Faccia pallida e sofferente per i mali del mondo, camicia azzurra abbottonata portata senza cravatta alla ‘Talebano Iraniano’, abito grigio che sembra una consunta divisa, borsa in pelle nera che ha viaggiato molto, come le scarpe. Non ha la pistola. Quindi non è della Finanza. Aveva annunciato la sua visita con una cartella ma non lo stavo aspettando. L’ultima volta che don Germano (nome di fantasia tutto il resto è storia) era stato a casa nostra c’erano ancora i nostri figli e quindi dev’essere almeno dieci anni fa. Mi ritorna in mente la sua prima visita. Quella volta era fuggito di casa nostra con le mani nei capelli. Gli avevamo sbattuto in faccia l’elezione, la salvezza per grazia, la superiorità religiosa, politica e sociale del calvinismo.
Che ci fa qui? Di solito i cani si tengono a distanza da chi li ha presi a calci. Mi tende la mano ma i miei occhi non riescono a incrociare i suoi malgrado un prolungato tentativo. Lo invito a sedere su una comoda Cassina Winks. Lo fa ma in modo da non godere la comodità della nostra poltrona di design. Mi dice che sarebbe buona cosa che rinunciassimo alle differenze dottrinali e che focalizzassimo sulle cose che ci accomunano. Cerco velocemente di pensare quali possano essere ma lui me le elenca: Dio, Gesù Cristo, salta la terza Persona non so perché, e improvvisamente, con gesto consumato e deciso mi punta contro la pistola. “Accidenti, non era disarmato!” penso.
Me la terrà puntata addosso tutto il tempo. A bruciapelo mi spara: “Lo sai come saremo giudicati nell’ultimo giorno?” “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere….” Noto per la prima volta che sotto la giacca porta un pullover rosso alla Landini. È solo una nota di colore. Anzi no. È parte della divisa. Io di mestiere faccio il verniciatore e sto bene attento quando maneggio il rosso. So per esperienza che a differenza di tutti gli altri colori che uso per creare una particolare tonalità, il rosso è l’unico che non perdona. Una goccia in più e potresti dover buttare tutto il vaso perché la massa diventa irrecuperabile. Ma, poiché sono convinto di avergli già esposto con chiarezza la mia fede, in particolare la salvezza per grazia, decido di lasciarlo parlare, facendo solo qualche moderato commento qua e la.
Gli dico che non sono assimilabile perché non potrei mai partecipare alla messa né adorare Dio in un edificio il cui tasso di immagini ‘sacre’ è così alto da inacerbire il mio cuore. Mi dice che il culto è una cosa soggettiva, ognuno fa come vuole e le immagini a qualcuno sono d’aiuto. Gli ricordo il Secondo Comandamento. Egli risponde pacato che Gesù Cristo ha già adempiuto tutta la legge e comincia a sciorinarmi una lista di insegnamenti neotestamentari che riguardano chiaramente (chiaramente per me) la porzione della legge cosiddetta ‘cerimoniale’, ombre delle cose cose di cui ora possediamo la realtà che la venuta di Gesù ha effettivamente reso obsoleti. I miei pensieri vanno a tanti fratelli protestanti antinomisti che fanno lo stesso voluto errore: gettare il neonato con l’acqua sporca, e mi lascio scappare qualcosa sull’inconsistenza del mondo evangelico in Italia. Don Germano incoraggiato incalza ed io non ho voglia di contraddirlo troppo spesso. Dopo tutto, anche per me la pratica deve avere il sopravvento sulla grammatica ed oggi ho esaurito le mie energie nel cercare di farmi pagare fatture impagate scadute da mesi perché c’era l’IVA e l’INPS da pagare e quelli non hanno pietà di me. E poi, in questo modo, riesco a farmi fare un quadro complessivo della ‘fede’ che in qualche modo è l’anima di questa nazione. Adesso la conversazione è tutta del tono del pullover.
Gli chiedo se non sarebbe quantomeno prudente applicare la definizione Paolina di ‘povero’ e di ‘vedova’ e don Germano mi rende edotto che le Lettere NON sono il Vangelo. Riducendo dunque il campo al ‘vangelo’ gli chiedo se accetta la definizione evangelica di ‘prossimo’ come data nella parabola del buon Samaritano e cioè il disgraziato in cui inciampi mentre vai per i tuoi affari, ed egli risponde che: no, adesso tutto il mondo è il nostro prossimo e non c’è affare più urgente. Insomma per il Verbo che mi fa visita stasera il vangelo è riassunto in queste quattro parole: “Ama il prossimo tuo”. Ciò che viene prima e ciò che viene dopo queste quattro parole non è d’immediato interesse e quando sei sotto tiro di pistola non è il caso di essere puntiglioso. Gli faccio notare che l’amore così definito è foriero di mostruose ingiustizie sociali. Egli annuisce e capisco che non ha capito. Anzi, ora punta la pistola su un intero continente e vuole farmi intendere che il capitalismo americano è l’epitome del male. Mi chiedo preoccupato cosa farebbe se questo talebano possedesse un’atomica.
Guardo l’uomo davanti a me e non posso non pensare che questo grigio funzionario insignificante rappresenta pur sempre un’istituzione estremamente affascinante che non solo possiede una seppur sbagliata visione del mondo (e non solo del cielo) ma che si sforza pure di metterla in pratica quantunque coi soldi degli altri, mentre la maggior parte dei miei fratelli protestanti pur avendone una migliore hanno da tre secoli scelto di attendere l’imminente ritorno di Gesù. La conversazione è finita, non è riuscito ad estorcermi nulla e sto pensando che la pistola della Finanza abbia un più alto tasso di coercizione. Mentre ci scambiamo formali cordialità d’addio noto che ha un alito per il quale ci vorrebbe il porto d’armi. Mi viene in mente che in un film Tognazzi dice “sarà l’odore della santità”. Mi ricorda un altro, un ‘teologo’ evangelico che era santo uguale e mi chiedo: come può amare il prossimo uno che non ama neppure se stesso?
Giorgio Modolo 15/05/2015