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Guida divina per la comprensione del libro dell’Apocalisse – Parte 11

Di Phillip G. Kayser, sermone del 9/08/2015

Parte della serie “Progetto Apocalisse”

Questo sermone si concentrerà principalmente sull’analisi del versetto 7 – forse il versetto più controverso del capitolo 1, vale a dire quello sull’imminente venuta di Cristo in giudizio (contrapposta alla lontana e ritardata Seconda venuta).


Leggiamo Apocalisse 1, versi 7 e 8:

7 Ecco, Egli viene con le nuvole e ogni occhio Lo vedrà, anche quelli che lo trafissero. E tutte le tribù della terra (γῆς) faranno cordoglio per Lui. Sì, Amen. 8 «Io sono l’Alfa e l’Omega», dice il Signore Dio, «Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente»[1].

Così traduce il “maggioritario”, un testo che – mi piace ricordarlo – Dio ha preservato in ogni epoca, come pure in ogni luogo. Mettendo a confronto questo con alcune nostre traduzioni moderne, saltano all’occhio due differenze principali: il Signore Gesù viene esplicitamente chiamato “Dio” e la locuzione “l’inizio e la fine”, che al versetto 8 vediamo alcune volte seguire “Io sono l’Alfa e l’Omega”, viene omessa (non che Gesù non sia l’inizio e la fine; infatti, vedremo in seguito ancora altri versetti dell’Apocalisse affermare molto chiaramente tale verità).

Detto ciò, enunciamo adesso, senza ulteriori indugi, il venticinquesimo principio ermeneutico, un principio contenuto nel versetto 7. Questo è un versetto molto importante per la comprensione dell’intero libro dell’Apocalisse, al quale – ho pensato bene – di dedicare la maggior parte del sermone di oggi.

 

Il principio n. 25 dice: l’avverbio presentativo “ecco” è un indizio del fatto che il versetto 7 presenta uno dei temi centrali dell’Apocalisse (v. 7a). Poiché, però, questo è l’unico “ecco” della sezione introduttiva (vv. 1-11), allora il versetto 7 potrebbe benissimo contenere il tema centrale dell’intero libro (come sostenuto, ad esempio, da Ken Gentry)

Giungiamo, quindi, al versetto forse più controverso di questi primi undici dell’introduzione. In realtà, alla luce di tutti gli indizi ermeneutici forniti da Giovanni, non dovrebbe risultare per nulla tale – eppure, come vedremo, lo è eccome.

La prima parola, “ecco”, è lì per indicarci qualcosa di molto, molto importante che sta per essere comunicata. Dovunque in questo libro ricorra la parola greca ἰδού (idou) serve a richiamare l’attenzione su qualcosa di importante che sta per essere mostrata, a mettere in evidenza un avvenimento speciale oppure ad indicare una particolare persona o cosa che appare improvvisamente. Infatti, sono diversi i dizionari che affermano come la parola sia un indicatore di qualcosa di fondamentale, di importanza centrale o, comunque, dai tratti eccezionali.

Ebbene, poiché questa è l’unica volta in cui vediamo questo termine ricorrere nei versetti introduttivi del libro (ovvero quelli dall’1 all’11 del capitolo 1), potremmo dunque dire come il principio n. 25 vada in automatico a prendersi il posto centrale tra tutti principi interpretativi. E ciò corrisponde pure all’idea generale di molti commentatori, quando fanno del versetto 7 l’argomento base di tutta l’Apocalisse o, comunque, almeno uno di quelli più importanti. Ken Gentry, ad esempio, lo tratta come il tema centrale dell’intero libro.

Questo è tutto ciò che dirò sul principio n. 25. La parola “ecco” è l’indizio che mette in evidenza come il versetto 7 contenga un tema centrale per l’Apocalisse, un tema che, prima di affrontare la lettura del resto del libro, è assolutamente necessario ben capire ed interiorizzare. Infatti, la corretta comprensione di questo versetto permette a moltissime altre cose nel resto del libro di trovare automaticamente un proprio ordine. Al contrario, pensando che il versetto 7 contenga un riferimento alla Seconda venuta, allora ogni altro elemento del libro, per un normale effetto domino, andrebbe inesorabilmente in confusione. Ecco perché, prima di andare oltre, è davvero di fondamentale importanza stabilire chiaramente il significato del contenuto di questo verso e della natura della venuta di cui fa menzione.

E con ciò passiamo subito al nostro ventiseiesimo presupposto.

 

Il principio n. 26 dice: un’imminente (vv. 1,3,19; 2:5,16,25; 3:3,11,20; 5:7; ecc.), visibile (v. 7c), dolorosa (v. 7d con Zac. 12,10-14) venuta di Cristo in giudizio sovrano (v. 7b-e) rappresenta, quindi, un tema centrale dell’Apocalisse (cfr. linguaggio identico in 22:22; cfr. l’elenco dei sette usi del termine “venuta”)

Questa venuta di Cristo in giudizio – alla luce dell’ecco appena esaminato – è, quindi, l’argomento base di questo libro. E sarà importante passare in rassegna ogni elemento che costituisce il versetto 7 mettendo in evidenza e spiegando quelle che sono le caratteristiche peculiari di questa venuta. Iniziamo.

Questa venuta è visibile (il verso 7c dice, infatti, “e ogni occhio Lo vedrà”; cfr Mt 24,30; 26,63-64; Lc 21,27; Zac 12,10-14)

Ora, ovviamente, il significato di queste parole è oggetto di dibattito. La maggior parte degli amillenaristi e dei postmillenaristi si pone in disaccordo con la mia interpretazione affermando come il verbo “vedere” non indichi necessariamente un evento per davvero visibile. Sostengono, infatti, come “vedere” possa riferirsi, come dire, ad una sorta di improvvisa comprensione illuminante – quindi, ad un vedere metaforico. Altri fanno notare come generalmente persino le interpretazioni più letterali non prendano queste parole veramente alla lettera; ad esempio, considerando un caso estremo, si chiedono se anche gli occhi dei non vedenti furono (o, a seconda delle prospettive escatologiche, saranno) guariti in modo da poter assistere a questa venuta. Da parte dei futuristi ci sono, inoltre, molte speculazioni su come le persone potrebbero vedere Gesù arrivare in ogni parte della terra e ricorrono ad ipotesi che coinvolgono necessariamente qualche mezzo tecnologico, come il televisore o qualche altro apparecchio simile. Insomma, comprendete come ci siano molti punti di domanda ed obiezioni nel prendere alla lettera quell’ogni occhio Lo vedrà. Ma, nonostante le critiche avanzate da più parti, penso che i premillenaristi abbiano assolutamente ragione quando affermano che l’evento in questione è da intendersi come visibile a tutti gli effetti.

Come si risolvono dibattiti del genere? Ebbene, abbiamo visto nei sermoni passati come la prima cosa da fare sia guardare attentamente al contesto diretto per vedere se questo fornisca qualche indizio utile. Stavolta, però, la maggior parte dei commentatori sembra concordare sul fatto che il contesto immediato del brano in questione non presenti nessun elemento che contribuisca in qualche maniera alla risoluzione del problema.

Ecco, quindi, che si passa ad analizzare la grammatica. E il fatto che il verso in questione parli di un vedere con gli occhi, anziché di un vedere con la mente, mi porta personalmente ad intendere la cosa come letterale. Tuttavia, mi tocca ammettere come questo non rappresenti un indizio tanto forte da risultare risolutivo della questione.

Ed è per questo che la fase di analisi successiva ci porta necessariamente a considerare le citazioni dirette o allusive dell’Antico Testamento. E praticamente tutti concordano sul fatto di come, in effetti, vi siano ben due passaggi dell’Antico Testamento a cui si allude nel versetto 7: la frase “Egli viene con le nuvole” è una citazione di Daniele 7:13 e il resto del versetto (ad eccezione di “ogni occhio”) proviene direttamente da Zaccaria 12, versi da 10 a 14.

Il problema è che i commentatori hanno opinioni divergenti sul fatto se questi passaggi veterotestamentari descrivano o meno un evento visibile. Colgo, comunque, l’occasione per registrare come la citazione di Daniele 7:13 risulti molto importante, perché colloca questo evento nel I secolo rappresentando, quindi, un indizio ermeneutico che non può essere ignorato al fine di stabilire la giusta cornice temporale di questa profezia. Inoltre, fa sì che la venuta di Cristo venga intesa solo come “celeste” (differenziandola, in tal modo, dalla Seconda venuta che avverrà “sulla terra”). Tuttavia, è vero che non stabilisce in maniera efficacemente chiara se si tratti di un evento visibile oppure no. Direi che Zaccaria 12:10 tende a considerarlo un evento visibile, dal momento che dice: “…essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto”. Mi tocca, però, ammettere come quel “guarderanno a me” possa magari essere preso come sinonimo di “avere o riporre fede (in Gesù)”.

Leggeremo ed analizzeremo ulteriormente questi passaggi di Daniele e Zaccaria più in là nel corso del sermone. Per adesso, per risolvere il dibattito circa la visibilità della venuta di Cristo, non mi appoggerò su nessuno di questi richiami veterotestamentari. Io son persuaso del fatto di come entrambi i brani propendano nella direzione della mia interpretazione, ma riconosco come non contribuiscano a fugare in maniera risolutiva e definitiva ogni dubbio sulla questione.

Ma – ricorderete – abbiamo visto, considerando ed approfondendo il principio n. 13, che il libro dell’Apocalisse non si basa soltanto sull’Antico Testamento. Giovanni nell’introduzione annuncia come si rifarà anche alla precedente “testimonianza di Gesù Cristo” – cioè, alla sua causa giudiziaria pattizia come contenuta nei Vangeli. E, infatti, esaminando il capitolo 24 di Matteo, non potremmo non notare come il verso 30 presenti un linguaggio decisamente prossimo ad Apocalisse 1:7 (rappresentando, quindi, un suo parallelo), tanto da spingere i commentatori a ritenere Matteo 24:30 un commento ispirato a Zaccaria 12:10, e che Apocalisse 1:7 alluda ad entrambi i passaggi. In tal senso, Matteo 24:30 avrebbe, dunque, le carte in regola per risolvere la questione concernente il dibattito sulla visibilità della venuta in giudizio di Cristo.

Ora, prima di andare al Vangelo di Matteo, trovo utile fare un breve riepilogo di alcune informazioni riguardanti il contesto più ampio di quel brano – aspetti della storia che abbiamo già approfondito nei sermoni precedenti.

Abbiamo visto che i primi 34 versetti di Matteo 24 hanno a che fare con due enormi questioni che si intrecciano tra loro: la grande tribolazione, che colpì i santi a partire dal 62 d.C., e la grande ira, che si abbatté, invece, contro Israele nel 66. Questi sono assolutamente da vedere come due avvenimenti storici ben distinti, altrimenti non si sarà in grado di affrontare la lettura di Matteo 24 in modo accurato. La grande tribolazione fu la persecuzione ebraico-romana a danno dei cristiani che (almeno in Palestina) durò dal 62 al 66 d.C. E in Palestina quella grande tribolazione fu interrotta quando Roma si rivoltò contro il suo alleato (Israele) dando avvio, nel 66, alla “prima guerra giudaica”. Ed è proprio per questo che in Matteo 24:22 leggiamo: “Ma a motivo degli eletti quei giorni saranno abbreviati”. Israele e Roma avevano stipulato un patto di sette anni per colpire ed abbattere il cristianesimo e Dio lo interruppe nel 66. Ed è proprio a questo che si riferisce il versetto 29. Iniziamo, quindi, a leggere Matteo 24:29.

29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni [e – attenzione – il “subito dopo” è qui da prendere seriamente: difatti, non appena in Palestina cessò la grande tribolazione contro i cristiani nell’anno 66, si verificarono i segni celesti che questo verso si appresta a descrivere. Vediamo quali:], il sole si oscurerà [cosa che avvenne letteralmente ed è registrata dagli storici], la luna non darà il suo chiarore [cosa, anch’essa, avvenuta per davvero]; le stelle cadranno dal cielo [nelle cronache è, infatti, possibile leggere di numerosi casi di piogge di meteoriti] e le potenze dei cieli saranno scosse [e, ditemi, chi è il “principe delle potenze dell’aria”? Satana – quindi, le potenze di cui si parla sono demoni. E Apocalisse 7 tratta proprio della guerra celeste contro il “principe delle potenze dell’aria” – quando Satana e le sue forze furono scosse e scacciate per sempre dal cielo cadendo sulla terra. Da quel momento in poi non ebbero più accesso alla sala del trono di Dio non potendo più accusare i fratelli davanti a Dio, come vediamo in Giobbe e in altri passaggi. Leggiamo anche il verso 30:]. 30 Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria.

Bene, a questo punto vi pregherei gentilmente di continuare a seguirmi nel ragionamento – non spegnete la vostra mente, valutate la bontà delle prove che andrò a presentarvi. Il fatto che la gente del verso 30 veda il “segno del Figlio dell’Uomo” sembra implicare come nel cielo vi fosse, quindi, qualcosa di visibile. Anche quell’“apparirà nel cielo” fa pensare alla stessa cosa. Insomma, trattandosi eventualmente di qualcosa di non visibile, come mai allora tirare in ballo un’apparizione nel cielo? E se questa cosa appare in cielo, a chi e a quali occhi appare? Mi sembra che la lettura più naturale non sia quella data dagli amillenaristi e dalla maggior parte dei postmillenaristi. E, tra parentesi, ho già chiarito più volte come anch’io sia un postmillenarista; tuttavia, mi rifiuto di lasciare che siano i sistemi preconfezionati a guidare la mia esegesi. E così, per quel che riguarda questo punto specifico, penso che i premillenaristi abbiano ragione nel dire che le espressioni usate nel versetto 30 indichino qualcosa di veramente visibile. Chiaramente, nonostante concordi con la loro interpretazione su questo aspetto particolare, non posso non precisare come invece per quel che riguarda i tempi sbaglino alla grande. In ogni caso, la frase “vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo” rafforza il fatto che si tratti di una manifestazione visibile di Gesù nel cielo. E la proposizione con il quale finisce il verso, “con gran potenza e gloria”, sembra indicare qualcosa di spettacolare e di clamoroso; insomma, un avvenimento che difficilmente sarebbe rimasto inosservato. Per quel che mi riguarda, quindi, ogni elemento di questo versetto sembra utile a consolidare la prospettiva di una venuta visibile.

E qualche sermone fa, come probabilmente ricorderete, già avevo detto, in riferimento alla venuta in giudizio di Cristo, come sia i romani che i giudei furono tutti testimoni di questo grandioso evento. Mi capita ancora di imbattermi sempre in nuove testimonianze storiche del I secolo trattanti proprio questa manifestazione celeste del Signore Gesù. Ne parlano sia gli storici romani Tacito e Svetonio, come pure quelli ebrei Giuseppe Flavio, Egesippo e Yosippon – descrivono tutti questa straordinaria apparizione nel cielo. Il Talmud fornisce una descrizione diversa di questa teofania. Non mi è ancora riuscito di rintracciare l’esatta citazione, ma Ernest Martin fa riferimento ad un testimone oculare giudeo del I secolo: un certo Rabbi Jonathan. E lo storico cristiano Eusebio cita documenti storici che menzionano santi del I secolo che videro nel cielo lo stesso Cristo insieme ai suoi eserciti.

Per ora mi limiterò a fornire tre esempi. Il primo è tratto dalla storia ebraica ad opera di Sefer Yosippon. Ed è importante tenere a mente come si tratti di uno storico non cristiano, il quale registra attentamente gli eventi da una prospettiva ebraica, quindi da non credente. E questo è ciò che rende il suo contributo tanto significativo. L’anno del quale scrive è il 66 d.C. – cito: “…ora avvenne dopo ciò che dall’alto del Santo dei Santi fu visto per tutta la notte il profilo del volto di un uomo, la cui bellezza non era mai stata vista in tutto il paese e il suo aspetto era davvero impressionante”.

Potrebbe essere questo ciò a cui si riferisce Matteo 24:30 quando dice: “Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”. Segno, dice. Questa è la prima cosa che si vede: un segno. E vorrei proporvi la citazione di Yosippon ancora una volta, ascoltate attentamente: “…ora avvenne dopo ciò che dall’alto del Santo dei Santi fu visto per tutta la notte il profilo del volto di un uomo, la cui bellezza non era mai stata vista in tutto il paese e il suo aspetto era davvero impressionante”.

Lo storico ebreo continua raccontando che il segno nel cielo scomparve quando una voce diede il comando di lasciare quel luogo, una voce che venne ascoltata da tutti. E noi sappiamo di altri storici ebrei, le cui cronache testimoniano di questa voce e della nuvola di gloria – di come questa lasci il tempio dirigendosi verso il monte degli Ulivi. E Yosippon prosegue descrivendo quanto accadde dopo: Cito: “Inoltre, in quei giorni si videro carri di fuoco e cavalieri, una grande potenza volare attraverso il cielo vicino alla terra e venire contro Gerusalemme e tutto il paese di Giuda – tutti cavalli di fuoco e cavalieri di fuoco”[2].

Ma come accennato poc’anzi, praticamente la stessa cosa viene riportata in maniera indipendente anche da storici romani. Mi sono imbattuto di recente in un’imponente storia in cinque volumi nella quale è riscontrabile lo stesso racconto di Yosippon. Molti attribuiscono questa storia antica a Sant’Ambrogio di Milano (che visse dal 340 al 397 d.C.). Altri studiosi ritengono, invece, che sia da ricondurre ad un precedente padre della chiesa. Ma, in ogni caso, permettetemi di proporvi una breve citazione da questa storia della chiesa[3], conosciuta oggi come Pseudo-Egesippo (è detta “pseudo” semplicemente perché all’inizio i suoi scopritori la attribuirono erroneamente a tale storico). Ad ogni modo, l’autore stesso dice di star offrendo tale testimonianza avendo a disposizione numerosi documenti del I secolo. Cito:

Inoltre, dopo molti giorni, apparve una certa figura di enormi dimensioni, che molti videro, proprio come rivelato dai libri dei giudei [e questo è un riferimento alle precedenti storie ebraiche che documentano lo stesso avvenimento sovrannaturale. La cronaca continua dicendo:], e prima che il sole tramontasse improvvisamente si videro tra le nuvole carri e schieramenti da battaglia armati, che invasero le città di tutta la Giudea e i suoi territori.

E sembra esserci coerenza tra questi resoconti per quel che riguarda l’ordine di successioni degli eventi: l’apparizione del segno nel cielo precede la gloriosa e potente venuta in giudizio del Signore Gesù accompagnato dai suoi eserciti angelici – insomma, lo stesso ordine riscontrato in Matteo 24:30. Questo tipo di riferimenti storici sono interessanti da considerare, poiché mostrano l’adempimento storico di questa profetizzata venuta di Cristo nel 66 (ulteriori apparizioni si verificarono ancora nel 68, al tempo in cui Nerone morì, e nel 70, quando Gerusalemme e il tempio vennero distrutti). Siccome da Matteo 24:29 apprendiamo come il segno del Figlio dell’uomo apparve “subito dopo” la grande tribolazione in Palestina, allora facciamo risalire questa venuta celeste all’anno 66, anno di inizio della “prima guerra giudaica”. E, volendo addirittura stabilire una data specifica per questa apparizione di Gesù e delle sue schiere angeliche, possiamo allora rivolgerci a Giuseppe Flavio, il quale specifica come tale evento accadde il 21 del mese di Artemisio (che i miei calcoli mostrano essere l’8 giugno). Ora, Giuseppe Flavio non dice che quell’apparizione coinvolgesse Gesù. In quanto storico giudeo non credente, è spinto a registrare i fatti semplicemente perché suffragati da numerose testimonianze oculari. Egli dice:

…il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a prestar fede; e in realtà, io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, dall’altra la conferma delle sventure che seguirono. Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città.

Allora, ricapitoliamo un po’ la sequenza storica dei fatti in maniera più ampia: vi sono prima di tutto una serie di segni precursori che preparano il terreno alla grande tribolazione del 62-66; subito dopo la fine della tribolazione in Palestina si verifica a Gerusalemme l’apparizione del segno del Figlio dell’uomo come preludio della venuta di Gesù e dei suoi eserciti, che innesca la guerra di sette anni contro Israele. E ribadiamo ancora una volta come questa non sia da confondere con la Seconda venuta, che sarà una venuta permanente e corporale sulla terra (non “sulle nuvole del cielo”) ed avverrà alla fine della storia. Bene, torniamo adesso alla lettura di Matteo 24, considerando i versetti da 30 a 34:

Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio [notate qui lo stesso ed identico linguaggio di Ap. 1:7], e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. Ed Egli manderà i suoi angeli con gran suono di tromba [ed abbiamo lo storico romano Svetonio che fa menzione nei suoi scritti proprio di un potente squillo di tromba relativamente a questo tempo, nel 66 d.C.], ed essi raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti, da una estremità dei cieli all’altra [io personalmente credo che questo sia un riferimento alla prima resurrezione di Apocalisse 20, non al Grande Mandato come supposto da tanti studiosi riformati. Gli angeli stavano radunando gli eletti che erano morti fino a quel momento della storia – e li stavano radunando da ogni parte della terra. E questa volta non avrò il tempo necessario per esporre e commentare i riferimenti storici romani che testimoniano di corpi emergere dalla terra nell’anno 66. Ma per ora è sufficiente che notiate come la mia interpretazione di queste cose sia semplice e diretta, non metaforica. Proseguiamo con il versetto 32:] Ora imparate dal fico questa similitudine: quando ormai i suoi rami s’inteneriscono e le fronde germogliano, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose [vale a dire tutti i segni elencati nei versetti da 3 a 32 – nel momento in cui quelle cose accadono, allora la fine del tempio e dell’età dell’Antico Patto è prossima. E ricorderete che questo capitolo inizia con i discepoli che chiedono a Gesù quando il tempio sarebbe stato distrutto e quando sarebbe finita l’epoca dell’Antico Patto], sappiate che egli è vicino, anzi alle porte! [e per i cristiani questo sarebbe stato il giusto momento di fuggire da Gerusalemme. E, difatti, essi riuscirono a scappare verso la città di Pella sopravvivendo in tal modo alla guerra. Il verso 34 termina così:]. In verità vi dico che questa generazione non passerà, finché tutte queste cose non siano avvenute.

Questa è l’affermazione più chiara che si possa fare circa il fatto di come assolutamente tutto nei versetti da 1 a 34 dovette aver luogo entro 40 anni dalla morte di Cristo – morte che avvenne nel 33 d.C. E la guerra dei sette anni terminò nel 73, esattamente quarant’anni dopo, ovvero una generazione.

Ma ora – attenzione – nei versetti 35 e successivi, Gesù descrive la futura Seconda venuta. E le differenze[4] tra queste due sezioni sono così nette che mi stupisce come i preteristi integrali finiscano per considerare le vicende descritte in questi brani come completamente verificatesi nel 70 d.C. In ogni caso, riguardo alla futura Seconda venuta, i versetti 35 e 36 dicono: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Ma quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo”.

Ma di che giorno si parla qui? Beh, pare chiaro: del giorno in cui il cielo e la terra passeranno; quindi, non degli eventi catastrofici del I secolo descritti nei versetti da 1 a 34. Il versetto 35 segna dunque una rottura netta tra due sezioni abbastanza diverse nel discorso olivetano. Ogni cosa di cui si parla prima del versetto 35 si riferisce al I secolo; le cose di cui si dice dopo il 35 riguardano, invece, la fine della storia. Ma di questo ce ne occuperemo come si deve prossimamente.

Se mi è piaciuto leggere così tanti versetti di questo passaggio di Matteo 24 è perché la fraseologia del versetto 30 risulta così vicina a quella di Apocalisse 1:7. E credo che le prove derivanti da Matteo mostrino come Gesù si riferisca ad una venuta nel cielo nel 66 d.C. molto visibile. Passiamo adesso a Matteo 26. È lì, infatti, che troviamo un ulteriore indizio utile. Leggiamo i versetti 63 e 64:

Ma Gesù taceva. E il sommo sacerdote replicò dicendo: «Io ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se sei il Cristo, il Figlio di Dio». Gesù gli disse: «Tu l’hai detto! Anzi io vi dico che in avvenire voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo».

Beh, sappiamo per caso se quel sommo sacerdote nel 66 fosse ancora in vita per poter assistere alla venuta sulle nuvole di cui gli dice Gesù? Sì, sappiamo di sì.

Soffermiaci adesso ad analizzare un’ulteriore caratteristica di questa venuta.

Questa venuta viene vista proprio dai responsabili della crocifissione di Gesù (il verso 7d dice, infatti: “…anche quelli che lo trafissero”; cfr Zac 12,10-14)

Vi sono altri brani della Scrittura che parlano della stessa venuta di Apocalisse 1:7 come visibile, ma lo scettico obietterà dicendo: “Ma davvero ogni occhio vide Gesù nel I secolo? Sicuramente ciò non si adempì. Sicuramente vi furono persone, che so, in Cina che non lo videro”. Che dire, si tratta certamente di una domanda legittima. Gli storici antichi non specificano quante persone videro Gesù, ma solo che furono viste le schiere angeliche ed una grande figura d’uomo nel cielo. Tuttavia, noi non ci appoggiamo alla storia per trarre da questa nessun fondamento per la Parola di Dio. La Bibbia ha massima autorità in sé stessa. E se il versetto 7 ci dice che ogni occhio vide Gesù nel I secolo, allora ogni occhio ebbe a vederlo per davvero. Non abbiamo bisogno di prove storiche che ce lo confermino. Che ve ne siano, è cosa sicuramente intrigante ed interessante. Tuttavia, non sono determinanti per il significato del testo biblico: è la Scrittura che interpreta la Scrittura – ricordiamolo sempre. La storia può sicuramente presentare illustrazioni e realizzazioni interessanti, ma in nessun modo è da prendere in considerazione per interpretare la Scrittura; semmai è quest’ultima che interpreta la storia. Dobbiamo assicurarci che la Scrittura rappresenti sempre e comunque l’autorità massima e definitiva nella nostra ermeneutica. E questi primi sermoni trattano proprio di ermeneutica – dei principi utili per l’interpretazione del libro dell’Apocalisse.

Torniamo un attimo alla domanda sulla Cina. Come già anticipato, penso infatti che sia un quesito con una sua validità: il verso in questione vuol davvero dire come ogni persona sulla terra sia riuscita a vedere Gesù nel cielo dell’anno 66 d.C.? Io non credo. Vi sono, infatti, due indicatori che dimostrano come l’espressione “ogni occhio” si riferisca ad uno speciale sottogruppo. Il primo di questi indicatori è la grammatica; il secondo è rappresentato, invece, dai riferimenti veterotestamentari.

Consideriamo prima la grammatica. Quando la congiunzione “e” ricorre in una serie, come nel greco di questo versetto, allora la seconda “e” può essere tradotta con “anche” (esattamente il modo in cui la traduce la Nuovo Re Giacomo o la Nuova Diodati). E questo “anche” è da intendere con funzione esplicativa nel senso di “cioè”, “vale a dire” o “specificamente”. Pertanto, il passaggio in questione potrebbe essere reso come segue: “Ogni occhio Lo vedrà, vale a dire coloro che lo trafissero”. E a questa stessa conclusione giunge pure Ken Gentry, il quale ritiene che gli occhi che assistettero alla venuta di Gesù nel cielo di Gerusalemme nel 66 d.C. furono quelli di coloro che erano stati direttamente responsabili della crocifissione del Messia – ognuno di loro lo avrebbe visto venire in giudizio.

E questo è esattamente il modo in cui Zaccaria 12, versi da 10 a 14, interpreta la cosa. E poiché Apocalisse 1:7 ha il suo fondamento proprio in Zaccaria 12, allora l’interpretazione che ne deriva dovrebbe risultare determinante e risolutiva. Altro aspetto che questa interpretazione acclara è come il verso relativo alla venuta nel cielo di Cristo non possa in nessuna maniera riferirsi ad un evento a noi futuro, perché ovviamente nessuno di coloro che crocifissero Gesù nel I secolo è oggi ancora in vita.

Detto ciò, passiamo adesso a considerare ancora un’altra caratteristica della venuta di Gesù.

Questa venuta avviene quando «tutte le tribù del terra (γς)» sono ancora nel paese d’Israele (v. 7e; cfr Zac 12,10-14; vedi anche i numerosi altri indicatori di imminenza: 1 :1,3,19; 2:5,16,25; 3:3,11,20; 5:7; ecc.; vedi anche la stessa frase in 22:20).

Il punto fatto poc’anzi – quello secondo cui la frase “ogni occhio Lo vedrà” si riferisce in particolare al sottogruppo composto dai responsabili dell’uccisione di Gesù – è ulteriormente confermato dalle parole seguenti, ovvero “tutte le tribù della terra”. Prendendo questa proposizione come se significasse “tutte le tribù del pianeta terra”, non solo ci ritroveremmo ad usare una definizione diversa della parola greca γῆς  (gês), ossia terra, ma faremmo anche in modo che Giovanni la espanda oltre i limiti di ciò che Zaccaria 12:10-14 consente. E praticamente tutti concordano sul fatto che il versetto che stiamo esaminando oggi parli esattamente della stessa cosa di Zaccaria 12. Andiamo a leggerlo:

10 «Riverserò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di grazia e di supplicazione; ed essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto; faranno quindi cordoglio per lui, come si fa cordoglio per un figlio unico, e saranno grandemente addolorati per lui, come si è grandemente addolorati per un primogenito. 11 In quel giorno ci sarà un grande cordoglio in Gerusalemme, simile al cordoglio di Hadad-rimmon nella valle di Meghiddo. 12 E il paese farà cordoglio, ogni famiglia da sé: la famiglia della casa di Davide da sé, e le loro mogli da sé; la famiglia della casa di Nathan da sé, e le loro mogli da sé; 13 la famiglia della casa di Levi da sé, e le loro mogli da sé; la famiglia di Scimei da sé, e le loro mogli da sé; 14 tutte le famiglie rimaste ognuna da sé, e le loro mogli da sé».

Questa profezia, capite bene, giunge chiaramente a realizzarsi in un momento storico in cui non solo le tribù sono ancora riconoscibili, ma persino alcune antiche famiglie d’Israele (come quella di Davide, Nathan e Scimei). Dai moderni rabbini apprendereste come ciò sia oggi impossibile, perché le genealogie sono andate tutte perdute e le tribù, per non parlare delle famiglie storiche, sono ormai completamente mescolate l’una con l’altra. Sapete, i dispensazionalisti parlano di come in futuro verrà costruito un terzo tempio a Gerusalemme e di come i leviti rimetteranno in piedi il sistema sacrificale. Ma tutto ciò non solo andrebbe contro l’abolizione definitiva dei sacrifici di sangue, ma si porrebbe in contraddizione anche con le leggi cerimoniali circa l’amministrazione dei servizi del tempio. Infatti, in assenza di una genealogia integra ed accurata la legge proibiva assolutamente a chiunque di prestare servizio come sacerdote o levita presso il tempio. Una genealogia intonsa che risalisse fino a Levi era condizione imprescindibile. Ecco perché così tanti sacerdoti e leviti furono esclusi dal servizio nel tempio al tempo di Esdra e Neemia. Quindi, anche se, chissà per quale miracolo, si riuscisse oggi ad individuare un profilo di supposta origine levita, risulterebbe comunque assolutamente non idoneo al servizio senza una genealogia completa e precisa. Comprendete i termini del problema? Eppure, il brano di Zaccaria dice chiaramente “…la famiglia della casa di Levi da sé” – indicando come questa famiglia fosse a quel tempo ancora intatta e ben riconoscibile. Zaccaria, quindi, ci costringe a credere che questa profezia debba aver trovato la propria realizzazione qualche tempo prima della diaspora. E se Zaccaria 12 si realizza prima del II secolo, lo stesso vale allora pure per Apocalisse 1:7. Quindi, le tribù di cui viene fatta menzione in entrambi i brani non sono da intendere come tutte le genti di tutto il pianeta terra di un futuro remoto, ma proprio le tribù storiche presenti nella terra d’Israele fino alla seconda metà del I secolo.

E, naturalmente, tutto ciò ben si armonizza con i numerosi indicatori di imminenza già esaminati nei sermoni precedenti: dal versetto 1 abbiamo appreso come a Giovanni vengano raccontate cose la cui realizzazione sarà prossima e celere; dal versetto 3 come il tempo sia vicino; dal 19 come gli eventi descritti nel libro siano in procinto di accadere. Sarebbe, pertanto, strano avere un verso che si pone in diretto contrasto con questi indicatori temporali collocando la realizzazione della propria rivelazione in un futuro molto lontano. Ed è così che lo stesso versetto 7 finisce per valerci come un importante indicatore temporale, se interpretato alla luce dei suoi paralleli veterotestamentari di Zaccaria 12:10-14 e di Daniele 7:13 (che contiene una visione chiaramente riconducibile al I secolo), come pure quelli neotestamentari di Matteo 24 e Matteo 26.

Andiamo avanti con il prossimo punto.

Questa venuta produrrà un gran dolore tra gli ebrei, i quali, pentendosi, saranno salvati (il verso 7 dice “…faranno cordoglio per Lui”; cfr Zac 12:10-14). Pertanto, troviamo in questo versetto un riferimento allo stesso Vangelo per ebrei e gentili di cui parla Romani 11; vi viene, inoltre, mostrato come misericordia e giudizio operino parallelamente (l’Apocalisse illustra i giudizi di redenzione).

Trattando questa caratteristica della venuta di Cristo, rimaniamo pure al già citato brano di Zaccaria 12, versi da 10 a 14. Mi piacerebbe spiegarvi brevemente un’ulteriore punto controverso – questa volta si tratta di un dibattito tutto interno ai nostri circoli del preterismo parziale. Credo che il passaggio di Zaccaria spieghi perfettamente la frase del versetto 7 che dice: “E tutte le tribù della terra faranno cordoglio per Lui”. Insomma, vorremmo capire: a che tipo di cordoglio si lasciano andare le tribù di Israele?

I preteristi parziali assumono due posizioni al riguardo. Ken Gentry dice che questo è un cordoglio, un lutto di disperazione a causa del giudizio dei non eletti. Morecraft e altri dicono, invece, come si tratti di un dolore profondo, di un lutto di pentimento e di salvezza. Io mi ritrovo con la seconda posizione, una posizione capace di mettere in evidenza come il libro dell’Apocalisse non presenti soltanto giudizi distruttivi, bensì anche giudizi redentivi. In altre parole, Dio mette in atto i suoi giudizi nella storia per umiliare le nazioni e allo stesso tempo attirare a sé un grande numero di nuovi convertiti. Questo è un modello che vediamo dispiegarsi a più riprese nel corso della storia ed è pure ciò che accadde nel I secolo. Sarebbe sbagliato pensare ai giudizi divini come contrari ed incompatibili con l’opera salvifica di Dio. Giudizio e salvezza non sono antitetici: a volte le persone si svegliano e giungono alla salvezza proprio a causa dei giudizi divini. Ecco, quindi, che dobbiamo vedere l’Apocalisse come un libro sul Vangelo che avanza non soltanto tra i gentili, ma anche tra gli ebrei – tra le tribù di quella nazione che il tribunale del cielo in questo libro arriva a giudicare severamente.

E prima di andare a rileggere Zaccaria 12, voglio rammentarvi di cosa trattano i capitoli 6 e 7 dell’Apocalisse. Il capitolo 6 tratta dei giudizi che Dio riversa su Roma ed Israele dal tempo della nascita di Cristo fino al 66 d.C.: giudizi redentivi che portarono a conversioni di massa sia tra gli ebrei che tra i gentili. Invece, la prima metà del capitolo 7 tratta dell’ultimo gruppo di ebrei che giunge alla salvezza poco prima dello scoppio della guerra, ovvero i famosi 144.000. E dalla seconda metà del capitolo 7 apprendiamo di un numero grandissimo di gentili che vengono salvati durante quello stesso periodo di tempo come risultato di quegli stessi giudizi redentivi.

Perché questa distinzione tra ebrei e gentili è tanto importante? Penso che sia importante al fine di evitare l’errore della “teologia della sostituzione” (tipica dell’amillenarismo e del preterismo integrale, ed occasionalmente riscontrabile pure tra certi postmillenaristi). Questa teologia sostanzialmente dice come Dio non abbia più rapporti con gli ebrei dopo il 70 d.C., giacché gli ebrei sono stati completamente e per sempre sostituiti dalla chiesa. In questi circoli si sostiene come la Chiesa sia l’unico Israele e come non vi sia nessun altro Israele da salvare.

In contrasto con questo punto di vista, la stragrande maggioranza dei postmillennaristi afferma come gli ebrei siano i rami naturali dell’Ulivo che sono stati spezzati e vengono adesso progressivamente reinnestati, e come nel corso della storia non sia mancato e mai mancherà un certo numero di ebrei covertiti al cristianesimo. In futuro, inoltre, si assisterà alla conversione dell’intera nazione ebraica. E – attenzione – non si tratta di due corpi distinti e separati (come previsto dal sistema dispensazionalista): gli ebrei che giungono a salvezza sono innestati nuovamente nell’Ulivo (vale a dire nella chiesa) mediante la fede in Gesù. La chiesa è ancora composta da ebrei e gentili; la chiesa è il Nuovo Israele: è proprio questo il mistero che divenne una tale controversia nel Nuovo Testamento. Il quesito centrale di quel dibattito era: “Come possono i Gentili essere in Israele se non devono essere circoncisi?” E così il ministero di Paolo fu rivolto prima agli ebrei e poi ai greci. Proprio come l’apostolo Paolo insisteva in Romani 11 sul fatto che ci sarebbe sempre stato almeno un residuo di ebrei salvati in ogni epoca e che alla fine l’intera nazione sarebbe stata salvata, il libro dell’Apocalisse offre una prospettiva simile. La venuta di Cristo in giudizio portò alcune persone alla distruzione e altre alla salvezza.

Bene, vediamo ora se Zaccaria 12 sostiene la mia posizione o quella di Ken Gentry. Leggiamo, dunque, ancora una volta i versetti 10, 11 e 12:

10 “Riverserò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di [cosa? Ascoltate attentamente:] grazia e di supplicazione [la grazia di Dio sta, quindi, raggiungendo gli ebrei e questi pregano Dio perché lo Spirito di supplicazione è su di loro. Non vi pare, questo, un evento atto a salvare? E anche se Gentry non è un sostenitore della teologia della sostituzione, sono fortemente in disaccordo con la sua interpretazione del tipo di cordoglio in Apocalisse 1:7. Proseguendo con la lettura, noteremo come questo sia un dolore di pentimento, non di disperazione. Continuamo:]; ed essi guarderanno a me, a colui che hanno trafitto; faranno quindi cordoglio per lui, come si fa cordoglio per un figlio unico, e saranno grandemente addolorati per lui, come si è grandemente addolorati per un primogenito [da queste parole non traspare odio per Cristo. Piuttosto, pare un dolore che scaturisce dall’amore, come quello per un figlio. Insomma, tutto ciò dimostra come il focus di Zaccaria sia sulla salvezza, una salvezza derivante dal giudizio. Detto questo, ci tengo a precisare come, in realtà, stimi assai il fratello Gentry: penso che il suo lavoro sull’Apocalisse sia di gran qualità, nonostante su questo punto particolare abbia torto. Continuamo con la lettura:]. 11 In quel giorno ci sarà un grande cordoglio in Gerusalemme, simile al cordoglio di Hadad-rimmon nella valle di Meghiddo. 12 E il paese farà cordoglio, ogni famiglia da sé…”

Penso di aver chiarito il mio punto. Il cordoglio in Zaccaria 12 è un profondo dolore che nel bel mezzo di un severo giudizio ha effetti redentivi portando un gran numero di ebrei a salvezza. Si tratta, quindi, di un dolore di pentimento che conduce alla vita.

Ebbene, vediamo la stessa cosa accadere anche nell’Apocalisse. Al capitolo 6, versetti da 9 a 11, leggiamo dei santi ebrei che in cielo pregano per conto del regno di Cristo: sono addolorati e supplicano Dio di intervenire sulla terra per far giustizia del loro sangue; ma il Signore dice loro di attendere e di riposare ancora un po’ finché ancora altri conservi e fratelli vengano salvati e martirizzati proprio come furono salvati e martirizzati loro. Ebbene, questa preghiera avviene verso la fine della grande tribolazione, nel 66 d.C., e in questa fase vi sono ancora moltissimi cristiani ebrei che vanno incontro alla morte. Inoltre, dal capitolo 7 apprendiamo come vi sia anche un ulteriore residuo di 144.000 credenti ebrei che sarebbe stato suggellato prima che nel paese venissero riversati i giudizi divini. Infatti, questi 144.000 sopravvivano alla guerra. Quindi, questo versetto ci induce a non vedere soltanto i giudizi nella loro natura distruttiva, ma anche la redenzione e la salvezza che ad essi si accompagnano.

Notate, dunque, come Apocalisse 1:7 contenga molti dei temi centrali del libro. C’è il tema della sovranità di Cristo, della sua venuta visibile in giudizio nel I secolo, del suo dominio, dell’incredibile grazia che giunge persino a coloro che lo hanno trafitto e per i quali Cristo intercede sulla croce. Sulla croce, infatti, egli chiese al Padre di perdonarli e poiché le preghiere di Cristo ricevono sempre risposta, credo che quella gente sia stata effettivamente perdonata. Inoltre, nel verso 7, a differenza del suo parallelo di Zaccaria 12, abbiamo anche l’aggiunta della locuzione “ogni occhio”, un’aggiunta che allude all’espansione della grazia dagli ebrei ai gentili. E, difatti, tra coloro che lo trafissero vi furono pure dei gentili.

Esaminiamo adesso l’ultima caratteristica peculiare della venuta di Cristo.

Questa venuta è certa (il versetto 7 termina dicendo: “Sì, Amen”)

In tal modo Giovanni sancisce l’accordo del giudizio di Dio con la redenzione di Dio. Ma questo “Sì, Amen” ci comunica pure la certezza di questi giudizi redentivi.

Trovo interessante che ci siano così tanti riferimenti storici (incluso quello del Talmud, per quanto sia un’opera estremamente avversa a Cristo) alla nuvola di gloria di Dio che si posa sul Monte degli Ulivi e ad una voce forte che invita Israele a pentirsi e a ricevere misericordia. Il mancato pentimento segnò la sua condanna. Che queste testimonianze siano vere o no, poco importa: gli ebrei ci credono e può essere una buona scusa a cui è possibile far ricorso quando si parla dei giudizi redentivi di Dio. Ad Israele fu concessa la possibilità di ricevere grazia anche all’ultimo minuto. Il nostro Dio è un Dio amorevole, benevolo e misericordioso. Ancora una volta ribadisco come il versetto 7 sia da prendere come una descrizione di un giudizio redentivo e non soltanto di un giudizio distruttivo.

Distinguere i sette modi diversi in cui viene usata la parola “venuta” per Gesù è fondamentale per interpretare correttamente il Nuovo Testamento (vi sono sette tipologie di “venuta”)

In molti presumono automaticamente come la parola “venuta” debba riferirsi alla Seconda venuta e nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. È possibile considerare molti passi delle Scritture per dimostrare come, infatti, vi siano almeno sette usi diversi di questo termine e come soltanto uno di questi si riferisca alla Seconda venuta. Lasciate, quindi, che vi legga a mo’ di esempio un brano per ognuna delle diverse tipologie di venuta, affinché possiate averne un’idea precisa.

1) Venuta nel suo regno durante la vita degli apostoli (Matteo 16:28; 26:64; Marco 9:1; 14:62; Apocalisse 22:20)

Matteo 16:28 è un verso che si riferisce alla venuta di Cristo nel suo regno durante la vita degli apostoli o, almeno, di alcuni di essi. Si tratta di una venuta che avviene dopo la morte di Cristo, ma non molto dopo. Infatti, Gesù, riferendosi ad essa, lascia intendere come alcuni degli apostoli sarebbero morti, mancando, quindi, questa sua venuta; altri, invece, vi avrebbero assistito perché ancora in vita. Leggiamo il verso: “In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non morranno prima d’aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno” (corsivo mio).

E cosa leggiamo in Apocalisse 22:20?  Vi viene detto: “Sì, vengo presto”. “Presto” non sta per 2000 e passa anni. Prendendo sul serio questo indicatore di imminenza, non si può, quindi, che desumere come esso si riferisca ad una venuta in un tempo in cui alcuni degli apostoli sono ancora in vita. Da Matteo 16:28 apprendiamo, infatti, chiaramente come alcuni di essi avrebbe assistito a questa venuta di Cristo nel suo regno e ciò non ci permette di veder rimandato l’inizio di questo suo regno ad un futuro prossimo.

Ora, alcuni sosterranno come, in realtà, in questo verso Gesù stesse parlando del Monte della Trasfigurazione e che faccia ciò solo in senso figurato. Ed è a dir poco curioso come le stesse persone che insistono sul prendere la Bibbia sempre alla lettera siano proprio quelle che finiscono per interpretare Matteo 16:28 in senso figurato. In ogni caso, questa teoria presenta tre problemi che la rendono irricevibile. Il primo è che nessuno dei discepoli era morto prima di Matteo 17, il capitolo nel quale viene riportato l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. Il secondo problema è rappresentato dal fatto di come il parallelo di Luca renda chiaro che il regno non sarebbero iniziato fino a dopo la risurrezione. Il terzo è che il versetto in questione allude a Daniele 7:13, un brano, questo, che collega chiaramente le cose con l’ascensione e con la venuta di Cristo per distruggere Gerusalemme. Da Matteo 16:28 apprendiamo, dunque, della venuta di Cristo nel suo regno nel I secolo. E questa è la prima tipologia di venuta.

2) Venute spirituali o mistiche (Giovanni 14:18,23; Apocalisse 3:20)

Apocalisse 3:20 ci mostra un ottimo esempio di quelle che possiamo definire venute di Cristo spirituali o mistiche presso la propria gente. Il tipo di esperienza illustrata in questo verso è considerata da persone provenienti da qualsiasi campo escatologico come qualcosa che qualunque gruppo di credenti può sperimentare. Gesù si trova presso la chiesa di Laodicea e bussa alla sua porta dicendo: “Ecco, io sto alla porta e busso; se qualcuno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui, e cenerò con lui ed egli con me”.

Non conosco nessuno che pensi che questa sia la Seconda venuta. Eppure, è altrettanto sicuramente una venuta di Gesù – una venuta spirituale.

3) Venute personali presso individui (Atti 9:3-11; 23:11; Apocalisse 1:10-18)

Per illustrarvi questo tipo di venuta sarà sufficiente leggere il versetto 11 di Atti 23, nel quale vien detto: “La notte seguente, il Signore si presentò a lui e disse: «Paolo, coraggio, perché come tu hai reso testimonianza di me in Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma»”.

4) Venute con o sulle nuvole (questo è il linguaggio dell’Antico Testamento che descrive Dio regnare in tutta la sua sovranità. Vedere Is. 19:1; Sal. 104:3; 18:9-12; 97:2; Nahum 1:3; ecc.; è adoperato anche in riferimento al regno di Gesù, come riscontrabile in Daniele 7:13; Matteo 24:30; 26:64; Marco 13:26; 14:62; Luca 21:27; Ap. 1:7)

L’espressione venire con o sulle nuvole del cielo è usata ripetutamente per descrivere il regno sovrano di Dio nell’Antico Testamento. E, cosa interessante, l’inizio del regno di Cristo durante la sua ascensione è descritto in Daniele 7:13 proprio come una venuta sulle nuvole del cielo. In Matteo 26:64 Gesù dice ai suoi accusatori: “…vi dico che in avvenire voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo”. Questa appena letta è una continua venuta sulle nuvole ed è definita come essere seduti alla destra della Potenza. Ebbene, questo è l’uso più comune del termine “venuta” nell’Antico Testamento: ha a che fare col regnare e con la sovranità.

5) Presenza efficace presso la chiesa (Mt 18:20; 28:20; Marco 16:20; Atti 18:9-10)

Questo tipo di venuta è usata per descrivere una presenza efficace nella Chiesa da parte del Signore. In Matteo 18:20 leggiamo, infatti: “Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. E nel Grande Mandato Gesù promette: “Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente”.

6) Venute in giudizio nella storia volte alla punizione di chiese o alla distruzione di nazioni (Matteo 21:40-43; Ap. 2:5,16; 3:3; ecc.)

In Apocalisse 2:5 abbiamo l’esempio di un avvertimento di giudizio rivolto ad una chiesa. Gesù in questo verso dice alla chiesa di Efeso: “Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi”.

Tutte queste “venute” sono diverse dalla venuta finale al termine della storia – l’ultimo giorno / “quel giorno” (Matteo 24:36,37,39,44; 25:31; Giovanni 5:28ss; 21 :22ss; Atti 1:11; 1 Cor. 4:5; 11:26; 2 Cor. 5:10; Col. 3:4; 1 Ts. 4:15-17; Tit. 2:13; Ebr. 9 :26-28; 2 Pietro 3:4; 1 Giovanni 2:28; 3:2; Ap. 20:11-12)

Come già accennato, Matteo 24, versetti 35 e seguenti, adopera il termine “venire” o “venuta” per riferirsi a qualcosa di non imminente, ma di lontano nel tempo. Pertanto, imbattendovi nel verbo “venire” nelle Scritture, state attenti a capire a che tipo di venuta ci si riferisca. Non date per scontato che ne esista un solo tipo. Anche se l’Apocalisse tratta della Seconda venuta alla fine della storia, questa non è il suo obiettivo principale.

Una volta che, alla luce di Daniele 7 e Zaccaria 12, si è compreso come Apocalisse 1:7 e quel suo “Egli viene con le nuvole” si riferisca alla venuta di Cristo in giudizio nel 66 d.C., l’intero libro diventa estremamente chiaro e, versetto dopo versetto, le cose vanno dispiegandosi ordinatamente. È un principio estremamente importante dell’ermeneutica dell’Apocalisse. Basando questo verso su chiari passaggi veterotestamentari, Giovanni pone le basi per una proficua comprensione del libro intero.

Bene – siamo adesso pronti a considerare altri tre presupposti interpretativi.

 

Il principio n. 27 dice: un giudizio redentivo rivolto a Roma e Israele (“quelli che lo hanno trafitto”) è da intendere come un tema centrale del libro dell’Apocalisse e ciò con particolare enfasi posta su Israele (“tutte le tribù della terra”, sulla base di quanto messo in chiaro dal riferimento di Zaccaria 12).

Questo presupposto ermeneutico non necessita di grande elaborazione. Poiché, come già esaminato, il verso di Apocalisse 1:7 presenta una chiara allusione sia a Daniele 7:13-14 che a Zaccaria 12:10-14, allora la nostra comprensione di “venuta” deve essere definita in tutta coerenza con questi due passaggi veterotestamentari. Ciò è rafforzato dal riferimento di Daniele nel quale, al verso 13, leggiamo: “…ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un Figlio d’uomo” e da Apocalisse 22:20 che dice: “Sì, vengo presto [ταχύς – tachys in greco]”. Quindi – ripetiamo – il verso di Apocalisse 1 fa sì che un giudizio redentivo rivolto a Roma e Israele risulti un tema centrale del libro.

 

Il principio n. 28 dice: lo scenario contestuale di Apocalisse 1:7 ci fornisce il nostro primo indizio di come la parola “terra” (γς) dovrebbe essere intesa come “paese” in tutto il libro (v. 7b). “Terra” è, infatti, un riferimento al paese d’Israele.

Ed abbiamo già avuto modo di accennare alla sostanza di questo principio. Vic Reasoner a tal proposito dice quanto segue: “γῆ (ge) può significare suolo, terreno, paese o terra. Ma Apocalisse 1:7 si ispira a Daniele 7:13 e a Zaccaria 12:10. Il riferimento in Zaccaria si riferisce specificamente alla casa di Davide e agli abitanti di Gerusalemme”[5]. Insomma, anch’egli chiarisce come il termine indichi semplicemente il paese d’Israele. Milton Terry scrive nel suo commentario: “La proposizione tutte le tribù della terra è tratta da Zaccaria 12:12-14, nel quale si fa riferimento alle famiglie del popolo ebraico, non a tutte le nazioni della terra”[6]. E un’ulteriore citazione che vorrei proporvi è tratta da un’opera del celebre studioso ebreo Alfred Edersheim, dal quale apprendiamo: “Per i rabbini la Palestina era semplicemente ‘la terra’, mentre tutti gli altri paesi venivano riassunti sotto la definizione di ‘fuori dalla terra’”[7].

In conclusione: sostituendo “terra” con “paese”, gran parte del contenuto del libro dell’Apocalisse finirà per risultare maggiormente comprensibile. Giovanni lo presenta come un indizio ermeneutico per intendere il libro fondandolo sul chiaro riferimento di Zaccaria. E, comunque, l’uso più comune e diretto del termine γῆς nelle Scritture è proprio “paese”.

 

Il principio n. 29 dice: poiché Cristo ora governa con assoluto potere divino, la realizzazione dei suoi propositi è garantita (vv. 7e-8)

Questo principio è desumibile non soltanto dal “sì, Amen” che troviamo alla fine del versetto 7, ma anche da tutto il versetto 8. Il “maggioritario” rende questo versetto in tal modo: “«Io sono l’Alfa e l’Omega», dice il Signore Dio, «Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente»”.

Chi è a parlare in questo virgolettato? I commentatori sono abbastanza concordi nel ritenere che a parlare sia Gesù. Ci sono diverse ragioni esegetiche per crederlo, ma mi limiterò a darvi quella più ovvia. Ogni altra volta che nell’Apocalisse ci imbattiamo nella dichiarazione “Io sono l’Alfa e l’Omega”, Gesù ne è identificabile chiaramente come l’autore. Ad esempio, in Apocalisse 21:6 egli dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega” e al capitolo 22, verso 13, afferma: “Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo”.

Ebbene, se è Gesù che parla, allora ne deriva come Gesù sia Yahweh. Questa sua affermazione ci comunica anche come Dio Figlio sia senza tempo, esattamente alla stessa maniera di Dio Padre e che, come quest’ultimo, disponga dell’attributo divino dell’aseità. E poiché Giovanni vi si riferisce usando l’espressione “il Signore Dio”, allora comprendiamo come egli sia divino proprio come il Padre. Inoltre, l’appellativo “l’Onnipotente” indica come egli condivida questa stessa caratteristica con il Padre. Notiamo pure come in questo versetto ricorra lo stesso titolo divino di “IO SONO colui che SONO” già esaminato nell’ultimo sermone. Tutti questi elementi indicano come Gesù sia ben in grado di guidare e dirigere, proteggere e promuovere, far avanzare il suo regno nella storia e concedere la vittoria alla sua chiesa sulla terra. Insomma, pensateci, tutto ciò sarebbe stato recepito dalla chiesa perseguitata e sofferente del I secolo come estremamente incoraggiante.

Simon Kistemaker dice di questo verso: “L’espressione «colui che è, che era e che viene», con l’aggiunta di ‘l’Onnipotente’, ricorre come una quadruplice attestazione della divinità, dell’eternità, della presenza e del potere di Dio (1:8; 4:8)”[8].

E che bella osservazione con il quale concludere il nostro sermone. È indubbio come stiamo affrontando tempi difficili. Certo, non così difficili come quelli dei santi del I secolo. Ma lo stesso conforto che questo versetto procurò loro può raggiungere e risollevare anche noi.

In primo luogo, è fondamentale mettere in chiaro come Gesù sia divino. E, se ha promesso di edificare la Chiesa in modo che nemmeno le porte dell’inferno possano prevalere contro di essa, non c’è nulla che gli umanisti possano fare per distruggerla completamente. Da qualche parte nel mondo continuerà a sussistere e a crescere.

In secondo luogo, Gesù è eterno. Come il Padre, egli sperimenta il passato, il presente e il futuro nella forma di un eterno presente, almeno per quanto riguarda la sua natura divina. Ciò significa che Gesù non viene colto di sorpresa. Proprio come predice gli eventi di questo libro assicurando che questi siano tutti sotto il suo controllo, egli conosce pure il nostro futuro e ci assicura come anch’esso sia sotto il suo controllo.

In terzo luogo, Kistemaker afferma come questa frase sia anche un riferimento alla sua presenza. Gesù è presente presso la sua chiesa. Certamente il suo corpo è in cielo, ma quanto alla sua Persona, egli ha promesso: “Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente”. Nell’epistola agli Ebrei ha promesso di non lasciarci né abbandonarci. E questo libro ci insegnerà in modo pratico in cosa consiste la sua presenza per la chiesa. Non abbiamo da aspettarci che il Signore Gesù venga in carne ed ossa sulla terra ad affrontare le difficoltà di questo mondo: la sua presenza divina è tutto ciò di cui abbiamo bisogno.

E, in quarto luogo, Kistenmaker menziona il potere divino. Quindi, come visto, l’ultima parte del versetto 7 e l’intero versetto 8 stabiliscono il principio n. 29: poiché Cristo ora governa con assoluto potere divino, la realizzazione dei suoi propositi è garantita.

Affrontiamo il futuro con fede e fiducia in ciò che Gesù sta facendo. E invece di fuggire dalla battaglia, seguiamo il nostro Nuovo Giosuè mentre ci guida attraverso il Grande Mandato per conquistare la terra di Canaan. E confidiamo in Lui: se Lui è per noi, chi potrà essere contro di noi?


Originale: https://biblicalblueprints.com/Sermons/New%20Testament/Revelation/Revelation%201_1-11/Revelation%201_7-8?utm_source=kaysercommentary.com#user-content-fnref-9

[1] Traduzione di Wilbur Pickering, in The Sovereign Creator Has Spoken: New Testament Translation With Commentary (WalkinHisCommandments.com, 2013).

[2] Stephen Bowman, Sepher Yosippon, A Mediaeval History of Ancient Israel (tradotto dall’ebraico da Steven B. Bowman). Estratti provenienti dal capitolo 87, “Burning of the Temple”.

[3] L’intera opera può essere consultata e scaricata al seguente indirizzo: https://archive.org/details/PseudoHegesippusWadeBlockerTranslation

[4] Ecco un elenco di alcune differenze tra la venuta in giudizio del 66 d.C. e la Seconda venuta alla fine della storia:

  • Cristo non conosce il tempo della Seconda venuta (v. 36 con Marco 13:32) ma conosce il tempo della grande tribolazione (v. 34 con Luca 21:18-24); quindi sono eventi diversi.
  • La grande tribolazione e la grande ira non si verificano alla fine della storia poiché la frase “né mai avverrà” implica che la storia accada dopo la tribolazione.
  • Numerosi segni precedono la venuta del 66 d.C. (vv.4-28), ma nessun segno anticipa la Seconda venuta (vv.35-51 e cap.25).
  • C’è una terribile discontinuità della storia prima della venuta del 66 d.C. (vv. 4-34), mentre c’è continuità della storia nei versetti 37-39 e nel capitolo 25. Si contrappone la vita anormale (vv. 4-34) alla vita normale. (vv. 35ss).
  • Le cose menzionate nei versetti 4-34 devono accadere nell’arco di una generazione e sono “alle porte” quando si verificano i segni (vv. 33-34), mentre la Seconda venuta è paragonata al Signore che ritarda la sua venuta (v. 48; 25 :5) ed è “dopo molto tempo” (25:19).
  • Le persone avranno l’opportunità di “fuggire sui monti” (v. 16) durante gli eventi che precedono la guerra dei sette anni contro Israele e saranno avvertite di non tornare nei campi o di entrare in casa, ma affrettare la fuga (v. 18; Marco, Luca). Al contrario, il tempo della Seconda venuta è del tutto inaspettato ed improvviso (vv. 40-41; ecc.).

[5] Vic Reasoner, A Fundamental Wesleyan Commentary on Revelation (Evansville, IN: Fundamental Wesleyan Publishers, 2005), p. 125, nota 59.

[6] Milton Terry, Biblical Apocalyptics, (Grand Rapids: Baker, 1988), p. 281.

[7] Alfred Edersheim, Sketches of Jewish Social Life, (Hendriksen Publishers, 1994), p. 14.

[8] Simon J. Kistemaker e William Hendriksen, New Testament Commentary: Exposition of the Book of Revelation, (Grand Rapids: Baker, 2001), p. 24.


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