di ogni genere (ottimista o pessimista che sia) e per il premillenarismo di ogni genere non vi sarebbe stato posto nel grafico per quella grossa freccia verde che punta verso l’alto, verso il miglioramento nella storia. In tutta coerenza con il punto di vista di queste due scuole, la freccia marrone si sarebbe allungata direttamente fino alla Seconda Venuta. Alla destra della croce le didascalie non parlerebbero di nessuna “anticipazione del regno”; ma vi apparirebbe scritto qualcosa del genere: “Il residuo apprezza tutto ciò che Gesù ha acquistato per il nostro godimento futuro”. In pratica, per questi due sistemi dal tempo della creazione fino alla Seconda Venuta gira tutto sempre attorno a dei residui, non v’è progressione verso alcuna pienezza. Per loro la croce non ribalta proprio nulla nella cultura. Vorrei proporvi un brevissimo passaggio da un commentario a proposito del punto di vista di tutti i pessimisti escatologici. Commentando Apocalisse 1:19, Yeatts dice: “Wall coglie abbastanza bene questa duplice distinzione: le cose che sono si riferiscono al cristologico – ciò che è già stato realizzato in Cristo – e quelle che devono avvenire in seguito si riferiscono all’escatologico – di cui si aspetta ancora il compimento (1991: 64)[9].
Un’immagine che amillennaristi e premillenaristi a volte usano per cercare di risolvere questa tensione tra il “già” e il “non ancora” è quella in cui Giovanni vede da lontano due catene montuose. E poiché guarda da lontano, a lui sembra che entrambe le catene montuose siano in realtà solamente una e non si accorge dell’enorme valle oscura che divide le due catene, vale a dire, fuor di metafora, i duemila e passa anni che separano gli eventi. Per loro, il “già” è la prima catena montuosa che descrive legalmente la nostra posizione in Cristo e la seconda catena montuosa è la Seconda Venuta che descrive la nostra piena esperienza di ciò che ora possediamo legalmente in Cristo. Insomma, il godimento pieno di quanto abbiamo in Cristo (il “già”) dovrà attendere la fine del viaggio e il raggiungimento di quella seconda catena montuosa all’orizzonte (il “non ancora”).
Se dovessi indicare qualcosa che di queste due posizioni pessimistiche apprezzo, direi che almeno cercano di confrontarsi con il testo. Sanno che la nostra attuale esperienza non è quella descritta negli ultimi capitoli di Apocalisse, ma sanno anche che ci sono molte dichiarazioni nei capitoli da 1 a 19 che mostrano come i santi di Dio siano attualmente già vittoriosi – già regnano e, in un certo senso, assaporano la gloria e la potenza dell’età a venire. Approfondendo le teorie amillenariste e premillenariste del “già e non ancora”, beh, devo dire come a volte sia materia alquanto ostica e difficile da capire, giacché pare tutto molto… troppo teorico.
Sottoponendo alla loro attenzione Apocalisse 1:5 – mostrando, quindi, loro come Giovanni affermi che siamo già re e sacerdoti – normalmente si riceve una simile risposta: “Beh, in un certo senso, sì, è vero: siamo seduti con Cristo nei luoghi celesti, così che, quando Lui governa, noi governiamo”. Ma insistendo e chiedendo loro quale differenza faccia ciò nella nostra vita quotidiana, beh, essendo quel loro “già” così teorico, allora non aspettatevi molte risposte soddisfacenti.
Il “già”, però, per me non può essere teorico. Il mio essere seduto con Cristo nei cieli trasforma la mia vita di preghiera. Guardiamo la sorprendente promessa data in Apocalisse 2:26-27.
A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine [e credo che questa fine sia la fine dell’Antica Alleanza nel 70 d.C., quando avviene un’enorme transizione d’epoca], darò potere sulle nazioni, ed egli le governerà con uno scettro di ferro ed esse saranno frantumate come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto autorità dal Padre mio.
Questo è Gesù che parla. Sta dicendo che grazie alla nostra unione con Lui, se abbiamo una fede vittoriosa, possiamo governare sulle nazioni potendo brandire la verga di ferro di Cristo già adesso. Verrà messa nelle nostre mani per permetterci di distruggere le nazioni che rifiutano la Sua Parola.
E la Chiesa postmillenarista dei primi secoli fece esattamente questo. Pregava con incredibile potenza ed autorità perché i suoi membri si ritenevano come “seduti in Cristo nei luoghi celesti”. Non era solo un concetto teorico: si trattava di una visione che forniva loro una fede tale da aspettarsi grandi cose da parte di Dio e di tentare grandi cose per Lui.
E proprio una tale visione del “già/non ancora” mosse quella chiesa a tentare la trasformazione di ogni nazione molto prima che quelle nazioni diventassero davvero cristiane. Il libro di George Grant, Third Time Around, è pieno di storie emozionanti circa la determinazione e la convinzione degli uomini, delle donne e dei bambini dei primi secoli di poter fermare l’aborto – riuscendovi; storie di una gente persuasa di poter fermare gli abusi sulle donne – portando a casa risultati davvero sorprendenti. Quella era una chiesa, il cui Vangelo era il Vangelo del Regno di Dio: un Vangelo che ci chiama non solo ad evangelizzare ma anche a realizzare forti cambiamenti culturali. Il libro di Grant mostra l’incredibile impatto della chiesa primitiva nello stabilire orfanotrofi, nel prendersi cura delle vedove, nel porre fine all’infanticidio, nell’eliminare la schiavitù, nel promuovere l’alfabetizzazione e nel preparare in molti altri modi ancora la strada ad un cristianesimo sempre più permeante le nazioni in quanto sistemi. Fu proprio a causa della loro fede conquistatrice che quei cristiani videro convertirsi Malta, Edessa (201), l’Armenia (301)[10], l’Etiopia (330), la Georgia (337) e tanti altri paesi ancora. Lo stesso Impero romano, già all’inizio del 300, era per più della metà già cristianizzato; nel 380, poi, divenne interamente cristiano in maniera ufficiale. Capite, quindi, come questa visione del “già/non ancora” non possa essere una questione irrilevante. Nella sua interpretazione pratica risiede la differenza tra l’esprimere una fede capace di trasformare la cultura e una fede incapace di intraprendere una tale trasformazione nella storia.
Tornando adesso al grafico… Concentrandosi sul lato in basso a sinistra, è possibile vedere tre diagrammi delle tre visioni escatologiche principali. E poiché gli aspetti legati alla trasformazione in questo mio schema sono riportati in verde, vi trovate tre intestazioni scritte in verde per ciascuna di queste tre visioni escatologiche. Sul diagramma postmillenarista, come vedete, appare il titolo “Trasformazione completa nella storia”. Su quello amillenarista “Nessuna trasformazione nella storia” (questo, infatti, è il punto di vista che va per la maggiore tra gli amillenaristi: il regno risiede principalmente in cielo – trattasi di escapismo, di una fuga dalla realtà); tra parentesi, alternativamente, ho aggiunto “Trasformazione minima nella storia” (è questo il cosiddetto punto di vista amillenarista nella sua versione più ottimista). A capo dello schemino sul premillenarismo ho scritto: “Futura trasformazione nella storia”. La visione premillenarista non contempla, infatti, alcuna possibilità di trasformazione nella storia; non fornisce ai credenti la fede necessaria per intraprendere alcun cambiamento nella storia. Secondo questo punto di vista sarà la Seconda Venuta a dare il la a qualsivoglia svolta storica. Quindi tutte le visioni escatologiche possono essere riassunte avvalendosi di quattro formule: nessuna trasformazione, trasformazione minima, trasformazione futura e trasformazione completa (cioè onnicomprensiva).
Ora, spostandosi sul lato destro del grafico, vi trovate un elenco di alcuni dei tratti chiave specifici di ciascuna di queste tre scuole di pensiero. La ragione per cui postmillenaristi come Charles Spurgeon, William Carey, David Livingstone e altri come loro hanno avuto un impatto così potente sulla società con università, orfanotrofi, giornali, scoperte scientifiche e numerose iniziative culturali in tante altre aree è perché il loro intendimento del “già/non ancora” (che corrisponde anche al mio) li ha spronati nel tentativo di intraprendere grandi cose per il Signore.
Le peculiarità distintive del postmillenarismo sono le seguenti:
Proprio la settimana scorsa, un amillenarista con il quale mi sono confrontato, nell’illustrare i motivi che ci vedrebbero impotenti nel cambiare le cose, ha insistito sul fatto di come non vi sia una sola molecola nella sua scrivania, come pure in nessun albero, in nessuno dei nostri corpi o in qualsiasi altro elemento della creazione, che rassomigli minimamente i nuovi cieli e la nuova terra. In tal maniera, ha cercato di enfatizzare enormemente la tipica disgiunzione tra il “già” e il “non ancora” della sua visione escatologica. Secondo quest’uomo neppure una sola molecola dell’intero universo ha ancora goduto del processo di rinnovamento; tranne ovviamente Cristo, che quindi rappresenta da solo il “già”. Tutto il resto è, invece, “non ancora”. Cristo è metaforicamente la prima catena montuosa e, uniti a Lui, partecipiamo al “già”, ma è solo con la Seconda Venuta che la teoria di quel “già” diventa realtà applicata al mondo intero. Beh, secondo me questo è un punto di vista che causa uno smarrimento della fede, una perdita di speranza e un notevole infiacchimento di quegli stimoli utili all’intrapresa di qualsivoglia cambiamento nel mondo. Non c’è dunque da meravigliarsi che nei nostri paesi non ce la passiamo tanto bene, anzi, oggi come oggi ci ritroviamo in guai davvero molti seri. La maggior parte della chiesa crede in questa storia delle due catene montuose, che da lontano sembrano una, ma che, in realtà, sono divise da questa enorme ed oscura valle impraticabile, che è la nostra vita vista come pellegrinaggio.
E comunque quel signore amillenarista ha torto quando afferma che proprio nessuna molecola di questo universo è stata già rinnovata. Che dire della resurrezione di tutti i santi dell’Antico Testamento del I secolo? A me sembra un assaggio piuttosto massiccio di rinnovamento fisico, no? Che dire poi delle dimore che Gesù è andato a prepararci? Si tratterebbe di una parte completamente inedita della Nuova Creazione. E i miracoli? Le guarigioni? La Bibbia promette che alla fine, dopo la conversione delle nazioni, Dio renderà docili e vegetariani pure gli animali carnivori e prolungherà l’aspettativa di vita degli uomini. Insomma, trattasi di aspetti della creazione molto concreti, fisici e tangibili.
Dio ha fatto sì che questa nostra epoca iniziasse con la resurrezione proprio per dimostrare in maniera molto pratica come l’Antica Alleanza stesse giungendo al termine e Cristo cominciasse a fare nuove tutte le cose; ma Dio riserva la resurrezione dei nostri corpi per la Seconda Resurrezione alla fine della storia per mettere ben in chiaro quanto lavoro abbiamo ancora da compiere qui ed ora. 1 Corinzi, Ebrei e altri passaggi dicono che tutto ciò che resiste e si oppone alla grazia di Dio (ad eccezione della morte) ha da essere conquistato dalla grazia prima del ritorno di Gesù. Insomma, davanti a noi c’è ancora una lunga traiettoria di avanzamento del regno prima che questa profezia si compi. Il “già” della resurrezione è molto tangibile. Il “non ancora” della resurrezione è pure qualcosa di altrettanto tangibile, data la natura onnicomprensiva del Vangelo del Regno di Cristo e la pratica azione redentiva del mondo intero.
Diamo un’occhiata adesso a 1 Corinzi 15. Si tratta di un capitolo fantastico che illustra la gamma delle attività del Regno di Gesù dalla prima venuta alla fine dei tempi, proprio come fa l’Apocalisse. Iniziamo con il “non ancora” del versetto 24.
In 1 Corinzi 15:24 leggiamo: “Poi verrà la fine, quando consegnerà il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà e ogni potenza”.
Bene – questo verso, con una resa più letterale, potrebbe recitare così: appena avrà posto fine ad ogni dominio, ad ogni autorità e potere, vale a dire non appena il processo di sottomissione di tutte queste cose (compresi i governi civili) sarà stato terminato con successo, allora verrà la fine della storia. E questa è una descrizione del “non ancora”.
In 1 Corinzi 15:25-26 leggiamo: “Poiché bisogna che egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte.”
Qui vediamo come i termini “finché” ed “ultimo” indichino chiaramente un processo in progressione compiuto dalla grazia contro ogni resistenza alla signoria di Cristo e come Dio, in conclusione di tale processo, riservi la resurrezione per l’ultimo giorno. Notate, però, come nel versetto successivo si intraveda chiaramente un “già” bello deciso.
Leggiamo 1 Corinzi 15:27. “Difatti, Dio ha posto ogni cosa sotto i suoi piedi; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che colui che gli ha sottoposto ogni cosa ne è eccettuato”.
Quella data a Gesù è una responsabilità ampia ed onnicomprensiva, globale. Tutto tranne Dio Padre Gli si deve sottomettere. Ma in linea di principio ogni cosa Gli è stata già data. Il Grande Mandato di Gesù recita così: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque ed ammaestrate tutte le nazioni”. A Gesù è stata dunque data ogni autorità, ma i suoi soldati – cioè, noi – hanno da andare a prendere possesso di questi beni.
Leggiamo 1 Corinzi 15:28. “Quando ogni cosa gli sarà stata sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti”.
Esiste quindi un quadro completo di ciò che deve accadere tra la Prima Venuta e la Seconda Venuta di Gesù: la trasformazione di ogni centimetro quadrato del pianeta terra mediante la grazia di Dio e il Vangelo. E davanti a tale prospettiva gli amillenaristi tendono ad assumere toni beffardi dicendo: “Ma questo è trionfalismo!”, come se “trionfo” fosse in qualche modo un’indicibile parolaccia. Mah! Che risposta si può dare loro? Io direi: “Apostrofatela pure come volete. Rimane pur sempre una verità scritturale”.
E invece dell’immagine artificiosa delle due catene montuose separate da una valle profonda ed oscura (immagine, questa, tra l’altro, non contemplata da nessuna parte nelle scritture), la Lettera agli Ebrei ci fornisce un’immagine di gran lunga migliore del “già e non ancora”. Si tratta dell’immagine della conquista di Canaan. Canaan fu data a Giosuè ben quarant’anni prima che egli potesse effettivamente mettervi piede. Dovette pazientemente e gradualmente acquisire quei suoi possedimenti – un processo, questo, che vide i suoi soldati impegnarsi attivamente e costantemente in ardue lotte di conquista. Eppure, la gloria definitiva di quel regno non poté essere toccata con mano ancora per moltissime generazioni – fino al tempo di Salomone. Questa è un’immagine che illustra perfettamente le dinamiche di avanzamento e conquista del regno di Cristo: un regno che inizialmente viene acquistato, in seguito conquistato e posseduto e alla fine perfezionato.
Ebbene, allo stesso modo, nel I secolo, a Gesù fu già dato ogni centimetro quadrato della pianeta Terra. Egli ha, però, da prendere possesso dei suoi beni (processo, questo, indicato nel grafico – ricorderete – da quella freccia verde che punta trionfalmente verso l’alto) e i suoi soldati saranno impegnati in questa conquista trionfale ancora per molto tempo, avendo successo e progredendo sempre di più. Certo, nei momenti storici nei quali saranno in grado di esprimere maggiore fede, il processo di conquista non potrà che risultare più agevole e spedito; quando, invece, mancheranno di fede, allora finiranno per vagare nel deserto come l’incredula generazione sotto Mosè. Senza fede è impossibile piacere a Dio, motivo per cui è così cruciale per noi risolvere come si deve la questione del “già/non ancora” e acquisire maggiore coscienza sulle questioni escatologiche in generale.
Ad ogni modo, questa è l’immagina che la Lettera agli Ebrei adopera per descrivere questa nostra epoca presente, nella quale abbiamo da seguire il nostro Grande Giosuè (che in greco corrisponde al nome di Gesù e la cui figura ne rappresenta chiaramente un tipo). Lo seguiamo mentre conquista tutta la terra per mezzo del Vangelo e della grazia di Dio, facendo sì che ogni cosa torni a funzionare secondo il piano originale della Parola di Dio. Più e più volte nel libro dell’Apocalisse ai santi viene promessa la vittoria sulla terra, se mostreranno di avere una fede conquistatrice. Il regno è venuto in Cristo. Durante quest’epoca viene progressivamente acquisito e posseduto. E la sua forma finale sarà pienamente visibile alla Seconda venuta. Tuttavia, l’intera storia freme e spinge irresistibilmente verso quella gloriosa forma finale.
In ogni caso, il postmillenarismo è l’unico sistema che rimuove la tensione tra il “già” (ciò che legalmente viene conseguito alla croce) e il “non ancora” (ciò che praticamente si godrà appieno alla Seconda venuta). E fa ciò attraverso la progressiva applicazione della croce nella storia. Tutti gli altri sistemi mostrano questo enorme vuoto, questa “vallata oscura”, tra il “già” e il “non ancora” – un vuoto che non può essere colmato e superato sul piano culturale e globale.
Ora, c’è da dire come tutti e tre i sistemi presentino elementi di verità. Chiaro! Ma è solo il postmillenarismo che in questo grafico mostra un cambiamento logico e necessario dal marrone al verde. Le sezioni verdi di questo grafico mostrano le basi per una fede che si aspetta grandi cose da Dio nella storia e tenta grandi cose per Dio nella storia. È il postmillenarismo ad offrire i presupposti più logici con i quali poter opporsi al compromesso con il mondo, al pluralismo o alla neutralità. Quando si tratta di scienza, politica e discipline umanistiche, ecc., ecc., è così allettante per i sistemi escatologici nella scatola marrone non farsi coinvolgere o fingere una sorta di neutralità nei confronti del mondo.
Nel meraviglioso video, God’s Law and Society, che contiene interviste con Rushdoony, Grant e altri quattordici teologi e studiosi, uno dei temi principali trattati riguardano le complete rivendicazioni di Cristo su ogni centimetro quadrato di questa terra. Phil Vollman in un suo intervento dice:
La neutralità è un mito. Non esiste. Dio non ha progettato la struttura dell’universo in tal maniera da consentirla. Non c’è un solo atomo di tutto questo universo che possa rivendicare la neutralità. Gesù è stato molto chiaro a tal riguardo. Egli disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6). …Questa è una battaglia alla “chi vince piglia tutto”. O saranno i discepoli di Gesù Cristo nel tempo e nella storia che saranno là fuori a condurre la lotta per la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo, operando nella pubblica piazza, producendo in tal modo la pace che tutti noi cerchiamo. Oppure saranno i discepoli di Molly Yard, Margaret Sanger e Joseph Stalin a farlo. La femminista non è neutrale nella sua visione del mondo o nel suo atteggiamento apologetico. L’umanista non è neutrale in ciò che egli fa e dice. Teddy Kennedy, Bill Clinton e Hillary Clinton non sono neutrali. È tempo che la Chiesa si svegli e prenda coscienza di questo problema. Siamo la più grande singola istituzione entro i confini dei 48 stati contigui. In America ci sono più persone che professano Cristo. Alcune stime parlano di 40 milioni; altre stime, più ottimisticamente, arrivano fino a 65 milioni. In questa nazione siamo la più grande istituzione che afferma di credere in Cristo. Allo stesso tempo, siamo i più irrilevanti e i più impotenti. Come mai? Abbiamo dimenticato questa verità: non esiste neutralità. Se gli omosessuali, che costituiscono meno del 5% di questa nazione e che sono senza lo Spirito Santo, le sacre scritture, i patriarchi, i giuramenti e le promesse, nello spazio di soli 25 anni sono stati in grado di attirare l’attenzione dell’intera nazione, cosa potrebbero fare 40 milioni di cristiani mossi dalla potenza dello Spirito Santo e con il fondamento dell’ortodossia riformata? Potremmo vincere. E potremmo vincere velocemente. Non esiste neutralità. Se solo potessimo capirlo, se i pastori d’America lo capissero, la battaglia finirebbe nel giro di tre mesi[11].
Penso che Vollman abbia ragione da vendere. Il libro dell’Apocalisse non presenta due catene montuose dove nel I secolo e nell’ultimo giorno della storia tutto è solamente per Gesù, con una valle piena di oscurità e malvagità di duemila e passa anni a separare gli eventi, nella quale in tutta neutralità abbiamo da vagabondare e sopravvivere. La nostra unica sopravvivenza è compiacere il nostro Maestro, il Signore Gesù Cristo. E in questo libro dell’Apocalisse Egli ci chiama a darci a Lui in tutto ciò che facciamo e ad essere disposti a dare la nostra vita per l’avanzamento del Suo regno. È perché Cristo ha già acquistato tutto il necessario per la trasformazione di questo mondo che possiamo lavorare con zelo per spostare questo mondo verso la certa traiettoria illustrata nei capitoli 21 e 22. È a causa di ciò che nei capitoli da 1 a 5 Cristo mise a disposizione, che i santi furono ispirati a far avanzare progressivamente il regno di Cristo con zelo nei capitoli da 6 a 19. E quando avremo una serie sempre più lunga di generazioni capaci di seguire l’esempio di quei santi, emulando la loro fede conquistatrice, allora la vittoria illustrata e garantita dai capitoli da 20 a 22 potrà essere conseguita.
Fratelli e sorelle, vinceremo. Siate radicati nel “già”, siate zelanti nel “presente” e abbiate una fede incrollabile nel “non ancora” che di certo sarà. Amen.
Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_2c?utm_source=kaysercommentary.com
[1] Questa è una traduzione basata sul testo “maggioritario” di Wilbur Pickering.
[2] Eugene Peterson, Reversed Thunder, (San Francisco: Harper Collins, 1988), p. 23.
[3] Beale afferma: “Tra le numerose interpretazioni di questa triplice proposizione notoriamente difficile, le seguenti sei sembrano essere le più plausibili: (1) Giovanni deve scrivere l’intera visione (v. 19a), in particolare quella dei capp. 1–3 (v. 19b) e quelli dei capp. 4ss., che storicamente seguono quelli dei capp. 1–3 (v. 19c). (2) Giovanni deve scrivere la visione in 1:12–18 (v 19a), così come quella dei capp. 2–3 (v. 19b) e quelle visioni dei capp. 4ss. che vengono in ordine dopo quelli dei capp. 1–3 (v. 19c). (3) Giovanni deve scrivere tutta la visione che ha visto (v 19a), che riguarda le realtà relative al presente (v 19b) e al futuro (v 19c). (4) In linea con il triplice comma di 1,4 e 1,8, il triplice comma del v. 19 esprime non solo la durata eterna, ma una rivelazione che trascende il tempo storico e svela il senso dell’esistenza e della storia nella sua totalità. (5) Giovanni deve scrivere tutta la visione che ha avuto (v. 19a) relativa alle realtà presenti (v. 19b), che devono essere intese come l’inizio degli ultimi giorni e che si concluderanno con la fine della storia (v. v19c). (6) A Giovanni viene comandato di scrivere un libro contenente un triplice genere letterario, che è visionario-apocalittico (v 19a), figurativo (v 19b) ed escatologico (v 19c). Di queste sei alternative, le ultime tre si lasciano preferire”.
La visione meno plausibile è quella che intende il versetto come uno schema cronologico sequenziale dell’intero libro, v 19a come pertinente solo al tempo della visione in 1:12–18, v 19b pertinente solo all’epoca della chiesa descritta nei capp. 2–3 e v 19c relativi solo al futuro periodo di tribolazione direttamente precedente e inclusa la venuta finale di Cristo (raffigurato nei capitoli 4–21). – Beale, GK (1999The Book of Revelation: A Commentary on the Greek Text, (Grand Rapids, MI; Carlisle, Cumbria: W.B. Eerdmans; Paternoster Press,) p. 216.
[4] Beale dice: “…quella proposizione è un riferimento agli ultimi giorni inaugurati e non focalizzati esclusivamente sul futuro.” (p. 156)
[5] Mounce dice: “«Scrivi, quindi, le cose che stai per vedere, cioè sia ciò che è adesso che ciò che è ancora nel futuro». Questa relazione tra presente e futuro è alla base dell’intera Apocalisse. Riconosce che la scena drammatica della sala del trono dei capitoli 4 e 5, la visione della donna che dà alla luce un figlio maschio nel capitolo 12 e gran parte del capitolo 17 appartengono al passato, al presente e al futuro. L’Apocalisse è una rivelazione sia dei grandi principi all’opera nel mondo in questo momento sia della conclusione escatologica finale a cui puntano”. – Mounce, R. H. (1997). The Book of Revelation, (Grand Rapids, MI: Wm. B. Eerdmans Publishing Co), p. 62.
[6] Yeates dice: “Wall coglie abbastanza bene questa duplice distinzione: le cose che sono si riferiscono al cristologico – ciò che è già stato realizzato in Cristo – e quelle che devono avvenire in seguito si riferiscono all’escatologico – di cui si aspetta ancora il compimento” (1991:64). – Yeatts, J. R. (2003). Revelation, (Scottdale, PA: Herald Press), p. 44.
[7] Vedi la nota precedente.
[8] Immagine di Phillip G. Kayser, concessa con licenza Creative Commons Attribution 4.0 International:
[9] Yeatts, J. R. (2003). Revelation, (Scottdale, PA: Herald Press), p. 44.
[10] Agathangelos ha scritto un libro intitolato The History of the Armenians, in cui afferma di essere stato testimone oculare del battesimo del re armeno Trdat III. Questo sovrano dichiarò il suo paese una nazione cristiana, invitando la chiesa ad una massiccia evangelizzazione e al discepolato.