Kenosi: la grande eresia moderna
La dottrina della Kenosi è qualcosa di menzionato raramente ai nostri tempi, ma la sua malvagia influenza è opprimente e pervasiva nel nostro secolo. La dottrina ha profonde radici nelle chiese Ortodosse d’Oriente, specialmente quelle Russe. Nel 19° secolo influenzò anche il pensiero del luteranesimo, attraverso gli scritti di Sartorius (1832, 1834), di Konig (1844), e di Thomasius (1845). Di lì passò poi dentro al pensiero teologico britannico e americano. Il suo presunto fondamento è in Filippesi 2:6-8, dove Paolo parla del grande passaggio di Cristo dalla Divinità all’incarnazione. I pensatori kenotici hanno interpretato questo fatto a significare che Cristo svuotò se stesso di ogni potere e con ciò abbia posto un modello di auto-umiliazione per tutti i suoi seguaci.
Nadejda Gorodetzky in “Il Cristo Umiliato nel Pensiero Russo Moderno” (1938) scrisse del “tono, mente o carattere kenotico” della religione Russa con la sua enfasi su auto-umiliazione, povertà, non-resistenza e accettazione sottomessa della sofferenza e della morte. Gorodetzky commentò: “Ci sembra persino che la parte più importante del ‘kenoticismo’ Russo risieda proprio nel fatto che non c’era una ‘dottrina’ al riguardo”. Era divenuto la vera via della pietà e della vita. La vita dei redenti, secondo questa credenza è una di umiliazione e auto-degradazione. L’obbiettivo è un mondo privo di uomini ricchi, superiori o di successo. L’ideale dei frati mendicanti medievali è indicato come l’obbiettivo della vera cristianità. Solo di quelli che sono “abbandonati da tutti in povertà e malattia” si può dire “loro sono figli di Cristo e hanno pieno diritto di mendicare nel suo nome onnipotente.”
Come nella Russia pre-marxista, così oggi in Europa occidentale e negli Stati Uniti la dottrina della Kenosi non è più una dottrina formale ma è fatta corrispondere alla vita cristiana. L’assunto popolare è che un cristiano dovrebbe essere, come l’ha definito un non credente “lo zimbello di tutti”, babbeo, o vittima. Alcuni anni fa, una donna che aveva dedicato la sua vita a distruggere persone, dapprima usando la sua bellezza e più tardi come manipolatrice, mi si rivoltò contro quando bloccai le sue vie malvagie, dichiarando che ovviamente non ero cristiano. Perché? Perché “Un cristiano è uno che non ferisce mai i sentimenti di nessuno”. Ci si aspetta che il cristiano sia la vittima, il pronto pacifista in ogni situazione che crede nella pace ad ogni costo.
Questa dottrina è penetrata in tutto il corpo ed è divenuta parte della cultura occidentale, cristiana e non. I suoi dogmi sono basilari al cosiddetto movimento pacifista, stanno alla base del pensiero di R. J. Sider e di altri come lui. La dottrina Russa della Kenosi, avanzando verso l’occidente trovò terra fertile nel Pietismo del Protestantesimo e del Cattolicesimo Romano. Di certo Wesley, nella sua vita matrimoniale, mise in mostra i sintomi della resa kenotica e dell’auto-umiliazione.
La direzione di questo stile di vita si è rivelato fin troppo chiaramente in alcune sette eretiche e mistiche Russe come i Khlysty e gli Skoptsy. Gli Skoptsy portarono la richiesta di auto-degradazione al punto della castrazione. Inoltre, proprio come i sicarii dell’antica Giudea i quali, se qualcuno avesse espresso un qualche interesse nel loro credo lo sequestravano e lo circoncidevano a forza, così gli Skoptsy “operavano” chiunque apparisse amichevole e a volte anche altri. (Fredick C. Conybeare: “Dissenzienti Russi” p. 369, 1921).
Questi casi estremi servono come indicatori della direzione del pensiero kenotico: è suicida! Mentre Cristo si identifica come “la vita” (Gv. 14:6) “Sono venuto affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”(10:10), la kenosi offre un ritiro dalla vita che è implicitamente suicidio.
Data la saturazione del mondo occidentale col pensiero kenotico, non dovrebbe sorprenderci che abbiamo oggi la politica e l’economia del suicidio. Grandissime somme di denaro vengono assorbite dal mondo produttivo e “prestate” da banche UE e USA a nazioni del “Terzo Mondo”. Questi fondi non arrivano mai alle persone ma sostengono regimi malvagi e corrotti. Impediscono la crescita e la produttività in quelle nazioni e creano un inflazione mondiale che sta distruggendo l’economia, il denaro e uomini e nazioni. Il risultato? Un suicidio. Questa è la ricetta dei figli della kenosi.
Sia nella sfera dell’economia, della politica, dei conflitti internazionali ed altro, questa fede suicida è sostenuta dalla religione popolare. Molti atei, modernisti e fondamentalisti protestanti e cattolici sono in disaccordo tra di loro su una grande varietà di idee e soggetti, ma sono d’accodo su un punto essenziale, la necessità per l’auto-degradazione, la non resistenza, la povertà e l’accettazione della sofferenza e della morte. Molti atei, modernisti, e fondamentalisti possono discordare ampiamente su una varietà di idee e questioni, ma concordano su un punto essenziale, la necessità di auto-umiliazione, non-resistenza, povertà, e l’accettazione di sofferenza e morte.
Di fatto, molta consulenza pastorale di persone aggravate ed afflitte è kenotica. La sua unica “saggezza” è la sottomissione al male. Tuo marito ti picchia, o sta commettendo incesto? Tua moglie o tuo marito vivono in flagrante infedeltà? “Il tuo problema è la tua rabbia e il tuo dolore per queste cose. Torna a casa e sii più amorevole e sottomessa”. Così funziona il consiglio della sconfitta, della resa al male.
Il suicidio, dopo tutto, è una forma di resa, e la resa è stata nobilitata dal pensiero kenotico al punto di esser divenuta un modo di vivere superiore. Il vero cristiano è uno che si stende a terra per farsi calpestare; il vero religioso è uno la cui tromba suona sempre ritirata.
Leone Tolstoi, un grande esponente del modo di vivere kenotico, ebbe in Gandhi un importante convertito. Gandhi scoprì che tale dottrina era un modo ammirevole di far leva sulle debolezze dell’occidente. Gettò alle ortiche l’elegantissimo panama e il vestito bianco per uno straccio da coprire i fianchi e usò il pacifismo per svergognare gli occidentali con la loro tacita religione. Sarebbe bene ricordare, comunque, che Gandhi disse anche: “Dove la scelta si solo tra codardia e violenza, consiglio la violenza”. (Citato da Arthur Waskov: The Freedon Seeder, p. 52, 1969).
La civiltà occidentale si è così profondamente identificata con la kenosi come modo di vivere al punto di dare aiuti, tecnologia e cibo a nazioni che vogliono la sua distruzione, e lo fa con un alone di virtù. Gioisce ad ogni opportunità di preparare il proprio funerale!
Il grande romanziere russo del secolo scorso, Turgenev, nel suo Poems in Prose, descrisse la sua visita in un’umile chiesa di villaggio. Benché non fosse credente, parlò d’aver avuto una “visione” di Cristo, e Cristo sembrava uno dei contadini e aveva “Una faccia come quella di tutti gli altri”. L’apostolo Giovanni, però, ci dice che quando vide il Cristo asceso, egli “cadde impaurito con la faccia a terra come morto” (Ap. 1:7). Non aveva visto la faccia di un ordinario contadino! Oggi però è comune ritrarre Cristo come una persona molto ordinaria, in qualche modo più effemminato della maggior parte degli uomini. Tutto questo è dimenticare che Egli è Dio vero da Dio vero; le descrizioni visive di Cristo da qualche generazione sono state kenotiche. Non è mostrato come il Signor della gloria, ma come un lamentoso supplicante che vuole che Lo amiamo.
La vita cristiana kenotica “ideale” fu ricercata da san Tykhon, vescovo di Voronezh (Timofey S. Sokolov, 1724-83, canonizzato nel 1861). San Tykhon rappresentò l’ideale che Dostoevsky cercò di raffigurare nei suoi romanzi, e Dostoevsky non era il solo tra gli scrittori russi ad avere ammirazione per san Tykhon. Che Tykhon sia stato preoccupato per la condizione dei poveri, avesse venduto le sete, i velluti e le pellicce che gli appartenevano come vescovo per dare ai poveri, che abbia vissuto molto, molto semplicemente ed aiutato generosamente, lo attestano certamente come un uomo cristiano di grazia e carità. Ma san Tykhon andò oltre. In una discussione con un possidente d’immobili che dava in locazione, il possidente, anziché dargli una risposta positiva, lo colpì sulla faccia. Il vescovo Tykhon cadde sulle ginocchia, si prostrò davanti al possidente, e chiese il suo perdono per averlo indotto in tentazione! (Gorodetsky, p.102). Un tale comportamento, in una cultura kenotica, guadagna grande ammirazione, però non cambia gli uomini né abolisce le baraccopoli.
Inoltre, san Tykhon disse: “Cristo sta mendicando attraverso i poveri” (p. 105). Questa identificazione è comune nella teologia della liberazione contemporanea. Il corpo di Cristo è identificato con i poveri, non con i fedeli. Ne risulta una distorsione profondamente falsa della cristianità. Che le Scritture ci richiedano di curarci dei poveri è molto chiaro, che Dio abbia a cuore vedove e orfani e che veda come li trattiamo come un barometro della nostra fede è ovvio. Che Cristo, nella parabola del giudizio (Mt. 25:31-46) si identifichi con i poveri, i prigionieri e i membri bisognosi è lampante, ma non dice di identificarsi con la povertà in quanto tale, né con una auto-umiliazione masochista.
Nel proporsi a uomini e nazioni, lo spirito della fede kenotica ha certe enfasi. Primo, deve esserci auto-umiliazione. Come con san Tykhon e il possidente, dobbiamo vedere noi stessi in errore e l’altra persona nel giusto. C’è una virtù e un orgoglio farisaici nell’auto-umiliazione. In questo modo, noi e la nostra nazione dobbiamo essere sempre visti come i colpevoli.
Secondo, questa kenotica disposizione a sottomettersi al male richiede che sminuiamo i peccati di uomini e nazioni. Come disse il leader russo “Padre Giovanni” (Giovanni Ilytch Sergieff, il predecessore di Rasputin alla corte Russa): “Amate ogni uomo nonostante il suo cadere nei peccati. Non interessatevi dei peccati …” (John Ilytch Sergieff: My Life in Christ, p. 95. 1897). O, come un pastore ha detto ad una moglie il cui marito era, per citare il suo peccato minore, in flagrante adulterio: “Non preoccuparti dei peccati di tuo marito. Concentriamoci sul tuo dovere di amarlo e di essergli sottomessa”. Neppure dovemmo concentrarci su, o discutere dei peccati della Russia Sovietica; dovremmo preoccuparci solamente dei nostri peccati. La sottomissione kenotica richiede un auto-accecamento nei confronti della realtà.
Terzo, per citare ancora Padre Giovanni: “Lasciate stare i peccati, ma ricordate che il fondamento dell’uomo è uguale per tutti —l’immagine di Dio” (idem). Bisogna evidenziare la comune umanità, non il fatto del peccato, né come trattare con i problemi che crea. Però, quando gli uomini oscurano il peccato, oscurano anche la risposta. È il peccato che fa da barriera tra l’uomo e Dio e tra uomo e uomo. La kenosi svaluta tutto ciò che tocca, come fanno tutte le false dottrine.
In più, la kenosi crea una falsa antitesi. Ogni fede errata presenta all’uomo una falsa antitesi. Abbiamo notato l’idea Gandhiana di antitesi, codardia contrapposta a violenza. Il problema è che ciascuna produce l’altra. In più, l’antitesi alla codardia è il coraggio, non la violenza! È una mente strana quella che vede la violenza come antitesi, ma è una mente troppo manifesta oggi.
Anche i kenotici difensori di un congelamento nucleare e di un unilaterale disarmo ci presentano una falsa antitesi: da un lato c’è la pace, vista come pacifismo e resa, e, dall’altro la distruzione mondiale. Una falsa antitesi è quella che crea false alternative per costringerci a scegliere un corso preordinato. Tale antitesi manca di notare che esiste una grande varietà di opzioni tra la resa e la distruzione del mondo. Vedere le opinioni come solo “Meglio Rossi che Morti”, o “Meglio Morti che Rossi”, è una pazzia, e una pazzia comune.
La kenosi implica una soluzione radicare e puerile ai problemi della vita. Al posto della fede, le opere della fede, un lento sviluppo lungo le generazioni, e l’uso di quanti più strumenti possibile per risolvere i problemi dell’uomo, la kenosi vuole una soluzione istantanea mediante resa, sconfitta, umiliazione e povertà auto-inflitta. Fede e opere sono rimpiazzati da gesti e atteggiamenti drammatici, e l’intelligenza è rimpiazzata da slogan sui cartelli di protesta.
Mano a mano che la dottrina della Kenosi invase l’occidente, confluì correntemente col pietismo protestante e cattolico. Questi avevano preparato la strada alla Kenosi con la loro enfasi su una religione anti-intellettuale. In Francia, Madame Guyon (1648-1717) era stata una principale sorgente di Quietismo. Ella credeva che l’essenza della vera fede sia un atto di rassegnazione e sottomissione a Dio nel quale il credente è senza parole, senza azioni e senza alcuna volontà propria, e perciò senza peccato. Il ruolo di questo modo di pensare nel preparare la strada alla Rivoluzione Francese merita di essere esplorato. Fu creata un’atmosfera di resa e di sottomissione proprio in quei circoli dove più erano necessarie una forte volontà e resistenza morale. Certamente, Luigi XVI fu incredibilmente derelitto nel manifestare un atteggiamento di non resistenza nel sottomettersi alla progressiva demolizione della Francia.
La Kenosi, come abbiamo visto, è un modo di vivere comune a uomini di chiesa e a non-credenti, è comune ad una varietà di religioni nel mondo moderno. I suoi difensori prendono vari versetti biblici fuori contesto per giustificare la loro posizione, ma sono sostanzialmente ed essenzialmente in contrasto con le Scritture. La Kenosi ha permeato la nostra epoca in tal modo che ha cessato d’esistere come una dottrina conosciuta. È ora nell’aria intellettuale che tutti respirano. Quell’aria, però, è letale perché la mentalità kenotica è suicida. Il piano di salvezza kenotico mediante opere di Kenosi è una via di morte. Come disse Salomone, esprimendo la parola del Signore: “Chi pecca contro di me, fa male a se stesso; tutti quelli che mi odiano amano la morte” (Pr. 8:36). Resisterà solamente la vera antitesi di Dio: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male… Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché possa vivere, tu e i tuoi discendenti” (De. 30:15, 19).
(Dicembre 1983)