La calunnia cambia con facilità i propri argomenti perché è interessata a ciò che danneggerà anziché alla verità. In epoche diverse, accuse diverse faranno il male maggiore. Ciò che in un periodo può essere un’accusa deleteria può diventare un complimento in un altro periodo e viceversa.
È certamente così per Calvino, e per Ginevra ai giorni di Calvino, e nel tempo in cui vi fu influente. Come hanno evidenziato Gillian Lewis e Roger Staufenegger, la Ginevra di Calvino divenne nota come “Il paradiso delle donne” [1]. C’erano buone ragioni per questo. Calvino fu fortemente protettivo dei “diritti delle donne”. Sotto la sua guida i concistori di chiesa diedero la caccia ai mariti che maltrattavano la moglie. Processarono tutori che s’erano appropriati di fondi fiduciari di vedove e orfani. Mogli abbandonate furono protette, e così via. Prestwich ha fatto riferimento a “l’attrazione del calvinismo nei confronti delle donne” in quell’area geografica [2].
In quell’epoca, e prima per secoli, uomini e donne anziani prosperi e potenti avevano contratto matrimoni con donne e uomini molto giovani. Le famiglie dei giovani si adeguavano a queste disposizioni per vantaggi personali. Calvino sentì con forza che questi matrimoni non dovessero essere permessi. Nel gennaio del 1557 il concistoro dissolse un matrimonio tra una donna di più di 70 anni con un uomo di 27 o 28 [3]. Furono pubblicate delle regole per proteggere tanto uomini che donne nel matrimonio. Furono stabilite molte regole per evitare inganni. In questo modo, “stranieri provenienti da un’altra nazione” non potevano avere il permesso di sposarsi a Ginevra finché non fosse stata fatta un’accurata indagine del loro passato e della loro famiglia [4]. Una donna, perseguitata per la sua fede poteva lasciare il marito legittimamente [5].
Dire che i pastori di Ginevra furono sempre saggi nei loro giudizi in casi che implicavano donne sarebbe un errore. Ciò ch’è chiaro è cha la Ginevra calvinista ai giorni di Calvino era vista come “il paradiso delle donne” a motivo della ricettività di Calvino e altri delle loro situazioni e del loro bisogno di giustizia.
C’era una ragione per quest’attitudine. Il ritorno del Vecchio Testamento come parte inseparabile della bibbia; il Nuovo Testamento era letto come una parte essenziale del Vecchio Testamento.
Poiché il Vecchio Testamento collega solidamente la santità con la legge, e la legge concerne la vita di ogni giorno, il risultato fu ciò che Henry Houser definì la “secolarizzazione della santità” ovvero, la santità fu fatta una questione della vita quotidiana per tutti i credenti. Si trattò, nelle parole di Luthy, di una “insistenza sulla vita di santità come dovere di ogni credente”[6]. Di Luca 6:35, (“Ma amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete i figli dell’Altissimo, perché egli è benigno verso gli ingrati e i malvagi”), Calvino disse che è nostro dovere fare del bene senza aspettarci nulla; dobbiamo esercitare una vera bontà, non una bontà mercenaria, avendo ricevuto grazia, dovremmo dunque manifestare grazia [7].
Abbiamo un fatto notevole qui nella riforma della Ginevra di Calvino. Fu una città giustamente chiamata ai suoi giorni “il paradiso delle donne”. Questo è un’aspetto della Riforma cui è stata data insufficiente attenzione. La ragione è che queste riforme nella legge civile ed ecclesiale che ai suoi tempi resero Ginevra così degna di nota sono oggi associate col patriarcalismo, e il patriarcato è una parola odiata dai femministi che siano in gonna oppure in pantaloni. Suggerisce immagini di oppressione maschile, dominazione e governo. È diventato un simbolo di mali passati e presenti.
Il fatto significativo, però, è che il patriarcalismo non era centrato sul maschio ma era governato dalla fede e dalla famiglia. Gli uomini moderni nella famiglia atomistica hanno spesso maggiore potere, se scelgono di esercitarlo, di quanto ne abbia avuto l’uomo patriarcale. La ragione era assai chiara: l’uomo patriarcale era un amministratore fiduciario dal passato al futuro. In 1 Re 21, vediamo che Naboth non si sentì in diritto di vendere la terra di famiglia indipendentemente da quanto denaro avesse offerto re Achab. La terra in questione non era sua eccetto che in amministrazione dai suoi antenati alle generazioni non ancora nate.
Il fascino del vivere in modo esistenzialista è che limita tutti i diritti e il potere al momento presente. L’esistenzialista non vede responsabilità verso il passato né verso il futuro, né a qualsiasi cosa nel momento altra dalla sua volontà e dal suo desiderio. Questa è la ragione per cui, data qualsiasi opportunità, l’esistenzialista è sempre tirannico e oppressivo: farà ciò che potrà fare in modo sicuro senza incorrere nell’immediato giudizio. Tanto il potere quanto il “diritto” sono limitati al momento e alla sua volontà.
Non è così per l’uomo patriarcale. È legato a responsabilità, alla famiglia, e ad altre persone. Sua moglie è la sua socia e vice-reggente nelle responsabilità, ed ambedue devono essere orientati al futuro.
Il femminismo, come il maschilismo, è esistenzialista e orientato al presente. Non ha il senso della comunità né dell’armonia d’interessi. Ambedue, femministi e maschilisti credono nella guerra dei sessi e sono in lotta per vincerla. Da buoni darwinisti credono nella sopravvivenza del più forte in una guerra cosmica per la sopravvivenza. Poiché nella loro fede il cosmo non ha né legge né moralità, i più forti sono semplicemente i sopravvissuti, quelli che per la loro radicale spietatezza e per il loro disprezzo per la moralità riescono a sopravvivere.
Per tutte queste persone, il patriarcato è una trappola perché presuppone, malgrado la Caduta dell’uomo e la sua depravazione, il valore ultimo e il trionfo di Dio e della sua legge. L’universo è pertanto un universo morale. Come dichiara Debora nel suo cantico: “Dal cielo le stelle combatterono, dai loro percorsi combatterono contro Sisera” (Gc. 5:20).
Una cultura biblica, patriarcale vede il conflitto essenziale nella vita come un conflitto morale, non uno personale. Da studente ho udito un professore, non in favore del patriarcato, definire l’ospitalità, e l’apertura verso le persone la sua caratteristica centrale. Citò come rivelativo di patriarcalismo il responso di Abrahamo ai tre stranieri: li invitò dentro a condividere il suo “sale” o vita (Genesi 18).
L’atomismo sociale moderno, invece, vede tutti gli uomini come nemici e trasforma il mondo in un luogo ostile. Classe contro classe, razza contro razza. Woodrow Wilson, da studente a Princeton, condivise l’odio degli studenti verso i ragazzi di città, a Princeton chiamati “snob”, e scrisse: “Dovremo uccidere qualcuno di questi snob perché imparino la prudenza” [8]. Wilson, ovviamente, non aveva questi progetti omicidi, ma gli piaceva pensare in questi termini. Non desta sorpresa che abbia contribuito a far avanzare la causa della lotta di classe. Proprio mentre sognava di un mondo reso sicuro per la democrazia, fece progredire le divisioni sociali col suo pensiero.
La cultura biblica, patriarcale è oggi molto disprezzata da quelli che, in quanto umanisti, odiano le soluzioni morali. Per loro i nostri problemi non si possono diagnosticare come ribellione contro Cristo e contro la legge di Dio ma come una questione di interessi economici, tensioni tra classi e condizionamenti sociologici di natura regressiva e sociopatica. Calvino è per loro un simbolo di cattive risposte e un libro recente vede Calvino essenzialmente come in uomo “malato”! Il libro ci dice di più sul suo autore che su Calvino.
Occasionalmente, ho citato a voce l’opera dell’arcivescovo san Carlo Borromeo, la cui beneficienza includeva “dare doti di matrimonio a ragazze poverissime il cui fato sarebbe altrimenti stata la strada”, e, oltre all’ostello per gli sbandati del suo tempo, orfanotrofi, una casa per prostitute salvate dalla strada e una casa per donne infelicemente sposate [9]. La reazione è spesso fredda. I problemi “sociali” dovrebbero essere trattati dallo stato, molti sostengono, non da “dilettanti”.
Quando depersonalizziamo i problemi di uomini e donne, depersonalizziamo anche noi stessi. Riduciamo le persone a numeri le cui risposte risiedono in atti del Parlamento. Neghiamo il cristianesimo e Cristo in favore dello stato e dei suoi operatori sociali. Borromeo a Milano e Calvino a Ginevra ci hanno dato un’altra risposta.
Ma per molti oggi, Ginevra non avrebbe potuto essere “il paradiso delle donne”. Dopo tutto, Ginevra non aveva il ministero delle pari opportunità e le quote rosa!
Paolo, comunque, ci dice “Dov’è lo Spirito del Signore, vi è libertà” (2 Co. 3:17), ed è lo Spirito che ci ha dato la legge e i vangeli.
Se non cerchiamo le nostre risposte nel Signore e nella sua parola, siamo parte del problema.
R. J. Rushdoony. Giugno 1988.
Note:
1 Gillian Lewis e Roger Stauffenegger: Calvinism in Geneva in the Time of Calvin and Beza (1545-1605); in Menna Prestwich, editore: International Calvinism 1541-1715, p. 49. Oxford, England: Clarendon Press (1985) 1986.
2 Ibid. Menna Prestwich: Calvinism in France, 1555-1629; p. 96.
3 Philip E Hughes, editore: The Register of the Company of Pastors of Geneva in the Time of Calvin, Grand rapids, Michigan: Eerdmans, 1966, p. 321.
4 Ibid., p. 75.
5 Ibid., p. 197.
6 Herbert Luthy, “Variations on a Theme by Max Weber”, in Prestwich, op. cit. p. 381.
7 Jonh Calvin, Harmony of the Evangelists, I, p. 302 s.
8 Jonathan Daniels: “Woodrow Wilson’s Pious Young” in The New Republic, 29 ottobre, 1966, p. 28; vol. 155, n° 18.
9 Margaret Yeo: Reformers: St. Charles Borromeo; Milwakee, Wisconsin: Bruce, 1938, p. 115, 228 s.