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Donatismo

Alcune eresie cominciano con motivi molto nobili ma finiscono male; questo vale di sicuro per il Donatismo. Gli storici della chiesa generalmente classificano il Donatismo come un movimento scismatico piuttosto che un’eresia, ma ci sono pesanti ragioni per vederlo come un’eresia nonostante un’esteriore ortodossia.

Durante i tempi di persecuzione, specialmente quella di Diocleziano (245-313), ci furono responsi diversi da parte della chiesa. Alcuni uomini virtualmente accolsero il martirio; altri lo accettarono come necessaria conseguenza della battaglia tra Cristo e Cesare. Altri ancora assunsero un atteggiamento di prudenza e di prendere tempo, ed altri compromisero o abiurarono la fede. Quando la persecuzione terminò, ci furono sentimenti di risentimento tra quei sopravvissuti che non avevano compromesso ed avevano sopportato la persecuzione e quelli che avevano ceduto.

I Donatisti, che presero il nome dal loro capo, chiamato Donato Magno, non vollero relazioni con quelli che avevano compromesso la fede. Pretesero una chiesa pura. Si appellarono a Costantino, che respinse la loro richiesta, ed essi susseguentemente divennero aspri nemici dello stato. Costantino insistette sulla libertà di fede e di culto, e i Donatisti non furono toccati da lui. In un concilio della chiesa del 330, i vescovi Donatisti presenti furono 279, quelli Cattolici, 286. Il Donatismo non era un movimento di piccole dimensioni.

I Donatisti erano separatisti che pretendevano una chiesa pura. La chiesa doveva essere la comunità dei santi rigenerati. Nel processo di perseguimento di questa chiesa santa, i Donatisti dimenticarono ciò che il partito cattolico sapeva: che i santi possono peccare e che i peccatori possono pentirsi. Il tempo provò che il peccato non mancava tra i Donatisti, ma c’era minore capacità di affrontarlo e di combatterlo. Alla radice la questione riguardava la dottrina della chiesa: era una scuola per la santità o la congregazione dei già santi? I Donatisti furono spesso severi nell’azione della chiesa contro i peccatori, meno efficaci come chiesa missionaria.

Ancor più importante il fatto che i Donatisti si opposero al ripristino di quei pastori che avevano provato d’essere codardi sotto persecuzione, che avevano consegnato i registri della chiesa o, peggio ancora, negato la fede. Tali empi sacerdoti furono ritenuti impossibili da ripristinare e i loro atti come pastori e i sacramenti che avevano amministrati erano invalidati. I Donatisti sostennero che la santità non può essere comunicata da chi santo non è, né la fede ricevuta da un uomo che ne è privo. Un tale pastore aveva comunicato colpa, non fede. Ne conseguì che i Donatisti ritennero non valido il battesimo Cattolico.

I risultati di questa presa di posizione furono mortali. Se gli atti di un pastore sono validi solo se egli è personalmente santo, allora nessuno può essere sicuro se il suo battesimo e la sua comunione siano validi finché il sacerdote non muoia senza essere decaduto dalla vera fede! Questo sollevò anche un’altra questione: se un pastore si fosse allontanato dalla fede, e i battesimi che aveva amministrato non erano validi, erano invalidati anche i matrimoni? L’intera vita cristiana fu gettata nell’incertezza, e la sicurezza fu negata. Il Donatista Petiliano disse: “Chi riceve la fede da un sacerdote fedifrago, riceve non fede ma colpa”.

Sant’Agostino, il grande avversario dei Donatisti, disse: “Ma Cristo, dal quale ricevo la fede, non la colpa, non è infedele … la mia origine è Cristo, la mia radice è Cristo, il mio capo è Cristo. Il seme da cui sono nato è la parola di Dio, che io devo obbedire anche se il predicatore stesso non pratica ciò che predica. Io non credo nel ministro da cui sono battezzato, ma in Cristo, il Quale, solo, giustifica il peccatore e può perdonare la colpa”. Nei confronti del battesimo, Agostino disse anche: “Nella mia mente è abbondantemente chiaro che nella questione del battesimo dobbiamo considerare, non chi lo da’, ma cosa sia ciò che da’; non colui che lo riceve, ma cosa sia ciò che riceve”.

I Donatisti, nel loro zelo per la purezza, erano giunti a dare un ruolo troppo grande al pastore e alla chiesa. La validità della fede era stata fatta dipendere dalla validità della chiesa. Paolo, in Romani 10:17, dice: “La fede vien dall’udire, e l’udire dalla parola di Dio”.

La questione concerneva la grazia sovrana. Non è il pastore né la chiesa che ci salvano, ma il Signore. Nel loro zelo e passione per la purezza della chiesa, i Donatisti avevano esaltato la chiesa ad una posizione di gran lunga eccedente quella designata. La salvezza fu in effetti fatta dipendere dalla santità di uomini anziché da quella di Dio. Noi non siamo salvati perché il nostro pastore è santo e fa grazia ma perché Dio lo è e la fa’.

Non sorprende che, da allora, le chiese separatiste, che spesso si ribellano contro grandi mali e infedeltà nella loro chiesa madre, prontamente cadono nel fariseismo. Mettono in rilievo la rettitudine della loro chiesa anziché la grazia e la misericordia di Dio. È a motivo di questa eccessiva enfasi sulla santità della chiesa che cadono nell’eresia e offendono la grazia sovrana di Dio. Solo la chiesa che mette in rilievo la grazia sovrana può evitare questo pericolo.

È facile comprendere l’ostilità donatista verso membri di chiesa e conduttori che si erano dimostrati deboli sotto persecuzione. È comprensibile che siano state sollevate domande circa il loro ripristino a membri o al ministero. Tali domande dovevano essere poste. Però, la soluzione non era bandirli permanentemente dal loro posto nella chiesa. Questo passo poneva la validità degli ordinamenti ecclesiali e della chiesa stessa sugli uomini anziché in Cristo. Non sorprende che nel tempo il Donatismo sia diventato sospetto di Pelagianesimo. Le sue dottrine collocavano un indebito affidamento sull’uomo piuttosto che sul Signore.

Dopo alcune generazioni il Donatismo scomparve come movimento organizzato e come chiesa, ma essendo una fede, un temperamento, una disposizione, si protrasse ed è stato un problema per tutti i segmenti della chiesa. È stato maggiormente un problema dove gli uomini divennero maggiormente zelanti per la purezza della chiesa. La direzione del Donatismo conduce da una passione per la fede a un’indebita fiducia negli uomini e nelle istituzioni. Alla fine diventa una forma di umanismo.

Il Donatismo come temperamento è stato applicato nella storia ben al di là dei confini della chiesa. Mi viene regolarmente chiesto dai moderni donatisti che non hanno mai sentito parlare del Donatismo se non siano liberi da qualsiasi dovere di obbedire lo stato visto che lo stato permette aborto, omosessualità e molto altro. Il loro zelo per riformare queste aree è meraviglioso, tali persone sono spesso quegli attivisti la cui opera è di centrale importanza a più di qualche causa. (Alcuni, comunque, reagiscono con una farisaica separazione da tutte le azioni di riforma).

Molti studiosi medievali sostennero che uno stato potesse essere posto fuori  da ogni decenza e i suoi governanti diventare un legittimo bersaglio per la “pena capitale”. Non vedevano che l’assassinio non può restaurare un governo civile ad una pia funzione: c’è bisogno di molto di più!

Di fatto, dobbiamo dire che le rivoluzioni della nostra epoca sono un prodotto di una moderna versione di Donatismo. Gran parte della storiografia corrente è moderno Donatismo: cerca di giustificare la distruzione di un ordine dopo l’altro per il motivo che solo un rigido e distruttivo separatismo può liberare la giustizia. I Donatisti della chiesa sostenevano che la separazione avrebbe assicurato la grazia; i Donatisti della politica sostengono che assicurerà la giustizia.

La parola rivoluzione ha guadagnato il significato moderno da Copernico e dalla sua opera su De Revolutionibus Orbium Coelestium. Proprio come Copernico alterò la visione che l’uomo aveva dell’universo, i rivoluzionari politici credono che la giustizia richieda la distruzione dei vecchi ordinamenti in favore della loro idea di giustizia. La classe al governo deve essere rovesciata e rimpiazzata; le istituzioni sociali esistenti devono essere abolite e dev’essere permessa l’esistenza solo a quelle da essi approvate. L’obbiettivo è di creare “un ordine veramente umano” nel quale l’uomo ricrea l’uomo nei termini di un obbiettivo rivoluzionario.

Otto J. Scott, in The Secret Six, come pure in Robespierre, The Voice of Virtue, ci da una narrazione della natura distruttiva dei rivoluzionari, uomini che erano per natura donatisti. 

Giobbe rispose a Zofar ad un certo punto con amara ironia, dicendo: “Senza dubbio voi siete gente saggia, e la sapienza morirà con voi” (Gb.12:2). Questo è un significativo sunto del temperamento comune a molte persone, e per certo ai donatisti. Essi credono che la saggezza sia nata con loro e morirà con loro. Anziché manifestare grazia, manifestano giudizio. Come ha evidenziato sant’Agostino in Sul Battesimo, Contro i Donatisti (c. 400), i donatisti cominciarono a separarsi gli uni dagli altri e a contendere tra i propri ranghi. Persone il cui pezzo forte è la condanna non possono essere beati portatori di pace! Agostino disse: “Noi li esortiamo a pervenire alla salute della pace e della carità cristiana”. Questa era una debolezza cruciale del Donatismo, la mancanza di carità. Ciò che era cominciato come un onesto zelo per la purezza divenne non molto dopo uno spirito censorio e poco caritatevole.

La purezza è di fatto un obbiettivo legittimo della chiesa cristiana. Anche la santità è basilare alla natura di Dio, e all’immagine di Dio nell’uomo (Ef. 4:24). La priorità, però, appartiene alla grazia, alla grazia sovrana. Qualsiasi movimento di riforma che non dia priorità alla grazia mancherà di raggiungere sia purezza che grazia.

I donatisti si attennero ad una teoria di purismo e, nel nome della purezza combatterono con i cattolici e poi l’uno contro l’altro. Avessero cominciato con la grazia, avrebbero dato alla chiesa un contributo immenso e duraturo. Nel nome della purezza diventarono persecutori! Nel procedimento, accusò Agostino, piegarono la Scrittura, la parola della grazia, a diventare una parola donatista; erano diventati, non solo scismatici, ma eretici.

Non era tutto. Poiché i donatisti misero in rilievo purezza e santità più di grazia e perdono, erano pronti a credere nella compulsione.  I nostri donatisti politici che vogliono la perfetta società cercano ora per mezzo di rivoluzione e poi per mezzo di regimi rivoluzionari di costringere l’uomo a credere, ad essere “buono” e ad essere fedele.

Con la loro pretesa di ciò che Agostino sentì essere una purezza assoluta di tutti i sacerdoti, i donatisti si assicurarono due cose, prima, il fariseismo, e, seconda, un atteggiamento censorio.

Abbiamo oggi molti movimento donatisti nella chiesa e in politica. Che in entrambi i reami ci sia bisogno di riforma non è necessario dirlo. Dobbiamo gioire che molti sono dedicati alla riforma se la loro dedizione è contraddistinta da grazia, carità e pazienza. Se queste cose mancano, tali persone sono un ostacolo alla loro stessa causa.

A causa di questa enfasi distorta il temperamento donatista crede insieme ai tristi amici di Giobbe che la saggezza sia nata con loro e morirà con loro. Il donatista è caustico, arrogante, censorio ed impaziente. Gioisce dei peccati  e delle cadute dei suoi oppositori e risponde loro con condanna, non con grazia.

La questione chiave è la grazia, grazia sovrana. Senza di essa nulla può cambiare. Il Regno di Dio viene, non per i nostri crucci, condanne o sforzi, per la sovrana grazia di Dio. Quella grazia Dio la comunica a noi attraverso la sua parola, non la nostra (Ro. 10:17). Isaia 52:7 ci dice: “Quanto sono belli sui monti i piedi del messaggero di buone novelle, che annunzia la pace, che reca belle notizie di cose buone, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo DIO regna!»”. 

Se il nostro Dio regna noi non siamo inaciditi donatisti; siamo uomini della grazia sovrana che portano buone novelle di pace e di grazia, di salvezza e vittoria per mezzo del nostro Signore e Salvatore; Cristo il Re.

(Settembre, 1984)


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