Ascolta l'audiolibro:

Una tolleranza empia – Parte 2

Di Phillip G. Kayser, sermone del 22/11/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Nel sermone di oggi proseguiremo l’esposizione avviata nella precedente occasione. Nella prima parte, il dottor Kayser ha illustrato il problema rappresentato dallo spirito di Jezebel; stavolta, invece, si soffermerà sulle soluzioni offerte dal testo. È Gesù stesso ad essere pienamente equipaggiato e determinato nell’affrontare le Jezebel e gli Acab e, mediante la sua autorità e il suo potere, anche noi abbiamo la possibilità di essere degli Elia al suo servizio.


Rileggiamo Apocalisse 2, versi da 18 a 29:

18 E al messaggero della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi come fiamma di fuoco e i piedi come bronzo fino: 19 “Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime. 20 Tuttavia, ho contro di te che tu tolleri tua moglie Jezebel, che si dice profetessa e insegna e inganna i miei schiavi inducendoli a fornicare e a mangiare cose offerte agli idoli. 21 Le ho anche dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. 22 Ecco, io la getto in un letto di sofferenze e quelli che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, a meno che non si ravvedano delle opere che ella compie. 23 E farò perire con la morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono Colui che investiga le menti e i cuori, e renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere. 24 Ma agli altri di voi, in Tiatiri, a quanti non hanno questa dottrina e non hanno conosciuto le profondità di Satana, come essi le chiamano, io dico: non vi impongo alcun altro peso; 25 ma tenete fermamente ciò che avete finché io venga. 26 Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni; 27 le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta, 28 con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio; e darò a lui la stella del mattino. 29 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”[1].

Introduzione

La scorsa volta abbiamo analizzato le caratteristiche distintive di Jezebel. Abbiamo visto come essa sia governata da spiriti religiosi che operano sentendosi a proprio agio in un ambiente comunitario improntato alla devozione e alla consacrazione, come emerge chiaramente dal versetto 19. La chiesa di Tiatiri, infatti, non era per nulla una comunità spiritualmente debole. Anzi, sotto certi aspetti, era persino superiore a quella di Efeso. Quest’ultima, sì, si distingueva per solidità dottrinale e per la sua dedizione alla santità, ma mancava d’amore. Tiatiri, invece, traboccava d’amore, possedeva un ministero vivace, una fede capace di aspettarsi grandi cose da Dio, una notevole costanza e numerose opere buone. Dal versetto 19 apprendiamo che, con il tempo, questa chiesa si era impegnata in un numero sempre crescente di ministeri. Per molti aspetti, dunque, si trattava di una comunità eccellente.

Eppure, nonostante questi punti di forza, al suo interno si annidava una pericolosa tolleranza: una Jezebel era libera di agire senza ostacoli al suo interno. Analizzando il profilo di questa figura, abbiamo constatato quanto essa rappresenti una presenza demoniaca estremamente difficile da individuare, smascherare ed estirpare. E anche quando la sua influenza viene riconosciuta, la reazione ostile che Jezebel scatena, sostenuta dai suoi seguaci più devoti, porta molti a desistere. È proprio questo il senso del verbo “tollerare” nel versetto 20. Come accennato, non è che il messaggero della chiesa di Tiatiri approvasse il comportamento di sua moglie: semplicemente lo sopportava. La dura reazione che probabilmente aveva dovuto subire nel tentativo di affrontare i peccati di lei lo aveva intimorito e scoraggiato oltremodo.

Abbiamo pure visto come il termine greco per “tollerare”, ἀφίημι (aphíēmi), suggerisca che quest’uomo sperasse di scaricare la “patante bollente” a qualcun altro. Ad ogni modo, egli stesso non era disposto ad esporsi ulteriormente. Questa sua passività nella leadership lo rende assimilabile ad Acab, il quale, non a caso, forma con Jezebel una “roccaforte demoniaca” in cui entrambe le figure si completano a vicenda. In una simile dinamica, il vero ministero pastorale, fondato sulla potenza dello Spirito, viene gradualmente sostituito da un ministero puramente esteriore, che si basa eccessivamente sulle capacità umane.

E devo ammettere come, nei primi anni del mio servizio, anche a me sia capitato di svolgere gran parte del mio lavoro confidando più sulle mie forze che su quelle soprannaturali di Dio. Pur impiegando gli strumenti, i metodi e la Parola di Dio, affrontavo il ministero con una dipendenza eccessiva dalle mie capacità personali. Tuttavia, tornerò su questo punto a breve.

Prima di procedere oltre, desidero ripassare rapidamente l’elenco dei 15 tratti distintivi di Jezebel, che abbiamo approfondito nella Parte 1:

  1. È una figura con un forte impulso a controllare il proprio ambiente e le persone che la circondano.
  2. Quando ne ha l’opportunità, indebolisce o attacca i suoi avversari per consolidare la propria influenza e il proprio potere.
  3. La sua mente è avvolta da un velo di autoinganno così potente che persino gli argomenti più solidi non riescono a scuoterla o a turbarla. Chiunque cerchi di aiutarla o fronteggiarla si scontra con un possente muro di resistenza. Solo un intervento divino può demolire questa “roccaforte” ed è proprio per questo che viene definita tale: per abbatterla è necessaria una vera e propria guerra spirituale.
  4. Possiede una straordinaria capacità di giustificare e razionalizzare l’errore e il peccato.
  5. Riesce spesso a prevalere nei dibattiti, anche quando è chiaramente in torto.
  6. Sebbene non sia una regola assoluta, questo spirito si manifesta prevalentemente in una donna.
  7. Generalmente, si tratta di una donna che ha subito profonde ferite in giovane età e porta con sé un carico di traumi e cicatrici. Molti dei suoi comportamenti peccaminosi, abilmente sfruttati da forze demoniache, nascono proprio come “meccanismi di difesa” atti a gestire le sue sofferenze.
  8. È una leader estremamente dotata.
  9. Manifesta spesso una gelosia intensa ed irrazionale.
  10. Proietta un’aura di certezza nel conoscere la volontà di Dio per gli altri. Talvolta questa presunta intuizione si manifesta come una vera e propria chiaroveggenza di origine demoniaca; altre volte si tratta semplicemente di mera manipolazione.
  11. Ha bisogno del sostegno, diretto o indiretto, di un Acab. Dove vi è una Jezebel, vi è sempre anche un Acab, e questi due finiranno inevitabilmente per operare insieme contro un Elia, (anche se l’Acab potrebbe non sentirsi del tutto a proprio agio nel farlo).
  12. È uno spirito religioso che si trova perfettamente a proprio agio nel lavorare all’interno di una chiesa.
  13. È caratterizzata da un forte narcisismo.
  14. Assume il ruolo della vittima anche quando è lei a martorizzare gli altri.
  15. Sovverte l’ordine familiare e, così facendo, genera altri suoi simili, proprio come la Jezebel originale trasmise il suo spirito a sua figlia Atalia.

Questi punti delineano i tratti fondamentali che emergono dai racconti dell’Antico Testamento, in particolare nei libri di 1 e 2 Re.

Dalla lettera alla chiesa di Tiatiri in Apocalisse 2 emergono diversi tratti caratteristici di Jezebel: alcuni vengono illuminati sotto una nuova prospettiva, mentre altri si aggiungono al quadro già delineato. Sappiamo, ad esempio, che Acab era intimorito da sua moglie e che Elia provava una profonda frustrazione nei suoi confronti, così come anche lei nei confronti del profeta. Inoltre, le Jezebel utilizzano molteplici strategie per guidare o influenzare gli uomini attraverso l’insegnamento.

A questo proposito, vorrei cogliere l’occasione per chiarire un punto sollevato la volta scorsa. Alcuni di voi si sono chiesti se sia corretto che le donne trasmettano informazioni teologiche ai propri mariti o ad altri uomini. La risposta è assolutamente affermativa: la Bibbia offre numerosi esempi che confermano questa possibilità, e il versetto 20 di Apocalisse 2 non deve in alcun modo essere interpretato come un divieto per le donne di condividere conoscenze in ambito teologico. Al contrario, sarebbe auspicabile un dialogo più intenso su questi temi, poiché ogni relazione sana dovrebbe essere caratterizzata da uno scambio profondo ed arricchente. Tuttavia, il termine greco utilizzato in questo versetto per “insegnare” ha un significato specifico: non si riferisce semplicemente alla trasmissione di informazioni, ma indica un ammaestramento finalizzato a guidare, dirigere, orientare e formare. È proprio questo tipo di insegnamento che Paolo nega alle donne.

Ad ogni modo, il versetto 20 ci mostra come Jezebel inganni e trasmetta indicazioni errate, prendendo di mira i servi di Cristo. Inoltre, manifesta inclinazioni antinomiste e tende a confondere con astuzia il confine tra vera pietà e idolatria. Il versetto 21 rivela come Jezebel non fosse in grado di riconoscere il proprio errore, mentre il versetto 24 la identifica chiaramente come una “roccaforte demoniaca”, poiché si era spinta ad esplorare le profondità di Satana (almeno tanto quanto un credente possa fare).

Insomma, non sorprende, dunque, che alcuni pastori scelgano di non occuparsi di casi che coinvolgono tali individui: essi appaiono inflessibili, refrattari a qualsiasi aiuto e, di conseguenza, casi irrecuperabili che rischiano solo di far perdere tempo ed energie. L’esito più comune, alla fine, è la mera sopportazione, una tolleranza passiva. Tuttavia, questa non rappresenta affatto una soluzione adeguata al problema; anzi, il principale rimprovero di Cristo alla chiesa di Tiatiri riguarda proprio tale tolleranza empia – contraria al dettato scritturale.

Se portare una Jezebel al pentimento appare un’impresa senza speranza, come sostengono molti pastori, cosa si può fare? Analizzando i restanti versetti del brano iniziato la volta scorsa, metteremo in evidenza due aspetti fondamentali.

Il primo è la certezza che Gesù stesso è pienamente equipaggiato e determinato nell’affrontare Jezebel e Acab. Per noi queste figure possono risultare esasperanti, ma non per Cristo, che sa esattamente come agire. Se, però, non operiamo nella potenza e nel ministero dello Spirito Santo e nell’autorità che deriva dalla nostra unione con Cristo, continueremo a fallire e a sentirci scoraggiati.

Il secondo aspetto è la consapevolezza che possiamo essere equipaggiati per agire come Elia, anziché come Acab. È importante chiarire che questo non implica una garanzia di successo nella risoluzione di ogni problema legato a Jezebel—persino Elia, infatti, non riuscì pienamente in tale impresa. Tuttavia, ho visto chiese che, operando nei doni dello Spirito e camminando nella potenza di Cristo, hanno demolito questa fortezza, portando Jezebel al pentimento. Insomma, la restaurazione può essere il frutto di tali battaglie e, quando si realizza, diventa motivo di grande gioia.

Eppure, anche quando ciò non avviene, la vittoria è possibile, e più avanti spiegherò in che modo. Ciò che conta è comprendere che Elia non ricorse ad armi carnali: le sue armi erano potenti in Dio per abbattere fortezze ed ogni ostacolo elevato contro la conoscenza di Dio. E fu vittorioso, pur dovendo incassare e sopportare duri colpi.

Siate certi di come Gesù sia attrezzato e risoluto nell’affrontare Jezebel e Acab

Bene – detto ciò, volgiamo subito lo sguardo a Cristo, alle sue parole e alle sue azioni.

Molti commentatori sottolineano come il riferimento al “Figlio di Dio” nel versetto 18 derivi dal Salmo 2 e come anche i versetti 26 e 27 contengano un’ampia citazione e applicazione dello stesso Salmo. Sembra dunque che il Salmo 2 domini la scena del messaggio di Cristo alla Chiesa.

Come ricorderete, uno dei principi fondamentali per interpretare correttamente questo libro è il suo stretto legame con l’Antico Testamento. Giovanni, nell’Apocalisse, fa costanti riferimenti ai testi veterotestamentari ed è essenziale approfondirne il contesto per comprendere appieno il significato di un determinato passaggio. Per questo motivo, soffermarci sul Salmo 2 risulta di grande importanza. Diamo dunque uno sguardo rapido al suo contenuto.

Questo Salmo si apre descrivendo le cospirazioni demoniache volte a sovvertire la legge di Cristo e il suo governo. Per un’analisi approfondita e dettagliata dei primi versetti, vi consiglio vivamente la lettura del libro di Gary North, Conspiracy: A Biblical View. Esiste una forza demoniaca che agisce dietro le cospirazioni politiche della storia: è lo spirito supremo di Jezebel all’opera nella sfera politica, il risultato della collaborazione tra Jezebel e Acab. L’inizio di questo Salmo, dunque, illustra la devastante influenza che una Jezebel politica può esercitare su una nazione.

Ma davvero Dio può esserne turbato? Assolutamente no! Anzi, i tentativi dell’uomo di spodestare Cristo dal suo dominio sono talmente vani che Dio stesso ne ride. È quasi paradossale pensare che questi presunti sovvertitori dell’ordine divino si illudano di poter strappare il controllo dalle mani di Gesù. I versi 4 e 5 lo esprimono chiaramente: “Colui che siede nei cieli riderà, il Signore si farà beffe di loro. Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo grande sdegno li spaventerà”.

Così come la Jezebel di Tiatiri dovrà affrontare il giudizio di Cristo, anche i cospiratori e i manipolatori menzionati nel Salmo 2 subiranno l’ira e lo sdegno di Dio. Il Salmo prosegue con il versetto 6: “E dirà: «Ho insediato il mio re sopra Sion, il mio santo monte…»”. Il re di cui si parla è, ovviamente, Gesù: egli governa, siede sul trono e detiene ogni potere in cielo e sulla terra. Le Jezebel che tentano di usurpare illegittimamente la sua autorità non possono competere con lui, questo è certo.

I versetti da 7 a 9 proseguono dicendo: “Dichiarerò il decreto dell’Eterno. Egli mi ha detto: «Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato. Chiedimi, e io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione. Tu le spezzerai con una verga di ferro, le frantumerai come un vaso d’argilla»”.

Un aspetto particolarmente interessante è che, in Apocalisse 2, vediamo Gesù applicare questo versetto al problema di Jezebel all’interno della chiesa. Perché mai? Nel Salmo 2 il contesto è chiaramente politico, mentre in Apocalisse è ecclesiale. La spiegazione risiede nel fatto che lo spirito di Jezebel opera in entrambi gli ambiti.

La realtà è che queste forze demoniache mirano a sovvertire e controllare ogni istituzione di Dio: dalla famiglia alla chiesa, dal governo civile al mondo degli affari. Se Cristo ha il potere di contrastare e rovesciare l’opera di Jezebel e Acab nelle istituzioni civili delle nazioni, come affermato nel Salmo 2, allora possiede certamente anche l’autorità per spezzare la loro influenza all’interno della chiesa e della famiglia. Ecco perché ritroviamo le stesse dinamiche ed applicazioni in entrambi i brani: i principi che vi sono alla base restano validi in ogni ambito.

Ora vorrei attirare la vostra attenzione su un aspetto ancora più sorprendente. A chi sono rivolte le parole di Dio del Salmo 2? A Gesù, naturalmente. Tuttavia, in Apocalisse 2, notiamo che Cristo applica esattamente le stesse parole ai vincitori. L’implicazione è chiara: Gesù sceglie di utilizzare quella verga di ferro attraverso le mani dei vincitori, ossia quei credenti che vivono per fede, che vedono e comprendono la loro posizione in Cristo e che sanno sfruttarla pienamente. Sono coloro che sanno di essere seduti con lui nei luoghi celesti e agiscono di conseguenza.

Non possiamo aspettarci che Cristo utilizzi questa verga se non siamo disposti ad assecondarlo in questa missione. Il potere è già a pienamente a nostra disposizione, così come pure l’autorità di Cristo, come dimostra chiaramente il Salmo 2. Tuttavia, se la Chiesa non è in grado di farne uso, quel potere immenso rimane inespresso ed inutilizzato. Il Salmo 2, ai versi 10 e 11, prosegue dicendo: “Ora dunque, o re, siate savi; accettate la correzione, o giudici della terra. Servite l’Eterno con timore e gioite con tremore”. Qui re e giudici vengono chiamati al pentimento, proprio come accade a Jezebel. Questo mette in luce la funzione spiccatamente pastorale di Gesù.

Nell’Apocalisse Cristo chiama i vincitori a pascere le nazioni, conferendo loro un ruolo di guida ed autorità.

Il Salmo 2 presenta, però, solo due possibili esiti nel confronto con le Jezebel e gli Acab: condurli al pentimento o abbatterli con la verga di ferro. Al versetto 12, l’ultimo del Salmo, leggiamo: “Sottomettetevi al Figlio, perché non si adiri e non periate per via, perché la sua ira può accendersi in un momento. Beati tutti coloro che si rifugiano in lui”.

Beati coloro che si rifugiano in lui, ossia coloro che ripongono in lui la loro fiducia. Se quest’oggi sceglierete di essere degli Elia che camminano per fede, sarete benedetti. Se scegliete di essere degli Elia che camminano per fede, avrete più autorità, più potere e più autocontrollo di quanto Jezebel possa mai sperare di ottenere. Il Salmo 2 è piuttosto chiaro nel delineare che coloro che cercano il potere indipendentemente da Gesù, in modo illegittimo, troveranno questa ricerca una maledizione. Al contrario, coloro che cercano con abnegazione il regno di Dio e la sua giustizia riceveranno ogni cosa, inclusa la vera autorità.

Quindi, Gesù è in grado di gestire Jezebel? La risposta è affermativa; i riferimenti al Salmo 2 lo confermano in modo inequivocabile.

Ma torniamo ad Apocalisse 2 per esaminare ulteriori indizi che dimostrano come Gesù sia pienamente in grado di affrontare Jezebel. Abbiamo già analizzato il versetto 18, soffermandoci sulle due caratteristiche del Figlio di Dio: “Colui che ha gli occhi come fiamma di fuoco e i piedi simili a bronzo fino”.

Qualche tempo fa, quando abbiamo incontrato queste stesse descrizioni di Cristo nel capitolo 1, abbiamo osservato il loro riferimento al libro di Daniele. Il profeta descrive questa figura divina come un uomo i cui occhi ardenti penetrano ogni cosa, fin nell’intimo del cuore. Ed è proprio questa capacità di Gesù a rispondere alle nostre limitazioni. Noi, infatti, non siamo in grado di discernere le menzogne che generano il caos prodotto da Jezebel nella Chiesa. La roccaforte che mette su è talmente possente da renderci incapaci di oltrepassare le sue difese, il che può risultare scoraggiante, poiché non sappiamo come smascherarla.

Quando tentiamo di rivelare l’inganno di Jezebel, ci troviamo di fronte a continui depistaggi che la rendono estremamente sfuggente. Dovremmo dunque arrenderci, come sembra aver fatto il gruppo di responsabili della chiesa di Tiatiri? Questo, in realtà, è proprio l’obiettivo dello spirito di Jezebel: condurci allo stesso destino di Acab, rendendoci succubi e complici della sua opera, partecipi del sovvertimento dell’ordine stabilito da Dio.

Dunque, invece di arrenderci, volgiamo con fede lo sguardo a Colui i cui occhi ardenti penetrano ogni cosa, attraversando scudi, fortezze e ogni barriera che Jezebel ha innalzato per celare le sue più profonde insicurezze. Ricordiamo, infatti, quanto osservato la scorsa volta: queste barriere non sono altro che meccanismi di difesa attraverso i quali Jezebel tenta di gestire le proprie fragilità. Tuttavia, i demoni che si nutrono di tali debolezze le hanno esasperate al punto da offuscare la sua visione, così come quella dei pastori che la circondano e tentano di aiutarla. Noi, però, abbiamo accesso a Colui che vede ogni cosa con chiarezza: Gesù. Se camminiamo in unione con lui, mediante la potenza dello Spirito, egli conferirà la sua forza e la sua capacità ai suoi servitori, rendendoli in grado di discernere ed affrontare l’inganno.

Daniele ci parla anche di piedi simili a rame fino. I piedi, come ricorderete, simboleggiano il dominio. A differenza del regno pagano rappresentato dalla statua descritta in Daniele 2, i cui piedi erano “in parte di ferro e in parte d’argilla” e dunque fragili e destinati a spezzarsi, i piedi di Cristo sono di rame massiccio. Il suo dominio è indistruttibile e incrollabile. In altre parole, quando giungiamo al limite delle nostre capacità nel mantenere la guida, è il momento di dipendere da Cristo, la cui guida dovremmo riflettere in ogni caso. La nostra azione deve svolgersi sotto la sua autorità, non nella nostra.

Troppi pastori, leader aziendali e politici si affidano esclusivamente alle proprie forze e ai propri talenti. Quando si trovano di fronte a Jezebel, il cui potere sembra troppo grande da gestire, ricorrono alle stesse strategie di Acab: tentano di sedare i conflitti, formano alleanze opportunistiche, mettono le persone le une contro le altre, manipolano nell’ombra, sfruttano le divisioni e adottano ogni sorta di espediente pur di mantenere il controllo. Alcuni uomini, inoltre, falliscono nella loro guida perché non operano sotto l’autorità di Cristo, ma si lasciano guidare dallo stesso spirito demoniaco di controllo e dominio. Quando il loro potere e la loro influenza vengono messi in discussione, reagiscono con rabbia e frustrazione. Tutto ciò finisce per essere distruttivo.

La vera autorità non ricorre alla forza. Il cristianesimo autentico non è una religione di potere, ma si fonda saldamente sull’autorità di Cristo. Esso opera all’interno di una catena di comando che ha origine in lui, parlando con autorevolezza e affidando i risultati nelle mani di Dio. Chi esercita la vera autorità confida nella verità di Cristo per convincere, nella sua potenza per trasformare e nelle sue armi spirituali per vincere. Non si lascia trascinare dalla frustrazione, né ricorre a meschinità o manipolazione quando incontra disobbedienza. Piuttosto, persevera con pazienza, fiducia e costanza, rimanendo saldo nell’autorità di Cristo e confidando nella sua grazia per operare il cambiamento. Nel momento in cui ci si lascia sopraffare dall’ira di fronte all’opposizione o si assume un atteggiamento risentito, come fece Acab, diventa evidente che si sta agendo secondo un controllo carnale anziché nell’autorità spirituale di Cristo. Questi due approcci alla leadership si rifanno a mondi completamente diversi.

Quando siamo uniti a Colui i cui occhi penetrano le difese di Jezebel, Dio ci dona senno, discernimento, parole sagge e lo Spirito di consiglio, permettendoci di oltrepassare tali barriere. Posso testimoniare, infatti, che ogni volta che mi sono affidato alle risorse soprannaturali di Dio, ho visto crollare muri apparentemente invalicabili e ho ricevuto rivelazioni che, altrimenti, sarebbero rimaste celate ai miei occhi.

Vedete, il più grande errore che commisi agli inizi del mio ministero fu credere di poter abbattere tali “roccaforti” esclusivamente attraverso la verità. Avevo piena fiducia nelle Scritture – fiducia che, naturalmente, conservo tuttora – ma allora mi sentivo abbattuto nel vedere come molte persone rimanessero impermeabili all’esposizione della verità. Pertanto, finivo per impegnarmi ancor di più nella ricerca di argomentazioni scritturali sempre più solide, nel tentativo di convincere coloro che, rinchiusi nelle loro “fortezze”, restavano del tutto indifferenti.

In sostanza, stavo impiegando gli strumenti di Dio, ma senza l’unione con Cristo e senza il potenziamento dello Spirito. Eppure, la verità deve essere esercitata mediante lo Spirito Santo: solo lui può prendere ciò che appartiene a Cristo e operarlo attraverso di noi. Queste dinamiche, però, possono realizzarsi unicamente attraverso la fede.

Ma facciamo un passo indietro. Abbiamo detto come Cristo sia pienamente capace e risoluto nell’affrontare Jezebel. L’intero passaggio di Daniele che abbiamo menzionato dimostra la sua capacità di esercitare autentica autorità ed incrollabile dominio. Ora, dunque, giungiamo ad un interrogativo cruciale: “Noi, che siamo chiamati ad essere vincitori, siamo davvero disposti ad intraprendere il cammino verso quella vittoria con fede?”

Permettetemi di evidenziare rapidamente alcuni ulteriori elementi di questo passo che mostrano la capacità di Cristo di affrontare i problemi di Tiatiri. Il versetto 21 di Apolisse 2 ci rivela come Gesù conceda a Jezebel opportunità di ravvedimento. Non ci viene detto se, dopo i castighi inflitti, lei si sia effettivamente pentita, ma questo era lo scopo di Cristo. E se il suo obiettivo è il ravvedimento, chi siamo noi per escluderlo come opzione? Arrendersi dinnanzi a tali casi disperati significherebbe smettere di vivere per fede. Ciò che per noi è impossibile, per Gesù non lo è. Non sappiamo, nella sua sovranità, se deciderà di operare in tal senso, ma sappiamo che ne ha il potere. E in questo caso, tutto lascia intendere che Cristo lavori per il ravvedimento di Jezebel. Infatti, al versetto 21 leggiamo: “Le ho anche dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione”.

E nel versetto 22 si parla dell’afflizione che Cristo infliggerà a Jezebel e ai suoi seguaci, “a meno che non si pentano delle sue opere”. Dunque, se il pentimento è un obiettivo, significa che è effettivamente raggiungibile, qualora Cristo conceda la grazia necessaria per ottenerlo. Lo stesso versetto evidenzia come Gesù ricorra anche alla malattia per attirare l’attenzione di questa donna e offrirle ancora un’opportunità di ravvedimento. Inoltre, mostra com’egli infligga infermità e tribolazione per piegare pure i seguaci di Jezebel, sempre con lo scopo di condurli al pentimento.

Riflettiamo ora sui castighi menzionati nel testo: malattia, tribolazione e persino la morte in caso di mancato pentimento e di ribellione persistente. Queste pene non solo risultano giustificate, ma sono persino lecite da invocare. Vediamo come lo stesso apostolo Paolo indirizzi ai corinzi tali parole: “Che volete? Devo venire da voi con la verga o con amore e con spirito di mansuetudine?” (1 Corinzi 4:21).

Paolo qui dice che avrebbe brandito la verga di ferro di Cristo contro quella chiesa qualora non si fosse pentita. Dunque, non avrebbe ceduto o assecondato nessuna tolleranza empia, ma avrebbe condotto la necessaria guerra spirituale fino in fondo, in un modo o nell’altro: mediante il ravvedimento e la restaurazione o, in alternativa, attraverso la distruzione. E sappiamo se, in effetti, le persone nella chiesa di Corinto subirono delle conseguenze? Sì. In 1 Corinzi 11:31 l’apostolo dichiara: “Se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati”. Ma, poiché i corinzi rifiutarono di farlo, la verga di ferro di Cristo portò malattie, afflizioni e addirittura la morte. Difatti, al verso precedente, Paolo afferma: “Per questo motivo molti fra voi sono infermi e malati, e molti muoiono” (1 Corinzi 11:30). E va notato qui come tali conseguenze riguardarono persone che non erano neppure state ancora soggette a scomunica.

E a proposito delle dinamiche riguardanti la disciplina ecclesiastica, si potrebbe pensare che la scomunica sia un atto inutile e fine a sé stesso. Eppure, Paolo in 2 Corinzi 10, versi 5 e 6, afferma: “Demoliamo i ragionamenti e ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio, e rendiamo sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo, essendo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa”. Dunque, la disciplina applicata nel contesto ecclesiastico è potente in Dio. Vi è una ragione per cui la Chiesa moderna si mostra incapace nel perseguire vittorie sulle Jezebel: ha trascurato gli strumenti spirituali stabiliti da Dio per tali battaglie, tra cui la disciplina e la correzione, preferendo invece mezzi carnali.

Ora, è chiaro: tutto ciò potrebbe apparire molto poco carino e di certo non rientra in una visione del cristianesimo edulcorata e sentimentale; ma la disciplina ecclesiastica è, in realtà, da vedersi come un importante strumento biblico volto a liberare le persone dalle loro “roccaforti spirituali”. Persino la scomunica ha come fine ultimo il ravvedimento e la restaurazione. Talvolta, Dio stesso si serve di Satana per compiere questo processo. In 1 Corinzi 5:5 Paolo afferma: “Consegnate tale uomo a Satana per la distruzione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù”. Noi cristiani tendiamo a cadere in un’empia tolleranza, simile a quella della chiesa di Tiatiri: seguitiamo a sperare in un cambiamento e ad aspettare, e poi ancora a sperare e ad aspettare. Nel frattempo, però, tale attesa protratta nel tempo produce molte conseguenze dolorose.

Vorrei soffermarmi ancora un attimo sul passo di 1 Corinzi 11:30, dove si afferma che Cristo portò afflizione, malattia e morte in quella chiesa. Se questo è il suo modus operandi, non dovremmo forse essere più audaci nel chiedere a Dio di fare ciò che è necessario affinché le moderne Jezebel giungano al ravvedimento?

Quando è stata l’ultima volta che avete sentito un pastore pregare nei seguenti termini: “Signore, benedici coloro che stanno portando il caos in questa chiesa; benedicili con il disastro finanziario, la persecuzione, la malattia e ogni altra azione disciplinare che possa condurli al pentimento. Desidero la loro salute, prosperità e protezione spirituale, perciò concedi loro ciò che li scuoterà e li ricondurrà a te”? Quando è stata l’ultima volta che avete sentito una preghiera simile? Paolo pare agire proprio in tal maniera. Ritengo che sia una preghiera profondamente biblica e, dopo aver meditato su questo brano, mi impegno a farla per tutte le Jezebel che incontrerò. Lo farò per amore delle loro anime. Ho compreso, infatti, che, se considero questa preghiera non biblica, allora non ho la mente di Cristo nelle sue battaglie contro Satana e il suo regno. Non esiste neutralità; non c’è alcun trattato di pace tra Gesù e Satana. Coloro che sono vincitori devono unirsi a Cristo nella guerra spirituale.

Quali altri provvedimenti Gesù prefigura nel versetto 23 della lettera a Tiatiri affinché Jezebel non continui a corrompere la Chiesa? Leggiamo: “E farò perire con la morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono Colui che investiga le menti e i cuori, e renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere”.

Ebbene, cosa possiamo dire di questo Gesù? Non appare affatto come la figura stereotipata, mite e mansueta, che spesso viene dipinta oggigiorno. Di certo, nessuno di noi vorrebbe trovarsi contro questo Gesù. Non mostra per nulla quel fare sdolcinato che alcuni pulpiti, influenzati da certi Jezebel e Acab, amano descrivere. No, questo è il vero Gesù, colui che non tollera lo stravolgimento del suo ordine, del suo regno, né la sovversione della sua autorità.

Approfondiremo ulteriormente la sua opera a breve; per ora, concentriamoci nel comprendere quale sia il nostro ruolo.

Dobbiamo essere pienamente convinti che possiamo essere equipaggiati per essere Elia, piuttosto che Acab

Noi dobbiamo essere pienamente convinti che possiamo essere equipaggiati per diventare degli Elia, piuttosto che degli Acab. Notate che Gesù non dice ai responsabili e al resto della comunità di sforzarsi di più. Avevano già lavorato instancabilmente. Egli non impone loro un peso maggiore, né richiede un impegno ancora più gravoso. Al contrario, li porta nella direzione opposta, vale a dire ad afferrare l’opera di Cristo e la sua provvidenza.

Osserviamo il versetto 24: “Ma agli altri di voi, in Tiatiri, a quanti non hanno questa dottrina e non hanno conosciuto le profondità di Satana, come essi le chiamano, io dico: non vi impongo alcun altro peso”.

Notate che egli dice: “…non vi impongo alcun altro peso”. In effetti, nei versetti 26 e 27 rimarcherà come quei credenti non possano affrontare questa sfida con le proprie forze, ma devono invece fare il contrario: operare nelle realtà celesti. Quali sono dunque i passi da compiere in questa battaglia spirituale? Il versetto 25 afferma: “…ma ciò che avete, trattenetelo finché io venga”. Questa traduzione devo dire come, purtroppo, non mi sembri del tutto adeguata. Analizziamo ciascuna parola per mettere a punto una resa migliore.

Il termine tradotto con “ma” è il greco πλήν (plēn), che significa “al contrario”, esprimendo un forte contrasto. Gesù, dunque, sta per introdurre un’affermazione che si oppone nettamente all’idea di essere gravati da ulteriori obblighi. Questa netta contrapposizione indica che il suo intento non è richiedere uno sforzo maggiore.

Le parole successive, in greco, significano “ciò che possedete”. Il verbo κρατέω (kratéō), invece, significa “afferrare, impadronirsi, prendere possesso di qualcosa che attualmente non si ha sotto il proprio controllo”. Questo implica che ciò che siamo chiamati a prendere proviene da una fonte esterna a noi stessi. Ritengo che il significato sia quello di “appropriarsi di ciò che appartiene a Cristo”, ricevendo da lui ogni cosa. Letteralmente, si potrebbe rendere con “possedere (afferrare) le nostre possessioni”, ma il concetto centrale è quello di accogliere tutto come proveniente da Cristo – cose che ci appartengono, ci spettano. Infine, l’ultima espressione significa: “fino a quando verrò”.

Dunque, riformulando il versetto in modo più preciso, si potrebbe tradurre in questa maniera: “Non vi impongo alcun altro peso; al contrario, prendete possesso di ciò che vi appartiene, fino a quando verrò”.

E quali sono, dunque, le cose che dobbiamo possedere, ciò che ci appartiene? Efesini 1:4 afferma che Dio ci ha già benedetti con ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo Gesù. Questi sono i nostri beni! È come se disponessimo di un immenso conto bancario, acquisito per noi da Cristo nei cieli, eppure ci ostiniamo a vivere con le sole misere risorse terrene.

Invece, dovremmo attingere a queste ricchezze celesti, ricevendo ogni cosa dall’alto, al di fuori di noi stessi, fino al glorioso ritorno di Gesù. Il nostro compito è quello di appropriarcene quotidianamente, dicendo: “Signore, ecco la saggezza di cui ho bisogno per affrontare questa difficoltà. Grazie perché hai promesso di darmela. Io la ricevo e la utilizzo nel nome di Gesù”.

Efesini ci dice che siamo seduti con Cristo nei luoghi celesti: abbiamo autorità in lui, abbiamo risorse in lui, abbiamo tutto ciò di cui necessitiamo in lui.

Ora, notate come questa traduzione renda il passaggio ai versetti successivi più diretto, naturale e comprensibile. Leggiamoli insieme: “25 Non vi impongo alcun altro peso; al contrario, prendete possesso di ciò che vi appartiene, fino a quando verrò. 26 Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni; 27 le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta, 28 con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio; e darò a lui la stella del mattino”.

Tutto questo, a ben riflettere, è straordinario. Abbiamo già visto come la nostra vittoria si realizzi attraverso la fede in Gesù, ma permettetemi di ribadire ancora una volta questo concetto con chiarezza. In 1 Giovanni, infatti, leggiamo: “Perché tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo. E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede”.

Egli ha già definito chiaramente che i vincitori sono coloro che vivono per fede e non per visione. Non si può essere vincitori senza fede, ma Ebrei 11 afferma che coloro che vivono per fede possiedono una straordinaria capacità di affrontare la persecuzione con vittoria e gioia, di affrontare la morte con fiducia e trionfo e, se Dio lo vuole, di essere come quelli descritti nei versetti 33 e 34 dello stesso capitolo, dove si legge: “I quali per fede conquistarono regni, operarono giustizia, ottennero promesse, turarono le bocche dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, da deboli furono resi forti, divennero valorosi in battaglia, misero in fuga gli eserciti stranieri”.

La fede non guarda mai a sé stessa, ma sempre ai benefici divini ricevuti per il tramite di Cristo. Per questo, il versetto 26 afferma: “Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere”. Il verbo “persevera” è da intendere come “custodire/mantenere sotto vigilanza”. Ed è importante notare che ciò che dobbiamo custodire non sono le nostre opere, ma quelle di Cristo. Quel che egli compie, spesso sceglie di realizzarlo attraverso i vincitori. Cristo opera, dunque, attraverso coloro che si appropriano delle loro ricchezze spirituali e custodiscono le sue opere.

Cosa dovrebbero fare i membri della chiesa o i suoi responsabili quando si trovano di fronte ad una Jezebel che semina discordia? E quale dovrebbe essere l’atteggiamento dei politici o di altri leader credenti? Purtroppo, molti di loro finiscono per adottare gli stessi schemi dei pagani, comportandosi come degli Acab o delle Jezebel. In questo modo, svendono la loro posizione di autorità in Cristo, non riconoscendo di essere parte di una catena di comando sotto la sua sovranità, ma operando indipendentemente da lui.

Ma questo non è il modo in cui dovremmo agire: prima di tutto, dobbiamo pregare affinché Cristo ci conceda la sua saggezza, con la certezza che, come promesso da Giacomo, egli la donerà a chi la chiede con fede. Successivamente, dobbiamo invocare Gesù affinché ci impedisca di reagire come Acab diventando parte del problema. Dobbiamo, inoltre, chiedere la sua protezione angelica contro le forze demoniache all’opera.

Poi, con fede, dobbiamo dichiarare le verità della Scrittura, affinché la Parola di Dio operi laddove le sole forze umane sono impotenti: abbattere le difese spirituali che impediscono la conoscenza di Cristo e portare al ravvedimento. È così che resistiamo ad Acab e a Jezebel nell’autorità di Cristo, proprio come fece Elia, facendoci forti nella parola di Dio.

Dobbiamo assicurarci di non simpatizzare con Jezebel, di non concederle spazio né tollerare in alcun modo il suo tentativo di indebolire la catena dell’autorità divina. Permetterlo significherebbe indebolire l’opera di Cristo stesso. Per fede, dobbiamo invece prendere posizione come coloro che sono seduti con lui nei luoghi celesti ed iniziare a pregare con fermezza contro le opere del maligno.

Questo significa sottometterci pienamente all’autorità di Cristo e, nella sua potenza, opporci al demoniaco. Inizialmente la Chiesa pascerà con la verga di Cristo, piuttosto che distruggere con essa. Ma alla fine, la distruzione potrebbe pure far parte del processo.

Ora, tornando ai versetti 26 e 27, vediamo Gesù citare il Salmo 2, dove si afferma che egli pascerà le nazioni e schiaccerà i ribelli con la sua verga di ferro. Ciò che colpisce in questa citazione è che Gesù applica l’intero passaggio ai semplici membri della chiesa che sono vincitori, ovvero coloro che vivono per fede. È al vincitore che viene concessa autorità sulle nazioni, così come il Padre l’ha data a Gesù. Ciò è straordinario. Il vincitore ha il compito di pascere le nazioni, guidandole verso la vita o, se necessario, schiacciandole nella morte, esattamente come Gesù ha ricevuto dal Padre. È un’affermazione di grande impatto.

Quando inizia l’espansione dell’autorità di un credente sulle “roccaforti demoniache”? Non durante il millennio, poiché in quel tempo Satana non è nemmeno presente: è, infatti, incatenato nell’abisso. Il momento decisivo coincide piuttosto con la fine di ciò che diverse chiese erano state più volte esortate a sopportare: la conclusione della Grande Tribolazione. Ricordiamo che la Grande Tribolazione ebbe luogo tra il 62 e il 68 d.C., con la morte di Nerone. La Grande Ira, invece, è un evento del tutto distinto: fu diretta contro Israele e si estese dal 66 al 73 d.C., coprendo un periodo di sette anni. Ad ogni modo, la resistenza attutata in quella tremenda tribolazione avrebbe condotto quei credenti ad utilizzare con successo la verga di ferro sulle nazioni.

E possiamo chiederci: tutto questo si realizzò? Certamente. Dio rispose in modo straordinario alle preghiere di quei santi nel I secolo. Come risultato di quella resistenza combattiva, Nerone morì nel giugno del 68 d.C., l’Impero si frammentò in tre parti e guerre, carestie e conflitti civili causarono la morte di milioni di persone in diverse regioni del mondo conosciuto. Così, le nazioni vennero schiacciate con la verga di ferro. Anche il principale persecutore della Chiesa, Israele, subì il giudizio di Dio. Ma ciò che colpisce riguardo alla distruzione dei vasi di terracotta è che si trattava di giudizi redentivi: la verga non era solo strumento di punizione, ma anche di guida per le nazioni. Essa conduceva al pentimento oppure alla distruzione, e talvolta entrambi i processi avvenivano simultaneamente.

E vi furono nazioni che si convertirono a Cristo? Sì. Malta, ad esempio, divenne interamente cristiana nel giro di pochi anni dalla stesura di questa lettera. Diversi gruppi di persone abbracciarono la fede. L’Armenia si convertì ufficialmente al cristianesimo nel 301 d.C., diventando così la prima nazione al mondo ad adottare il cristianesimo. E persino Roma, al tempo della conversione di Costantino, era già cristianizzata per oltre il 50%. Vi fu dunque un avanzamento della fede portato avanti da vincitori che vissero e morirono vittoriosamente, facendo progredire sia il pentimento che il giudizio.

E, in effetti, possedere questa autorità ha una logica profonda. Siamo uniti a Cristo, e la Scrittura ci insegna che, quando egli è morto, anche noi siamo morti con lui; quando fu sepolto, anche noi siamo stati sepolti con lui; quando risorse vittorioso sulla morte, anche noi siamo risorti in lui. Allo stesso modo, quando ascese in trionfo, sottomettendo ogni principato e potenza delle schiere demoniache, anche noi abbiamo partecipato a quella vittoria. E quando si sedette sul trono del suo regno, alla destra del Padre, ricevendo ogni potere in cielo e sulla terra, la lettera agli Efesini ci dice che anche noi ci siamo seduti con lui su quel trono, condividendo la sua autorità.

Cristo sceglie di estendere il suo regno attraverso i vincitori del suo popolo e di annientare il potere delle pretese demoniache per mezzo di coloro che sono disposti a vivere per fede. Non c’è motivo di lasciarsi abbattere dalla presenza delle Jezebel, perché quando camminiamo nella nostra unione con Gesù, nessuna forza demoniaca può competere con lui. Come afferma Paolo in 2 Corinzi 10:4-6: “Poiché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti in Dio per abbattere le fortezze; abbattendo le argomentazioni e ogni cosa eccelsa che si eleva contro la conoscenza di Dio, riducendo ogni pensiero in schiavitù all’obbedienza di Cristo, ed essendo pronti a punire ogni disobbedienza, quando la vostra obbedienza sarà resa completa”.

La vittoria appartiene a coloro che restano saldi nella fede, esercitando l’autorità concessa loro da Cristo.

Camminare nella luce della sua unione con Gesù permise a Paolo di vivere al di sopra dei conflitti e delle difficoltà della Chiesa, senza però ignorarli. Gli diede la forza di affrontarli, anche quando ciò comportava reazioni negative. Gli permise di esercitare disciplina, pur essendo criticato per questo.

Il suo obiettivo non era il successo, né la pace, né il riconoscimento da parte degli altri. Ciò che lo muoveva era la gloria del Padre, l’avanzamento del regno di Cristo e l’udire dalle labbra del Signore: “Ben fatto!”. Se avesse ottenuto questo, sarebbe stato vittorioso. Per questo afferma in 2 Corinzi 2:14: “Ma sia ringraziato Dio, che sempre ci fa trionfare in Cristo e che, per mezzo nostro, spande dappertutto il profumo della sua conoscenza”.

Tutto questo può sembrare in netto contrasto con l’esperienza vissuta da Elia. Egli si trovò nel mirino di Jezebel, il suo ministero venne colpito e lui stesso cadde in uno stato di depressione e scoraggiamento. La sua leadership vacillò sotto il peso di un duro contraccolpo. In un primo momento, quindi, Elia fallì; ma Dio lo riprese e lo ristabilì nella vittoria.

Prima che ciò accadesse, però, fuggendo e desiderando la morte, stava reagendo come una vittima. Assumere il ruolo della vittima significa agire secondo la carne. Un’altra reazione carnale è quella di attaccarsi ai propri diritti e battersi per la propria reputazione. L’unica risposta valida, invece, è quella di Cristo in noi: sottomettersi al Padre e riconoscere la vittoria che egli sta realizzando per noi, in noi e attraverso di noi nella vita degli altri. Gesù disse: “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la ritroverà” (Matteo 16:25). A volte, perdere la propria vita significa rinunciare ai propri sogni, al proprio orgoglio e alla propria reputazione, affinché Cristo possa regnare sovrano.

Tuttavia, è fondamentale comprendere che la vittoria di Gesù non sempre coincide con il tipo di vittoria che ci si potrebbe aspettare. Talvolta, le Jezebel sembrano prevalere sugli Elia e, dal punto di vista del mondo, potrebbe persino sembrare più conveniente essere come un Acab.

Potremmo desiderare che la Jezebel si penta. E a volte questo accade per la potenza dello Spirito. Potremmo sperare che venga smascherata per ciò che realmente è e perda la sua influenza. E talvolta lo Spirito opera in tal senso. Però, la vittoria può manifestarsi anche in modi diversi. Dio potrebbe voler rivelare la vittoria attraverso la crescita stessa del pastore o del responsabile della comunità. Ad esempio, le opposizioni possono trasformarsi in una prova di integrità, spingendolo a verificare se camminerà per fede o per visione. Le difficoltà possono anche mettere alla prova la sua fedeltà alla Parola di Dio, rivelando se sarà guidato da essa o dai propri desideri. Esistono molte altre sfide che coloro che servono la Chiesa affrontano con vittoria, e da esse emergono più forti e maturi.

La vittoria, tuttavia, segue spesso proprio il percorso descritto nel versetto 27: i ribelli vengono condotti al pentimento o subiscono la distruzione. Il fatto che Gesù citi un passo dal forte carattere politico, come quello del Salmo 2, applicandolo alla Chiesa, dimostra chiaramente come lo spirito di Jezebel operi nella sfera civile con la stessa certezza con cui agisce nell’ambito ecclesiastico. E i servi di Cristo dovrebbero imparare a vedere la realtà attraverso la prospettiva del Signore. Quando le nazioni rifiutano di pentirsi, anziché lasciarsi andare ad empie platitudini come “Dio benedica l’America”, potrebbe essere più adatto pregare: “Signore, frantuma questo vaso di terracotta e riduci in macerie le sue fortezze idolatriche”. Ed esistono strumenti spirituali per far ciò: i Salmi imprecatori, preghiere di giudizio invocate contro le nazioni e contro ogni forma di ribellione.

Pascere i ribelli, invece, potrebbe significare guidare i funzionari civili e i magistrati a Cristo, ammaestrandoli nei principi fondamentali della Parola di Dio, proprio come fece la Chiesa nei primi tre secoli. Leggere di Atanasio e di altri padri della Chiesa permette di comprendere come questi santi dell’antichità prendessero seriamente la loro autorità sulle fortezze demoniache, ottenendo risultati straordinari. Roma, alla fine, cedette dinanzi al Vangelo. Ed ancor prima, la storia della redenzione presenta molti altri uomini di Dio, come Elia, ad esempio, che si erano attivamente impegnati in ogni ambito della società: dalle scienze all’economia, dalle questioni militari agli affari di politica interna ed estera, fino a molti altri ambiti della vita pubblica. Atanasio affermava che ovunque il Vangelo avanzasse accompagnato dalla fede, i demoni tremavano e le fortezze crollavano. Egli intravide quella che, nel tempo, si sarebbe profilata come un’inesorabile vittoria progressiva, pur rendendosi conto di come il Regno di Dio fosse ancora agli albori.

Infatti, la promessa contenuta alla fine del versetto 28 – “…e darò a lui la stella del mattino” – rappresenta simbolicamente i tempi oscuri che precedono l’alba. Prima che i primi raggi del sole illuminino il cielo, è la stella del mattino a risplendere nell’oscurità, annunciando l’imminente arrivo del giorno.

La Chiesa aveva attraversato le tenebre della Grande Tribolazione tra il 62 e il 68 d.C., ma il 70 d.C. segnò un punto di svolta cruciale. Tutto ciò che accadde prima di quella data può essere considerato il periodo più buio, nel quale brillava la stella del mattino; mentre tutto ciò che seguì il 70 d.C. segnò i primi bagliori dell’alba nascente. Con il progredire della storia, la luce del suo regno continua a crescere, irradiandosi sempre più intensamente.

L’ultimo ammonimento di Gesù si trova nel versetto 29: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”. Ascoltare le parole di Gesù equivale ad ascoltare le parole dello Spirito; camminare nella potenza di Cristo significa camminare nella potenza dello Spirito. Ogni giorno della nostra vita è un cammino trinitario. Dio ci chiama a essere vincitori, e per rispondere a questa chiamata preghiamo il Padre nel nome di Gesù, mediante la potenza dello Spirito. Viviamo per la gloria del Padre, attraverso la presenza di Cristo in noi e grazie ai doni e alle unzioni dello Spirito.

Questa lettera alla chiesa di Tiatiri ci ricorda che la vita cristiana è, in ogni suo aspetto, una chiamata a vivere nel soprannaturale. Proprio come il Sermone del Monte che ci invita a compiere opere umanamente impossibili, affinché sia Dio solo a ricevere la gloria quando riusciamo a realizzarle.

Nella Parte 1 di questo sermone, la volta scorsa, abbiamo messo a fuoco il problema; oggi abbiamo, invece, riflettuto sulla soluzione. E la soluzione è un cammino centrato su Dio, sostenuto dalle risorse di Dio e reso possibile dalla potenza di Dio.

Possa ciascuno di noi dimorare nell’autorità che ci è stata concessa in Cristo, essendo uniti a lui e sedendo con lui nei luoghi celesti. Amen!


Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%202/Revelation%202-18-29%20part%202

[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary  (licenza Creative Commons Attribution/ShareAlike Unported, 2013).


Altri Studi che potrebbero interessarti