(nota del traduttore: ho scelto di tradurre ‘commission’ con ‘commissione’ piuttosto che con ‘mandato’ perchè l’A. giocherà con questa parola nella seconda parte della recensione troncandola in ‘omissione’)
Devo dire di essere fortemente impressionato da almeno una parte di un paragrafo nel nuovo libro di Michael Horton: The Gospel Commission: Recovering God’s Strategy for Making Disciples. Horton comincia il suo capitolo con l’importante riconoscimento che la Grande Commissione che Gesù ha dato ai discepoli (Matteo 28:18-20) inizia con un annuncio altrettanto grande – un annuncio che noi qui di American Vision [e di Cristoregna] abbiamo sottolineato molte volte: “Ogni autorità mi è stata data in cielo e sulla terra” (Matteo 28:18). Horton mi riempie d’eccitazione quando procede a descrivere l’onnipotenza di Cristo in questo modo:Ogni autorità in cielo e sulla terra gli appartiene. Come Signore risorto, gli è dato dal Padre il potere di giudicare e di giustificare. La salvezza non è semplicemente una “polizza antincendio” o “gestione del peccato”. Il vangelo promette molto di più che andare in cielo quando si muore. È un [im]pegno onnicomprensivo da parte di Dio per il totale rinnovamento della creazione. Coinvolge la resurrezione dei nostri corpi e la liberazione dell’intera creazione dalla sua schiavitù al peccato e alla morte. Quale piano assicurativo, o mercato globale, o agenzia governativa può affermare un’autorità come quella su vita e morte? … Noi non possiamo limitare la salvezza al nostro mondo privato dell’anima; il cosmo intero fu creato dal Padre, nel Figlio, per mezzo dello Spirito, ed è sostenuto e definitivamente redento nello stesso modo. [[i]]
Non ci vorrebbe molto più di questo perché Michael Horton risuoni apertamente da Cristiano Ricostruzionista. Ecco qualche altro pregiato bocconcino:
Ogni potere ed autorità non solo in cielo ma anche in terra appartiene a Cristo. Egli ha gettato Satana fuori dal santuario celeste, dove accusava i santi giorno e notte (Rivelazione 12). Ed ora, avendo legato l’uomo forte, sta spogliando la sua casa sulla terra, riprendendosi ciò che gli appartiene di diritto (Matteo 12: 29) …
I “dominatori e autorità”, che siano il peccato, la morte o Satana stessi, o i loro lacchè terreni che spargono distruzione agli angoli della terra, sono già spogliati del loro potere ultimo. Come lo stesso Ingannatore, cadono su se stessi in uno stordimento d’orgoglio, d’oppressione e persecuzione della chiesa, ma saranno tutti atterrati …
I Cesari possono anche governare e richiedere l’appropriata lealtà temporale (Romani 13.1-7), ma essi governano per il favore del Sovrano dell’universo … (33-34)
Sono così compiaciuto di vedere tali ammissioni pubblicate dal Dr. Horton! Ero in realtà piuttosto felice quando lessi queste cose all’avvio del libro.
Per quanto inizialmente entusiasmato, però, fu con delusione egualmente profonda che continuai a leggere mentre il Dr. Horton spendeva le rimanenti 300 pagine a spogliare proprio questo messaggio finché significa, per lui, quasi l’esatto opposto di ciò che dice. Ebbene, sì, “Ogni potere” “in cielo” “ed in terra” … MA ….
Non è un’esagerazione. Solo un paio di pagine dopo la sua proclamazione dei diritti regali di Re Gesù, Signore e Sovrano sopra tutte le cose inclusi i re di questa terra, Horton introduce il secondo capitolo col primo colpo di scure “Gesù possiede ogni autorità in cielo e sulla terra,” ed eccolo… “ma cosa significa per noi, qui ed ora?” (35). Questa semplice e chiara affermazione di Gesù sembra avere bisogno di essere qualificata da Horton con 284 pagine prima che possiamo veramente sapere ciò che significa.
“Ma … cosa significa?”
Questa domanda ha un precedente nelle Scritture: “Ha Dio detto?”
La circoscrizione della parola di Dio quindi comincia. Così, col libro di Horton ci viene somministrata la versione di Meredith Kline della teologia biblica/dell’alleanza, nella quale la maggior parte della Parola di Dio (infatti, quasi tutto il Vecchio Testamento) si applica all’Israele del vecchio Testamento, e la chiesa odierna è in qualche modo parallela al popolo d’Israele mentre era in esilio, un gruppo di persone scelte, forzate a vivere sommessivamente dentro ad un mondo pagano che non può e non sarà esso stesso convertito (eccetto qualche anima individuale). Di fatto, dopo circa 30 pagine che descrivono la sua versione di teologia tipologica (qualcosa cui non sono certamente contrario in principio), Horton riassume la sua visione della posizione della chiesa come “Intermissione: ‘Voi Siete Qui.’” Egli scrive:
La Grande Commissione è data alla chiesa per questo tempo tra la sua prima e la sua seconda venuta. È un’intermissione tra il suo compimento della redenzione e il suo ritorno a coronare le sue benedizioni (63).
Velocemente aggiunge che questo non significa che stiamo meramente aspettando una scappatoia da questo mondo in qualche tempo futuro, piuttosto è un tempo per amare e servire il nostro prossimo per mezzo della nostra testimonianza e delle nostre vocazioni quotidiane. Eppure, ciò nonostante, egli sembra in grande affanno per dire che la Grande Commissionecome “data alla chiesa”, è distintamente separata sia dal “mandato culturale” di Genesi 1:28 (64) e ben inteso anche dal Grande Comandamento di amare Dio (e il prossimo, Matteo 22: 37-40) (210-246). E mentre Horton, di nuovo, dichiara che i cristiani sono responsabili per entrambi, egli vuole mantenere che la Grande Commissione è solamente la proclamazione del vangelo, mentre il Grande Comandamento si addice solo alle buone opere. In questo modo, uno è vangelo, l’altro legge, e non dobbiamo mai confondere legge e vangelo.
Quest’artificiale divisione tra i comandi di Cristo al suo popolo conduce Horton ad alcune conclusioni piuttosto crude. Egli afferma cose come:
“Non c’è nulla nella Grande Commissione circa la trasformazione della cultura” (226).
E,
“Non c’è mandato per la chiesa di sviluppare un piano politico, sociale o culturale” (88).
E,
“non siamo mandati nel mondo per cambiarlo, trasformarlo, o farlo diventare il regno di Dio” (146).
Sono veramente sgomento di quanto profondamente queste affermazioni ignorino proprio quella stessa Grande Commissione in esame.
Se Horton intende dire che nella Grande Commissione non c’è nulla di detto esplicitamente riguardo al trasformare la cultura, per esempio: “andate a trasformare la cultura”, potrei anche comprendere almeno il significato della sua affermazione. Ma sarebbe lo stesso fallace come minimo su due considerazioni: primo, se egli desidera mantenere il criterio di “esplicito”, allora dovrà riconoscere che la Grande Commissione pure non proibisce “esplicitamente” di trasformare la cultura. Perciò, argomentare l’una o l’altra posizione esplicitamente significherebbe argomentare dal silenzio, una fallacia.
Ma, se Horton desidera mantenere che la Grande Commissione non ha nelle sue implicazioni la trasformazione della cultura, non solo si può applicare la stessa regola sopracitata, ma ora egli si scontra proprio con le stesse parole di Cristo nella Commissione:
Ogni potestà mi è stata data in cielo e sulla terra. Andate dunque, e fate discepoli di tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandato. Or ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine dell’età presente. Amen (Matteo 28: 18-20).
Mentre Horton vorrebbe argomentare che la Commissione riguarda solo la predicazione del vangelo per portare nuovi discepoli nella chiesa, le parole di questo testo (che Horton tratta solo in termini di ecclesiologia) riguardano l’insegnare a questi discepoli di osservare tutto ciò che Cristo ha comandato. In altre parole non si tratta solo di fare discepoli ma è un intimo ed integrale aspetto della Commissione la loro susseguente obbedienza agli insegnamenti di Cristo (incluso il Grande Comandamento). Come lo si legge, dunque, non vedo come si possa argomentare che il Grande Comandamento non è una parte necessaria della Grande Commissione.
Certamente, si potrebbe dire che predicando l’evangelo al prossimo si sta di fatto mostrando loro la più grande espressione possibile d’amore per Dio e per il prossimo. Certamente, predicando la legge al prossimo si esprime l’amore di Dio per loro (poiché è dalla legge che proviene fin dal principio il comandamento di amare Levitico 19.18; Deuteronomio 6:4).
In breve, secondo le direttive di Cristo: niente Comandamento, niente Commissione.
Horton ignora tutto ciò. Di fatto, quando giunge per lui il momento di definire il messaggio della Grande Commissione – la “Formulazione della Missione” – Horton convenientemente abbandona la versione di Matteo e va a Marco 16:15-16:
“Poi disse loro: «Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura;
chi ha creduto ed è stato battezzato, sarà salvato; ma chi non ha creduto, sarà condannato.”
Da questo egli deduce che la missione della Grande Commissione implica solamente il predicare la Buona Novella, battezzare, ed insegnare il contenuto della parola di Dio. Non c’è così alcuna espressa enfasi (come in Matteo) sull’applicazione dell’insegnamento (“osservare”) quale parte integrante della Grande Commissione.
A parte il fatto che i migliori manoscritti e la maggior parte degli eruditi concorda che Marco 16:9-20 probabilmente sia una glossa, fin dal principio non rappresenta comunque realmente neppure il passo maggiore sulla Grande Commissione. Horton ha eluso l’indicazione di insegnare l’obbedienza come parte della Commissione rifiutando di trattare col passo con cui aveva cominciato: Matteo 28:18-20. È “pubblicità ingannevole” della Missione.
La tesi di Horton non solo ignora questa parte vitale del testo (quantomeno in questa connessione), ma anche non riconosce gli effetti culturali comportati da una vita trasformata dal vangelo. Mi chiedo come possa Horton pensare che “insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandate” (Matteo 28:20) non renda necessaria la trasformazione della cultura.
Si pensi, ad esempio, ad uno spacciatore che si converta al cristianesimo. Si pensi al cambiamento dello stile di vita per un mentitore abituale, un pornografo, un omosessuale, uno psicologo secolare, un Mussulmano, o agli effetti sociali di qualsiasi altro peccato sia di commissione che di omissione. Le persone cambiano i loro valori, comportamenti, affari, genitorialità, educazione, finanze personali, ecc., quando diventano servi di Cristo e cominciano ad imparare e ad osservare tutte le cose che Egli ha comandato. Di solito perfino votano in modo diverso e considerano in modo diverso le questioni giuridiche e sociali. Questi cambiamenti avranno per definizione un impatto sulla cultura. E quando più persone saranno condotte sotto la signoria di Cristo in questo modo, più la cultura stessa nel suo insieme corporativo rifletterà gli insegnamenti di Cristo.
Paolo insegnò questa dottrina della trasformazione quando espose che un’anima rinnovata deve procedere ad essere trasformata secondo l’etica cristiana:
Questo dunque attesto nel Signore, che non camminiate più come camminano ancora gli altri gentili, nella vanità della loro mente, ottenebrati nell’intelletto, estranei alla vita di Dio, per l’ignoranza che è in loro e per l’indurimento del loro cuore. Essi, essendo diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza, commettendo ogni impurità con insaziabile bramosia. Voi però non è così che avete conosciuto Cristo, se pure gli avete dato ascolto e siete stati ammaestrati in lui secondo la verità che è in Gesù per spogliarvi, per quanto riguarda la condotta di prima, dell’uomo vecchio che si corrompe per mezzo delle concupiscenze della seduzione, per essere rinnovati nello spirito della vostra mente, e per essere rivestiti dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e santità della verità. Perciò, messa da parte la menzogna ciascuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri. Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sul vostro cruccio; e non date luogo al diavolo. Chi rubava non rubi più, ma piuttosto si affatichi facendo qualche buona opera con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi è nel bisogno. Nessuna parola malvagia esca dalla vostra bocca, ma se ne avete una buona per l’edificazione, secondo il bisogno, ditela affinché conferisca grazia a quelli che ascoltano (Efesini 4:17-29).
Non mi si dica che la Grande Commissione non ha nulla a che fare con la trasformazione della cultura. C’è un collegamento diretto tra credo e comportamento, e intere società riflettono questa realtà a molti livelli. E Paolo rende chiaro che c’è una chiara differenza (notte/giorno) nei pensieri e nelle azioni dei Gentili rispetto a quelle di coloro che hanno conosciuto Cristo, hanno valori diversi e diverse espressioni esteriori di questi valori. E la Grande Commissione comanda, comporta e si sforza di cambiare entrambi: pensieri ed azioni.
Se dei ladri che sono trasformati in lavoratori onesti e in donatori caritatevoli non contano come cambiamento della cultura, non so cosa lo possa fare. E questo è esattamente ciò che Gesù si aspetta dalla Grande Commissione. Insegnare alle nazioni di osservare le sue etiche.
Per Piacere Definisca “Vangelo”
Mi è diventato chiaro che lo scopo di questo libro è di aiutare a mantenere la radicale versione della teologia dei “due regni” che Horton e molti dei suoi colleghi stanno promuovendo da qualche tempo. Questa scuola di pensiero forza una rigida antitesi tra “legge” e “vangelo” che credo sia espressa in modo piuttosto sfortunato.
Mentre io mantengo sicuramente la distinzione tradizionale tra “fede” ed “opere” – sicuramente in relazione alla salvezza per sola fede per mezzo della sola grazia – non si dovrebbe fare di questa distinzione nella salvezza individuale il sinonimo di “vangelo” e “legge” in modo generico. Questa è una confusione di categorie non sostenuta dalle Scritture.
Horton ha soprannominato la grande Commissione “la Commissione Evangelica” nel titolo e nel testo del suo libro. È sfortunato, dunque, che, per quanto io possa dire, egli non abbia definito “vangelo” in nessuna parte del libro – il che è certamente strano per un libro che pretende di distinguere cose come il corretto significato e la portata del “vangelo”.
Mentre questo potrebbe sembrare una critica cavillosa – dopo tutto, non sappiamo tutti cosa sia l’ “evangelo”? – è invece in realtà piuttosto importante. Le Scritture non limitano il “vangelo” alla sola predicazione della salvezza individuale. Il vangelo è la “buona novella” della venuta del regno di Cristo. Il vangelo implica l’intera portata dell’opera di Cristo e di tutti i Suoi insegnamenti. Noi abbiamo visto questa enfasi già nel passo di Matteo 28. Nel resoconto in qualche modo parallelo di Luca 24: 44-45, Gesù ricorda ai suoi discepoli la portata delle cose che ha insegnato loro: “Queste sono le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: che si dovevano adempiere tutte le cose scritte a mio riguardo nella legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente, perché comprendessero le Scritture”. Che cos’era che Gesù aveva insegnato loro e che avrebbero dunque dovuto insegnare alle nazioni? Era: “Ogni cosa scritta di me nella Legge di Mosè e nei Profeti e nei Salmi”.
Il libro di Marco comincia già dal primo versetto dicendo: “Il principio dell’evangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio”. In altre parole tutto nell’intero libro deve essere considerato “il vangelo di Gesù Cristo”, non solo le parti che riguardano crocefissione, resurrezione e redenzione, ma anche le parti che concernono legge, etica e giustizia. Questo include, per esempio l’approvazione da parte di Gesù della pena di morte per coloro che maledicono i genitori. (Mc. 7: 6-13).
Secondo Gesù, il peccato dei farisei non consisteva nel loro seguire la legge (non lo facevano), ma piuttosto nel suo contrario. Rigettarla in favore dei loro propri tabù e dei loro espedienti ad personam.
“Trascurando infatti il comandamento di Dio, vi attenete alla tradizione degli uomini: lavatura di brocche e di coppe; e fate molte altre cose simili”. Disse loro ancora: “Voi siete abili nell’annullare il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosé infatti ha detto: “onora tuo padre e tua madre” e: “chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Ma voi dite: “Se un uomo dice a suo padre o a sua madre: Tutto quello con cui potrei assisterti è Corban cioè un’offerta a Dio”, non gli lasciate piú far nulla per suo padre o per sua madre, annullando cosí la parola di Dio con la vostra tradizione, che voi avete tramandata. E fate molte altre cose simili”.
Anche questo è parte del “vangelo” che comincia in Marco 1:1. Il vangelo propriamente include obbedienza alla legge, e quindi, chiunque divide i due è in rotta con Gesù e realmente più in combutta con i farisei.
Altri passi nella Scrittura provano quanto fede ed obbedienza alla legge siano intrecciate all’interno del vangelo nella sua integrità. Horton stesso effettivamente copre due passi delle scritture che lo dimostrano, ma in ciascun caso glissa completamente sull’aspetto integrale dell’obbedienza e focalizza su altri aspetti. A pagina 142 egli declama l’inizio del libro di Romani, il quale parla dell’
Evangelo di Dio, come egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture, riguardo a suo Figlio, nato dal seme di Davide secondo la carne, dichiarato Figlio di Dio in potenza, secondo lo Spirito di santità mediante la resurrezione dai morti: Gesú Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale noi abbiamo ricevuto grazia e apostolato, per l’ubbidienza di fede fra tutte le genti per amore del suo nome, fra le quali anche voi siete stati chiamati da Gesú Cristo (Rm. 1: 1-6).
Horton aggiunge: “Poi Paolo comincia a formulare il suo primo principale argomento dottrinale: che il mondo intero è sotto la condanna della legge”.
“Poi”? Poi? Aveva Horton gli occhi chiusi sui precedenti sei versi che egli stesso ha appena citato? Poi? Nient’affatto. Quando Paolo giunge a presentare la condanna della legge (il più presto a cui si possa tirare quest’idea sarebbe il verso 18 del Capitolo 1), Paolo ha già fatto diversi argomenti dottrinali (se non altro per divina, infallibile asserzione): Il suo vangelo è di Dio (Vs. 1); Dio l’ha promesso in precedenza (Vs. 2); Dio l’ha promesso per mezzo dei suoi Profeti (vs. 2),; è nelle sante Scritture (che può riferirsi solamente all’Antico testamento!) (vs. 2); questo vangelo riguarda suo Figlio (vs. 3); il quale è figlio di Davide secondo la carne (vs. 3) …
E potremmo proseguire lungo i versetti. Ma qui c’è la parte più importante di questa discussione: questo “vangelo di Dio” è detto dare potenza al ministero degli apostoli “per l’ubbidienza di fede fra tutte le genti per amore del suo nome” (vs. 5). Domanda: poiché Paolo vede l’obbedienza come parte del suo ministero evangelico alle nazioni, Paolo sta confondendo legge e vangelo?
La stessa questione compare alla fine della stessa epistola. Paolo scrive di una colletta di denaro raccolta per i santi perseguitati di Gerusalemme. Egli introduce quella discussione scrivendo:
Ora, fratelli miei, io stesso sono persuaso a vostro riguardo, che anche voi siete pieni di bontà, ripieni d’ogni conoscenza, capaci anche di ammonirvi gli uni gli altri. Ma, fratelli, io vi ho scritto alquanto piú arditamente, come per ricordarvi per la grazia che mi è stata data da Dio, per essere ministro di Gesú Cristo presso i gentili, adoperandomi nel sacro servizio dell’evangelo di Dio, affinché l’offerta dei gentili sia accettevole, santificata dallo Spirito Santo. Io ho dunque di che gloriarmi in Cristo Gesú nelle cose che riguardano Dio. Infatti non ardirei dir cosa che Cristo non abbia operata per mezzo mio, per condurre all’ubbidienza i gentili con la parola e con l’opera, con potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito di Dio; cosí, da Gerusalemme e nei dintorni fino all’Illiria, ho compiuto il servizio dell’evangelo di Cristo (Rom. 15:14-19).
Horton fa riferimento a questo passaggio (p. 219-20) nello stesso capitolo in cui tratta “i ministeri di misericordia”, e nel contesto della spiegazione del ruolo del diaconato nella chiesa. Questo è lo stesso capitolo in cui egli argomenta che la Grande Commissionee il Grande Comandamento devono essere tenuti separati. E mentre riconosce che il diaconato, per Paolo, è “inestricabilmente legato” al ministero del vangelo, Horton si affanna ad inserire “benché non identico a” l’evangelo. Ciò sarebbe, naturalmente, confondere legge (dovere) e vangelo.
Eppure da nessuna parte nella sua discussione di questo passaggio egli riconosce ciò che Paolo chiaramente dichiara proprio nel mezzo: che Paolo vedeva le sue collette e la distribuzione della carità come parte di “cosa che Cristo non abbia operata per mezzo mio, per condurre all’ubbidienza i gentili”. Di nuovo, obbedienza, piazzata proprio nel mezzo della descrizione di Paolo del suo “sacro (sacerdotale) servizio dell’evangelo di Dio” e della sua asserzione di aver “compiuto il servizio del vangelo di Cristo”.
Quindi, se Paolo considerò le opere di carità come adempimento del ministero del vangelo, possiamo con sicurezza dire che egli considerava la carità identica ad esso, almeno in parte.
Welfare Cristiano
Horton prosegue facendo una buona applicazione del ministero di misericordia di Paolo per il giorno d’oggi. Poiché Paolo considerò così importante ed integrale raccogliere una colletta per i santi perseguitati di Gerusalemme, forse dovremo fare altrettanto oggi: “sono le nostre risorse sufficientemente consorziate, come le collette di Paolo, da servire come testimonianza della potenza del vangelo?” (222) Forse, egli dice, le nostre chiese dovrebbero mandare denaro ai cristiani perseguitati in Nigeria, etc.
Questo è un grande pensiero, e tale che dovrebbe essere ulteriormente esplorato in relazione al vangelo, ma sfortunatamente, Horton rapidamente procede ad enfatizzare che i diaconi sono un ufficio separato da quello degli anziani (e perciò, presumibilmente, la predicazione della parola del vangelo è tenuta separata dalla distribuzione di aiuti).
Io, comunque, vorrei piuttosto rilanciare il tema aumentando la posta. Non solo dovremmo mandare denaro (o altre forme d’aiuto) ai cristiani perseguitati, ma la chiesa (come istituzione, non solo come corpo) dovrebbe provvedere sistematicamente al welfare delle proprie vedove e orfani. Questa è una questione vitale, una questione su cui Paolo altrove spende del tempo con Timoteo (1 Tim. 5:1-15).
Naturalmente, posso comprendere perché Horton trascuri questo aspetto del diaconato nella sua discussione di tale ufficio: lo costringerebbe a spiegare come il governo civile pagano abbia usurpato il ruolo del welfare per mezzo dello Stato Sociale, ed ora tassi la popolazione per i presunti benefici. Discutere questo in modo serio lo costringerebbe a criticare quasi ogni chiesa negli Stati Uniti [e in Italia] per aver mancato di essere obbediente al vangelo in quest’area, ma aver invece mandato i propri bisognosi ad iscriversi in qualche programma statale basato sulla coercizione.
Eppure era la norma per i primi cristiani utilizzare il diaconato per il benessere sociale tra i loro membri, ordinario benessere per i veramente bisognosi, e richiedere che i figli adulti si prendessero cura dei propri genitori anziani (1Tim. 5:8, 16). Infatti, Paolo dice che quelli che non si prendono cura dei propri genitori nella loro vecchiaia non sono veri credenti: “Ma se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente” (5:8).
Nei fatti, l’ufficio del diaconato fu creato proprio allo scopo di soddisfare la quotidiana (ordinaria) distribuzione alle vedove tra i credenti greci di Gerusalemme:
Or in quei giorni, moltiplicandosi il numero dei discepoli, sorse un mormorio da parte degli Ellenisti contro gli Ebrei, perché le loro vedove veni vano trascurate nel servizio di assistenza quotidiana. Allora i dodici, radunato il gran numero dei discepoli, dissero: “Non è bene che noi, lasciata la parola di Dio, serviamo alle mense. Perciò, fratelli, cercate fra voi sette uomini, di cui si abbia buona testimonianza, ripieni di Spirito Santo e di sapienza, a cui noi affideremo questo compito. Ma noi continueremo a dedicarci alla preghiera e al ministero della parola” (Atti 6: 1-4).
Horton cita anche questo passo, all’inizio della sua sezione sull’ufficio di diacono. Ma non dice nulla circa questa questione centrale in relazione al suo scopo. Egli punta la luce solo sul fatto che i diaconi furono istituiti per tenere il dovere della carità separato dal dovere degli apostoli nella parola. È vero, ma difficilmente è l’intero valore del diaconato, e certamente non dice nulla sulla portata del vangelo.
Se Paolo pensa che abdicare la cura dei genitori anziani e delle vedove da parte dei membri più giovani della loro stessa famiglia sia peggio dell’incredulità, come può non essere integralmente correlato alla fede e al vangelo?
E alla luce del fatto che qui l’insegnamento di Paolo è chiaramente pertinente alla legge per chiunque coinvolto (politica), la loro corrispettiva relazione (sociale), le loro finanze e beni (economia), come può Horton dichiarare che “Non c’è mandato per la Chiesa di sviluppare un piano politico, sociale, economico o culturale” (88). Nella sua applicazione non è nient’altro che politico, sociale, economico e culturale. Fu disegnato ed implementato per rimpiazzare i regni miscredenti di questo mondo con un sistema che opera senza tirannia, che non fa affidamento sulla coercizione del prossimo, ma nell’amore pattale del prossimo espresso liberamente e volontariamente. Questo è il Regno di Cristo, e la novella della sua irruzione in questo mondo caduto è il vangelo.
Conclusione
Ora, io mi propongo di continuare questa recensione, ma sta diventando troppo lunga per una sola pubblicazione. Penso di coprire ancora l’escatologia di Horton, inclusa la sua cattiva interpretazione di Matteo 24-25 come eventi in massima parte futuri, ed anche dell’uso della frase “questa età” e “l’età a venire” da parte di Gesù e di Paolo. Spero pure di spendere più tempo sul suo affidamento su una radicale visione dei due regni, e come questa sia una visione da teologi indolenti per cristiani indolenti. Posseggo ora sostegno esplicito a questa dura affermazione nel libro di Horton. Mi propongo inoltre di considerare attentamente la divisione legge-vangelo nel suo sistema.
Fin qui abbiamo visto che Horton fa affidamento su una visione annacquata del vangelo, e la utilizza per condannare qualsiasi tentativo di riforma sociale, etc. Per mantenere questa visione deve ignorare diversi aspetti delle Scritture, incluso lo stesso passo di Matteo 28 che dovrebbe essere il tema del libro. Deve inoltre ignorare il peccato sociale della chiesa nell’abdicare allo Stato il welfare di vedove e orfani.
Nel grandeur dell’insieme, Horton comincia con una enorme esaltazione dell’ “ogni potere in cielo e in terra” di Cristo e fin qui tutto bene. Ma alla fine, egli ha scorciato, qualificato, diluito, setacciato e ignorato così tanto del potere, del cielo, e della terra, che giusto tanto per cominciare si potrebbe metter in discussione la sua idea di che cosa sia la Sovranità.
Sì, Egli è sovrano, ma…
Ma se questo “ma” si applica all’introduzione di Cristo alla Grande Commissione, sicuramente sarà applicato a quanto la segue. In breve, Horton non possiede una Grande Commissione. Ha una Grande Commissione Ma…, Grande Comandamento Ma… , Vangelo Ma… .
“Ma, ma, ma…” “But, but, but…” It seems that that’s all many Christians wish to do, and all some theologians wish to reinforce with their theologizing: rest on their “but’s”.
[Sembra che questo restringere la portata del vangelo sia tutto ciò che molti cristiani desiderano fare, e che alcuni teologi vogliono rafforzare col loro teologizzare] (N.d.T. L’ultima frase è una chicca letteraria intraducibile quanto azzeccata)].
Traduzione G.M. 28/01/12