Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 5
Di Phillip G. Kayser, sermone del 7/06/2015
Parte della serie “Progetto Apocalisse”
Questo sermone mostra quanto siano fondamentali le scritture dell’Antico Testamento e i Vangeli per comprendere il libro dell’Apocalisse.
Leggiamo Apocalisse 1:1-3.
1 Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi schiavi le cose che devono presto accadere, e che egli comunicò mandando il suo angelo al suo schiavo Giovanni, 2 il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto: le cose che sono e quelle che devono accadere dopo di esse. 3 Beato chi legge e chi ascolta le parole della profezia e osserva le cose che sono scritte in essa, perché il tempo è vicino[1].
Introduzione – come tradurre il greco “ὃς ἐμαρτύρησεν τὸν λόγον τοῦ θεοῦ, καὶ τὴν μαρτυρίαν Ἰησοῦ χρι στοῦ ὅσα εἶδεν, και ἁτινα εισιν, και ἃ χρη γενεσθαι μετα ταυτα.” Io personalmente renderei Apocalisse 1:2 in questa maniera: “il quale rende testimonianza alla parola di Dio e alla testimonianza di Gesù Cristo che vide, e alle cose che sono e a quelle che devono accadere dopo queste”[2].
La scorsa volta ci siamo soffermati sull’inizio del versetto 2, ovvero su quell’”attesta” o “rende testimonianza”, vedendo come il termine greco qui utilizzato descriva l’operato di un testimone in un’aula di tribunale. Ricorderete – avevamo considerato una breve citazione dal commentario di Kendall Easley, nella quale egli confermava tale prospettiva. Ve la ripropongo: “Giovanni usa il linguaggio di un testimone giudiziale chiamato a comparire in un’aula di tribunale”[3].
Il termine greco μαρτυρέω (martyréo) ci indica, dunque, come il libro tratti di una causa giudiziaria pattizia. Nel capitolo 4 Giovanni fa la sua apparizione nell’aula di tribunale, convocato per intervenire ad un processo. Oltre all’apostolo, vi sono anche altri partecipanti: ulteriori testimoni, pubblici ministeri, giudici e vari operatori pronti ad applicare le pene. Nel capitolo 6, Giovanni apprende degli esiti della precedente causa giudiziaria portata avanti da Cristo stesso nei Vangeli. E questo spiega il motivo per cui vediamo i giudizi di quel processo già in corso a questo punto della storia.
Quindi, μαρτυρέω (martyréo) rappresenta un forte primo indizio dello spiccato carattere giuridico del libro dell’Apocalisse e di quello che abbiamo denominato il “dramma giudiziario”. Il resto del versetto 2, invece, mostra tutto ciò di cui la testimonianza di Giovanni tratterà. Consideriamolo ancora una volta, letto però secondo la resa che ne farei io traducendo direttamente dal greco: “il quale rende testimonianza alla parola di Dio e alla testimonianza di Gesù Cristo che vide, e alle cose che sono e a quelle che devono accadere dopo queste”, una traduzione – la mia – che cerca di rispettare la particolare grammatica greca ebraizzata utilizzata da Giovanni (con un kai, vale a dire quell’e congiunzione, che prevede una traduzione letterale).
Passiamo con ciò all’enunciazione del nostro tredicesimo presupposto.
Il principio n. 13 dice: si deve leggere il libro dell’Apocalisse alla luce dell’Antico Testamento e della causa giudiziaria pattizia di Gesù nei Vangeli (v. 2c – “il quale attesta [μαρτυρέω – martyréo] la parola di Dio e la testimonianza [μαρτυρίαν – martyrían] di Gesù Cristo”)
Nell’esporre questo principio ci concentreremo sulla proposizione “il quale attesta [μαρτυρέω – martyréo] la parola di Dio e la testimonianza [μαρτυρίαν – martyrían] di Gesù Cristo” – proposizione, questa, per la quale esistono fondamentalmente tre interpretazioni diverse.
La prima ha la sua ragione d’essere nel fatto che il segmento in questione sarebbe lì per segnalarci primariamente l’identità del Giovanni autore del libro. Quindi, secondo questo punto di vista, il libro sarebbe stato scritto semplicemente da colui che aveva precedentemente attestato l’Antico Testamento, come pure la testimonianza di Gesù in quanto autore del Vangelo di Giovanni.
La seconda interpretazione è simile a questa, ma, anziché avere come primo obiettivo quello di indicare l’autore, intende soprattutto dire che l’intero libro dell’Apocalisse è la testimonianza di Giovanni basata sulla parola di Dio (vale a dire l’Antico Testamento) e sulla testimonianza di Gesù Cristo (vale a dire le sue parole, le cause legali da lui condotte, nei Vangeli) – e questo è anche il mio punto di vista.
La terza interpretazione gira attorno al fatto di come l’intero versetto utilizzi modi diversi per descrivere una medesima cosa: la proposizione, quindi, vorrebbe semplicemente descriverci il libro dell’Apocalisse come essere Parola di Dio e testimonianza di Gesù – escludendo in tal modo la possibilità che il libro faccia riferimenti a rivelazioni precedenti. Non entrerò nel merito di tutti i noiosi aspetti interpretativi, ma permettetemi di sottoporre alla vostra attenzione almeno due delle considerazioni esegetiche[4] più interessanti che mi hanno convinto a non dar credito a quest’ultima interpretazione.
Innanzitutto, ogni altra volta in cui nel libro incontriamo le espressioni “la parola di Dio” e “la testimonianza di Gesù Cristo”, il riferimento a rivelazioni precedenti è sempre piuttosto chiaro. Ad esempio, nel versetto 9, vediamo un Giovanni esiliato sull’isola di Patmos “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo”. Moses Stuart a tal proposito fa notare: “Ora, non poteva essere lì perché aveva scritto e pubblicato l’Apocalisse; poiché questa fu scritta dopo che vi era andato”[5]. Stuart, facendo riferimento alla grammatica greca del versetto 9, mette in evidenza come le ragioni dell’esilio dell’apostolo sull’isola risiedessero proprio nelle due cose per le quali aveva precedentemente “reso testimonianza”, ovverosia “la parola di Dio” e “la testimonianza di Gesù Cristo”. Hort, fornendo alcuni passaggi biblici paralleli che supportano in maniera decisiva quella che è la mia interpretazione[6], dedica quasi un’intera pagina della sua opera presentando argomentazioni sulla stessa linea del collega. Io ve ne presenterò due.
La prima argomentazione dice pressappoco quanto segue: se la stessa identica proposizione nel suo contesto immediato si riferisce all’Antico Testamento e alla testimonianza che Gesù ha dato quando era ancora sulla terra, si potrebbe allora pensare che si debba riferire alla stessa cosa anche nel versetto 2. L’Apocalisse, in tal senso, sarebbe la testimonianza di una rivelazione precedente che Giovanni offre presso il tribunale celeste.
La seconda argomentazione ha, invece, a che fare direttamente con l’intero concetto di azione legale pattizia esaminato la volta scorsa. Le azioni legali pattizie, infatti, come già abbondantemente spiegato, sono sempre appelli a rivelazioni precedenti ignorate o violate dagli imputati di un processo. Non si viene chiamati nell’aula del tribunale di Dio per rispondere a capi di imputazione sulla base di norme dal valore retroattivo, quindi di leggi nuove applicate a fatti passati. Se una persona, una chiesa o una nazione viene citata in giudizio, è sempre per crimini commessi violando leggi già chiaramente stabilite nel passato ed accettate dalle parti. Ecco perché capiamo di avere a che fare con un Giovanni, testimone giudiziale, il quale porta evidenze sui modi in cui gli imputatati dei processi di questo libro hanno violato le rivelazioni del passato. Questa è, difatti, una delle funzioni principali di un profeta.
Quindi, per ribadire il principio interpretativo n. 13, “dobbiamo leggere il libro dell’Apocalisse alla luce dell’Antico Testamento e della precedente azione legale pattizia di Gesù nei Vangeli”. Non comprendendo l’Antico Testamento o la testimonianza di Gesù contro Israele nei Vangeli, beh, si perde moltissimo della sostanza dell’Apocalisse, di questo prezioso ultimo libro della Bibbia.
L’Antico Testamento nel libro dell’Apocalisse
Partiamo, quindi, dando un’occhiata veloce a quante citazioni ed allusioni l’Apocalisse faccia dell’Antico Testamento. Beale e Carson a tal proposito mettono in evidenza quanto segue: “È generalmente riconosciuto come l’Apocalisse contenga più riferimenti all’Antico Testamento di qualsiasi altro libro del Nuovo Testamento…”[7].
Alcune delle stime più prudenti sulla frequenza con la quale Giovanni “interagisce” con l’Antico Testamento indicano dati che attestano tra i 403 e 550 possibili riferimenti diretti. Il commentario di Van der Waal parla persino di circa 1000 allusioni all’Antico Testamento. Se, poi, nel conteggio si vanno ad includere anche i paralleli, allora alcune recenti ricerche informatiche mostrano addirittura più di 1500 riferimenti, tra paralleli ed allusioni. Ma la stessa cifra di 1000 (una cifra abbastanza realistica) sarebbe già alquanto sorprendente perché – badate bene – l’Apocalisse presenta un totale di soli 404 versetti. Avremmo, quindi, a che fare con una media di più di due allusioni per ogni singolo versetto.
In ogni caso, anche solo considerando la stima più bassa, di 403 citazioni, segnalataci da Beale e Carson, avremmo comunque a che fare con una frequenza allusiva veramente considerevole e noteremmo, tra l’altro, come circa il 63% di quei riferimenti provengano dai Profeti, il 13% dai primi cinque libri della Bibbia (la Legge) e il 24% dagli altri scritti. Praticamente tutti i commentari più recenti riconoscono come l’Apocalisse sia assolutamente satura della teologia, del linguaggio, della struttura e dei simboli dell’Antico Testamento. Sarebbe un compito semplicemente disperato tentare di comprendere questo libro senza prima aver seriamente esaminato ed approfondito tutto l’Antico Testamento che vi è alla base. E vi dirò – tra i commentari da me studiati nel corso degli anni non mancano opere che da questo punto vista latitano completamente, lasciandosi conseguentemente andare ad un’esegesi sfrenata e selvaggia.
Da quanto appena evidenziato ne deriva un’implicazione tanto interessante, quanto ovvia: la gente del Nuovo Patto è da ritenersi una gente ancora soggetta all’Antico Testamento – una gente che sarebbe improprio definire “cristiani del Nuovo Testamento” (come pure si usa fare molto spesso in alcuni circoli). “Cristiani della Bibbia intera” sarebbe un’etichetta di gran lunga più adatta e corretta.
Se, in realtà, l’Antico Testamento – come erroneamente asserito da molti – non ha grande rilevanza per il cristiano del Nuovo Patto, allora come si spiega un così massiccio numero di riferimenti a quella parte della Parola di Dio?
Una delle eresie sostenute da molti evangelici moderni è l’eresia del marcionismo, un’eresia della chiesa primitiva che rifiutava l’autoritatività dell’Antico Testamento per la chiesa. Ed è così che parecchi evangelici di oggi usano definirsi “cristiani del Nuovo Testamento”, come se identificarsi e limitarsi al Nuovo Testamento li rendesse in qualche maniera più puri, più apostolici. Ciò non ha davvero nessun senso. Gli apostoli insegnavano costantemente dall’Antico Testamento, trattandolo, in effetti, come se fosse la Bibbia della chiesa, per così dire. Quindi, se vogliamo essere apostolici, imitiamo meglio gli apostoli e valorizziamo l’Antico Testamento come si deve. Infatti, Paolo elogiò i bereani in Atti 17:11 per il loro confronto sistematico con l’Antico Testamento di tutto ciò che egli diceva ed insegnava – tutto. Non c’era una sola dottrina paolina che non fosse stata esaminata e comprovata alla luce degli scritti veterotestamentari. In Atti 26:22 Luca, riferendosi a Paolo, afferma di come non dicesse “nulla al di fuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire”. In altre parole, ogni cosa degli insegnamenti di Paolo era chiaramente radicata nell’Antico Testamento. Lui era un cristiano biblico “a tutto tondo” – non di certo un “cristiano del Nuovo Testamento”.
Considerate la cosa in questi termini: le uniche Scritture che la chiesa aveva a disposizione all’inizio – per i primi dieci anni circa, diciamo – erano quelle dell’Antico Testamento. Quei primi cristiani non potevano, dunque, essere “cristiani del Nuovo Testamento”, perché un Nuovo Testamento semplicemente non lo avevano. La prima data utile in cui il Vangelo di Matteo potrebbe essere stato scritto è il 40 d.C. (alcuni dicono il 49 d.C.), mentre Marco fu scritto poco dopo. Per circa 10 anni, quindi, i cristiani non hanno avuto a disposizione un solo libro del Nuovo Testamento – leggendo nelle assemblee l’Antico, da esso predicando ed evangelizzando.
Insomma, gli apostoli presumevano che la chiesa avesse grande familiarità con l’Antico Testamento – cosa che oggi purtroppo non si può certo dare sempre per scontata. Galati fu scritto nel 49 d.C.; 1 e 2 Tessalonicesi nel 51 o 52 d.C. Con questi libri, quindi, siamo a già più di 20 anni dall’ascensione di Cristo. 1 Corinzi risale al 54 d.C., 2 Corinzi al 55 d.C. e per Luca si deve attendere fino al 57 d.C. Efesini, Filippesi e Colossesi vennero nel 58 d.C., Atti fu scritto nel 62 d.C. o anche più tardi. Il Vangelo di Giovanni, insieme ad altri undici libri, risale soltanto al 64 o 65 d.C., ovvero 34 anni dopo la morte di Gesù; parliamo, dunque, di quasi un’intera generazione di cristiani senza il Nuovo Testamento al completo!
Alla luce di ciò, l’idea legata all’etichetta di “cristiano del Nuovo Testamento” non può che risultare del tutto sconclusionata. La Bibbia di quei cristiani – lo ripeto ancora – era l’Antico Testamento e nella sua Apocalisse Giovanni fa appello a quegli scritti per spiegare la necessità da parte di Dio di intentare una causa giudiziaria contro la chiesa, Israele e Roma. Giovanni dava per scontato che i lettori e gli ascoltatori del libro fossero abbondantemente capaci di individuare e comprendere con disinvoltura i suoi numerosissimi riferimenti alle scritture dell’Antico Testamento.
E se, oggi, anche il nostro sforzo andasse nella direzione di scoprire e far nostri quelli che sono i grandi temi dell’Antico Testamento, allora gran parte dei quesiti e dei dubbi legati all’Apocalisse troverebbe di certo una risposta sicura e soddisfacente. Per esempio, perché mai mettersi ad interpretare i “nuovi cieli” e “la nuova terra” dell’ultimo capitolo senza fare riferimento alle grandi profezie di Isaia proprio su quell’argomento? È chiaro che Giovanni, parlandone, dia per scontato di comunicare con gente esperta a tal riguardo. Beale dice: “Il libro di Daniele – il capitolo 7 in particolare – fornisce una fonte preziosa di materiale per Giovanni”[8]. E mostra, inoltre, come tutti i profeti e i libri dell’Antico Testamento siano magistralmente intrecciati con il testo dei 22 capitoli dell’Apocalisse. Beale dice: “Giovanni, nello scrivere l’Apocalisse, passa in rassegna l’intero Antico Testamento…”[9].
L’Apocalisse è pregna di Antico Testamento non solo per i contenuti, ma anche per quel che riguarda la sua struttura. Ad esempio, sebbene trattino di periodi di tempo diversi, Giovanni segue da vicino la struttura, il linguaggio e i temi di Ezechiele. E – capite bene – prendere visione di ciò aiuta non poco ad acquisire una buona comprensione del libro dell’Apocalisse. Giovanni, inoltre, imposta alcuni suoi capitoli seguendo il modello del libro di Daniele. L’immagine dei quattro cavalieri dell’Apocalisse è presa in prestito da Zaccaria. E, più in là nel corso della serie, vedremo come per quel che riguarda le immagini delle scene del giudizio, della tribolazione, della protezione divina per mezzo del marchio spirituale sulla fronte, delle battaglie, dell’apostasia e di tanti altri temi sia ben facile cadere in spiacevoli fraintendimenti quando il lavoro di analisi e interpretazione non considera il contesto di riferimento dell’Antico Testamento.
Leggere il libro dell’Apocalisse alla luce dell’Antico Testamento dev’essere dunque per noi un principio imprescindibile.
Ciò presuppone che la gente del Nuovo Patto sia una gente ancora soggetta alla legge dell’Antico Testamento
Facciamo adesso un ulteriore passo in avanti sconfinando in una tematica che solitamente causa grande scompiglio tra i cristiani di oggi: attestando Giovanni l’Antico Testamento in questo libro (cioè, essendo l’Apocalisse la sua testimonianza basata sull’Antico Testamento), allora egli presuppone che la gente del Nuovo Patto sia una gente ancora soggetta alla legge dell’Antico Testamento. Giovanni è difatti un teonomista. Egli non fa appello soltanto agli scritti storici e sapienziali, oltre che ovviamente ai profeti; non fa appello solo al simbolismo dell’Antico Testamento; Giovanni fa appello anche alle leggi di Dio come ancora vincolanti. Dopotutto, nell’ultimo sermone abbiamo visto che i concetti di patto, tribunale, cause e legge sono elementi che necessariamente vanno insieme formando un sistema coeso e coerente. Insomma, sarebbe inutile avventurarsi in cause giudiziarie senza poter far riferimento ad un forte e chiaro codice di leggi. La legge di Dio è alla base di tutto ciò che viene giudicato nel tribunale celeste in Apocalisse. Nessun altro standard di giudizio è ammissibile: essere trovati nella legge o al di fuori d’essa è il criterio unico e fondamentale.
Di versetti dalla Legge al quale Giovanni fa riferimento nella causa giudiziaria contro le sette chiese in Apocalisse 2 e 3 se ne possono contare ben quattordici (nel capitolo 2: i versi 2, 5, 6, 9, 14, 15, 16, 20, 21 e 22; nel capitolo 3: i versi 3, 8, 10 e 19). Ciò implica, quindi, che quelle chiese (“del nuovo Testamento”, sic!) non avrebbero dovuto respingere la legge. Di riferimenti diretti alla legge se ne hanno anche nella causa contro Israele (ad esempio, Ap. 9:20 e 21; 16:9 e 11; 17:2 e 4, ecc.); come pure nell’azione contro la bestia, Roma (ad esempio, Ap. 9:20; 13:5 e 6, 14, 15; 14:8-12; 17:2; ecc.). Ebbene, ciò sta ad indicare come l’ultimo libro della Bibbia, opponendosi evidentemente ad ogni antinomismo, ci riporti diritto alla legge di Dio. Insomma, i dibattimenti in aula e le prove giudiziarie contro gli imputati hanno il loro fondamento nella legge, come anche in tutto il Vecchio Testamento.
La testimonianza terrena di Cristo contro Israele
Ma Giovanni non rende testimonianza solo all’Antico Testamento. Nel verso 2 si dice che attesta anche la testimonianza di Gesù. La volta scorsa ho accennato che di Gesù si usa la stessa parola che di Giovanni. La parola testimone è μαρτυρέω (martyréo) e la parola testimonianza (cioè, quella di Gesù) è μαρτυρία (martyría). Anche Gesù porta la propria testimonianza in una causa giudiziaria pattizia. Ricorderete – già più volte ho citato il dizionario teologico The New International Dictionary of New Testament Theology, in cui viene ben spiegato come il Vangelo di Giovanni fosse esso stesso una causa giudiziaria intentata contro Israele. Questa chiave interpretativa ha fatto sì che la mia comprensione di Apocalisse 6 ne risultasse efficacemente amplificata. Il versetto 19 indica come a Giovanni venga assegnato l’incarico di scrivere su cose che sono già emerse dall’aula del tribunale, cose che stanno accadendo e cose che accadranno in seguito. Ebbene, il capitolo 6 dell’Apocalisse si concentrerà su alcune delle cose già avvenute come conseguenza degli esiti della precedente azione legale di Cristo contro Israele, di cui si legge nei Vangeli.
Ma ci sono ancora ulteriori paralleli da considerare. E mentre analizziamo ogni capitolo, collegando ogni passaggio con le parole della testimonianza di Cristo nel Vangelo di Giovanni e in altri Vangeli ancora, noterete che questi e gli scritti dell’Apocalisse sono quasi come commentari gli uni degli altri. Di certo è così che i Vangeli ci danno indizi interpretativi che ci aiutano moltissimo a comprendere l’ultimo libro della Bibbia. Giovanni nella sua testimonianza non fornisce materiale nuovo, inedito: in tribunale attesta anche il vecchio, vale a dire ciò che è stato – la parola di Dio (l’Antico Testamento) e la testimonianza di Gesù Cristo (i Vangeli).
Quindi, vediamo come i “guai” di Apocalisse 8-12 siano paralleli a quelli di Matteo 11 e soprattutto di Matteo 23 e le doglie di parto che conducono fino al 66 d.C. in Apocalisse 6 (che è il capitolo che tratta dei sigilli sul rotolo) siano perfettamente paralleli alle doglie di parto che conducono alla grande tribolazione in Matteo 24. Pensate, esiste un intero commentario dedicato alle correlazioni tra il solo Vangelo di Giovanni e l’Apocalisse. Ci sono davvero cose straordinarie che vengono alla luce prendendo visione di tali connessioni. Vorrei esporvi almeno due esempi.
Il primo riguarda i tempi (la cronologia) del capitolo 6. Questo capitolo tratta dei sei sigilli dei giudizi iniziali di Dio su Roma e Israele. E Beale e altri commentatori hanno dimostrato che l’intero capitolo è modellato sulla prima parte del discorso olivetano, registrato in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. E una volta che si è preso visione di quegli stretti paralleli, beh, non si può che escludere qualsiasi interpretazione futurista, perché quella parte del discorso in Matteo 24 tratta degli anni che precedono il 70 d.C.
Inoltre, quei paralleli vanno anche a correggere le visioni difettose di molti vecchi preteristi – spesso incappati in due ipotesi errate. Capiamo quali. La prima ipotesi sbagliata è questa: nei fatti concernenti la guerra contro Gerusalemme (detta anche “grande ira”) non vi sarebbe una sequenza storica, ma sono individuabili piuttosto solo sei istantanee della stessa. La seconda ipotesi è che tutte e sei queste istantanee riguardano l’intero periodo di tre anni e mezzo dal 66 al 70 d.C. I ricapitolazionisti commettono lo stesso errore. Il fatto è che proprio i paralleli tra il discorso olivetano e Apocalisse 6 non permettono tali conclusioni. Ma prima ancora di andare a esaminare la cosa più da vicino, lasciate che vi mostri alcuni indizi dal contesto immediato che si pongono decisamente contro la possibilità di interpretare Apocalisse 6 alla luce dei fatti riguardanti la guerra contro Gerusalemme, interpretazione – questa – piuttosto comune.
Considerate il versetto 10 del capitolo 6, nel quale vien detto: “Essi gridarono a gran voce: «Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sulla terra?»”. La chiara implicazione qui è che Dio non si è ancora mosso nel vendicare questi martiri. E il versetto successivo ne dà conferma. Questa non può essere la guerra dei sette anni (la “grande ira”), poiché sarà proprio quella guerra ad essere la vendetta di Dio per questi santi. Leggiamo il versetto 11: “E a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu loro detto che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro”. Beh, capite bene come “ancora un po’ di tempo” e “finché” siano entrambi chiari indicatore di una sequenza temporale, elementi di un linguaggio di una storia progressiva.
Ebbene, tutto ciò rappresenta una decisa indicazione di come il capitolo in questione tratti di una porzione di storia avvenuta prima della guerra contro Gerusalemme, quindi prima del 66. Dio qui non ha ancora risposto alla preghiera di quei santi che lo supplicano di giudicare Israele. E ciò è confermato dalla sequenza storica menzionata nel settimo sigillo del capitolo 8, quando la prima tromba suona e i giudizi cominciano a cadere proprio su Gerusalemme nell’ultima parte del 66 d.C. E non mancano nel testo ulteriori indizi sequenziali.
Ma anche sorvolando su quegli indizi temporali nel contesto (che molte persone trascurano completamente in ogni caso), Matteo 24 e i suoi paralleli sono sufficienti nel dar prova di come ognuna di queste cose trovi la propria realizzazione prima che i romani si accampino intorno a Gerusalemme in occasione della prima guerra giudaica. Queste cose vengono dette “principio di dolori” (Matteo 24:8). I credenti non sarebbero sfuggiti alla tribolazione, ma sarebbero sfuggiti alla “grande ira”, vale a dire al giudizio di Dio riversato su Israele con la prima guerra giudaica. Gli storici della chiesa primitiva, infatti, ci dicono che il residuo degli ebrei credenti lasciò Israele proprio nel 66 d.C. Quindi, in riferimento a questi credenti, piuttosto che di un rapimento “pre-tribolazione”, si dovrebbe parlare di una fuga “pre-giudizio” (o “pre-ira”) nella città di Pella.
Ma ciò che rende alcuni commentatori “ciechi” rispetto a questi indizi interpretativi è che sembrano loro incoerenti con altri presupposti che hanno in testa, quindi pericolosi per la tenuta dei loro personali sistemi di interpretazione. Dovete sapere – molti preteristi (così come pure molti dispensazionalisti) pensano che la “grande tribolazione” e la “grande ira” siano la stessa cosa. Ebbene, se fossero la stessa cosa, allora il discorso olivetano e l’Apocalisse sarebbero estremamente difficili da conciliare. E sarebbe ancora più difficile tracciarli cronologicamente. Ed è proprio la cronologia su cui molti preteristi e altri fanno una gran confusione. Il punto è che la grande tribolazione e la grande ira sono semplicemente eventi diversi e separati.
Più recentemente studiosi provenienti da campi diversi dal preterismo e dal dispensazionalismo stanno cominciando a riconoscere come la grande tribolazione sia solo contro i veri cristiani; mentre la grande ira solo contro gli ebrei apostati non credenti. Quindi, molti dispensazionalisti moderni hanno smesso di parlare di un rapimento pre-tribolazione. Riconoscono, invece, che i cristiani attraverseranno una grande tribolazione, proprio come dice Apocalisse 7:14. Pertanto, parlano adesso di un rapimento post-tribolazione e pre-ira. Ora, sbagliano sui tempi, sì; eppure, penso che stiano cercando con fatica di elaborare correttamente alcuni fatti incontrovertibili. E gli stessi fatti confusi che hanno portato ad una divisione a tre fra i dispensazionalisti (generando due versioni distinte di pre-tribolazionismo, contapposte al post-tribolazionismo) hanno causauto un simile scompiglio anche tra i preteristi a proposito di come le cose abbiano da essere sequenziate prima del 70 d.C.
Il fatto è che, non riuscendo a mettere in ordine la sequenza cronologica dei fatti di cui tratta l’Apocalisse sin dall’inizio, allora il modo in cui si andrà poi ad interpretare il libro ne risulterà decisamente ingarbugliato.
Ecco come mai, con molta calma e pazienza, stiamo investendo così tanto tempo nell’esposizione di questi principi interpretativi che Giovanni ci dà in questi primi undici versetti. Infatti, avrei semplicemente potuto offrirvi una panoramica del libro così da terminarlo in un numero di sermoni di gran lunga minore. Ma così facendo, avrei di certo lasciato tutta una serie di fastidiosi punti di domanda irrisolti. È per questo che, man mano che enuncio e spiego i principi interpretativi, approfondisco parallelamente anche varie parti del libro affinché possiate avere una piccola idea di come quei principi vadano applicati sugli scritti stessi dell’Apocalisse.
Il discorso olivetano e il libro dell’Apocalisse sono meravigliosamente sincronizzati. Comprendere la differenza tra tribolazione ed ira è fondamentale per la messa a punto della cronologia degli eventi. Confesso che occasionalmente commetto ancora l’errore di chiamare la grande ira, cioè la guerra di sette anni contro Gerusalemme o prima guerra giudaica, la grande tribolazione. Insomma, capisco come ci si possa confondere con l’uso di queste etichette. Cerchiamo, però, di fare attenzione: la grande tribolazione contro i cristiani è un evento ben diverso dalla grande ira che si scatenò successivamente contro Israele.
Cerchiamo di approfondire la questione.
Grande ira vs. grande tribolazione
La guerra della grande ira durò sette anni. Questi sette anni coincidono con la settantesima settimana di Daniele. La guerra inizia nel 66 d.C. e termina nel 73 d.C. Questa “settimana” è divisa in due periodi di tre anni e mezzo esattamente uguali. Il 3 agosto del 70 d.C., a tre anni e mezzo esatti dallo scoppio del conflitto, il tempio di Gerusalemme venne bruciato e distrutto. Vi è un’altra data ancora, successiva al 73 d.C. – anno che, come detto, segna la fine della guerra – che è importante considerare. Daniele dice che sarebbe bene aspettare oltre i 1290 giorni; dice, infatti, di aspettare 1335 giorni. Ebbene, questo è il numero esatto di giorni che trascorsero fino alla caduta dell’ultima fortezza giudaica di Masada, il 30 marzo del 74 d.C. – fortezza situata a circa 100 km a sud-est di Gerusalemme, nella quale si consumò l’ultimo tragico assedio romano ai danni degli ultimissimi strenui ribelli. In ogni caso, il grosso dei giudei era stato massacrato già tempo prima.
Comunque, sia il discorso olivetano che il libro dell’Apocalisse parlano di un numero enorme di giudei morti durante la guerra, così come anche di un numero enorme di cristiani morti prima della guerra. Occupiamoci prima dei giudei. Durante entrambe le metà di quel periodo di sette anni, i giudei che finirono ammazzati furono milioni.
Osservando i dati del censimento dell’Impero romano prima e dopo la guerra è possibile notare qualcosa di molto interessante. Diversi studiosi moderni hanno dimostrato come prima della guerra i giudei costituissero più del 10% della popolazione totale della parte occidentale dell’Impero e circa il 20% nella parte orientale. Formulando la media, si scopre come circa il 15% dell’intera popolazione dell’impero fosse costituita da giudei. Insomma, un dato, questo, piuttosto sorprendente. Alla fine della guerra dei sette anni, però, i numeri riguardanti la popolazione ebraica erano diventati abbastanza trascurabili. Milioni e milioni morirono durante gli anni della guerra: fu senza dubbio il più grande olocausto mai avvenuto nella storia di questo popolo. Capite bene, quindi, come un tale evento venga molto appropriatamente detto la “grande ira di Dio”. In 1 Tessalonicesi 2:16 Paolo critica i giudei perché si opponevano all’evangelizzazione dei gentili; nella seconda metà del verso leggiamo: “Colmano così senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira finale”. Da nessuna parte vediamo, invece, i cristiani dover affrontare tale ira: tutti i cristiani ebrei, infatti, fuggirono da Gerusalemme e scamparono durante l’intera guerra dei sette anni – ecco perché, riferendomi a loro, parlo più che altro di una fuga “pre-ira”.
Ma confrontiamo ora quel periodo di sette anni con la grande tribolazione. Da una parte abbiamo Dio, il quale ordina un periodo di ira di sette anni in quella che passerà alla storia come la “prima guerra giudaica”; dall’altra Satana, che – probabilmente cercando di sventare, di rovinare i piani di Dio – pare imitarlo architettando il proprio periodo di tumulto di sette anni, con l’obiettivo di annientare i cristiani ed affossare il cristianesimo. E, facendo ciò, pare voler giocare d’anticipo imbastendo la propria azione tre anni e mezzo prima della “grande ira di Dio”. Uno dei primi commentari all’Apocalisse, scritto da Andrea di San Vittore nel 1175, fa riferimento a un patto di pace tra Roma e Israele inteso a sterminare tutti i cristiani. Interessante, vero?
Perché mai Roma avrebbe dovuto prendersi la briga di stringere un simile patto con Israele? Pare cosa alquanto strana, no? Ebbene, abbiamo già visto che i giudei costituivano un segmento considerevole e piuttosto ricco della popolazione dell’Impero. Inoltre, la ricerca storiografica mostra come i giudei fossero estremamente influenti alla corte di Nerone. Sono molti gli studiosi a parlarne. Nel libro di Edward Gibbons, Declino e caduta dell’impero romano, egli afferma che i leader di Israele “avevano nel palazzo avvocati molto potenti”[10].
Nerone era sposato con Poppea, un’esponente giudaica molto influente della scena romana. Poppea aveva fatto sì che il marito si appassionasse in tal maniera al giudaismo, che una volta l’imperatore arrivò persino ad affermare che, se avesse perso il favore di Roma, avrebbe scelto Gerusalemme come sede del suo governo. Le persone spesso non si rendono conto del grado con cui la leadership giudaica controllasse la politica e i re del tempo. In ogni caso, che l’entourage di Nerone fosse composto da giudei, suoi amici, è cosa ben documentata. Nel libro di Ken Gentry, Navigating the Book of Revelation, egli mette insieme il lavoro di numerosi studiosi mostrando chiaramente che “la persecuzione di Nerone fu architettata dai giudei”. Vi sorprende una tale asserzione? Beh, ci sono prove di grande rilievo che la supportano e documentano.
E dopo il 62 d.C. i giudei stessi continuarono ad alimentare il fuoco di questa persecuzione. Quando scoppiò l’incendio a Roma nel 64 d.C. (probabilmente acceso per ordine di Nerone) ci fu un contraccolpo e l’imperatore temette per la sua vita, così Poppea e altri amici giudei gli consigliarono di attribuire la colpa ai cristiani, confezionando ogni tipo di scurrile propaganda contro i seguaci di Cristo. Quindi c’è una ragione per cui sia i Vangeli che l’Apocalisse mettono così tanta enfasi sull’ira di Dio contro Israele: perché i giudei furono gli artefici della grande tribolazione che quasi abbatté il cristianesimo. Ancor prima, Sadducei ed Erodiani erano già stati in combutta con Roma; ma questo nuovo patto negli anni 60 del I secolo ebbe effetti storici davvero catastrofici.
A Israele fu dato il pieno permesso di perseguitare ed uccidere i cristiani a partire dal 62 d.C., ma la situazione si surriscaldò ulteriormente nel 64 d.C. e poi ancora nel 66 d.C.: sembrava che tutti i cristiani sarebbero stati eliminati dalla faccia della terra. Leggendo gli storici romani si ha la netta sensazione di come questi rimasero grandemente stupiti dall’esagerata ferocia con cui un enorme numero di cristiani venisse selvaggiamente trucidato.
Quindi, andiamo adesso ad esaminare Apocalisse 6 fornendo alcune date ed informazioni che ne diano il giusto contesto storico. Il primo sigillo (o il primo cavaliere) nei versetti 1-2 rappresenta Cesare Augusto. Fu il primo imperatore a ricevere una corona. Sotto il suo governo l’Impero sperimentò una grande espansione. Il periodo della sua reggenza andò dal 27 a.C. al 14 d.C.[11].
Il secondo cavaliere è Tiberio, il più grande generale di Roma e successore di Augusto. Regnò dal 14 al 37 d.C. e dovette far fronte ad ogni tipo di conflitto civile all’interno dell’Impero.
Il terzo cavaliere è Caligola, imperatore di Roma tra il 38 e il 39 d.C. Mentre fingeva di essere il paladino della giustizia economica, in realtà saccheggiava l’Impero per la propria gratificazione.
Il quarto cavaliere è Claudio, sotto il cui regno un gran numero di persone morirono di fame a motivo di una gran carestia. Regnò dal 41 al 54 d.C.
Ma è sotto il quinto e il sesto sigillo che vediamo accadere la grande tribolazione. Nerone non cavalca un cavallo, perché, a differenza dei precedenti imperatori, che erano combattenti (in quanto famosi generali), fu più casalingo. Il quinto sigillo va dal 62 al 65 d.C. Il sesto sigillo tratta dei segni nei cieli e del terrore, sia tra i romani che tra gli ebrei, mentre il cielo viene aperto: tutti vedono la grande guerra tra Satana e Michele accadere nei cieli e gli storici riferiscono di voci di una moltitudine uscire fuori dal tempio e dire: “Ce ne andiamo da qui!”, vedendo la nuvola di gloria lasciare il tempio e dirigersi verso il monte degli Ulivi. Quei notevoli segni cosmici, elencati nei versetti dal 12 al 17, effettivamente avvennero nel giorno 21 del mese Artemesios del 66 d.C. – prima dell’inizio della prima guerra giudaica.
Immediatamente Dio dà comando agli angeli di segnare con un sigillo tutti i veri credenti in Israele nel capitolo 7, così da conferire loro la Sua protezione. E gli angeli segnano esattamente 12.000 credenti da ciascuna delle dodici tribù (con una tribù apparentemente priva di eletti sopravvissuti da dover essere salvati a questo punto della storia). Quindi i versetti 1-8 del capitolo 7 mostrano quello che potremmo denominare un “esodo pre-ira” dei credenti ebrei appena prima che le trombe inaugurino i propri giudizi nel capitolo 8. E anche questa fuga ebbe luogo nel 66 d.C.
Vediamo, dunque, come il capitolo 8 inizi proprio con lo sfogo dell’ira di Dio su Israele: è Roma ad essere usata come strumento di vendetta nei confronti di Israele, il quale negli anni precedenti aveva fatto sì che l’Impero iniziasse l’efferata persecuzione mondiale di tutti cristiani. Fatto fallire quel feroce tentativo satanico di completo sterminio, Dio adesso fa sì che Roma stessa si rivolti contro Israele per divorarla. E la maggior parte dei capitoli da 8 a 19 parla proprio di questo, con Apocalisse 13 e 17 che mostrano a quale gioco azzardato si fosse data la meretrice nel cavalcare una bestia tanto feroce. Si tratta di immagini straordinarie, come vedremo.
Ma torniamo per un attimo al capitolo 7 e soffermiamoci in particolar modo sul versetto 9. Questo inizia con la descrizione di un diverso gruppo di credenti: i martiri di tutto il mondo, la cui vita, a differenza di quella dei cristiani ebrei della fuga pre-ira, non fu risparmiata. Leggiamo il verso: “Dopo queste cose guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano”.
Ecco, sono questi martiri a rappresentare le vittime della grande tribolazione, una feroce persecuzione avvenuta su scala mondiale, durante la quale un massiccio numero di persone di tutto il mondo convertitesi al cristianesimo venne ucciso – numero che Giovanni dice impossibile da poter contare per un essere umano. Milioni e milioni di cristiani morirono sotto Nerone in quella che fu la più grande persecuzione cristiana dell’intera storia.
Ad ogni modo, al versetto 14 dello stesso capitolo è direttamente l’angelo a svelare a Giovanni l’identità di queste persone. Leggiamo il verso: “Io gli risposi: «Signor mio, tu lo sai». Ed egli mi disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione. Essi hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello”.
Quindi, se questi sono coloro che morirono durante la grande tribolazione (o quella che alcuni chiamano la tribolazione di Nerone), allora conseguentemente la seconda metà di questo capitolo non può che essere datata dopo il 68 d.C., vale a dire quando Nerone muore e la persecuzione finisce. Ne deriva, quindi, che i versetti 1-8 risalgono al 66 d.C. e il versetto 9, dicendo: “Dopo queste cose…”, indica un tempo successivo al 68 d.C. Ma nel capitolo 8 si torna a descrivere i sigilli, il che ci riporta al punto in cui terminava il capitolo 6: cioè, nuovamente al 66 d.C. Insomma, notate come ci sia una sorta di alternanza tra passaggi che si riferiscono alla tribolazione e passaggi che si riferiscono all’ira.
Ecco adesso un punto importante da tenere a mente: ogni volta che i Vangeli e l’Apocalisse adoperano il termine “tribolazione”, descrive la persecuzione di veri credenti. Parliamo, quindi, di una cosa molto diversa dalla grande ira. L’apparizione di Cristo nel cielo dà inizio alla grande ira (o alla guerra di sette anni contro Gerusalemme), ma pone fine alla grande tribolazione – almeno per come era stata sperimentata dai cristiani in Israele.
Quindi, la manifestazione di Cristo nel cielo, vista sia dagli ebrei che dai romani, rovina i piani di Satana: la grande tribolazione viene così interrotta, altrimenti nessun cristiano sarebbe sopravvissuto. Gesù disse in Matteo 24:22: “Se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a motivo degli eletti, quei giorni saranno abbreviati”. Cosa intende per “abbreviati”? Ebbene, Nerone aveva in serbo sette anni di feroce sterminio, ma quando si rivoltò contro Israele nel 66 d.C. (proprio nel bel mezzo di quel periodo di sette anni), ciò interruppe la persecuzione in tutta l’area intorno ad Israele. E quando poi l’imperatore infine morì nel 68 d.C., allora la persecuzione dei cristiani si interruppe anche in tutto il resto dell’Impero.
Andiamo adesso ad esaminare Matteo 24 cercando di ripetere l’operazione appena fatta anche lì: vi individueremo i riferimenti e le differenze tra la grande tribolazione e la grande ira. I versetti da 4 a 8 trattano della storia che va fino al 62 d.C., quel tempo che viene detto “principio di dolori”.
Il versetto 9 dice: “Allora vi getteranno in tribolazione e v’uccideranno…” E la parola “tribolazione” ricorre in questo capitolo anche nel versetto 21 e 29, riferendosi esclusivamente alla persecuzione scatenata da Nerone nei confronti dei credenti. Quindi i versetti da 9 a 14 parlano della grande tribolazione.
Invece, i versetti da 15 a 20 rappresentano i tentativi dei credenti di sfuggire all’imminente giudizio di Dio su Gerusalemme, ovvero la Sua “grande ira”. E i versetti 20-21 dicono: “Pregate che la vostra fuga non avvenga d’inverno né di sabato; perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non v’è stata dal principio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà.” Beh, pensateci: quando nella parte iniziale del 66 d.C. questi credenti fuggono dalla grande ira che è in procinto di scatenarsi, la grande tribolazione è ancora in corso lì attorno e nel resto dell’Impero – ed è questa a cui si riferiscono i versi 20 e 21; ma i versetti da 15 a 20 parlano chiaramente della guerra, della grande ira.
E poi i versetti da 21 a 26 tornano a parlare della tribolazione perché la guerra da cui stanno fuggendo non è ancora iniziata. Il versetto 27 dice: “Infatti, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo”, un verso questo che si riferisce chiaramente all’inizio della guerra contro Gerusalemme (66 d.C.) e che i testimoni oculari del I secolo descrissero esattamente così. Cristo e i Suoi eserciti non vennero sulla terra (come accadrà alla Seconda Venuta), ma furono visti nel cielo. Quegli scontri avvennero nel cielo e i cavalli di fuoco, i carri e i battaglioni angelici vennero descritti dai cronisti come lampi. Ad ogni modo, proprio questa manifestazione del versetto 27 (documentata sia dai romani che dai giudei) anticipa l’arrivo degli stendardi con le aquila dell’esercito romano (il versetto 28, infatti, dice: ”Dovunque sarà il cadavere, lì si raduneranno le aquile”).
Quindi, ricapitolando in maniera schematica, i versetti da 9 a 14 trattano della grande tribolazione. I versetti da 15 a 20 trattano della fuga dalla grande ira che si abbatte su Israele. I versetti da 21 a 26 “tornano” alla grande tribolazione. I versetti da 32 a 34, invece, dicono che tutto sarebbe accaduto entro 40 anni dal momento in cui Cristo proferisce tali parole, vale a dire entro una generazione – dal 30 d.C. al 70 d.C.
In futuro approfondiremo tutti questi versetti in modo più dettagliato. Già adesso, però, vorrei mostrarvi più da vicino i versetti da 29 a 31, poiché rafforzano ciò che abbiamo precedentemente visto in Apocalisse, ovverosia la manifestazione di Cristo nel cielo. Non la Seconda Venuta alla fine della storia (di cui trattano i versetti dal 35 fino alla fine del capitolo 25), ma semplicemente quella manifestazione nel cielo che avviene dopo la tribolazione (non prima!) ed inaugura la grande ira e la prima guerra giudaica. Proprio come Apocalisse 6 e 7 forniscono indizi interpretativi importanti, il versetto 29 ne presenta uno fondamentale. Prestate attenzione alle prime due parole di questo passaggio.
Leggiamo, quindi, in Matteo 24, dal verso 29 al verso 31:
Subito dopo la tribolazione di quei giorni [vedete, come già detto, in Israele la tribolazione, a causa dello scoppio della guerra, finisce prima che altrove e cioè già nel 66 d.C.; ecco perché qui viene detto “subito dopo la tribolazione di quei giorni”: è questo indicatore temporale l’importante indizio al quale mi riferivo poc’anzi], il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli.
C’è stato uno storico romano che nelle sue cronache riporta di aver visto per davvero persone sollevarsi da terra. Ora, i Preteristi parziali hanno due diverse interpretazioni di questa raccolta degli eletti ad opera degli angeli. La maggior parte la considera essere semplicemente la raccolta evangelistica, vale a dire le conversioni raggiunte attraverso il Grande Mandato. Ma io personalmente la considero come il completamento della prima resurrezione: il primo raccolto di tutti i santi morti fino a quel momento. Le primizie (di quella prima resurrezione) avvennero nel 30 d.C. e il pieno raccolto dell’orzo o la prima resurrezione avvenne durante la guerra giudaica. La seconda resurrezione o la raccolta del grano avverrà, invece, alla fine della storia. Nel futuro mi impegnerò nel citare diversi storici dei primi secoli, sia ebrei che romani, che descrivono proprio questo avvenimento. Adesso ci manca il tempo per farlo e, in ogni caso, non rappresenta il punto focale di questa esposizione.
Quanto tenevo a trasmettervi è stato principalmente questo: è fondamentale interpretare l’Apocalisse alla luce sia dell’Antico Testamento che delle parole di Cristo nei Vangeli. È un po’ come completare un enorme puzzle ricercando le giuste tessere da incastrare le une con le altre. E – capite bene – sarebbe una sfida estremamente frustrante quella di cercare di mettere insieme l’intera immagine del puzzle evitando ben 4/5 delle tessere totali (cioè, l’Antico Testamento e i Vangeli). Quindi il principio esaminato quest’oggi, il numero 13, vuole motivarci a disporre di tutte le tessere del puzzle sistemandole ordinatamente sul tavolo, così da prendere confidenza dapprima con le immagini che si vanno delineando piano piano sui bordi, poi con i colori e i temi generali e, infine, con i dettagli più minuti. Ecco, quindi, che secondo questa metafora, passando in rassegna questi principi interpretativi, è come se stessimo faticosamente dotando l’immagine del puzzle dei suoi bordi. E una volta finito il versetto 11 e completata la cornice, beh, potremo procedere in maniera molto più spedita nel definire i soggetti centrali e tutti i dettagli.
Vorrei concludere ricordandovi che dobbiamo essere “cristiani dell’intera Bibbia”. È l’Apocalisse stessa a richiedercelo spingendoci ad acquisire familiarità con l’intera collezione del canone biblico. Se il principio interpretativo n. 5 è vero, ossia che Dio intende l’Apocalisse come accessibile ad ogni credente, e se il versetto 3 si aspetta davvero che ogni credente, leggendo o ascoltando le parole di questo libro, capisca ed obbedisca, allora ciò implica che abbiamo da leggere l’intera Bibbia, non solo il Nuovo Testamento. Sì, fino a un certo punto si può pure contare sul fatto che i nostri insegnanti lo facciano per noi, ma nulla può sostituire la lettura, l’ascolto, la memorizzazione e l’immersione diretta e personale nella Parola di Dio. E possa il Signore concedervi grande discernimento e comprensione mentre vi impegnate in ciò, permettendovi di crescere sempre di più. Amen!
Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_2bexp?utm_source=kaysercommentary.com
[1] Questa è una traduzione basata sul testo “maggioritario” di Wilbur Pickering.
[2] Si noterà che mi sono discostato dalla punteggiatura di Pickering, poiché questa non è originale. Le traduzioni possono essere raggruppate in tre categorie, ognuna delle quali è una possibile traduzione, giacché la parola και può essere tradotta come “e”, “anche” o “sia… sia/sia… che” (quando seguita da un secondo και). Ecco perché è facile che si verifichino differenze di traduzione. Io ho optato per la traduzione più coerente con il greco ebraico di Giovanni.
[3] Kendall H. Easley, Revelation, ed. Max Anders, vol. 12 del Holman New Testament Commentary. Accordance electronic ed. (Nashville: B & H Publishing Group, 1998), 12.
[4] Eccovi ulteriori considerazioni esegetiche: 1) la particolare grammatica greca ebraizzata utilizzata da Giovanni, invece di un kai col significato di “anche” o “cioè”, prevede una traduzione con “e”. (Vedi nota precedente.); 2) l’argomentazione dettagliata di Moses Stuart, secondo cui questa è una proposizione esplicativa che ha l’obiettivo di descrivere quanto Giovanni stesse scrivendo, contribuisce ad avvalorare la mia tesi. Si tratta, quindi, dello stesso Giovanni del Vangelo di Giovanni, nel quale seguì l’azione legale pattizia di Gesù facendone la cronaca. E la domanda sorge spontanea: “Il Vangelo di Giovanni stesso è da vedersi come un precedente procedimento giudiziario pattizio?” La risposta è chiara: “Sì”. Il dizionario teologico, The New International Dictionary of New Testament Theology, dice: “La collocazione originale del gruppo di parole nel mondo greco è chiaramente la sfera giuridica. I testimoni sembrano portare prove in un processo riguardo ad eventi ormai passati…”. Sempre nello stesso dizionario è possibile leggere:
Il Quarto Vangelo fornisce lo scenario per una delle più durature controversie nel Nuovo Testamento. Qui Gesù è in causa con il mondo. I suoi testimoni includono Giovanni Battista, le Scritture, le parole e le opere di Cristo, e più tardi la testimonianza degli apostoli e dello Spirito Santo. A loro si oppone il mondo, rappresentato dagli ebrei non credenti. Giovanni ha una causa da presentare, e per questo avanza argomentazioni, pone questioni giuridiche e presenta testimoni alla maniera della Grande Assemblea dell’Antico Testamento.
Capiamo, quindi, come pure il Vangelo di Giovanni rappresenti, come l’Apocalisse, un’azione legale pattizia (intentata contro Israele).
[5] Moses Stuart, Commentary on the Apocalypse, volume two (New York: Van Nostrand & Terrett, 1851), p. 9.
[6] F. J. A Hort, The Apocalypse of St. John 1–3, ed. W. Sanday e P. H. L. Brereton, Hort Commentary on Romans, Ephesians, 1 Pietro 1:1–2:17 e Apocalisse 1–3. Zondervan/Accordance ed. elettronica. (Altamonte Springs: OakTree Software, 2006), n.p. Egli riassume le prove dicendo: “…è inverosimile, dico, che qui διά debba essere prospettico, per ricevere (o per proferire) la parola e la testimonianza, insieme ad un cambiamento totale del carattere della parola e della testimonianza. Il parallelismo del linguaggio lascia praticamente certo che, come quegli altri uomini erano stati trucidati perché fedeli alla parola e alla testimonianza, anche Giovanni si ritrovò confinato a Patmos perché fedele alla parola e alla testimonianza: in altre parole, egli fu bandito per la testimonianza che aveva reso.” Che si tratti o meno di un riferimento diretto ai motivi che lo portarono all’esilio, trattasi in ogni caso di una testimonianza precedente, avente almeno lo stesso carattere di quella che causò il suo esilio.
[7] G. K. Beale e D. A. Carson (a cura di), Commentatry on the New Testament Use of the Old Testament, (Grand Rapids: Baker, 2007), p. 1082.
[8] Beale and Carson, p. 1082.
[9] Ibid, p. 1082.
[10] Edward Gibbon, The Decline and Fall of the Roman Empire, volume 1:16.
[11] N.d.T. – Nel 31° sermone della serie, I quattro cavalieri dell’Apocalisse: introduzione, noterete come il Dr. Kayser – non mancando di mostrare una buona dose di umiltà – avrà cambiato la propria opinione sull’identità dei quattro cavalieri: invece che con Augusto, inizierà con Tiberio. Il Dr. Kayser chiarirà come, sebbene entrambi le posizioni abbiano i loro sostenitori, nuove prove da lui considerate gli sembrino indicare con maggiore forza un inizio nel 30 d.C. (Gesù apre i sigilli del rotolo proprio in quell’anno). In seguito, provvederà a fornire maggiori dettagli e spiegazioni a tal riguardo; ma prima del 31° sermone, si riferirà ad Augusto come primo cavaliere ancora un paio di volte. La sostituzione di Augusto con Tiberio, in ogni caso, non rappresenta un cambiamento che compromette in nessuna maniera la bontà delle prossime esposizioni: ha come effetto principale solamente quello di aumentare gli anni di ogni cavaliere – senza intaccare la sostanza del sistema interpretativo generale. Inoltre, le implicazioni di tale modifica per il lavoro di analisi ed interpretazione dopo il versetto 8 saranno pressoché nulle.