DANIELE 12
LA CERTEZZA DELLA VITTORIA
La vasta prospettiva di Daniele, profezia storica e politica con la visuale su tutto il tempo, non opera, comunque, a detrimento della prospettiva personale. Il dolore privato di Daniele all’accantonamento d’Israele come nazione, e la creazione di un Israele non razziale a divenire popolo di Dio, è sempre davanti agli occhi. Viene focalizzato in modo specialmente acuto in 12:1.
L’ultima profezia cominciò (10:14) col destino e caduta d’Israele in prospettiva, e con l’interesse di Daniele in queste cose e la sua relazione con esse. Ancora, con riferimento a “quel tempo” la visione continua. La citazione di Gesù di 12:1 (Matt. 24:21-22) con riferimento alla caduta di Gerusalemme (Matt. 24:21-22 è comunque da alcuni interpretato in altro modo) è qui significativa. La caduta di Gerusalemme e la pubblica reiezione dell’Israele fisico quale popolo scelto, significò anche la liberazione del vero popolo di Dio, la chiesa in Cristo, gli eletti, dalla schiavitù a Israele e Gerusalemme, che erano aspetti “della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore è stato crocifisso” (Ap. 11:8). Di conseguenza, Daniele viene identificato con gli eletti e deve ricercare la propria identità al loro interno “In quel tempo il tuo popolo sarà salvato, tutti quelli che saranno trovati scritti nel libro” (12:1). Questo nuovo popolo di Dio non sarà confuso col rimanente del tempo di Daniele, è una moltitudine, infine la schiacciante maggioranza, cosicché questa descrizione (12:2), presentando la salvezza e indicando avanti alla resurrezione generale, può parlare degli eletti di Dio come dei “molti” e dei reprobi come degli “alcuni”. Quelli che sono savi, o che insegnano agli eletti durante il periodo dell’oppressione degli eletti avranno un premio ed una responsabilità più grande nel regno eterno (12:3).
Alla profezia di Daniele fu data la posizione e la dignità delle Scritture, e fu dichiarata essere valida attraverso il tempo come mezzo di vera conoscenza per gli uomini. La ricerca della conoscenza, onesta ma vana nel fatto che Dio viene aggirato, caratterizzerà la storia umana. Come Young traduce: “Molti andranno avanti e indietro (vanamente Gb. 1:7) affinché aumenti la conoscenza” (12:4) [1].
La conclusione di Daniele, 12:5-13, introduce essa stessa, come Deane e Young hanno ambedue notato, un nuovo simbolo, “il fiume” dei versi 5, 6, e 7, una parola che originariamente indica un riferimento al Nilo, benché il fiume attuale sia il Tigri o Hiddekel [2]. Il doppio riferimento da evidenza della generalità del riferimento: ogni cattività degli eletti, sia a Egitto, a Babilonia o agli stati organici o legalisti, sarà nella sua interezza nelle mani dell’onnipotente, e sarà da Lui utilizzata per i suoi gloriosi propositi. Dio è da ambo i lati del fiume con i suoi angeli, e controlla ogni aspetto di ogni passo della storia (Ro. 8: 28) cosicché nessuna cattività del popolo di Dio può terminare altro che nella gloria di Dio e nella distruzione dei loro carcerieri. Proprio come Dio aveva miracolosamente liberato Israele dall’Egitto, e stava per usare l’impero Babilonese alla sua gloria, così in ogni epoca l’ira e i tesori degli uomini vengono fatti servire Lui.
L’obbiettivo in tutti questi eventi è il trionfo dei santi, che ha da rivelarsi col collasso del “piccolo corno”, alla fine “di un tempo, dei tempi e una metà” (12: 7; cfr. 7: 25). Con quel collasso la società cristiana trionferà in ogni reame, allora per la sofferenza “sarà la fine”, quella sofferenza che è infatti causa di “meraviglie” (o cose difficili da capire), poiché sembrano indicare incapacità di arrecarsi aiuto da parte del popolo di Dio, ed il fallimento di Dio nel liberare. (12: 6-7).
Questa risposta non soddisfece Daniele, che “non comprese” e di conseguenza chiese: “Mio signore, quale sarà la fine di queste cose?”. La risposta è acuta: lascia perdere, non proseguire, poiché qui la cosa va al di la del tuo tempo e del tuo interesse, ma sarà capita da quelli che ne hanno bisogno, che hanno sapienza, e che sono redenti e maturi nel Signore (12: 8-10). Per quanto la sofferenza possa sembrare dominare la prospettiva del mondo, pure è ben lontana dall’essere il quadro totale. I quotidiani registrano incendi, assassinii e rapine, tutti in realtà lontani dal descrivere gli eventi del giorno, costituiti nella maggior parte da adorazione, lavoro, riposo, gioco, ma l’anormalità domina la scena. Allo stesso modo, la tribolazione degli eletti sembra dominare la prospettiva, mentre essa è ben lontana dall’esserne rappresentativa. La persecuzione sotto Antiochio Epifane è paragonata a 1290 giorni, cioè, un po’ di più della metà di sette anni, o della pienezza dei tempi, cosicché di questi giorni sinistri, che non sono senza la loro importante rivitalizzazione della fede, si può dire rappresentino il fatto che la sofferenza della vera chiesa, con ogni aspetto di essa, sarà un elemento della storia circoscritto e limitato. Coloro che aspettano attraverso queste prove e ottengono le loro vittorie in Cristo troveranno la benedizione dei 1335 giorni, 45 giorni in più del periodo precedente. La somma di 1290 e di 1335 arriva a più di sette anni e le due cifre non sono intese come rappresentazioni proporzionate del tempo e della storia. Il primo rappresenta persecuzione; il secondo benedizione di tipo cospicuo. Anche la storia ha le sue epoche di stagnazione, sviluppo, brancolamento ecc., e la descrizione di questi due periodi come “giorni” indica la loro natura limitata nei termini del tutto, ma nondimeno, per la loro relazione a sette anni, la loro importanza nei termini del significato del tutto. Sofferenze o prove, e il compimento hanno entrambi un ruolo decisivo nella vita e nella storia dell’uomo. La parola culminante è di trionfo nella storia, nei 1335 giorni (Da. 12:11-12)
La parola conclusive a Daniele è: “Ma tu va pure alla tua fine;” o, come Young l’ha interpretata: “Continua come sei fino alla fine della vita” [3] e riposati, “ti rialzerai per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni”, cioè, ricevere la tua eredità eterna nel Signore (12:13).
Daniele è profezia politica, ed è profezia fiduciosa, che dichiara la vittoria certa del regno di Dio (da non confondersi o limitarsi alla chiesa istituzionalizzata, del quale è una manifestazione), nella storia.
Se la vittoria di Cristo deve essere solo escatologica, e solo nei termini di un ordinamento eterno, allora Daniele è un mostruoso pezzo di irrilevanza. Il meschino “complesso della tribolazione” di una chiesa soddisfatta e auto-compiaciuta, circondata dalla comodità e dal lusso, è certamente un fatto sorprendente, un fatto sicuramente indicativo di un desiderio masochista di auto-espiazione per mezzo della sofferenza. Ma l’interezza delle Scritture proclama la certezza della vittoria di Dio nel tempo e nell’eternità. Non ci può essere ritirata dalla vittoria senza una corrispondente ritirata da Cristo. Il Grande Mandato, col suo comando sicuro di fare discepoli di ogni nazione (Mt. 28:19), non fu un’iperbole o una vana espressione di ansiosa speranza, ma la certa promessa di colui che poté dire “Ogni autorità mi è stata data in cielo e in terra” (Mt.28:18), “Andate dunque” (Mt. 28:19). Tristemente, dal giorno del Calvario, la chiesa si è troppo spesso occupata ad imbalsamare Cristo, mentre i suoi nemici, un po’ più realisticamente, hanno inutilmente cercato di guardarsi dal suo potere. È tempo di proclamare la potenza della sua resurrezione.
La resurrezione viene menzionata in Daniele 12:2 come chiave musicale dell’era del vangelo, cioè degli ultimi giorni. Il “giorno” o tempo di resurrezione cominciò con la resurrezione di Gesù Cristo, perciò i Cristiani vivono nell’era della resurrezione. L’era ha le sue tribolazioni, le sue battaglie fino alla morte, ma la sua essenza per il cristiano è vittoria a vita. A motivo della resurrezione di Gesù Cristo non può essere altrimenti.
Note:
1 Commentario, ad. loc.
2 H. Deane, in Ellicott: Commentary on the Whole Bible, vol. V; Grand Rapids: Zondervan, p. 400, e Young: Commentario, ad loc.
3 Commentario, ad. loc.