Per lo storico mediocre, il significato di Calvino è limitato al fatto che egli fu in primo piano nella sua epoca. Egli dominò la scena brevemente, pensano gli storici, e poi scomparve, insieme con la sua influenza, prima dell’ingresso della ragione e della tolleranza, e il suo posto nella storia è come quello di una montagna brulla che si staglia enorme in un punto particolare dell’orizzonte ma che non ha significato o valore altro che la prominenza.
Tale approccio è svuotato di qualsiasi comprensione del significato centrale di Calvino e, allo stesso modo, di Lutero. La rivolta Protestante fu significativa primariamente, non per la sua rottura della chiesa medievale, ma per la sua proclamazione della radicale dottrina della giustificazione per fede, che abolì, non solo il sacerdozio e la Chiesa ma il Sacro Romano Impero e l’intero ordine sociale che dipendeva dalla soteriologia delle istituzioni di mediazione. Le piene implicazioni della sociologia della giustificazione per fede non furono mai realizzate dalla Riforma, ma con Giovanni Calvino cominciò un rigoroso ri-orientamento di tutta la teologia e di tutta la società nei termini di quel concetto, il cui sviluppo costituisce oggi la più urgente responsabilità dei pensatori Calvinisti.
Per poter comprendere il significato della sociologia della giustificazione per fede, merita ripercorrere la relazione di Giovanni Calvino con Ginevra e comprendere perché quella città, che si trovò frequentemente simpatetica coi teologi che opponevano Calvino, e dimostrò un reale disinteresse nelle divergenze teologiche di Serveto, pure trovò Calvino una necessità sociale e giustiziò Serveto. E lo stesso Consiglio Comunale della Città, nonostante le sue simpatie per i nemici di Calvino e la sua avversione per Calvino, trovò necessario insistere con un “intollerante” Calvinismo.
Nessuna società può essere tollerante verso un assalto contro i propri fondamenti. Può estendere la tolleranza verso alcune opinioni, azioni, e credi periferici alle proprie fondamenta senza ledere se stessa e, in tempi di grande pace e sicurezza, può temporaneamente consentire un certo grado di obiezioni riguardo ai suoi dogmi centrali. Ma se questi tentativi crescono ad un grado solo più che triviale, allora le difese si stringono e i dogmi vengono rigidamente rinforzati. Maggiore è la minaccia o la crisi in una società, e più rigida è la difesa dei dogmi. L’essenza della Germania Nazista non fu il totalitarismo, ma piuttosto un nuovo fondamento razziale per la società. Se il regime nazista avesse raggiunto il proprio ideale e fatto del proprio dogma la supposizione comune della propria epoca, la metodologia totalitarista avrebbe potuto essere allentata, perché il suo dogma sarebbe diventato l’ “auto-evidente” verità dell’epoca, proprio come in India, secoli fa, i Paria giunsero ad accettare il sistema delle caste come verità auto-evidente. Similmente, la Russia Sovietica non è disonesta nel mantenere che la propria totalitaria “dittatura del proletariato” è un regime ad interim, da essere scaricato quando il paradiso dei lavoratori sarà stabilito e il complotto mondiale contro lo Stato dei lavoratori sarà distrutto. Al presente, per la vasta maggioranza della gente del mondo e per una quantità innumerevole dei suoi, i dogmi Marxisti non sono verità auto-evidenti. Per la Russia, questo atteggiamento costituisce tradimento verso la storia e, da parte del proletariato, è un alto tradimento verso il loro futuro, e deve essere trattato come tale. Ogni società ha le proprie definizioni di tradimento e di lealtà, e le definisce nei termini della propria fede.
L’Inquisizione Medievale era la difesa totalitaria della cultura cattolica Romana della propria epoca, e divenne una realtà solamente quando i semi del declino cominciarono, anche dentro la grandezza della cultura, a dare promesse di un mondo alieno. La cultura in declino era ora intollerante verso molto che precedentemente era stato permissibile. La crescente insicurezza del dogma centrale portò ad una crescente severità nella sua difesa. Non è per niente sorprendente che i primi tre capitoli di uno studio dell’Inquisizione trattino della “Crescita dell’appartenenza a chiese dissenzienti” e l’aumento dell’intolleranza verso di essa [1]. Il dogma fondamentale della cultura medievale era il credo che la società era stata ordinata per essere Teo-centrica, e la sua interpretazione di quel Dio era Greco-Cristiana e gerarchica. Dio aveva stabilito una vera Chiesa e la Sua volontà e parola venivano espresse attraverso quell’istituzione, la quale, come estensione dell’incarnazione, quale “corpo del Signore”, era Dio manifestato in questo mondo. Tre forze sfidarono questa cultura Teo-centrica. La prima fu la comparsa dello stato moderno, il quale, prendendo a prestito il pensiero Greco dalla chiesa, stabilì lo stato nella legge naturale piuttosto che nella volontà rivelata di Dio, con ciò tagliando i ponti con le proprie precedenti fondamenta teo-centriche. La seconda fu la rinascita delle tendenze occulte del paganesimo pre-cristiano, le quali, benché trattate con spietatezza nei processi di “stregoneria”, crebbero ancor più forti. Il sapere più recente ha chiaramente dimostrato che “streghe” e “demoni” dei processi medievali erano termini abusivi applicati ai capi di questo persistente ed ora ravvivato paganesimo [2]. La terza fu la comparsa della borghesia che soppiantò la supremazia di santi e di vescovi con quella di mercanti e di banchieri e sviluppò un mondo centrato sull’economia. La loro crescita fu l’elemento centrale nel nuovo umanesimo del quale il Rinascimento (un termine troppo spesso usato limitatamente per l’arte e la letteratura) era un prodotto culturale.
Poiché il fondamento della cultura medievale era teo-centrico, essa era necessariamente dedicata alla soppressione di tutto ciò che la mettesse in discussione. Poiché l’era umanistica dal diciassettesimo secolo fino alla prima Guerra Mondiale aveva un assetto politico-economico, poteva tollerare la diversità religiosa ma non un’eresia politica o economica. I cittadini degli Stati Uniti non si fanno problemi di coscienza per quei simpatizzanti ed agenti del nazismo che furono giustiziati dagli Alleati per tradimento durante la Seconda Guerra Mondiale perché, benché siano morti per la propria fede, era una fede sbagliata e sediziosa. Il Medio Evo potrebbe presentare la stessa difesa riguardo ai processi e alle esecuzioni capitali: essi semplicemente uccisero i sediziosi nemici del giusto ordine sociale. Lo stesso vale per il caso di Serveto a Ginevra. Ciò a cui la gente si oppone oggi nella morte di Serveto è che un uomo possa essere giustiziato per una cosa così triviale come la religione, religione eretica, naturalmente, ma comunque religione, una cosa periferica della vita e di questo mondo. Le purghe di lealtà Statunitensi del 1947 e posteriori segnavano un crescente rigore perché la fonte del presente pericolo al suo dogma proviene dalla Russia Sovietica. Se il pericolo diminuisce, calerà anche il rigore, ma se non diminuisce il rigore crescerà di conseguenza. Poiché la monarchia non è più un pericolo per la sicurezza Americana, un uomo avrebbe potuto sostenere idee monarchiche nel 1952 che gli avrebbero invece causato molti guai nel 1776. Nessuna società può permettere che venga messo in pericolo il proprio dogma centrale. Poiché il comunismo non era un pericolo per il Medio Evo, considerato che non metteva in pericolo la sua teo-centricità, era un’opinione che poteva essere tollerata: non era eresia. Oggi, l’opposizione del cattolicesimo Romano alla Russia Sovietica non si fonda sul suo comunismo ma sul suo “materialismo ateo”. Poiché la Russia Sovietica ha fatto di un ordinamento terreno, centrato sull’uomo, il principio ultimo, non può riconciliarsi col Cattolicesimo Romano in nessun ordine economico. Ma se la Russia Sovietica riconoscesse le dichiarazioni della chiesa Romana di rappresentare essa il vero principio ultimo e l’ordine soprannaturale, le sue politiche economiche potrebbero essere tollerate attraverso innumerevoli digressioni.
La società liberale, umanistica è profondamente shoccata dall’intolleranza del Cattolicesimo e del Calvinismo, perché essi imposero pene giuridiche così pesanti in materia di aberrazioni religiose, che il liberalismo considera il reame del puramente personale. Ma la religione è il reame della fede puramente personale solo per l’uomo moderno. Non fu così per il Concilio di Calcedonia. Quel Concilio avrebbe considerato le questioni economiche come private, o al massimo secolari e periferiche e, per il proprio tempo esattamente così, poiché la civiltà del momento era appesa alla corretta definizione della natura di Cristo. Dal 1933 al 1939, la causa di comune interesse nel mondo occidentale era: “Cosa farà Hitler?” e negli Stati Uniti un’altra questione comune era il successo o il fallimento delle politiche economiche di Roosevelt. Ma, secondo Gregorio Nisseno, la conversazione del barbiere verso la fine del quarto secolo era differente:
Costantinopoli è piena di meccanici e di schiavi, che sono tutti teologi profondi, che predicano nelle botteghe e nelle strade. Se vuoi che un uomo ti cambi un pezzo d’argento, egli ti informa in che cosa il Figlio è diverso dal Padre; se chiedi il prezzo di una forma di pane, ti viene detto a mo’ di risposta che il Figlio è inferiore al Padre, e, se chiedi se il bagno è pronto, la risposta è che il Figlio fu creato dal nulla [3].
L’uomo moderno non ricorda i dolorosi errori dei processi per l’assassinio di Lincoln con la stessa celerità con cui ricorda il processo di Serveto. Pochi hanno scrupoli con le leggi ex post facto usate per condannare i criminali di guerra Nazisti: sono quasi tutti d’accordo che erano colpevoli. L’atteggiamento del Medio Evo verso l’eretico era simile. Era un uomo che aveva volontariamente peccato contro Dio e contro la società e, se applicati a lui, misericordia a pietà erano sentimenti mal riposti. La vera misericordia richiese la rigorosa protezione del corpo più grande, ma all’eretico venne sempre data l’opportunità di ritrattare e di partecipare alla salvezza a venire.
Questo certamente non vuole giustificare la brutalità dei processi per eresia, ma è semplicemente un tentativo di renderli comprensibili nei termini della loro cultura. Le debolezze di un uomo sono propense ad essere molto affini alle sue virtù, guadagnando con ciò una colorazione protettiva. Similmente, i buchi neri di una società sono probabilmente in stretta relazione col suo dogma centrale. La conclusione della medicina psicosomatica che “la mente è il corpo” é vero della società: la sua mente, ovvero il suo dogma o credo centrale, è molto probabilmente anche tutto il suo mondo. Perfino in filosofia, quando Cartesio cominciò col se stesso autonomo del suo detto: Cogito, ergo sum, “Penso, dunque sono” egli ridusse il mondo a quell’autonomo io, come Kant e i filosofi successivi hanno acclarato. L’io soppiantò Dio e il mondo, e finì con l’assorbire ed il divenire Dio e il mondo. Come ha mostrato Spengler, ogni civiltà ha creato un nuovo mondo, perfino nella sua matematica. Il cristianesimo, superando diverse civiltà, ha dato all’uomo occidentale un distacco limitato e tenue che rende possibile la critica, ma ciò non sempre è stato operativo. Il Liberale può vedere chiaramente la debolezza della scena medievale, e la sua protesta infine pose fine alla punizione civile nei processi di eresia, ma furono dei convinti cristiani, che possedevano un nuovo distacco nell’era liberale di cui erano privi prima, ad inaugurare, per esempio, quasi tutte le riforme carcerarie del mondo Occidentale umanistico.
Il cambiamento da un fondamento teo-centrico ad un orientamento politico-economico centrato sull’uomo creò un nuovo mondo con i propri problemi peculiari e rese obsoleti gli interessi dell’epoca precedente. Il caso più drammatico dell’esistenza contemporanea e della lotta dei due mondi fu la Ginevra di Calvino. Il territorio di Ginevra era divenuto il possesso della casa dei Savoia nel quindicesimo secolo quando, nel 1401 Amedeo VIII, Conte di Savoia, la acquistò da Eude de Villars. Dentro la città di Ginevra stessa, Amedeo non aveva diritti, eccetto quello di nominare il vidomme (vice dominus), per il resto la città era relativamente indipendente sotto il proprio vescovo. Benché non fosse un prete, Amedeo divenne Papa Felice V nel 1440 e assicurò per sé nel 1444 il vescovado di Ginevra. Il risultato per Ginevra fu un governo scarso ed inefficiente che causò un grande risentimento da parte della borghesia. Nel secolo successivo un trattato di Combourgeoisie con Friburgo cercò di distruggere il potere dei Savoia ma non ebbe successo. Nel 1533, dopo un lungo periodo di dissenso e di insoddisfazione, il Vescovo di Ginevra, non disposto ad affrontare il rianimarsi della bufera, lasciò la città, ritornando nel 1534 con un esercito. La condotta del Vescovo diede ai Riformatori un’opportunità di rendere popolare il Protestantesimo a Ginevra, e lo divenne velocemente. Il Consiglio perciò fu confrontato con il compito di riorganizzare la vita dello stato, privata ora delle sue basi Cattolico Romane.
La borghesia, comunque, era l’elemento conservatore nel fermento Europeo nel fatto che non dava alcun pensiero alla rivolta sociale e non offriva una sfida consapevole alla sintesi medievale. L’ interesse primario della borghesia era la società ordinata lucrativamente piuttosto che la rivoluzione. Non di meno essa divenne il nuovo vino per i vecchi otri dell’Europa. La Chiesa Romana aveva osservato a lungo il pericolo nei termini di se stessa e quindi visualizzò l’opposizione come di carattere analogo. Poteva produrre una Contro-Riforma per trattare col Protestantesimo, ma non aveva una risposta per la borghesia. Era impreparata per il nuovo ordine, che venne infine da un’area totalmente inattesa e trattò, non con i problemi familiari alla cultura medievale, ma con, e in, categorie radicalmente aliene. I dotti del Rinascimento furono a quel tempo prontamente assorbiti, il potere ecclesiastico dell’imperatore fu ridotto, e il Concilio di Trento fu chiamato ad occuparsi della Riforma, ma la Chiesa Romana non aveva concezione dell’esistenza della più grande minaccia che proveniva dalla borghesia, che con i suoi monotoni sforzi giornalieri stava creando un nuovo ordinamento centrato sull’uomo e sull’economia. La società della borghesia era non religiosa, ma non irreligiosa. La borghesia stessa era poco consapevole di questa rivoluzione che stava creando: era interessata primariamente a un libero e stabile ordinamento sociale che rendesse possibile il commercio ed il suo profitto. La sola società che la borghesia conosceva era quella Teo-centrica della chiesa medievale. Essi avevano favorito prima la chiesa e poi le nascenti monarchie nella loro interpretazione di quell’ordinamento in un tentativo di trovare stabilità. Non potevano visualizzare altra società che una fondamentalmente cristiana, e perciò, il Consiglio di Ginevra si rivolse a Farel affinché agisse da esperto tecnico di quell’ordinamento. E Farel ordinò l’assistenza di Giovanni Calvino.
Né Giovanni Calvino né l’esperimento di Ginevra possono essere compresi nei termini del quadro contemporaneo di un truce, inesorabile, inumano ed autocratico Calvino. Il quadro non ha assolutamente alcuna realtà. Calvino era primariamente uno studioso, chiamato a lasciare controvoglia i suoi studi per applicare le sue teorie concernenti l’ordinamento sociale ad una situazione concreta. Quando Calvino andò per la prima volta a Ginevra, lo studioso era “un giovane uomo, nervoso, sensibile e senza fiducia nelle proprie forze”[4]. Egli aveva perorato una preferenza per la ricerca scolastica, ma Farel infine lo vinse alla causa con la brusca affermazione: “Io parlo nel Nome di Dio Onnipotente. Tu stai campando la scusa dei tuoi studi. Ma se rifiuti di darti insieme a noi a questa opera del Signore, Dio ti maledirà, perché tu stai aspirando a te stesso piuttosto che a Cristo”. Calvino sentì la forza di questa descrizione dei suoi desideri e quale uomo devoto fu preso da terrore. Nel suo esilio Strasburghese, dopo la sua prima esperienza a Ginevra, Calvino si volse felicemente alle sue opere pastorali, e suoi studi e il suo insegnamento. Mostrò scarso interesse verso la chiesa locale e le questioni dello stato, ma ritornò felicemente al suo destino preferito. Quando gli fu chiesto di ritornare a Ginevra, la notizia lo lasciò tremante d’orrore. Era una prospettiva disgustosa e ributtante, ed egli la resistette sinceramente. Solo quando fu nuovamente affrontato dall’ultimatum di Farel che fuggendo questa chiara chiamata al dovere si sarebbe trovato a lottare con Dio, Calvino con riluttanza acconsentì alla chiamata del Consiglio [5]. Poiché Calvino fino all’ultimo fu principalmente uno studioso e così si descrisse anche nel suo discorso dal letto di morte ai ministri di Ginevra:
Ho qui vissuto attraverso alcune straordinarie battaglie. Di notte, davanti alla mia porta sono stato salutato in derisione con gli spari di cinquanta o sessanta archibugi. Potete immaginare come ciò debba aver terrificato un povero, timido studioso come sono io, e come confesso di essere sempre stato. Poi fui cacciato fuori e andai a Strasburgo; ma quando fui richiamato, trovai difficile come sempre adempiere il mio ufficio. Mi gridavano “canaglia” e mi sguinzagliavano contro i loro cani [6].
La natura di Calvino è ben messa in luce in queste righe. E anche il mito della sua dittatura Ginevrina ha la sua risposta: nessun dittatore ha mai subito contro di se lo sguinzagliamento dei cani dei suoi oppositori, o colpi, sparati sotto la sua finestra, intesi a impaurirlo affinché lasciasse la regione. Calvino era uno studioso quieto e rigoroso, incline a un gentile ma vivo senso dell’umorismo tutti i suoi giorni. Gradiva gli amici intelligenti e meditabondi e si ricordò dei propri insegnanti preferiti e dei compagni di studi con gratitudine e reale assistenza in anni successivi. Come studente egli fu sempre timido e riservato ma con un vero e proprio dono nel farsi degli amici. Errava generalmente di inclinazione caritatevole verso i suoi nemici (e a Ginevra spesso d’ingenuità nell’essere troppo pronto a perdonare e ad assumere che tutto fosse dimenticato), ma nei confronti di pensatori folli e irresponsabili era asciutto e sprezzante. Così, il suo pupillo Castellio, troppo ambizioso ed incostante, fu lodato da Calvino per il suo lavoro come rettore ma rigettato per la sua eresia. Quando Castellio sviluppò un complesso di persecuzione e un odio virulento nei confronti di Calvino, il quale lo aveva scoraggiato nel suo inaccurato tentativo di tradurre la Bibbia in Francese, e poi andò alla deriva nell’atomismo sociale a morale, Calvino potè parlare di lui solamente con disprezzo. Egli ebbe uno spregio da studioso verso il pensatore confusionario. Da giovane aveva rischiato la propria vita ritornando a Parigi nel tentativo di convertire Serveto, ma quando il pensiero irresponsabile di Serveto divenne più apparente in anni successivi, Calvino potè solamente rigettarlo con un penoso e sdegnato disprezzo. Giunse a differire acutamente con Lelio Socino nelle sue lettere ma considerò quello studioso meritevole della comunicazione e non troncò mai la corrispondenza. Ma di Lutero Calvino dichiarò che, benché Lutero lo chiamasse un diavolo, egli lo credeva lo stesso “un eminente servo di Dio”.
Calvino, lo studioso, fu chiamato come tecnico esperto ad aiutare il Consiglio di Ginevra, ri-stabilire e mantenere il fondamento Cristo-centrico della società. Egli agì da vescovo governante in uno stato che aveva abolito quell’ufficio ma che ne richiedeva le funzioni. Prima che Calvino entrasse a Ginevra per la prima volta nel 1536, il Consiglio aveva cercato di assolvere entrambe le funzioni di vescovo e di vidomme, assumendo poteri ecclesiali tali da dare l’assoluzione a parrocchiani scomunicati. Un rigido controllo delle morali fu tentato in modo da dare stabilità ad un ordinamento sociale che era cresciuto corrotto e sudicio sotto vescovo e vidomme. Benché il Consiglio consultasse i suoi predicatori su dettagli quali l’acconciatura di una sposa, e anche su questioni più importanti, aveva la funzione di ambedue, chiesa e stato, e trattò il clero come propri servitori civili. Il Consiglio stabilì dei dogmi, dava l’assoluzione e nominava ministri, e la chiesa non aveva un’esistenza indipendente. I quattro principi dello Stato Protestante di Ginevra, secondo Foster, nella sua esistenza tra il 1528 e il 1536, furono:
1. Il Governo Civile era dominante sulla chiesa. (La stessa situazione prevalse attraverso tutta la Svizzera Protestante)
2. Gli abusi Papali furono rigettati.
3. La parola di Dio fu adottata come lo standard.
4. Fu stabilita l’educazione primaria Universale, gratuita per i poveri.
Secondo il Foster, i cambiamenti e le aggiunte fatte da Calvino furono:
1. Stabilire la chiesa quale organismo distinto con diritti co-ordinate e costituzionali con lo stato (1541), limitando così il potere ecclesiastico dello stato e prevenendo l’assorbimento della chiesa da parte dello stato (cesaropapismo).
2. Una definita organizzazione del credo e dell’educazione religiosa incluso il catechismo (1537); la disciplina e la supervisione delle morali (1541), incluse nuove leggi per il matrimonio che sostituirono la legge canonica. (1561).
3. Inflessibile messa in atto della “Parola di Dio” in tutte le questioni di vita quotidiana, morale, sociale, privata e pubblica, e su tutti gli abitanti (1555).
4. Istruzione universitaria per preparare al servizio di chiesa e stato (1559).
5. Un diverso temperamento e fibra morale, coscienziosa, indomita, inflessibile, austera (1555) [7].
La borghesia non era interessata alle “Istituzioni” di Calvino o alla sua dottrina della chiesa. Volevano stabilire un governo Cristo-centrico e, inesperti nelle tecnicità del dogma, affidarono la questione ad un esperto, un vescovo non ufficiale. La collocazione di Calvino a Ginevra non è comprensibile eccetto nei termini del ruolo centrale del Vescovo di Ginevra nello stato, e della continua necessità sociologica per quell’ufficio. Lo stato era ancora lontano dall’essere semplicemente civile: era ancora estensivamente ecclesiastico. Calvino dimostrò di essere odioso alla borghesia nella sua sublime dottrina della chiesa quanto nella sua teologia, ma non avevano altra risorsa, poiché lui solo impressionò la maggioranza come il solo uomo capace di provvedere la leadership richiesta. Quando Bolsec fu fatto comparire davanti al Consiglio, quel corpo si trovò nell’imbarazzante posizione di simpatizzare con la teologia di un uomo che turbava l’ordine sociale. La reiezione della predestinazione da parte di Bolsec sembrò molto più logica dello strano dogma di Calvino. Ma il Consiglio sostenne Calvino e una dottrina che non aveva per loro significato, neanche dopo la corrispondenza con alcuni studiosi, semplicemente perché la stabilità dell’ordine sociale lo richiedeva. Essi erano i padri dell’uomo liberale, economico, e Calcedonia era loro tanto incomprensibile quanto lo è per Edward Gibbon, ma nessun uomo vive nel futuro, e la maggior parte degli uomini vive nel passato. La sola società concepibile era quella cristiana. Solo Calvino poteva provvedere loro uno stabile ordinamento cristiano: quindi Calvino dovette essere sostenuto anche se incomprensibile. Dall’altro lato, niente avrebbe meglio soddisfatto la borghesia che controllare l’ implementazione di Calvino della società morale che scaturiva dalla sua visione erudita, ma controllarla senza perdere Calvino e la sua vitalità. Le ali di Calvino furono tarpate più di una volta. Nel 1545, per esempio, il Consiglio ritornò al proprio cesaro-papismo pre-calviniano e promisero di designare Jean Troillet al primo pastorato vacante. Più tardi, nel mezzo del caso Serveto, il Consiglio cercò di minare l’autorità di Calvino togliendo la scomunica a Berthelier, e quando Calvino predicò la domenica seguente, disse alla gente che sarebbe potuto essere il suo ultimo sermone. Calvino affrontò quindi la doppia minaccia della borghesia cesaro-papista e di Serveto, sospettato di essere in lega con i suoi nemici, nella sfida al fondamento Cristo-centrico della società. C’era stato, inoltre, un costante conflitto riguardo al tentativo dello stato di controllare la chiesa imponendo un sindaco, un ufficiale dello stato, alla presidenza del Concistoro, la corte della chiesa. Similmente, lo stato aveva precedentemente insistito nel richiedere la piena autorità nel selezionare gli anziani della Chiesa, benché più tardi sia stato costretto a sottomettere tali nominativi all’approvazione della congregazione. Lo stato, né comprese pienamente né accettò, se non politicamente, le dottrine di Calvino. Ciò che aveva compreso era che sotto l’ordinata strutturazione di Calvino della società, il commercio si era rivitalizzato e la popolazione era aumentata. Ginevra non era davanti ad una scelta tra Calvino e Bolsec, o tra Calvino e Serveto, ma tra Calvino e una società nuovamente in disordine, commercio in regresso, frattura religiosa, e declino civile. Perciò fu il Consiglio a fare marcia indietro, piuttosto che Calvino. Calvino poteva fare a meno di Ginevra, ma Ginevra non poteva fare a meno del proprio Calvino. Calvino dovette essere tenuto e l’interpretazione Calvinista della società Cristo-centrica dovette essere difesa quale unico ordine stabile. Perciò, quando Serveto fu arrestato, le prime udienze furono sconcertanti, non intellegibili, e spossanti per il Consiglio e per i giudici. Il tipo di discussioni teologiche su cui Calvino e Serveto ingaggiavano sul termine “ipostasi” erano irrilevanti. L’uomo era un eretico che avrebbe possibilmente disseminato idee pericolose, ed una minaccia all’ordine sociale. Il caso fu perciò passato al pubblico ministero, Claude Rigot, il quale ipotizzò l’eresia e “a Serveto fu imposto di dimostrare che le sue idee non sovvertivano le basi della religione e il benessere della società” [8]. Nel 1535 Ginevra aveva abbandonato le leggi Cattolico-Romane contro l’eresia, perciò la sentenza fu illegale nel condannare la sua eresia, ma per il Consiglio il nocciolo della faccenda fu il fatto che la sua posizione costituiva tradimento verso lo stato in un periodo in cui Ginevra non poteva contare sull’aiuto della Svizzera, e in cui la reazione cattolico-Romana stava guadagnando potere, e oltre il confine in Francia i protestanti venivano giustiziati in numero crescente. Le dottrine di Serveto erano, al pari di quelle di Calvino, incomprensibili, ma l’uomo era una minaccia alla società e le sue idee erano tradimento, mentre Calvino era l’ingegnere guida della società. Calvino stesso, nel difendere l’esecuzione di Serveto, riconobbe che certi errori nel dogma devono essere tollerati e che una rigida conformità è impossibile. Serveto, però, andava oltre la non conformità. Egli attaccava gli stessi fondamenti e perciò rendeva la tolleranza impossibile. Un Serveto Trinitario avrebbe potuto predicare la democrazia, l’oligarchia o la monarchia a Ginevra ed essere tollerato, ma non gli si poteva permettere di attaccare il dogma centrale della società Ginevrina, e la sua presenza sul territorio di Ginevra provocò il suo rapido arresto.
A quel tempo, Calvino affrontava un Consiglio i cui quattro nuovi membri erano contro di lui, e il cui capo sindaco era il suo maggior oppositore. Questi uomini incoraggiarono Serveto con false speranze semplicemente per colpire Calvino, e diedero adito all’idea errata di un complotto comune. Nel frattempo, i diritti dei cittadini di origini aliene, gli alleati di Calvino, furono ridotti, e Calvino fu virtualmente pronto ad ammettere la sconfitta [9]. Il Consiglio avrebbe potuto cacciare Calvino, ma non aveva una reale alternativa a lui.
Nel processo di Serveto, Calvino fu consapevole di due necessità conflittuali, il pericolo sociale che egli percepiva rappresentato da Serveto (sociale perché la società era teologica nel suo fondamento), e la proprie contrarietà verso un processo di stato per un reato religioso. Risolse la questione nell’azione specifica ma non nel pensiero. Calvino era consapevole della necessità di tenere le due sfere dedicate al proprio compito, ma la società non era ancora sufficientemente cambiata perché una tale distinzione potesse essere reale. Fu la sociologia ancora giovane di Calvino, piuttosto che la sua integrità a dimostrarsi inadeguata.
Che cos’era nel pensiero di Calvino che lo rese indispensabile a Ginevra e, per un secolo, il fermento della rivolta europea? Roma fece avanzare la Controriforma con l’aiuto di potenti monarchi. Il Luteranesimo dipese dai principi Tedeschi e Scandinavi. L’Anglicanesimo potè estendere la propria influenza solo nei limiti dell’autorità e del permesso del re. Ma il Calvinismo rimproverò monarchi e capovolse troni, non fu trasportato da principi e da governanti ma li trasportò.
Il potere del calvinismo risedette nel suo radicale ripensamento della fede cristiana, e nel suo biblico riordinamento di tutta la società. L’essenza della nuova sociologia che fece di Calvino l’architetto della società Ginevrina si trova in due concetti. Il regno di dio e la giustificazione.
Il regno di Dio, secondo la teologia Romana, è strettamente identificato con la chiesa. Ogni società che onori Dio deve per propria stessa natura essere di e in Cristo, la cui manifestazione visibile in questo mondo è la Chiesa di Roma. La chiesa è il regno in questo mondo e tiene in proprio potere e giurisdizione ogni aspetto e dominio di vita. Agostino ed Ambrosio avevano sostenuto che “l’impero è nella chiesa” contro l’opinione allora corrente che “la chiesa è nell’impero”, e la loro posizione, più tardi, nel Medio Evo, venne a prevalere. La chiesa, in qualità di voce del regno sulla terra, di estensione dell’incarnazione e con a capo il vicario di Cristo, è mediatrice per il mondo dei propositi divini. Nessun altra istituzione ha il diritto d’interpretazione. La chiesa determinava la natura della Parola di Dio, stabiliva il giusto prezzo in economia, incoronava i monarchi nello stato, determinava in qualche misura ciò che era permesso pubblicare nella letteratura e nella stampa, accertava e giudicava la filosofia e la scienza e, in ogni area, reclamò e cercò di esercitare potere e giurisdizione quale autorità ultima per virtù delle proprie prerogative divine. La Chiesa Romana non fu senza sfidanti. Gli imperatori Romani cercarono di stabilire lo stato come l’istituzione di mediazione e la manifestazione del regno, e con ciò precipitarono l’evolversi delle controversie del quarto secolo riguardo a stato e chiesa così ben analizzate dal Williams. Ambrosio dichiarò con chiarezza la fede del Credo di Nicea quando insistette: “La Città di Dio è la Chiesa e la Chiesa è il Corpo di Cristo; Chiunque disprezza le leggi della Città celeste, pecca contro il cielo e viola la santità del Corpo immacolato con la lordura dei suoi vizi” [10]. La vittoria, per alcuni secoli, andò allo stato sia in oriente che in Occidente. L’impero Romano, come rifondato da Ottone I nel 962, era la vera Gerusalemme e, per molti anni, fu riconosciuto come tale dalla Chiesa. Questo sacro Romano Impero, come fu chiamato in seguito fu, come ha evidenziato Bryce, “soltanto un altro nome per la Chiesa Visibile”, e l’imperatore fu chiamato “Signore del Mondo”; reclamando autorità Paolina in contrasto con quella Petrina, Ottone III si firmava servu Jesu Christi. Roma dichiarò di essere niente di più che prima sedes, e la prima tra molte sedi vescovili, e mai una sancta in questa era, e rinunciò al diritto al titolo di “universale”. Dall’800 al 1056, l’impero riformò la Chiesa come gli sembrò meglio ed assunse le decisioni per le forme della messa, delle cerimonie, dei rituali, e dei credi. Sotto Ottone III, l’imperatore divenne la sede e la voce dello Spirito Santo [11]. Successivamente la Chiesa Romana medievale assunse questo ruolo e pose l’impero sotto e nella chiesa e governò in qualità di vera Città e Regno. La sola possibile sfida alle sue asserzioni, l’università, non riuscì a sviluppare un argomento pieno e sostenuto, ma il suo progresso fu significativo. Il primo passo venne quando l’università reclamò per i propri membri il diritto di essere processati, in violazione delle leggi secolari, in corti ecclesiastiche piuttosto che in corti civili. Con ciò l’università si dichiarò parte del regno ed un braccio di esso. Il passo successivo venne quando l’università cercò la stessa autonomia dalla Chiesa. Ciò non fu mai ottenuto completamente, benché le università Germaniche abbiano eventualmente ottenuto le loro prigioni, le università Inglesi i loro rappresentanti in parlamento, e Parigi per un breve periodo abbia osato correggere il papato, come con Giovanni XXII, parlando come l’autentica interprete della fede Cristiana.
Le università Tedesche presero coscienza come voce del regno con la rivolta Luterana, separatamente dalla quale le università tedesche non possono essere comprese. Come Rosenstock-Huessy ha sottolineato: “Le università divennero le eredi dello scranno del vescovo, la cattedra. Il seggio del professore fu chiamato ‘Katheder’” [12]. L’università divenne il rappresentante dello Spirito Santo nella nazione Germanica, e i principi erano solamente “i boia e i carcerieri di Dio”. “Questo carattere soterico della cultura, completamente estraneo al resto del mondo, è la chiave religiosa dell’edificio politico eretto dalla Riforma” in Germania [13]. L’autorità Petrina sulla vita visibile della Chiesa fu data al principe, ma l’autorità Paolina, sullo spirito, e il diritto all’ispirazione, interpretazione ed istruzione appartavano all’università. L’università determinava la natura della legge, e il principe ne assumeva le operazioni. Diversamente da Calvino, il Professor Lutero credeva in un giusto prezzo: egli sottoscrisse il vecchio concetto di un regno manifesto la cui voce possedeva giurisdizione in ogni reame, e quella voce ora era la coscienza e la ragione cristiane come erano rivelate nell’università libera. La redenta immagine di Dio nell’uomo riaperse le Scritture, e come profeta, sacerdote e re in Lui, trovò la sua voce più chiara nell’università libera Luterana. Ma, col declino del protestantesimo in Germania, sia la mano continente che l’autorità divina dell’università scomparvero, e l’uomo pre-Riforma ricomparve in Hitler.
In Giovanni Calvino questi concetti del regno di Dio furono spazzati via da una rigorosa teologia biblica che rese impossibile la supposizione di istituzioni e di voci di mediazione. La Parola interpreta la Parola, e Cristo è il mediatore universale. Nelle sue (Istituzioni, III, XX, 42), egli discute il significato del regno di Dio nei termini della seconda petizione del Padre Nostro, e stabilisce in questo modo il regno di Dio come escatologico, non storico: deve venire, ma non è qui nella forma di un’istituzione come potrebbe essere la chiesa, lo stato o l’università. È presente, in parte, dove i cuori degli uomini in obbedienza anelano alla pienezza del Suo regno, ma non ha istituzioni di mediazione. Nella sua manifestazione terrena, questo “regno comprende due aspetti: Dio corregge e abbatte con la forza del suo Spirito Santo tutte le concupiscenze della carne che sorgono in gran numero per contrastarlo. Poi, orienta ed educa tutti i nostri sensi, per assoggettarli al suo dominio”. Poiché Calvino credeva nella depravazione totale ed era avverso al perfezionismo eliminò la possibilità che l’uomo redento potesse reclamare di essere il regno manifesto. Per lui, l’uomo non è mai il regno. Uno dei passi preferiti di Calvino, comunque, era Romani 14:17,18 e, nel suo Commentario a Romani, egli dichiarò riguardo all’uomo che adempie queste condizioni “il regno di Dio pienamente prevale e fiorisce in lui…dovunque ci sia giustizia e pace e gioia spirituale, lì il regno di Dio è completo in tutti i suoi aspetti, non consiste quindi di cose materiali”. Questa, la sua più forte dichiarazione sul regno, necessita questa importante osservazione: Calvino sta qui enfatizzando la totale mancanza di dipendenza del regno da qualsiasi forma materiale, da cibi o bevande, o da qualsiasi attività umana. Il regno di Dio è così la presenza o l’attività di Dio dovunque la si trovi, e quella presenza o attività è pura grazia, senza alcuna relazione con l’opera o la volontà dell’uomo, e l’eternità è la sua origine e il suo motivo. Perciò, quando Calvino sembra asserire la forma umana del regno, egli lo sta separando col massimo rigore dalla volontà di Dio. È un regno di pura grazia, completamente escatologico e mai istituzionale o storico. Poiché è escatologico, Calvino tendeva a non fidarsi di alcune attività umane, come l’arte, che non sembravano direttamente collegate alla cornice della vita quotidiana sotto l’aspettativa: “Venga il Tuo Regno”. Ma Calvino in parte, e più tardi i Calvinisti pienamente, enfatizzando “Sia fatta la Tua Volontà”, in relazione alle sue implicazioni per il tutto della vita, portarono l’arte nel cerchio del regno. Kuyper è perciò corretto nel difendere la relazione del Calvinismo con l’arte (in Lezioni sul Calvinismo). La teologia medievale diede all’arte una relazione a Dio attraverso la mediazione e il governo del regno, cioè attraverso la chiesa. Calvino, nonostante la sua sfiducia, aprì la porta ad una diretta, non mediata relazione tra l’artista ed il regno e diede all’arte il proprio carattere di indipendenza dall’uomo e il proprio mandato da Dio. E quel mandato può raggiungere il suo pieno significato solo se l’artista si rende conto che la giustificazione per fede lo colloca direttamente sotto la sovranità di Dio e dentro al sostentamento escatologico. Il suo interesse quindi non sarà né il realismo, né l’impressionismo, né l’espressionismo, né qualsiasi altra scuola d’arte come tale ma un esercizio del comando creazionale di esercitare il dominio in obbedienza, dentro la cornice della speranza redentiva. La posizione di Calvino, nonostante il suo scetticismo, fu per l’arte di maggior significato del patronato di Roma. La Chiesa Romana può essere la patronessa dell’arte, la chiesa Riformata è “co-lavorante” con l’arte. Berkhof ha riassunto la posizione Calvinista sul regno negando che le scuole cristiane, i sindacati dei lavoratori, le organizzazioni politiche e simili siano manifestazioni della chiesa come organismo. “Il Regno può dirsi essere un concetto più vasto della chiesa, perché punta a niente di meno che il completo controllo di tutte le manifestazioni della vita. Rappresenta il dominio di Dio in ogni sfera di sforzo umano” [14]. Detto più brutalmente, il Calvinismo nega che la chiesa possa essere considerata il regno: non è il regno ma è nel regno. Perciò Calvino, poiché considerava l’economia, non un aspetto della vita della chiesa ma del regno, implicitamente negò la giurisdizione della chiesa, dello stato o dell’università sull’economia. Come Tawney stesso riconobbe, Calvino “getta sulla coscienza dell’individuo” la questione di una rata d’interessa equa. Non fu, come pensò Tawney, perché gli occhi di Lutero “erano sul passato” e Calvino vigile nei confronti del futuro, ma perché il concetto del regno di Calvino eliminò la chiesa quale manifestazione del regno e fece il cristiano individuale, nella sua attività, il cittadino di quell’ordine eterno in virtù della grazia divina. L’individuo divenne così la principale area di responsabilità. Se la coscienza dell’individuo rendeva impossibile la giustizia, lo stato non poteva supplire ciò che mancava all’individuo. Lo stato ha la propria giurisdizione, la chiesa il proprio reame, l’arte, l’economia, l’università, la famiglia, tutte possiedono la loro rispettiva giurisdizione, e la chiave per la vita di ciascuna è la Parola di Dio nel cuore dell’uomo. La collocazione della chiesa nel regno non dipende dalla successione Petrina o apostolica, né da alcuna condizione umana. Nella Confessione di Fede Scozzese del 1560 (Articoli 18, 19, 20) si insistette, in accordo con Calvino, che né la supremazia storica, né un governo della maggioranza, né un governo elettivo, né successione apostolica, né altra autorità avesse alcun peso, ma solo la Parola di Dio, e che la chiesa sta dentro al regno di Dio piuttosto che nel regno di Satana solo quando in essa prevale la fedele predicazione della Parola, l’appropriata amministrazione dei sacramenti, e la corretta disciplina ecclesiastica. Il cristiano individuale è subordinato, qualsiasi sia la sua posizione, alla Parola di Dio, e il regno si manifesta nei frutti dello Spirito nell’uomo obbediente alla parola. In questo modo nessuna istituzione può reclamare giurisdizione dove non sia accordata, e Calvino, di conseguenza rifiutò di riconoscere ciò che le Scritture avevano rifiutato di confermare.
Strettamente correlato al concetto del regno di Calvino è la sua interpretazione della giustificazione. La sua rigorosa esposizione biblica della giustificazione non ha bisogno di essere riconsiderata. Per Calvino, la giustificazione non era per opere, intelligenza, o istituzione, né nella fede, ma da Dio per fede. Poiché è Dio che giustifica in definitiva e senza mediazione, la predestinazione è, come affermano le Scritture, il corollario della giustificazione. La salvezza è così interamente opera di Dio. Questo, naturalmente, è offensivo per l’uomo, che insiste nel voler trovare il terreno della salvezza nella propria attività, pensiero o fede e al massimo da’ credito a Dio di una certa assistenza. A questo Calvino replicò, colpendo l’insistenza dell’uomo autonomo nei propri criteri di giustizia: “Su questo perno gira l’intera questione: che non ci sia giustizia di Dio, se non quella che è da noi concepita?” Dio quale Creatore non può essere vincolato a nessun criterio di giustizia che non sia il Suo, e “il grande ed essenziale scopo per aver creato l’uomo” è “per la Sua gloria” [15]. Poiché la giustificazione e la salvezza in questo modo dipendono totalmente da Dio, l’attività umana e la mediazione diventano irrilevanti. Alla chiesa e ai santi in paradiso non viene lasciato più nessun ruolo di mediatori. Come Calvino ha evidenziato: “I papisti riconoscono che Gesù Cristo è il solo mediatore della redenzione, che è Lui solo che redime il mondo: ma per quanto riguarda l’intercessione, che Egli non è solo, che i santi che sono morti hanno questo ufficio come Lui” [16]. Le teologie Romana e Riformata hanno le loro distintive sociologie della giustificazione. La sociologia della giustificazione Romana coinvolge una gerarchia di istituzioni di mediazione sotto il governo e la supervisione del regno di Dio manifesto, la Chiesa. Le funzioni di stato, scuola, arte, letteratura ed economia sono di mediazione: esse guidano l’uomo alla salvezza e agiscono come strumenti della Chiesa, la Città di Dio, nel grande compito della giustificazione. Il dovere di ciascuna è di essere, per usare una moderna categoria Romana: Cristofori, portatori di Cristo all’uomo. Dunque, nessuna di queste attività possiede alcuna autorità nella propria sfera: come strumenti nel processo di giustificazione, esse erano, e sono, subordinate alla giurisdizione, legge e principi della chiesa, e alla sua gerarchia. In questo modo la sociologia Romana vede l’uomo come minimo, in un procedimento di giustificazione lungo tutta la vita (con anche il purgatorio coinvolto nel procedimento) e orienta tutta la società nei termini di questo procedimento. La società ha compiti di tutore e di mediatore.
La sociologia Riformata, dall’altro lato, non vede tale procedimento. L’uomo è o redento o reprobo per atto sovrano di Dio, e in questo modo non esistono istituzioni di mediazione. Nessuna distinzione sociale tra il redento ed il reprobo è possibile, perché la separazione della gramigna dal frumento è prerogativa di Dio, il Quale manda la Sua pioggia sul giusto e sull’ingiusto. La società è un campo promiscuo e perfino la chiesa è una rete piena di pesci misti, buoni e cattivi. Perciò ne l’uomo ne le sue istituzioni, la sua ragione, le sue emozioni o le sue attività sono degni di fiducia. La società non ha funzioni di mediazione: il suo ruolo non è sacerdotale ma ministeriale. Il sacerdote della dispensazione Giudaica non era un sacerdote in se stesso: era solo un sostituto il cui abito, bere, mangiare, matrimonio, e i suoi stessi passi dentro al santuario erano minutamente prescritti, perché egli non aveva autorità da se stesso, era meramente un sacerdote temporale e temporaneo, un sostituto che attendeva la venuta dell’eterno sommo sacerdote, Gesù Cristo, il Quale adempì e pose fine al rituale. Allo stesso modo, la società Cristiana, i cui membri sono re, profeti e sacerdoti in Cristo ha solo un ruolo ministeriale: esegue un compito assegnato senza alcuna autorità indipendente. Il suo scopo non è di giustificare, Dio ha fatto questo prima della fondazione del mondo, ma di asserire la venuta del regno escatologico e di cercare in forma limitata di esercitare i doveri della redenta immagine di Dio nell’uomo: esercitare il dominio, accertare la conoscenza, stabilire la giustizia, e vivere in santità nella famiglia, nella chiesa, nello stato, nell’economia, nell’educazione, nell’arte e in ogni altra sfera di attività umana. Come i sacerdoti dell’Antico Testamento, le sue azioni sono prescritte dalle Scritture, ed è in attesa della resurrezione generale e della venuta di Colui che introdurrà il vero e pieno regno, con tutte le sue attività redente. Il concetto della giustificazione di Calvino portò inevitabilmente al concetto di sovranità di sfera. Nessun altra teologia è stata capace di sviluppare la soteriologia della giustificazione per fede perché nessun altro è disposto ad accettare il pieno significato di quella dottrina, vale a dire, la predestinazione. E a meno che questa sia accettata, la libertà sotto Dio della sociologia della giustificazione viene negata alla società.
Calvino, naturalmente, non fu sempre coerente nell’applicazione dettagliata, né lo sono i moderni Calvinisti che mantengono licei di chiesa, giornali ufficiali della chiesa, e missioni mediche, tutte funzioni della società cristiana libera piuttosto che della chiesa. Ma i lineamenti principali della sua aderenza alla sociologia della giustificazione sono evidenti a Ginevra.
Di centrale importanza alla nuova sociologia era il concetto di Cavino dei giorni di festa, del sabato Giudaico e della Domenica. Commentando Galati 4:10, egli evidenzia che mentre non è implicata alcuna condanna riguardo “all’osservanza di date nell’ordinamento della società civile”, Paolo condanna “ciò che incatenerebbe la coscienza, con considerazioni religiose, come fosse necessario all’adorazione di Dio… noi non stimiamo un giorno essere più santo di un altro”. Benché all’inizio la Riforma ebbe una predicazione giornaliera, il suo scopo era di istruire. La sociologia Romana richiede una chiesa costantemente aperta. Poiché la giustificazione dell’uomo è in procedimento, c’è una costante dipendenza dalla chiesa, e la pena suprema per l’uomo o la società che erra è una chiesa chiusa. Per la sociologia Calvinista, è inevitabile che la chiesa sia chiusa nei giorni feriali. Quando la chiesa chiude le sue porte il giorno non diventa secolare e non redento, poiché l’uomo è giustificato da Dio senza la necessità della mediazione umana. L’uomo redento, e non la chiesa, redime il giorno, e questo fece sorgere l’importante concetto Calvinista della vocazione cristiana. “Redimere il tempo” (Ef. 5:16 ss.) è il compito dell’uomo per Calvino, e implica, non il monastero, ma un vivere circospetto, sobrietà, gioia interiore nell’adorazione di Dio, e ordine sociale, il quale implica sottomissione. “Dio ci ha legati l’un l’altro così strettamente, che nessun uomo deve sforzarsi di evitare la soggezione; e dove regna l’amore, verranno resi mutui servizi. Non faccio eccezione neppure per re e governatori, la cui reale autorità è esercitata per il servizio della comunità”. Redimere il tempo quindi implica obbedienza a Dio e “questa comune soggezione” degli uomini, e “noi non possiamo rifiutare il giogo … di servire il nostro prossimo” [17]. Il culto domenicale non è una necessità per la giustificazione, ma la celebrazione dei giustificati. I redenti gioiscono nella redenzione, e si radunano per ringraziare e per imparare ancora dalla parola di Dio, cosicché nella loro vita quotidiana e nelle loro attività possano più pienamente redimere il tempo. Così Calvino liberò il cristiano non solo da istituzioni ma da giorni e stagioni. L’uomo cristiano e non la chiesa redime il tempo, e la chiesa può serrare la proprie porte nell’assicurazione che il regno di Dio consiste di giustizia, pace, e gioia nello Spirito Santo. La chiesa chiusa, una tragedia per il Romano, è il trionfo del credente Riformato e un’affermazione della libera e non mediata attività dello Spirito Santo, il Quale perdona, rimette i peccati, e benedice l’uomo nella sua casa e nella sua attività.
Calvino, naturalmente, non dismise con ciò la necessità dell’osservanza del settimo giorno. L’osservanza del sabato è per lui una porzione necessaria dell’attività redenta piuttosto che una parte necessaria del procedimento di redenzione. Mentre insiste nell’osservanza del Giorno del Signore, Calvino dichiarò con precisione: “Osserviamo la domenica senza spirito Giudaico, dato che v’è una grande differenza tra noi e gli Ebrei. Non l’osserviamo come elemento di fede assoluta, come cerimonia in cui pensiamo sia contenuto un mistero spirituale, ma l’utilizziamo come un mezzo necessario per conservare il buon ordine nella Chiesa”(Ist. II, viii, 33). Per lui il sabato fu abrogato e adempiuto in Cristo, ed egli citò Colossesi 2: 16-17, il sabato era “Un ombra delle cose a venire, ma il corpo è di Cristo”. Questo vero sabato, nel quale “Dobbiamo riposare completamente, affinché Dio possa operare in noi”, ci vincola ancora come obbligo morale, e di qui, la necessità che sia osservato per permettere la predicazione della Parola, l’amministrazione dei sacramenti, e il riposo fisico per noi e per i nostri servitori. Ma il vero Sabato “non si accontenta di un giorno, ma impegna l’intero corso della nostra esistenza fin quando, completamente morti a noi stessi, siamo ripieni della vita di Dio. Ne consegue che i cristiani devono astenersi dall’osservare dei giorni, in modo superstizioso”. (Ist. II, viii, 29, 31, 32, 34). In questo mondo per Calvino la necessità morale del Giorno del Signore era perpetua, ma solo nei termini di questo reale Sabbath, che egli chiamava “la sostanza” della vera osservanza del cristiano. Il Cristiano in questo modo vive tutta la sua vita nell’eterno Sabbath, il riposo celeste del Corpo redento di Cristo. La sua partecipazione in questo rimane frammentaria e parziale in questo mondo ma non meno reale. Egli non può essere in Cristo e fuori del Sabbath eterno. Così, lo scopo principale dell’uomo, come dichiarato all’inizio del Catechismo di Ginevra di Calvino, è “di conoscere Dio e di goderlo per sempre”, un’attività sabbataria che trova il proprio adempimento nel Sabbath eterno.
Calvino, nella sua interpretazione del Quarto Comandamento, evitò il misticismo, e collocò decisamente il giorno sotto la grazia. In un senso, ciò ha coltivato il secolarismo nei confronti del Sabbath. Nei giorni santi Cattolico Romani e pagani, tutte le osservanze sono redentive e il giorno è “aperto” a tutti gli uomini. Roma condona molto nel Sabbath perché la sua gente è fatta di peccatori in via di redenzione. Il Sabbath cristiano in Calvino è per i santi redenti e perciò possiede standard più alti e automaticamente esclude come secolare molto di ciò che il mondo prima condonava. Con ciò rende il secolarismo più auto consapevole, e la zizzania comincia ad essere vista come zizzania.
Calvino a Ginevra cercò stabilmente di liberare la chiesa nel proprio reame dalla giurisdizione dello stato. Per lui la chiesa era “fondata sull’elezione di Dio” e perciò non discernibile da altri se ma da Dio solo. La chiesa visibile, che contiene sia gli eletti che i reprobi, è la nostra madre spirituale, e “fuori dal suo seno non c’è speranza di remissione dei peccati, o alcuna salvezza” perché attraverso di lei il Vangelo è proclamato e i sacramenti amministrati. La descrizione di Calvino della chiesa suggerisce frequentemente la teologia Romana nella sua elevata dottrina della chiesa, ma con questa significativa differenza: per Calvino la chiesa era sempre la rete, mai il Pescatore (Matteo 13: 47-50), mentre per Roma la Chiesa era il Pescatore (Ist. IV, i). La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, ma mai Cristo. La vera chiesa è presente dove la parola è predicata fedelmente e i due sacramenti sono amministrati appropriatamente. Nel trattare col sacramento della Santa Cena, l’interpretazione di Calvino è generalmente mal compresa nel fatto che viene giudicata dalla posizione del pensiero Romano e Luterano. Egli afferma inconfondibilmente la reale presenza di Cristo in questo sacramento nel quale “Siamo incorporati in un solo corpo con Cristo” e nel quale “Possiamo confidanti considerare … Cristo stesso … presentato ai nostri occhi, e toccato con le nostre mani. Infatti, non v’è ne falsità ne illusione in questa parola: ‘Prendete, mangiate e bevete, questo è il mio corpo … questo è il mio sangue’ … benché sembri incredibile che la carne di Cristo, da una tale immensa distanza, ci raggiunga tanto da diventare nostro cibo, dobbiamo rammentare quanto la potenza segreta dello Spirito Santo trascenda tutti i nostri sensi, e quale follia vi sia nell’applicare qualsiasi nostra misura alla sua immensità”. Mentre asseriva la reale presenza, Calvino specificamente negava la transustanziazione e la consustanziazione, perché “Il pane viene chiamato il corpo in un senso sacramentale”. Cadere nell’errore Luterano o Romano è male interpretare il significato dei sacramenti, poiché un sacramento è un canale della grazia, non l’incarnazione stessa (Ist. IV, xvii). Proprio come il regno è presente nel mondo, ma non incarnato nel mondo, così Cristo è presente nel sacramento, ma non incarnato in esso. Lo Spirito Santo è stato dato alla chiesa ed è presente al suo interno, ma la chiesa non è l’incarnazione dello Spirito Santo. Perciò, per Calvino, la chiesa non può mai estendere il proprio dominio sopra tutta la vita come fece Roma. Il suo è un ministero, non un sacerdozio, ed è un ministero di Parola e sacramenti.
Allo stesso modo, lo stato non è un sacerdozio né il regno ma il ministro di giustizia. Come con tutte le istituzioni ed attività, Calvino colloca lo stato direttamente sotto Dio e la Sua Parola. Egli lo libera dalla giurisdizione della chiesa, e così gli da più di quanto Roma conceda; ma Calvino limita la sua sfera, e perciò gli da meno. “Sono responsabili a Dio e all’uomo nell’esercizio del loro potere”, commenta su Romani 13: 4. Il magistrato è il portatore di spada, affidatario della responsabilità di fare la guerra e di mantenere la giustizia. “Essi sono costituiti protettori e vindici della pubblica innocenza, della modestia, della probità e della tranquillità, il cui solo obiettivo deve essere la promozione della pace comune e della sicurezza di tutti” (Ist. IV, xx). In questo modo, lo stato limitato, un ministro del regno e non il regno stesso, fu il concetto calvinista. I Calvinisti potevano coraggiosamente rimproverare re, quanto i simili sudditi di Dio, e correggere governanti quando interferissero nel reame della chiesa. Poiché la loro sovranità non derivava dalla chiesa, dallo stato, o dal popolo, ma da Dio, e la sovranità veniva esercitata in un mondo macchiato da un peccato originale pervasivo nel reame dello stato quanto altrove.
Per quanto riguarda la famiglia, Calvino, come tutti i Riformatori, espresse indignazione per il “petulanti rimproveri” di uomini come Girolamo “Per mezzo dei quali tenta di rendere il matrimonio santificato sia odioso che infimo … Dio … ordina la vita coniugale per l’uomo, non per la sua distruzione ma per la sua salvezza (ad Gen. 2:18). Per i Romani, il matrimonio è tutoriale e sotto la giurisdizione della Chiesa. Per il Calvinista, il matrimonio è la benedetta unione dei redenti e un tipo dell’unione di Cristo con la Sua chiesa, la madre come tipo della chiesa ed il padre come tipo di Cristo. In quanto tale, il padre assunse un ruolo sacerdotale nella famiglia, con i familiari come sua congregazione, e il rito Protestante essenziale era nato: il culto famigliare. Come ha osservato il sociologo Rosenstock-Huessy: “Qui risiede la realtà socio-economica della Riforma, un campo in cui la libertà interiore del cristiano poteva incarnarsi nella vita quotidiana, in cui la fede viva diventa opere”. La famiglia Riformata: “Trapiantando il sacramento della Parola in ogni casa cristianizzò ciò che precedentemente era stato semplicemente una parte del mondo naturale” [18]. Per tutta risposta, la Chiesa di Roma sviluppò il culto della Sacra famiglia e di San Giuseppe, ma Roma subordinò quest’area alla Chiesa, mentre la Riforma vide la famiglia, la scuola primaria e secondaria, la chiesa, lo stato, e la società, direttamente sotto Dio e libere dalla giurisdizione di chiesa e stato.
Tawney ha scritto con molta erudizione ma con meno perspicacia sulla relazione del Calvinismo con un’economia libera nel suo Religion and the Rise of Capitalism. Egli ha colto l’enfasi del Calvinismo sulla “responsabilità personale” e il significato della vocazione cristiana, ma senza alcuna consapevolezza dei suoi fondamenti teologici. Egli aveva delineato il fallimento di altri riformatori, inclusi quelli associati a Calvino e ai suoi successori, per dimostrare lo stesso concetto di libertà dal controllo ecclesiastico e magisteriale, ma sbagliò nel considerare Calvino come rappresentante della modernità urbana. Calvino era limitato nella sua prospettiva quanto gli uomini dei suoi giorni. Egli dimostrò un conservatorismo generale verso i cambiamenti e le nuove idee, perfino nel conseguire le implicazioni di qualcuna delle sue. L’importanza di Calvino con l’ascesa del capitalismo non ha connessioni con la sua natura personale o col suo retroterra. Fu piuttosto la rigorosa teologia biblica di Calvino che diede all’economia un ruolo indipendente sotto Dio, liberandola dalla giurisdizione di un regno sulla terra e collocandola dentro la cornice della redenzione del tempo. La teologia di Calvino creò una sociologia della giustificazione le cui implicazioni, benché realizzate a quel tempo in modo solo frammentario, furono rivoluzionarie e sono basilari per una comprensione della Riforma e dell’epoca moderna.
Nei termini di questo programma, l’orrore di Calvino nei confronti di Serveto è più comprensibile. Avendo sconfitto il concetto di un regno manifesto e incarnato sulla terra, Calvino vide nella teologia di Serveto non solo il ritorno di una istituzione divina ma anche di una umanità divinizzata, Cristo ridotto in modo blasfemo e l’umanità esaltata. Una tale società è l’antitesi della società cristiana ed è la riproposizione dell’offerta demonica: “Sarete come Dio”, e, di conseguenza, costituiva un pauroso pericolo per Ginevra, dove il programma di Calvino era al massimo un fragile successo.
In molti aspetti del suo programma, Calvino non arrivò al compimento. Perfino nella chiesa, il suo interesse primario, l’obbiettivo non fu mai raggiunto. Il suo desiderio di avere la Santa Cena settimanalmente, moderato ad una richiesta di celebrazione mensile, fu resistito con successo. Ginevra non aveva desiderio di veder fiorire la chiesa forte del Calvinismo: era sufficientemente dominante nella sua limitata condizione. In molti aspetti, il governo della chiesa fu sempre tenuto sotto il controllo dello stato, nonostante la lotta indomita di Calvino. Dall’altro lato, il regime moralista fu complessivamente approvato accoratamente, a dispetto di piccole irritazioni. Provvedeva lo stabile ordinamento sociale che la borghesia desiderava. La maggior parte delle obiezioni arrivarono quando le leggi morali furono applicate contro loro stessi: era primariamente una legge desiderabile per gli altri. Queste leggi “puritaniche” erano infatti comuni alla Ginevra Cattolico Romana ma non erano mai state fatte rispettare, e prevaleva un serio lassismo morale. La Ginevra Protestante pre-Calvinista aveva fatto un tentativo di applicarle, ma rimase compito del Calvinismo creare il potere per farlo. La base razionale del regime moralista si può vedere esaminando il detto classico degli amanti clandestini: “Siamo sposati agli occhi di Dio”. Questo per il Calvinista è irrazionale, perché gli occhi di Dio vedono l’uomo non come un individuo (in solitudine), ma semplicemente nei termini della chiesa, dello stato, e della famiglia. I giuramenti, le promesse matrimoniali secondo i riti di chiesa e stato perciò non sono solo dei requisiti puramente giuridici: sono categorie morali. Nessun atto dell’uomo è un atto solitario: è in ogni momento anche un atto sociale. Quest’ultimo concetto è particolarmente sottolineato dal Calvinismo e da ciò deriva la sua circospezione in tutta la vita. Ciò che un uomo pensa e fa nel privato della sua casa o in un luogo solitario e rinchiuso, è un filo nella trama e ordito della società umana. Se un solo filo si sfila, l’intera tela è in pericolo. La società è quindi un dedalo di responsabilità concatenate, nessuna indipendente e nessuna subordinata all’altra. Il Calvinismo fin dal principio è spesso stato tentato di fare della chiesa o dello stato la chiave di questo dedalo, ma la sua basilare risposta è diventata l’uomo redento sotto la Parola di Dio.
Il conseguimento di Calvino fu grande: uno studioso cui fu affidata l’ingegneria di un ordinamento sociale, in linea di massima egli aveva avuto successo, e dopo diciotto anni di servizio il Consiglio finalmente ammise quest’esperto straniero, il suo vescovo non ufficiale, nei ranghi della borghesia: gli diede la cittadinanza. Il Calvino che stava invecchiando consigliò Knox ad intraprendere il suo esperimento con maggior moderazione e spirito di carità. Certamente ex preti, anche se indegni, dovrebbero essere trattati umanamente e permettere loro di ritirare una pensione, e sicuramente tutti i figli degli scomunicati quanto i figli illegittimi dovrebbero certamente essere accettati per il battesimo. E un episcopato poteva essere ritenuto se non era sacramentale. Quando il grande studioso morì, il suo nuovo ordine per la società cristiana sembrò duraturo, destinato ad essere un modello per la civiltà Protestante, ma egli non aveva tenuto conto dell’ordinamento creato della borghesia che non comprendeva né predestinazione né ipostasi. I normali cittadini di Costantinopoli comprendevano il significato di ipostasi, ma la borghesia di Ginevra, benché il loro Consiglio richiedesse che i propri membri frequentassero la chiesa settimanalmente per dare un esempio al popolo, rimasero disperatamente profani ai problemi di teologia. Queste erano questioni che Giovanni Calvino doveva trattare il meno dolorosamente possibile e con la minor turbativa nei confronti del loro ordinamento sociale. Alla fine essi furono grati per la sua opera, ma non la compresero mai.
Calvino comprese loro molto più chiaramente. Da intelligente realista, egli sapeva che una nuova economia prevaleva ed era, infatti, già stata in essere da qualche tempo. Diversamente dai pensatori Cattolici Romani e dai Luterani, egli non fece alcun tentativo di forzare i principi del pensiero scolastico dentro al capitalismo. Come Tawney ha evidenziato, Calvino francamente riconobbe “La necessità del capitale, del credito e dell’istituto bancario, del commercio e della finanza su larga scala, e gli altri fatti pratici della vita degli affari” [19]. Come tale, Calvino fu l’ingegnere sociale di successo dei suoi giorni, e il suo fascino agli occhi della borghesia fu molto forte. Il Calvinismo quindi vinse le proprie vittorie in aree commerciali ed urbane. Alla fine fallì perché né Calvino né il Calvinismo riuscirono a visualizzare il capitalismo come nulla di più che la nuova economia mentre era di fatto la nuova cultura. Il movimento Rinascimentale agli inizi aveva ricevuto considerevole sostegno dalla borghesia, dai nascenti capitalisti d’Europa. Li affascinava con la sua enfasi neo-Platonica sull’integrità ed essenzialità dell’anima dell’individuo. La società fu ridotta a semplici termini “elementali”. Ma il Rinascimento mancava la virilità morale e la consapevolezza economica di cui la borghesia aveva bisogno: il Calvinismo fornì questo e guadagnò la vittoria. Giannozzo Manetti, l’umanista Fiorentino, scrisse Della dignità e dell’eccellenza dell’uomo, prima della metà del XV secolo, come controparte a La miseria dell’uomo di Innocenzo III. Marsilio Ficino magnificò l’universalità dell’uomo e la sua centralità cosmica: l’uomo divenne la misura, e la sua libertà l’essenza della vera cultura e della società. Però nessuno di questi umanisti ebbe alcuna comprensione della vera rivoluzione dei loro tempi, né l’ebbe Erasmo, il quale semplicemente ripeté la critica convenzionale solo più abilmente. Lutero provvide il catalizzatore religioso ma vedeva la rivoluzione sociale con orrore ed incomprensione, per la maggiore in categorie Cattolico Romane. Il Calvinismo riconobbe la nuova economia come parte di un nuovo ordine ed aveva una sociologia adeguata, e perciò per breve tempo fu in comando della situazione. Ma poiché il Calvinismo per sua stessa natura è o tutto o niente, fu presto scaricato, il pilota fu mollato, e il capitalismo continuò a crescere lungo le sue precedenti linee Rinascimentali, con i benefici del rigorismo e della moralità calvinista, dentro alla civiltà del liberalismo o umanesimo, la civiltà dell’uomo politico-economico.
Oggi la sociologia della giustificazione è nel dimenticatoio, e la società libera che aveva creato sta in parte scomparendo. L’uomo è divenuto la divinità visibile, la cui volontà generale è manifesta nello stato. Quale regno visibile, lo stato si concerne con tutte le aree di vita umana: chiesa, scuola, famiglia, economia, letteratura, arte, tutte le cose vivono, si muovono ed hanno la loro esistenza all’interno dello stato. Ciò che Roma fu nel tredicesimo secolo, lo stato è diventato nella nostra epoca, fino al sogno di una sola diocesi nelle Nazioni Unite. Contro tutto questo Roma proclama il suo antico credo, mentre molti protestanti, sotto l’influenza del vangelo sociale, dichiarano che il regno di Dio è, e sta venendo, in quell’ordinamento conosciuto come lo stato. Il Calvinismo, la cui principale attività è spesso stata limitata ad una difesa delle Scritture, ha bisogno di lanciare di nuovo la pienezza delle Scritture. La proclamazione del regno escatologico e della predestinazione significa la responsabilità di sviluppare la sociologia della giustificazione e di distruggere tutti gli idoli umani eretti come immagini del regno il cui costruttore e artefice è Dio.
Note:
[1] G.G. Coulton: “Inquisition and Liberty”, London, Heinemann, 1938
[2] M.A. Murray: “The God of the Witches”, London: Sampson Low, n.d., e “The Witch Cult in Western Europe2. Oxford: Clarendon, 1921.
[3] J. S. Whale: Christian Doctrine.New York: Macmillan, 1942. p. 111, da Migne: Patr. Gr., xlvi, p. 557.
[4] R. N. Carew Hunt. “Calvin”. Londra: Centenary Press, 1933, p. 56.
[5] Ibid., p. 55, 105-113.
[6] Ibid., p. 309.
[7] H. D. Foster. “Collected Papers” Hanover, N:H:, 1929, “Geneva before Calvin”, p. 23, e “Calvin’s programme for a Puritan State”, p. 31ss.
[8] Hunt. Op. cit.., p. 211.
[9] Per un’equa e Unitariana rivisitazione del caso, si veda Earl Morse Wilbur: “A History of Unitarianism: Socinianism and Its Antecedents”. Cambidge. Harvard, 1946, pp. 150-185.
[10] George Huntston Williams: “Church History”, XX, 3, pp.3-33 e XX, 4, pp. 3-26, “Christology and the Church-State relations in the Fourth Century” citazione di Ambrosio. “Expositio in Psalmum cxviii, sermon xv, p. 35.
[11] Eugen Rosenstock-Huessy: “Out of Revolution” New York, Morrow, 1938,pp. 485-515.
[12] Ibid., p. 390; si veda anche pp. 359-450.
[13] Ibid., p. 399.
[14] Louis Berkhof: “Systematic Theology”. Grand Rapids, Eerdmans, 1946, p. 570.
[15] Calvino. “The Eternal Predestination of God”, in “Calvin’s Calvinism” Grand rapids, Eerdmans, 1950, pp. 32, 85.
[16] Calvino. “The Mystery of Godliness”, sermon on “The Only Mediator”. Grand rapids, Eerdmans, 1950, p.203.
[17] Calvino: “Commentary on Galatians and Ephesians”. Grand Rapids: Eerdmans, 1948, pp. 314-333.
[18] Eugen Rosenstck-Huessy: “The Christian Future”. New York: Scribners, 1946, pp. 34-42.
[19] Tawney: “Religion and the Rise of Capitalism”.