Non avrebbe potuto esserci una scelta migliore per un luogo in cui riunire i vescovi del Primo Concilio Ecumenico della Chiesa. Originariamente la città aveva preso il proprio nome dalla moglie di uno dei generali di Alessandro Magno vittorioso sui suoi rivali nella guerra civile dopo che i “figli di Zeus” morirono di ubriachezza in Persia.Era una di quelle città che il ‘divino-umano’ Alessandro Magno e i suoi eredi avevano costruito perché fosse una verace rappresentazione della Città dell’Uomo, una delle orgogliose dichiarazioni dell’uomo autonomo di essere un dio, di edificare la torre di Babele e di raggiungere il cielo. Ogni centimetro della terra di Bitinia, a quel tempo una delle province Romane più ricche, esprimeva potentemente la voglia di divinità da parte dell’uomo. Non c’era luogo, in un raggio di alcuni giorni di cammino dalla città dove non ci fossero delle memorie di antiche glorie, di battaglie vinte e di drammatiche sconfitte, di favolose ricchezze e di grandi civiltà. A meno di 300 chilometri a oriente c’erano le grandi città dell’antico Impero Ittita, uno dei più antichi tentativi dell’uomo di creare un impero mondiale. Alla stessa distanza ma ad Occidente c’erano le rovine di Troia, l’antesignana Cartagine, la signora dei mari e del commercio, distrutta dall’avidità, la cupidigia e la vanagloria dei barbari Achei. Cinquanta chilometri a Nord c’era Crisopoli, uno degli antichi depositi d’oro dell’Impero Persiano, la “città d’oro” di Serse. Appena a Sud c’era il regno di Lidia col suo re Creso, che fu per un periodo anche il re della Bitinia, la cui fama a motivo delle sue ricchezze è sopravvissuta all’antichità per ben due millenni. Pochi chilometri a Nord, in Nicomedia, l’ultimo grande Cananita della storia, un eroe della città dell’Uomo, Annibale (Baal è il mio Signore) prese il veleno dopo che Roma richiese la sua resa. Lungo tutta la sua storia, la Bitinia controllò i “crocevia del commercio”, i passaggi via mare attraverso il Bosforo, e le vie su terra dall’Asia all’Europa. Il luogo possedeva tutto ciò che eccita perfino il nostro mondo pagano moderno. Come governatore della Bitinia, Plinio il Giovane ricostruì la città ad immagine e somiglianza di quella massima Città dell’Uomo: Roma, il più alto prodotto mai ottenuto dal superbo tentativo dell’uomo di conquistare altri uomini. Le sue mura racchiudevano un’area molto più ampia della sua popolazione a quel tempo, e come fedele servitore della Città dell’Uomo, è dal palazzo della città stessa che Plinio comandò le persecuzioni contro i cristiani di Bitinia. Plinio sapeva cosa fosse in ballo, sapeva, molto meglio dei moderni cristiani, che l’obbiettivo di Cristo era fare di tutti i regni della terra, Roma inclusa, il suo Regno. Così, costringeva i cristiani a fare il regolamentare giuramento di fedeltà all’Impero. Quelli che rifiutavano di onorare Cesare sopra Cristo, li considerava veri cristiani, veri nemici della Città dell’Uomo, e perciò veri ambasciatori, e soldati della Città di Dio. Li faceva uccidere. Il nome della città era Nicea, la città della vittoria. La vittoria dell’uomo sull’uomo suo simile, la vittoria dell’uomo su Dio. Il territorio, la storia, ogni albero, perfino i nomi delle strade e le porte della città erano carichi di simbolismi e testimoniavano del tentativo dell’uomo peccatore di governare come Dio. Così, quando nel 325 Costantino riunì più di 300 dei vescovi cristiani dell’Impero nel suo palazzo imperiale, molto probabilmente lo stesso palazzo dove Plinio più di due secoli prima firmava le sentenze di morte per i cristiani, il palazzo fu scelto con molta cura, ed anche il suo nome. Costantino rese chiaro che egli risiedeva in Vittoria sui suoi nemici, chiamò i vescovi a vivere nella stessa Vittoria con lui, anche se solo per alcune settimane. Ma ci fu di più. Il Primo Concilio non fu semplicemente un’assemblea di teologi. Fu una festa di Vittoria, una trionfale dichiarazione al mondo che Cristo e la sua Chiesa avevano vinto quelli che li avevano perseguitati. Il mondo seppe: dopo 300 anni, il piccolo gruppo di un falegname e 12 apostoli avevano costretto l’Impero sulle ginocchia. Cesare si era arreso a Cristo. In difesa di Costantino Così, quando in quel giorno d’estate nel giugno del 325 Costantino in persona aperse i lavori con un discorso, disse tre cose che erano una rivoluzione politica per il mondo antico. Gli storici moderni, sia cristiani che secolari, essendo il gruppo di ciechi che generalmente sono, accentrano l’attenzione quasi esclusivamente sul modo in cui Costantino fece il suo ingresso e sul suo mantello viola, come registrato da Eusebio, per provare i loro pregiudizi contro di lui come “vanaglorioso e superbo” (quasi che, se l’imperatore avesse ballonzolato fino al suo trono in scarpe da jogging e pantaloncini corti, questo avrebbe provato la sua umiltà). Ma generalmente trascurano l’essenza delle sue parole. I punti del suo discorso furono (1) la pace dell’Impero dipende dalla pace della Chiesa; (2) la pace nella chiesa dipende dalla rivelazione circa la natura di Dio e di Cristo nelle divine Scritture; e (3) il passato non merita menzione, è il futuro che conta. Questi punti meritano una discussione molto più dettagliata in un altro articolo. Qui è sufficiente dire che, da un punto di vista politico le sue parole furono il definitivo tradimento di tutto ciò che Roma pagana sosteneva. La pace politica (pax romana) era la pace divina definitiva per le nazioni, la parola dell’uomo era fondante, la parola degli dei era ascoltata solo quando confermava gli obbiettivi degli uomini, e il vero significato della “pace” dell’uomo era un ritorno al passato, la mitica “epoca d’oro” di abbondanza, potere e felicità da lungo tempo perduta ma mai dimenticata. Questi erano i tre fondamenti dell’ideologia di Ottaviano Augusto. Costantino, nel suo discorso d’apertura al Concilio di Nicea, rovesciò il mondo antico sottosopra, politicamente ed ideologicamente. Questo non fu il primo gesto di questo tenore da parte dell’Imperatore. Un anno prima del Concilio, subito dopo la sua vittoria finale contro le forze pagane, Costantino cominciò un progetto di costruzione: La Nuova Roma, la Città di Dio che rimpiazzerà la Vecchia Roma, la Città dell’Uomo. Il sito era non molto lontano da quello della sua ultima vittoria, dall’altra parte del Bosforo, dove stava l’antica colonia Greca di Bisanzio, solo una settantina di chilometri a Nord di Nicea. Un Impero Cristiano meritava una capitale cristiana. E Costantino la stava costruendo, mentre al Concilio stava presentando la filosofia di governo del nuovo Impero. Tutto indicava una vittoria di Cristo su Cesare, della luce sulle tenebre, del cristianesimo sul paganesimo. Perfino quando l’Imperatore cercò di influenzare il Concilio in favore dell’Arianesimo che egli preferiva, i vescovi ortodossi si ribellarono, e in sua presenza stracciarono in pezzi il credo Ariano proposto. (Sulla preferenza dell’imperatore per l’Arianesimo, vedasi Rushdoony: i Fondamenti dell’Ordine Sociale, Capitolo 2 ). Costantino cedette, e anche il suo amico, Eusebio. Con o senza mantello viola, Cristo non indietreggiava davanti a Cesare. Alla fine dei conti, quando il regno di Costantino finì, fu la chiesa ad emergere trionfante, e nella chiesa il credo Trinitario ortodosso che abbiamo oggi. Con tutti i difetti personali di Costantino, con tutte le imperfezioni della sua fede, il suo regno rimarrà come uno dei più grandi periodi di trionfo della cristianità e della Chiesa. I teologi italiani, i predicatori, i cristiani, sanno poco di questi eventi. Se fanno qualche commento è generalmente una parola di condanna. Essi rigettano ciò che chiamano il “modello Costantiniano”. Essi credono che la chiesa non dovrebbe mai predicare al governo civile. Credono che il governo civile abbia una sfera operativa diversa, una cui la Bibbia non parla, e perciò la chiesa non abbia nulla da dire in proposito. Limitano il vangelo a qualche proposizione per la salvezza individuale. Affermano che il Vangelo non può e non deve parlare ai governanti. Le questioni della giustizia sono lasciate al Vecchio Testamento. Il Nuovo testamento è strettamente individuale, e non parla mai alla cultura, alla legge della nazione, o al governo civile. Giustificano questa ideologia della ritirata ricorrendo all’argomento delle “prove e tribolazioni”. Secondo la maggioranza dei teologi moderni, il marchio della vera chiesa è la persecuzione. Più una chiesa è perseguitata e più è pura, e perciò crescerà meglio e più velocemente. Se in una società e in una cultura tutte le istituzioni sono obbedienti a Dio, non ci sarebbero persecuzioni, e perciò tale “modello” è per la chiesa inaccettabile. Non possiamo operare per cambiare la cultura, al contrario, dovremmo gioire quando la cultura è più lontana da Dio, poiché allora avremo persecuzioni, e la chiesa crescerà molto più rapidamente. I cristiani sotto persecuzione sono per abdicazione molto più forti, ed i cristiani in una società pacifica, giusta sono più deboli nella fede. Il “Modello Costantiniano” perciò non è un modello accettabile per la chiesa. Ma proprio nel “modello Costantiniano” c’è una forte testimonianza contro tale punto di vista. Teodoreto ed altri storici della chiesa, basandosi sul resoconto di Eusebio, un partecipante al Concilio, ci dice qualcosa di molto peculiare a proposito del Concilio di Nicea: la maggioranza dei vescovi presenti erano menomati o sfigurati. Alcuni erano privi di un occhio, altri avevano subito l’amputazione di arti. Tutti portavano nei loro corpi i segni della persecuzione. Poco si sa oggi che i vescovi presenti al primo Concilio erano tutti passati attraverso la persecuzione più severa. I teologi moderni sanno solo blaterare di persecuzione e di prove dai loro comodi uffici nelle chiese e dalle scuole bibliche. (Strano come non si senta richiedere più persecuzione dai cristiani della Corea del Nord, del Pakistan o dello Zimbabwe. Sentiamo blaterare di persecuzione solo dai nostri teologi e predicatori). Questi primi vescovi non blateravano di persecuzione, l’hanno sperimentata in prima persona. Sapevano in prima persona se la chiesa fosse veramente più forte sotto pressione, sapevano in prima persona quanto forti fossero i cristiani sotto persecuzione. Alcuni di questi vescovi furono i primi a presentarsi volontariamente per la mutilazione dei loro corpi nel tentativo di salvare il loro gregge dal fuoco, dalle bestie feroci, o dalla tortura. La morte era la fine più misericordiosa per un vero cristiano, l’esilio (la tanto condannata “persecuzione” per eresia nel successivo Impero Cristiano) era riservata solamente per i membri cristiani della famiglia dell’Imperatore. Il più delle volte i cristiani finirono per essere torturati per settimane, o bruciati vivi, o crocefissi in modo estremamente crudele. Alcuni perseverarono e riuscirono a sopravvivere. Altri si arresero. Migliaia morirono. I vescovi presenti al Concilio di Nicea erano tra quelli che avevano perseverato ed erano sopravvissuti. Ma avevano pagato il prezzo. Così, secondo il criterio dei moderni teologi della dottrina delle “prove e tribolazioni”, questi vescovi furono i migliori cristiani di tutti. Possono essere assunti a nostro criterio di giusta condotta, poiché non solo passarono attraverso le tribolazioni , ma riuscirono a far crescere la chiesa tanto che divenne la comunità più influente in tutto l’Impero. Sapevano che le tribolazioni erano un combattimento, una combattimento che sarebbe inevitabilmente terminato con la vittoria. Non sapevano se la vittoria sarebbe stata nell’arco della loro vita, dopo tutto, molti di loro erano morti senza averla vista. Ma certamente se l’aspettavano. Ma quando Costantino, non solo pose fine alle persecuzioni, ma dichiarò anche che da ora in poi la pace del suo Impero sarebbe dipesa dalla Chiesa di Gesù Cristo, questi cristiani esemplari, questi vescovi mutilati, sfigurati, torturati non opposero resistenza alla novità degli eventi. Sembra che non abbiano avuto l’ideologia dei teologi moderni. Non cominciarono a blaterare circa la necessità delle persecuzioni per la “crescita” e per la “forza”. Avevano un’idea molto diversa. Quando Costantino li riunì, gli uomini che avevano provato l’ira dell’impero pagano, ora accettarono gioiosamente l’invito a risiedere per più di due mesi nel palazzo dell’Imperatore, a discutere questioni di teologia che da ora in poi avrebbero dato direzione non solo alla Chiesa ma anche all’Impero. Le persecuzioni non furono fini a se stesse, furono il mezzo per la vittoria. Non solo la vittoria eterna nel giudizio finale, ma anche una vittoria terrena, la vittoria della Città di Dio sulla Città dell’Uomo, nella storia, sulla terra. La chiesa perseguitata, veramente perseguitata, non come i sogni dei moderni teologi, accettò la resa di Cesare come qualcosa di normale, storicamente inevitabile, ed atteso. E un anno dopo l’ultima battaglia sul campo contro il Vecchio Impero, la Chiesa vittoriosa nelle persone dei vescovi un tempo perseguitati era pronta e volente a modellare il futuro dell’Impero e la sua cultura e società, in accordo con la Parola di Dio. La moderna idolatria teologica della sofferenza non fu parte della dottrina della prima Chiesa. La sofferenza fu il mezzo, la vittoria nella storia e nell’eternità l’obbiettivo. Il mezzo non poteva essere più importante dell’obbiettivo. Quando Costantino si arrese, i vescovi accettarono la sua spada. E quando li radunò per imparare da loro l’ideologia ufficiale del suo futuro Impero, furono là per istruirlo. Perciò, quando udite un teologo moderno dire sciocchezze circa l’ “esilio”, la “tribolazione”, “lungo i fiumi di Babilonia” come se questi dovessero essere la condizione eterna della chiesa nella storia, ricordate loro che non sono mai passati attraverso la tribolazione. Poi ponete davanti a loro l’esempio di quelli che lo furono, e perseverarono, e vissero per essere testimoni della vittoria di Cristo su Cesare. I cristiani accettano le tribolazioni come mezzo, e non ce ne lamentiamo. Ma l’idolatria della sofferenza non è un concetto cristiano, e l’esempio della prima Chiesa lo insegna molto bene. Dio non è Dio sull’eternità solamente, ma anche sulla storia. È Tempo che la chiesa moderna prepari il terreno per la sua Nicea futura. La Città di Dio ha vinto la Città dell’Uomo già una volta. Dio lo farà di nuovo.