INDICE:

Santità contro perfezionismo

Un incidente biblico da cui raramente si sente predicare è in II Re 5:18-19. Il generale siro Naaman, guarito della sua lebbra da Eliseo, ha fatto professione di fede. Ha un problema, però. Il re siriano, nella sua infermità, ha bisogno di un uomo su cui appoggiarsi quando va ad adorare nel tempio di Rimmon. Naaman è quell’uomo di fiducia. Per un generale, che avrebbe facilmente potuto prendersi il trono, essere così di fiducia indica di quanta considerazione godeva Naaman. Ma Naaman è turbato. Quando il re s’inchina al suo dio, Naaman lo deve aiutare e chinarsi nel procedimento. Il SIGNORE lo perdonerà per questo? Eliseo risponde affermativamente: “Va in pace.” Naaman non fu chiamato ad una vita di perfezione ma di santità, e c’è una differenza. Naaman non stava compromettendo la propria fede con un piccolo dovere in un’importante carriera.

L’idea di perfezione è in essenza una dottrina pagana. La parola perfetto come compare nella Scrittura ha un significato diverso da quello delle culture pagane. Il Nuovo Testamento usa diverse parole. In Matteo 5:48: “Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro che è nei cieli” la parola è “teleios”, maturati, che raggiungono l’obbiettivo indicato, completi; altre parole tradotte con “perfetto” hanno significati correlati. Per noi, essere perfetti nel senso biblico significa maturare nella nostra vocazione, fare la volontà di Dio per la nostra vita, e servirlo con tutto il nostro cuore, la nostra anima, la nostra mente, e il nostro essere. La perfezione, in questo senso, è un procedimento. Il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti usa “perfetto” in questo senso teologico e quindi parla di formare “un unione più perfetta”. Nel senso moderno ciò è assurdo. Cosa potrebbe essere più perfetto di perfetto?

La perfezione nel senso non biblico è stato spesso l’obbiettivo di varie religioni pagane, ed è stato collegato essenzialmente all’idea di uomo autonomo.Per usare termini neo-platonici, l’uomo deve incarnare in se stesso il principio dell’essere e giungere alla perfezione. Questa ,in essenza, è una ricerca solitaria, perché per giungere alla vera spiritualità o intellettualità, per essere pura mente o puro spirito, uno deve divorziare dal mondo materiale e dalle altre persone. Le persone sono un peso fastidioso, inesauribilmente preoccupare con le loro sciocchezze, e un impedimento nella realizzazione del principio nell’essere di una persona.

Questo concetto pagano di perfezione separò la persona dal mondo e dalla società. Ha creato eremiti, monaci e persone distaccate. In una fede pagana dopo l’latra, il vero obbiettivo della vita è il distaccarsi, una negazione del mondo e della vita. Le religioni orientali si sono dedicate particolarmente a questo scopo del distacco, ma la sua influenza è stata forte anche in occidente. La maggior parte degli eremiti nel deserto della prima chiesa, molti monaci, e molta religione popolare, Cattolica e Protestante, è stata dedicata a questo ideale. Nel XIV Secolo i monaci sul Monte Athos credevano che il digiuno più la concentrazione poteva renderli capaci di produrre l’essenza non creata di Dio. La concentrazione era ottenuta fissandosi l’ombelico. Quando Barlaam oppose “quelli con l’anima nell’ombelico” fu indetto un sinodo per condannarlo.

La via alla perfezione è la via solitaria. È spesso associata col misticismo. Nella sua forma interna alla chiesa, l’o scopo è vedere Dio, o, in altre forme il pietismo, la perfezione della pietà personale di una persona. In ogni caso, si tratta di un esercizio autonomo, non uno sociale. In relazione al mondo ricerca la fuga e l’anonimato. Il perfezionismo e l’essere assorbiti da se stessi vanno mano nella mano.

La dottrina della santità è radicalmente diversa. Quando nostro Signore ci chiama ad essere “perfetti” o maturi, cioè a crescere nei termini dei fini che Dio ha designati, Egli ci sta chiamando a servire Dio con tutto il nostro essere, e ad essere santi per Lui. “E sarete santi per me, poiché io l’Eterno, sono santo, e vi ho separati dagli altri popoli perché foste miei” (Le. 20:26). La santità è sempre al Signore. Inoltre, come Apocalisse 15:4, nel grande “cantico di Mosè  servo di Dio, e il cantico dell’Agnello” dichiara: “Tu solo sei santo”. Dio solo è santo; noi siamo santi nella misura in cui ci separiamo e dedichiamo a Lui ed al suo regno. Dimorare in Lui significa portare frutto (Gv. 15:2); amare Dio significa osservare i suoi comandamenti (Gv. 15:10, 14). Il nostro obbiettivo è dunque fare la volontà di nostro Padre, servirlo con tutto il nostro cuore, la nostra mente e il nostro essere, amare Dio e il nostro prossimo.

La Riforma, e specialmente i Puritani, definirono questa opera di santità come il Regno di Dio, come un ministero nel nome di Cristo, con come obbiettivo: “I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli” (Ap. 11:15). Questo è un obbiettivo che fu presente fin dai primi giorni della chiesa, che fu forte in molti momenti del Medio Evo, benché ci sia stata l’ascendenza del perfezionismo neoplatonico.

L’ascesa del Pietismo sovvertì di nuovo questa priorità della santità nel senso biblico; il perfezionismo ebbe il sopravvento. Con l’ascesa del perfezionismo, con la perfezione e la pseudo-santità è spesso stata associata anche l’impraticabilità. Il Modernismo è stato molto incline al perfezionismo, anche più delle ortodossie Cattolica e Protestante, ed ha fatto molti danni in tutto il mondo. Il pacifismo è una di queste forme di perfezionismo; ostilità verso gli armamenti in qualsiasi forma ne è un’altra. In un seminario, per distruggere la reputazione di un cristiano di spessore e prominente uomo di chiesa basta che un professore dica: “Ha una collezione di fucili e gli piace andare a caccia”.

Il prevalere del perfezionismo nel mondo occidentale è stato parte integrante di stupide politiche interne ed estere. Significa muoversi in termini di assunti sganciati dalla realtà perché l’ideale deve essere assunto per farlo diventare reale. Il perfezionismo vede l’uomo come il creatore e il mondo come la sua volontà  e la sua idea.

L’istruzione moderna è perfezionista. Insegna agli studenti che il mondo può essere ri-creato se si crede che gli uomini sono per natura buoni e amanti della pace, e che, se solo li trattiamo in quel modo, saranno come sperato. Come crede un prominente “teologo”, se ci arrendiamo all’Unione Sovietica e accogliamo le loro truppe con facce sorridenti, l’amore trionferà.

Gli ecclesiastici eguagliano le loro “buone intenzioni” con la perfezione. Mettere fine alla povertà è buono; pertanto invocare la redistribuzione della ricchezza significa favorire una società pia e una perfetta soluzione al problema della povertà. La soluzione ai problemi, economici ed altri, è vista come politica, cioè raggiungibile con l’emissione di provvedimenti “fiat!”politici che a quanto pare dovrebbe riuscire a cambiare il mondo.

Il perfezionismo crede in soluzioni dozzinali. Il grande perfezionista, satana, ebbe una soluzione semplice. Dio stava richiedendo che l’uomo imparasse la disciplina di lavoro, scienze e dominio nel giardino d’Eden quale primo passo verso l’esercizio del dominio su tutta la terra (Ge. 1:26-28). Questo fu visto come un procedimento lento e penoso che avrebbe richiesto secoli e molti sforzi. Quanto sarebbe stato più facile se l’uomo, come Dio, avesse creato con la sola parola, determinato da sé il bene e il male e fosse stato il creatore del proprio mondo (Ge. 3:1-5). La via di Dio richiede consacrazione, una totale dedicazione e obbedienza alla parola-legge di Dio e il lento processo di maturazione (il significato biblico di perfezione). Il tentatore offrì un percorso più semplice, perfezione, non santità (consacrazione), non obbedienza ad ogni parola che procede dalla bocca di Dio (Mt. 4:4) ma essere il proprio dio e decretare il mondo perfetto. (Così era nata la moderna politica).

Il perfezionismo confida anche in esercizi religiosi e devozionali come via al potere con Dio. Isaia parla molto schiettamente (quanto gli altri profeti) del male che questo può essere, dicendo che Dio dichiara: “E’ questo il digiuno di cui mi compiaccio, il giorno in cui l’uomo affligge la sua anima? Piegare la testa come un giunco e distendersi su un letto di sacco e di cenere? Chiami forse questo un digiuno e un giorno gradito all’Eterno? Il digiuno di cui mi compiaccio non è forse questo: spezzare le catene della malvagità, sciogliere i legami del giogo rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel rompere il tuo pane con chi ha fame, nel portare a casa tua i poveri senza tetto, nel vestire chi è nudo, senza trascurare quelli della tua stessa carne? Allora la tua luce irromperà come l’aurora e la tua guarigione germoglierà prontamente, la tua giustizia ti precederà e la gloria dell’Eterno sarà la tua retroguardia. Allora chiamerai e l’Eterno ti risponderà, griderai ed egli dirà: Eccomi! Se tu togli di mezzo a te il giogo, il puntare il dito e il parlare iniquo. Se provvedi ai bisogni dell’affamato e sazi l’anima afflitta, allora la tua luce sorgerà nelle tenebre e la tua oscurità sarà come il mezzogiorno. L’Eterno ti guiderà del continuo sazierà la tua anima nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa, tu sarai come un giardino annaffiato e come una sorgente d’acqua le cui acque non vengono meno (Is. 58:5-11).

Ciò che Dio richiede da noi è la santità, ma la santità non si ottiene a parola: ecco, adesso sarò un santo. Invece, la santità viene quando cerchiamo prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6:33) Non si diventa santi ricercando la santità in sé e per sé. Il Signore è il santo, e noi siamo santi se facciamo la sua volontà. Cristo è santo perché è il Figlio obbediente: “perché io sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv, 6:38). Nella lettera agli Ebrei ci è detto due volte di nostro Signore che il suo scopo dichiarato e comandato era questo: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb. 10:7, 9). Questo deve essere anche il nostro scopo come membra della sua nuova umanità. Non siamo salvati per ritirarci ai nostri espedienti ma per servire, glorificare e godere Dio per sempre. Siamo chiamati ad essere santi,  che significa amare, servire e obbedire il Signore con tutto il nostro cuore, mente ed esistenza, e di amare il ostro prossimo come noi stessi.

La santità è vista spesso come mera negazione. Come qualcuno ha detto di recente, facendo eco a un vecchio detto, di aver vissuto molti anni pensando di essere cristiano perché: “I don’t smoke, I don’t chew, I don’t go with girls that do”. (Insomma una rinuncia simile a quella a bacco, tabacco e venere). La santità non è meramente né essenzialmente negazione; richiede separazione, ma è falso considerarla solo separazione dal peccato. Nostro Signore descrive la falsa separazione significativamente. Un uomo si era liberato di uno spirito immondo e aveva ripulita la propria vita da molte cose, ma il suo zelo per il perfezionismo e una santità negativa aveva lasciato la “casa” meramente “vuota, spazzata e adorna”. Come risultato, “lo spirito immondo ritornò con sette spiriti peggiori di lui” col risultato che “L’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima” (Mt. 12:43-45) Questa parabola di nostro Signore spiega perché alcune persone che si suppongono convertite sono un così grande problema.

La vera santità è dedizione al servizio del Signore con la totalità del nostro essere. Non si preoccupa della propria santità ma dell’opera del Signore. Come dice Davide: “Lo zelo della tua casa mi ha divorato” (Sl. 69:9), una frase che trova la sua espressione più completa in nostro Signore (Gv. 2:17). I peccati di Davide erano molto reali e furono giudicati da Dio, ma lo zelo di Davide per l’opera del Signore fu onorata e benedetta da Dio perché Davide ricercò il regno e la gloria di Dio.

Ricordate Naaman e le parole di Eliseo. Cosa avrebbero detto a Naaman alcuni dei nostri moderni perfezionisti, con la loro falsa santità? O ad Abrahamo, Salomone, Pietro e molti altri santi grandemente benedetti da Dio?

Si fa gran parlare di santità, oggi, ma la dottrina che è spesso sottolineata è quella distorta e perfezionista. Il risultato è negazione e, invece di potenti uomini di Dio tali insegnamenti producono pavidi bacia-banchi.

La chiesa deve essere un campo d’addestramento e una caserma che manda soldati nel mondo, ciascuno nella propria sfera, ad esercitare il dominio nel nome del Signore. Un buon esercito non è addestrato per l’euforia e la parata ma per l’azione.

Il nostro Dio, il quale solo è santo in sé e per sé, è un Dio d’azione e di potenza. La nostra santità arriva nel lavorare in obbedienza e fedeltà alla sua parola-legge.

Aprile, 1985)


Altri Libri che potrebbero interessarti