A. Sandlin
Al tempo di questi re il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto, questo regno non sarà lasciato ad un altro popolo, ma frantumerà e annienterà tutti quei regni, e sussisterà in eterno.
Daniele 4.44
Se i cristiani evangelici vogliono avere un impatto per la trasformazione di questa società, nella quale costituiscono una delle minoranze più vaste e più altamente motivate, ma nella quale la loro influenza è sentita prevalentemente per inadempienza, sarà necessario uccidere la vacca sacra del pluralismo.
Harold O. J. Brown [1]
Probabilmente non c’è parola che descriva l’epoca moderna e post-moderna [2] più accuratamente di pluralismo. Il pluralismo è la pacifica coesistenza di molteplici concetti del mondo e della vita, religioni e criteri etici in una singola società – negativamente, il rifiuto della società ( e in particolar modo dello stato) di selezionare una singola popolare spiegazione della realtà per mezzo della quale darsi ordine. Il pluralismo implica che Buddisti, aderenti al New Age, atei, Cristiani, Mussulmani, Nazional Socialisti, Marxisti, Induisti e Fascisti possono e dovrebbero vivere insieme armoniosamente nella comunità. Il garante e la difesa di questa armonia è lo stato, il quale provvede il massimo della libertà di espressione per ogni e qualsiasi concetto del mondo e della vita e protezione dall’ostilità coercitiva degli altri [3]. Implicate nella devozione al pluralismo ci sono due supposizioni: (1) che i concetti del mondo e della vita sono questioni private e non pubbliche, e (2) che questi concetti del mondo non dovrebbero essere abbracciati con troppa passione, in modo da non turbare l’ordine pubblico neutrale con la presunzione che tutti i cittadini siano obbligati e dovrebbero abbracciare un (quello corretto) concetto del mondo. I concetti del mondo in competizione possono sopravvivere purché mantengano i loro credi fuori dalla pubblica piazza e purché non insistano che tutti gli altri vedano le cose come le vedono loro. In questo arrangiamento, una distensione dei concetti del mondo e della vita è il marchio del pluralismo.
Il cristianesimo accoglie una principale definizione di pluralismo ma non l’altra. Dobbiamo distinguere tra pluralismo strutturale e pluralismo sostanziale. Il cristianesimo sostiene il pluralismo strutturale. Questa è la veduta in cui la struttura di una società, e specialmente dello stato, non dovrebbe essere fatta pendere a vantaggio dei cristiani o degli aderenti di qualsiasi altra religione o concetto del mondo e della vita. Per esempio, lo stato non dovrebbe determinare quote di aderenti religiosi nella forza lavoro, non dovrebbe richiedere che un solo concetto del mondo e della vita sia rappresentato nel governo, non dovrebbe imporre che alcuno divenga un cristiano o di qualsiasi altra religione o sistema di vita, o punire alcuno per aver apostatato da quella religione o sistema di vita (come per esempio fa l’Islam). Il pluralismo strutturale fa della società un campo di gioco alla pari.
Il cristianesimo sostiene il pluralismo strutturale perché confida nella potenza dello Spirito Santo e (subordinatamente) nell’umana persuasione per il proprio successo. Gli individui vengono al cristianesimo per fede, un volontario atto di fiducia in Gesù Cristo quale Salvatore e Signore (Romani 10: 9-11). Il cristianesimo è felice di avere una società inclusiva di Buddisti, Mussulmani, Induisti, New Age, e atei perché non ha bisogno del potere coercitivo dello stato per convertire. Per questo motivo il cristianesimo è sempre stato all’avanguardia della democrazia costituzionale e delle libertà che essa offre [4]. Il cristianesimo è una religione di pace (Atti 10:36), e può permettersi che la struttura di una società sia pluralista, la cristianità non è una religione di stato o coercitiva.
Però, la cristianità non appoggia il pluralismo sostanziale. Questa è l’idea che concetti del mondo e della vita multipli, mutuamente esclusivi, religioni e criteri etici diversi possano coesistere pacificamente perché nessuno di essi è interamente corretto, tutti conterrebbero della verità e contribuirebbero al bel “mosaico” di una società “diversificata”. Nessuna religione o altro concetto del mondo dovrebbe sostenere la propria veduta troppo tenacemente, sapendo che ciascuno è valido solo relativamente. La fede stessa, e non solo la struttura della società è pluralista. La pesti sociali, perciò, sono quelli che insistono che la loro posizione è giusta. Sono degli agitatori, perché inducono le persone a credere che una specifica via (la loro via) è giusta e tutte le altre sono sbagliate. Il pluralismo sostanziale, è, per sua stessa natura, relativista [5].
Ovviamente il cristianesimo – o quantomeno, un cristianesimo che prenda sul serio il suo fondatore, Gesù Cristo, e il suo documento fondante, la Bibbia – non può abbracciare il pluralismo sostanziale. Gesù stesso dichiarò di essere la – non una – “via” “verità” e “vita” (Giovanni 13:6) e critica aspramente come “ladri e briganti” (Giovanni 10:8) tutti coloro che provano ad approcciare Dio in qualsiasi via alternativa. I primi cristiani predicarono che Gesù è il solo nome per il quale gli uomini debbano essere salvati (Atti 4:12). Era assunto ovunque che quelli che non seguono Gesù Cristo sono sulla via della perdizione (Matteo 7:13-14). Il cristianesimo come ebbe origine dal suo Fondatore e come fu interpretato dai suoi primi seguaci è ostile al pluralismo sostanziale del giorno d’ oggi.
Una severa ostilità al pluralismo sostanziale si può percepire anche quando si afferra il cosiddetto Grande Mandato che Gesù diede ai suoi discepoli proprio prima della sua ascensione (Matteo 28:18-20, Marco 16:15) [6]. Egli li incaricò di predicare il vangelo a tutte le creature, ammaestrando e battezzando tutte le nazioni. Chiaramente il suo obbiettivo era di rendere ogni popolo soggetto a sé per mezzo del messaggio del vangelo, centrato sul fatto della sua opera di redenzione sulla croce e della tomba vuota (1Corinzi 15). La gioiosa ricezione di questo vangelo esclusivo è semplicemente incompatibile con tutte le altre alternative. Il cristianesimo (come l’autentica fede Giudaica del Vecchio Testamento) è l’antitesi del sincretismo – il suo obbiettivo non è l’unione di tutte le religioni e di tutti i punti di vista ma la conquista di tutte le altre religioni e punti di vista. Questo è semplicemente ciò che il vangelo è stato inteso per realizzare – la vittoria mondiale del cristianesimo [7].
Quando il Grande Mandato richiede l’evangelizzazione ed il discepolato globale, egualmente e necessariamente richiede la cristianizzazione globale. La prima rende necessaria la seconda. È manifestamente incoerente pregare per dei lavoratori nella messe del Signore a raccogliere un campo del mondo pieno di anime perdute, mentre simultaneamente ci si oppone alla cristianizzazione globale. Perché? Ogni anima che crede in Gesù per la salvezza, che piega il ginocchio alla sua signoria, inizia il processo di santificazione per il quale egli o ella è gradualmente conformato all’immagine di Gesù Cristo e comincia ad influenzare l’ambiente sociale in cui Dio li ha posti (Romani 6; 12:9-21). Mano a mano che più individui sono salvati e santificati, sempre più la società beneficerà del sale e della luce (Matteo 5:13-16) della verità e della grazia di Dio. Mano a mano che quel sale e quella luce pervaderanno il mondo, gli individui cammineranno nel sentiero della giustizia e ri- formeranno le istituzioni di cui fanno parte, subordinandole a Gesù Cristo. Questo è esattamente il modo in cui emerge (o ri-emerge) la cultura cristiana [8]. L’evangelizzazione (appropriatamente implementata) produce necessariamente la cristianizzazione.
Questa cultura cristiana diventa un impero mondiale sotto l’autorità, non di alcuna nazione-stato, ma di Gesù Cristo stesso. Il profeta giudaico Daniele (Dan. 2:24-45) interpretò il sogno di Nabukadnetsar, che, utilizzando come metafora un’enorme statua umana, dispiegò la storia come una successione di imperi: Babilonese, Medo-Persiano, Greco, e Romano [9]. Ciascun impero dal secondo in poi non solo succede ma anche soppianta e integra quello precedente. Questa sequenza imperiale è precisamente ciò che avvenne storicamente nel Medio Oriente. Daniele identifica l’ultimo impero mondiale con i piedi della grande statua fatti di ferro e di creta. Non ci può essere dubbio che questo è l’Impero Romano. Nella sua interpretazione del sogno, Daniele vede una piccola pietra scagliata in modo soprannaturale contro i piedi della statua, e da questa i piedi sono frantumati, facendo crollare l’immagine intera. La piccola pietra poi cresce a riempire la terra intera, costituendo un regno-impero che non può essere scosso. Ciò che è maggiormente degno di nota è che questo impero indotto dalla pietra, stabilito nei giorni degli antichi imperi, e che soppianta in modo specifico l’Impero Romano, durerà in eterno e non sarà mai scosso o soppiantato.
Questo impero non può essere altro che l’impero di Gesù Cristo – nato, messo a morte, risorto ed esaltato nel tempo dell’Impero Romano sotto il regno di Cesare Augusto. Questo impero cristiano stabilito col primo – non col secondo [10] – avvento di Gesù è, secondo Daniele, l’impero finale, definitivo, inamovibile, e nessun altro può soppiantarlo o competere con esso – non un impero Islamico, non un impero Ottomano, non un impero-reich Nazional Socialista, non un impero Sovietico, non un impero Britannico o Americano o delle Nazioni Unite. L’epoca degli imperi mondiali è passata, e l’unico impero è l’impero globale sul quale Gesù Cristo governa e regna dal cielo (Atti 2: 29-36), che sta progressivamente subordinando i suoi nemici per mezzo del vangelo fino a che ogni ginocchio si piega a lui (1 Corinzi 15: 22-28).
N. T. Wright indica che il cristianesimo primitivo era anti-imperiale fino al midollo [11] – vale a dire che era inteso a rovesciare il pagano Romano Impero e rimpiazzarlo con l’Impero del vangelo di Gesù Cristo. Con la sua morte sulla croce, Egli sgominò Satana e i suoi angeli, che avevano trascinato il mondo dentro la schiavitù del peccato e, con la sua resurrezione, ha inaugurato un nuovo ordinamento di Dio, il suo nuovo regno di giustizia designato a inondare la terra. Gesù di Nazareth è ora Re Gesù, il Quale sovverte e condanna Cesare quale imperatore romano e qualsiasi altro pretendente a imperare. Mentre quello di Cristo non è un regno politico, il suo vangelo frantuma la devozione dell’uomo verso qualsiasi imperatore politico o verso qualsiasi impero e ridirige quella devozione a Gesù Cristo quale salvatore e Signore. Gesù, non Cesare, è Signore – e imperatore.
L’impero di Gesù Cristo è il suo governo sulla terra [12.] Egli governa per mezzo della sua Parola scritta, la Bibbia. Ogni qual volta degli individui, convinti e pentiti dei loro peccati, per la salvezza credono in Gesù solamente, piegando il ginocchio alla sua autorità, diventano membri del suo Impero (Colossesi 1:13). Vengono battezzati, si uniscono al suo popolo nella chiesa, e vivono in accordo con la sua parola per la potenza dello Spirito Santo. Questo significa, concretamente, che i mariti amano e guidano e sacrificano per le loro mogli, che le mogli assistono i loro mariti nella vita famigliare, che i genitori ammaestrano i loro figli ad amare e servire Dio in ogni tempo ed in ogni sfera; che bambini e giovani arrendono le loro vite al Signore per obbedire la sua parola ed il suo Spirito. Significa che la fede biblica non si ferma al cuore della famiglia o alle quattro mura della chiesa ma esplode nella società: [13] i cristiani come venditori e meccanici e scienziati e politici e insegnanti e imprenditori e donne e ingegneri programmatori e in tutte le altre vocazioni applicano nelle loro attività la verità della parola di Dio appropriata per quella vocazione. Il venditore cristiano aderisce alla verità biblica nel rappresentare i prodotti ed i servizi e cerca di fare del bene ai suoi clienti (in linguaggio biblico al suo prossimo) mentre ricerca vivamente di fare del bene a se stesso e alla propria famiglia. L’ingegnere programmatore cristiano o lo scienziato informatico impiega i principi biblici per la creatività e per l’ordine matematico per sviluppare nuovi programmi digitali per l’uso umano o per rendere il mercato di maggior successo e di maggiore onestà. Il politico cristiano scava nella Bibbia per trovare la verità della giustizia in correlazione allo stato ed incorpora questa verità nelle sue mansioni legislative, giudiziarie o esecutive. E così via.
Mentre sono fedeli alle legittime autorità subordinate come la famiglia, la chiesa e lo stato, la lealtà ultima dei cristiani è verso Gesù Cristo, il loro imperatore. Fanno la sua volontà nel reame specifico in cui Egli li ha posti.
Mentre questo impero include la politica, non è essenzialmente affatto un impero politico. Di fatto, il suo interesse maggiore in politica è di assicurare un governo civile che garantisce libertà religiosa (e altre) e in modo essenziale protegge i giuridicamente innocenti e punisce i giuridicamente colpevoli (Romani 13:1-17). L’interesse cristiano in politica non è di imporre il cristianesimo ai cittadini ma di preservare e perpetuare il pluralismo strutturale del cristianesimo che è foriero di libertà: di religione, di assembramento, di parola e di stampa; protezione delle minoranze (costituzionalismo); di sistema di controllo e di equilibrio dei poteri, per esempio nei rami: legislativo, giudiziario o esecutivo. L’esclusivismo sostanziale del cristianesimo richiede il pluralismo strutturale. L’impero cristiano favorisce la libertà religiosa e politica perché il cristianesimo crede che Dio solo possiede il potere di cambiare religiosamente gli individui per mezzo della predicazione del vangelo di Gesù Cristo e della potenza dello Spirito Santo. I cristiani perciò sostengono la libertà politica e religiosa precisamente perché sostengono la sovranità di Dio. L’impero globale di Gesù dipende dal vangelo e dallo Spirito santo, non dalla politica o dallo stato.
Non dovrebbe sorprenderci che fedi antagoniste come l’Islam aborriscano il cristianesimo imperiale, visto che il successo globale del cristianesimo determina il loro fallimento globale, ma possiamo rimanere perplessi sui motivi per cui i cristiani gli si oppongano. Per esempio, nel suo An Emergent Manifesto of Hope, Samir Selmanovich scrive che per troppo tempo il cristianesimo ha influenzato l’Occidente. Egli scrive: “Guardando indietro nostalgicamente ai tempi in cui il cristianesimo era un impero, noi misuriamo senza sosta il nostro potere, la nostra crescita, i nostri numeri, il nostro successo finanziario, la nostra forza politica. Forse è giunto il tempo che il cristianesimo perda” [14].
Argomentare che il cristianesimo abbia bisogno di perdere significa in realtà argomentare implicitamente che il vangelo ha bisogno di perdere e che Gesù ha bisogno di perdere e che (per esempio) il satanismo e l’Islam e il New Age dovrebbero avere successo, facendo convertiti e portando cristiani professanti a rinnegare la loro fede ed eventualmente coprire la terra di ostilità verso Gesù Cristo. Se questa proposta da un cristiano professante sembra perversa, è perché lo è.
Anche la tendenza anabattista è stata da tanto tempo pesantemente dedicata al fallimento sociale del cristianesimo. Da questo punto di vista, seguire nostro Signore significa obbedienza a, e vita monopolizzata da “la chiesa radunata”. La cultura e la società sono irrecuperabilmente malvagie, e il dovere del cristiano è di separarsene e di unirsi agli altri cristiani sequestrati nella chiesa locale, preparandosi per l’imminente ritorno del Signore [15]. La società e la cultura devono essere abbandonate al loro legittimo proprietario: Satana.
Similmente, i cristiani fondamentalisti, bevendo copiosamente dal pozzo del “rifiuto del mondo” del Dispensazionalismo [16], enfatizzano la separazione non solo dal peccato (una cosa buona) ma anche dall’influenza cristiana sulla cultura e sulla società (una cosa cattiva). Bob Jones III, segretario della Bob Jones University, istituto protestante fondamentalista, scrive:
Io non vedo un mandato scritturale per il credente di cristianizzare la cultura. Quella, certamente non fu la primitiva missione della chiesa. La predicazione del vangelo e l’evangelizzazione fu la responsabilità della chiesa al mondo perduto; e da questo, le fondamenta dell’Impero Romano furono scosse. Non abbiamo bisogno di guardare oltre a Costantino per vedere cosa succede quando viene fatto un tentativo di meramente cristianizzare una cultura [17].
La missione della prima chiesa, malgrado la mancanza di potere politico della maggior parte dei cristiani, ebbe successo largamente perché creò una riuscita cultura alternativa al collassante Impero Romano che la circondava. L’evangelizzazione impose il discepolato, e il discepolato impose una nuova cultura – un modo di vivere interamente nuovo dentro (non separato da) la più vasta cultura pagana [18]. Questa fede a 360 gradi è ciò che scosse le fondamenta dell’Impero Romano.
Le fedi emergenti, gli Anabattisti e i Protestanti fondamentalisti, malgrado le loro differenze, si uniscono nel condannare il cristianesimo imperiale, il presente regno di Gesù Cristo su tutte le cose.
L’ostilità all’impero di Gesù verrà da tre distinte fonti: (1) dalle false religioni come l’Islam, che stanno rincorrendo il loro proprio impero globale, spesso imposto politicamente e ottenuto col terrorismo; (2) dai pluralisti reali, generalmente laicisti, i quali odiano qualsiasi rivendicazione della verità religiosa esercitata oltre la sfera privata del pensiero. E (3) dai (giustificabilmente) cristiani anti-pluralisti i quali (ingiustificabilmente) credono che l’impero di Gesù sia destinato alla sconfitta o che pensano che reclamare il mondo per un vangelo imperiale sia fuorviante.
Di fronte a queste ostilità, noi cristiani imperiali dobbiamo lavorare con preghiera, pazienza e risolutezza per far avanzare le rivendicazioni del nostro Imperatore crocifisso e risorto dovunque Dio ci ponga, attendendoci un’eventuale vittoria nella sua tabella del tempo, non sulla nostra. E non potremo mai retrocedere dalla cristianità imperiale in faccia al pervasivo e intimidente pluralismo.
Gesù è l’Imperatore del mondo, e noi non osiamo fare compromessi sulle sue rivendicazioni esclusiviste.
Note:
1 Harold O. J. Brown: “Evangelicals and Social Ethics”, in Kenneth S. Kantzer e carl F. Henry editori: “Evangelical Affirmations”; (Grand Rapids: Zondervan, 1990) p. 279.
2 Sulla relazione tra modernità e post-modernità, si veda David Harvey: “The Condition of the Postmodern”, Cambridge, Massachusetts and Oxford, England, 1990, p. 3-65
3 Chris Rohmann: “A word of ideas”, New York: Ballantine, 1999; p. 307.
4 Si veda, per es. John Eidsmoe: “Christianity and the Constitution”, Grand Rapids: Baker, 1995.
5 Per una critica del pluralismo sostanziale (benché senza mai chiamarlo così), si veda Allan Bloom: “The Closing of the American Mind”, New York: Simon & Shuster, 1987; p. 25-43.
6 Alfred Plummer: “An Exegeticl Commentary on the Gospel According to Mattew”, London: Elliot Stock, 1909; pp. 429-436.
7John Jefferson Davis: “Christ’s Victorious Kingdom”, Grand Rapids: Baker, 1986.
8 Christopher Dawson: “The Historic Reality of Christian Culture”, London: Routledge and Keegan Paul Ltd., 1960. 9 Edward Young: “Daniel”, Edinburgh: Banner of Truth, (1949) 1972; pp. 72-80.
10La Seconda Venuta punteggerà l’autorità imperiale di Gesù, il punto esclamativo finale del suo evangelo. Cf. 1 Corinzi 15:22-28 e F. W. Grsheide: “Commentary on the First Epistle to the Corinthians” Grand Rapids: Eerdmans, 1953; p. 366.
11 N. T. Wright: “What Saint Paul Really Said” Grand Rapids: Eerdmans, 1997, cap. 3.
12 George E. Ladd: “Crucial Questions About the Kingdom of God”, Grand Rapids, Erdmans, 1952, p. 77-81.
13 Carl F. H. Henry: “Twilight of a Great Civilization”, Westchester, Illinois; Crossway, 1988, p. 54.
14 Samir Sermanovic: “The Sweet Problem of Inclusiveness: Finding our God in the Other”, in Tony Jones e Dough Pagitt Editori: “An Emergent Manifesto of Hope”, Baker Books, 2007, p. 198.
15 Robert Friedmann: “The Theology of Anabaptism”, Scottsdale, Pennsylvania: Herald Press, 1973, p. 36-48, 101-133.
16 Charles Caldwell Ryrie: “Dispensationalism Today” Chicago: Moody Press, 1965.. Per una refutazione (benchè a volte troppo polemica) si consulti John Gerstner: “Wrongly Dividing the Word of Truth”, Brentwood Tennessee: Wolgemuth & Hyatt, 1991.
17 Bob Jones III, 10 Giugno, 2002, in corrispondenza private con l’autore.
18 Rodney Stark: “The Rise of Christianity”, San Francisco: HarperCollins, 1997.