Il Settimo Comandamento
12. Divorzio
(Nota del traduttore: considero questo capitolo del libro uno degli studi sul divorzio più aderenti al dato Scritturale che ci siano. Però, è un capitolo di un libro che ha un contesto, ed è anche di laboriosa comprensione. Per questa versione sul web mi sono preso la libertà di mettere in grassetto alcune parole per aumentare l’enfasi in qualche punto solo per facilitarne la lettura.)
Nelle Scritture il matrimonio è l’unione volontaria di due persone, un uomo e una donna, legati in matrimonio; benché i matrimoni fossero comunemente combinati, ci si accertava del consenso. Senza consenso, l’unione è sempre in effetti uno stupro. Calvino e Lutero evidenziarono entrambi il fatto del mutuo consenso come necessario per la validità di un matrimonio nella loro discussione dell’episodio che vide coinvolti Giacobbe e Lea. [1]Può essere quindi sollevata la domanda del perché Giacobbe abbia accettato Lea. La risposta è chiaramente che egli si trovava in una situazione di coercizione. Era stato umiliato e sfruttato da Labano il quale sapeva che in quanto straniero Giacobbe non poteva fare un ricorso legale. In un senso fu uno stupro ai danni di Giacobbe, che non avrebbe potuto fare nulla eccetto protestare o fuggire, ma non avrebbe potuto far uso con successo dei propri diritti giuridici.
L’unione, implica mutuo consenso; la dissoluzione di un matrimonio no. La forma più comune di divorzio è per morte. Questa poteva essere non solo naturale, che non è un divorzio strettamente parlando, ma una esecuzione giuridica che divorziava la parte colpevole da vita, società e sposo/a. Quelli che avessero fatto i missionari per un culto idolatrico erano sottoposti alla morte e pertanto al divorzio (De. 13:1-11). La legge pre-mosaica richiedeva la morte per l’adulterio, come dimostra l’episodio di Tamar (Ge. 38:24), Davide se lo aspettava per il proprio peccato (2 Sa. 12:5), e fu necessaria una parola dal Signore, il messaggio di Nathan: “Non morirai” (2 Sa. 12:13) per evitare quella sentenza.
In alcune culture non esiste divorzio per morte, come testimonia il mormonismo, con matrimoni eterni. In altre società, la moglie veniva uccisa (come nell’induismo fino a poco tempo fa) per prevenire il nuovo matrimonio o il proseguimento della vita senza lo sposo. La legge mosaica e nostro Signore (Mt. 22:23-33) rifiutarono di riconoscere tali usanze dando il permesso di ri-maritarsi e limitando il matrimonio a questo stato mortale.
Tornando al matrimonio per morte, la legge biblica divorziava la parte colpevole da quella innocente mediante la morte per molti reati. Alcune delle leggi per le quali una donna poteva divorziare per morte e risposarsi sono le seguenti, la quali tutte richiedono la pena di morte per l’uomo:
Il divorzio per morte era ottenibile dagli uomini in ragione delle seguenti pene di morte citate per le donne e la denuncia da parte del credente era obbligatoria (De. 13:1-11; Lu. 14:26):
Balza subito agli occhi che l’elenco è ben più lungo per gli uomini. Chiaramente, alcune delle voci nell’elenco per gli uomini includevano anche le donne. Quindi, la donna colpevole di omicidio ovviamente subiva la pena di morte. Me è egualmente evidente che molti dei crimini erano ovviamente mascolini perché implicavano maggiore forza e vigore — supremazia maschile. Così, stupro e rapimento erano quasi interamente crimini maschili. Gli uomini erano pertanto maggiormente soggetti alla pena di morte a causa della loro posizione d’autorità. Questo è nei termini del principio biblico che, maggiore l’autorità e il privilegio, maggiore la responsabilità e la colpevolezza, come in Levitico 4, dove i sacrifici per il peccato sono fatti in proporzione allo statuto e responsabilità del peccatore. Anche Gesù fece riferimento a questo principio: “Ma colui che non l’ha conosciuta, se fa cose che meritano le battiture, ne riceverà poche. A chiunque è stato dato molto, sarà domandato molto; e a chi molto è stato affidato, molto più sarà richiesto” (Lu. 12:48). Bisognerebbe notare che l’ignoranza non scusa il peccato o elimina la punizione, ma la diminuisce solamente; e allo stesso modo la responsabilità aumenta la colpevolezza. Il peccato di un membro della famiglia non poteva condannare gli altri membri. “Non si metteranno a morte i padri per i figli né si metteranno a morte i figli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato” De. 24:16).
Il divorzio per morte rendeva possibile il nuovo matrimonio, e liberava il partner innocente dal legame con una persona colpevole e impura. Una seconda forma di divorzio compare nella legislazione mosaica, divorzio per inadempienza della legge maritale, cioè il mancare di provvedere cibo, vestiario, e le dovute relazioni sessuali nei confronti di:
Un terzo tipo di divorzio è sottinteso, imposto dalle autorità, come con Nehemia, nel caso di consanguineità e matrimoni misti:
È anche specificato un quarto tipo di divorzio, mediante un documento scritto o libello di divorzio dato dal marito alla moglie:
In Geremia 3:8 e Isaia 50:1 abbiamo una comprensione del significato del libello di divorzio nel proprio divorzio dal suo popolo eletto annunciato da Dio, e il divorzio qui non è visto certamente come un male soltanto tollerato, come alcuni vorrebbero. Il libello di divorzio, o documento di espunzione o ripudio non era il male ma trattava col male. In Isaia 50:1 (dove madre e figli sono uno, come ha evidenziato J. A. Alexander), la causa è iniquità e trasgressioni. “L’idea generale di reiezione è doppiamente vestita in abito figurativo, primo con emblemi presi in prestito dalla legge e con l’usanza di carcerazione per debiti”. [2] In Geremia 3:8, il tradimento di Giuda è chiamato adulterio e motivo di divorzio da parte di Dio com’era avvenuto per Israele. Ma più specificamente, Giuda, la moglie, aveva contaminato, dissacrato, paganizzato la casa del marito, la terra di Dio (Gr. 3:9), mentre di tanto in tanto fingeva ipocritamente di riformarsi (v. 10). Il divorzio da Israele fu dovuto ad aperta apostasia, aperta infedeltà (vv. 6-8), ma la causa per il divorzio da Giuda non fu manifesta apostasia, ma tradimento segreto, sotto le sembianze di sincera e fedele ubbidienza (vv.9, 10). La nazione adultera ricercò la propria volontà e diede al proprio marito pattizio, Jehovah, solo un ipocrita servizio di labbra.
In Deuteronomio 24:1-4, la causa di divorzio è strettamente correlata a questo. Quando la legge parla, parla relativamente alla situazione, ma nella santità di Dio; parla inoltre a uomini che amano la legge e cercano d’ubbidirla, non per dare agli ipocriti o agli empi un pretesto. Se la donna non trova grazia agli occhi del marito, ciò sarà con riferimento, non al capriccio del marito, ma ai suoi santi criteri come osservante del patto e portatore dell’immagine di Dio. La legge è una parte del patto: il marito o è un osservante del patto e portatore dell’immagine di Dio consapevole del Signore del patto, o non ha interesse nella legge. (Il farisaico abuso della legge, naturalmente, venne dopo.) Perciò, la causa del divorzio qui è “qualcosa di vergognoso” trovato nella moglie. A margine, si può rimarcare che è stato creato un caso del fatto che lo scopo di questa legge particolare non sia di stabilire il divorzio, ma di prevenire il secondo matrimonio di una donna dopo che sia diventata la vedova o la donna divorziata di un altro uomo. Ma per quanto ciò sia vero in un senso limitato, rimane il fatto che il divorzio è l’oggetto principale ed è moralmente legittimato con l’inclusione nella legge. Inoltre Dio lo assume come propria santa prerogativa nel rigettare Israele e Giuda. Certamente, il divorzio è parte di un ordinamento peccaminoso, ma proprio per questo, è tuttavia un diritto nel trattare con quell’ordinamento peccaminoso. Anche la guerra è parte di un ordinamento peccaminoso, ma non è per questo meno giusta in circostanze pie, e il diritto della spada non è in alcun modo trattenuto meramente perché la guerra appartiene ad uno stato di peccato. Difficilmente qualche aspetto della nostra vita può essere separato in alcun senso pieno da questo ordinamento peccaminoso, ma la legge parla a osservanti del patto in un mondo di peccato, non a uomini in cielo.
I tentativi di associare l’impurità o la vergogna di Deuteronomio 24:1 con adulterio o mancanza di castità sono naturalmente falliti. Tali circostanze comportavano il divorzio per morte. La parola ‘impurità’ di una cosa implica definitivamente un crimine serio; è usata altrove della vergognosa esposizione del corpo (Ge. 9:22; Es. 20:26; La. 1:8; Ez. 16:36, 37), in Levitico 18 di pratiche sessuali illecite e anormali, e in Deuteronomio 23:14 per escrementi umani. Ovvio che non fa riferimento a questioni banali ma a qualcosa di empio, aborrente e repulsivo per un marito osservante del patto che cercasse direzione nella legge.
La risposta di quale sia il suo significato si trova in un riesame dell’elenco del divorzio per morte. L’elenco della donna è più corto. Significa forse che certi peccati non erano puniti nella donna? La specificazione dell’omosessualità è definitivamente maschile (Le. 20:13), e i prostituti omosessuali sono chiamati “cani” (De. 23:18; cf. Fl. 3:2; Ap. 22:15). Dovremmo forse concludere che questo peccato, citato da Paolo come l’evidenza culminante d’apostasia e incredulità (Ro. 1:26, 27), fosse condonato nelle donne? Non dovremmo piuttosto concludere che questo costituisse impurità o “qualcosa di vergognoso” nella donna? La sua punizione era minore di quella dell’uomo nella maggior parte dei casi perché anche la sua responsabilità era minore. Ancora, un uomo, per la disubbidienza alle autorità e il rifiuto di seguire le loro decisioni veniva condannato a morire. Che ne era di una donna che disubbidisse la propria autorità superiore: il marito? Non era un’impurità in lei? Quando Hagar divenne insubordinata con Sara, Dio sostenne la decisione di Sara che fosse allontanata. In questo modo vediamo già che si delineano due importanti categorie. Nell’uomo, l’omosessualità dava alla donna un divorzio per morte; nella donna era un’impurità. Nell’uomo, l’insubordinazione significava ancora una volta morte; nella donna era un’impurità. La testimonianza di Geremia 3:8 e di Isaia 50:1 concernente i libelli di divorzio consolida questa correlazione con l’insubordinazione la ribellione, in particolare Geremia 3:8-10. Un’attenta analisi di tutti i testi relativi indica che la nudità o impurità il “qualcosa di vergognoso” nella donna non dovesse essere determinato nei termini del capriccio dell’uomo, ma in relazione al suo ruolo come uomo pattizio e portatore dell’immagine.
La diffusa interpretazione protestante della dottrina neo-testamentaria del divorzio limita la causa riconosciuta all’adulterio, sulla base di Matteo 19:9, e all’abbandono, 1 Corinzi 7:8-24. Molti lo limiterebbero all’adulterio solamente. Il fatto curioso riguardo a quest’interpretazione è che si fonda su una sola parola, e quella parola non è adulterio! Esaminiamo i testi relativi:
La parola resa con ‘fornicazione’ è data con “mancanza di castità” dal Moffat e con “adulterio” da High J. Schonfield. La maggior parte dei commentatori in effetti la rendono con adulterio. Ma le due parole sono diverse: porneia (fornicazione) e moicheia (adulterio, Matteo 15:19; commettere adulterio, moichaomai, Matteo 19:9). Se Gesù avesse inteso eguagliare la fornicazione all’adulterio, a quel punto non sarebbe stato necessario usare una parola che avrebbe potuto portare a fraintendimenti. Non viene detto che la fornicazione è adulterio, ma che sposare una donna divorziata per cause altre dalla fornicazione è adulterio. Le due parole sono diverse, separate e distinte. Non sarà sufficiente, dunque, insistere che la questione non è d’avere “perplessità” sul significato e che ciò che Gesù intese fu che la fornicazione “da parte della donna non è solo fornicazione ma anche adulterio in senso specifico, per la semplice ragione che costituisce infedeltà sessuale verso il suo sposo”.[3] Ogni atto di rapporto sessuale da parte di una donna con un uomo che non sia suo marito, mentre potrebbe essere anche incesto, è sempre adulterio: se si intendono solo tali azioni, e queste costituiscono i limiti del significato di questa affermazione, allora la sola parola che poteva essere legittimamente usata è adulterio, non fornicazione. Se, invece, si intende non solo adulterio, ma anche omosessualità, per esempio, a quel punto dovette essere usata una parola diversa e di significato più ampio che adulterio e usata fu. La Scrittura non è mai dedita all’uso ozioso di parole, o al loro uso disattento. Paolo collocò il peso della dottrina sulla forma singolare di “progenie” (Ga. 3:16). Gesù stesso stabilì la dottrina della resurrezione sul tempo di un verbo nella sua risposta ai Sadducei (Mt. 22:23-33). Per certo nessuno così preciso nella sua lettura delle Scritture avrebbe usato parole con incuria e, avesse inteso adulterio solamente, avrebbe usato la parola adulterio e nessun altra. Partendo dal fatto che per una persona sposata, ogni atto di relazione extra-maritale con una persona del sesso opposto può essere descritta come adulterio, usare una parola diversa da adulterio significa, che oltre l’adulterio, certe azioni descritte come, e incluse nel termine fornicazione, costituiscono causa valida per divorzio. Ridurre il significato di fornicazione ad adulterio è fare violenza al testo e rendere nulla una distinzione non di poca importanza. Qual’è dunque il significato di fornicazione?
Esaminiamo l’uso neotestamentario come mezzo per accertare il suo significato:
Grozio … mostra … che la fornicazione nella Scrittura è presa come tendere a evidente disprezzo del marito, e lo prova da Giudici XIX. 2 dove della moglie del Levita si dice che ha fatto la prostituta contro di lui; che Giuseppe Flavio e la Septuaginta, insieme al caldeo, interpretano solo come cocciutaggine e ribellione contro suo marito: e questo io aggiungo, che Kimchi, e gli altri due rabbini che glossano il testo, sono della stessa opinione. Gerson fa il ragionamento che se fosse stata prostituzione, un Giudeo e un Levita avrebbero disdegnato di riprendersela: e a questo voglio contribuire, che se fosse stata prostituzione, ella avrebbe scelto per fuggire qualsiasi altro posto che la casa di suo padre, essendo così infamante per una donna ebraica fare la prostituta e così obbrobrioso per i genitori. Fornicazione pertanto in questo brano dei Giudici è intesa come cocciuta disubbidienza contro il marito e non come adulterio. [6]
Giuseppe Flavio quando racconta questo incidente lo colloca in un contesto di nazionale di effeminatezza, lusso e piacere. La correttezza di questa versione non è di nostro interesse, ma la riflessione sull’uso prevalente della parola fornicazione lo è di certo. Si può aggiungere che la versione Berkeley traduce Giudici 19:2: “la sua concubina lo ingannò e ritornò alla casa del proprio padre a Betlemme di Giuda per quattro mesi”, e le note a margine di questo verso: “Abbandonare il proprio letto e mensa era talvolta ragione per essere designata ‘prostituta’, come intima qui l’ebraico”.
Si potrebbe obbiettare che la parola adulterio sia usata in un senso simile nel Nuovo Testamento. Ci sono tre simili usi possibili: primo, in Matteo 12:39; 16:4 e Marco 3:38, troviamo l’uso di “generazione adultera”. Secondo, in Giacomo 4:4, leggiamo “adulteri e adultere”, possibilmente con riferimento alla lettera, ma probabilmente no. Terzo, in Apocalisse 2:22, si fa riferimento all’adulterio di Jezebel, ancora una volta di significato discutibile. L’adulterio nel complesso è più specificamente limitato alla violazione sessuale del patto matrimoniale mentre la fornicazione aveva comunemente un significato più ampio. Se Gesù avesse inteso un peccato esclusivamente fisico, sessuale da parte di una persona sposata, la parola adulterio lo avrebbe descritto. Fornicazione nel senso fisico sarebbe dunque stata un uso inappropriato per persone sposate, ma nel senso più ampio, concorda bene con la legge mosaica.
Esaminiamo dunque Matteo 19:2-9 nei termini del suo significato totale o comprensivo:
Si vedrà che l’insistenza del Nuovo Testamento sulla sua unità col Vecchio Testamento è presa molto seriamente. La legge mosaica non è in nessun posto considerata una legislazione inferiore o meno importante. In un punto, però, sembrano effettivamente esserci delle differenze, e Paolo affronta il problema:
Questo, dunque, era lo sfondo di legislazione che Paolo dovette continuare. Nei termini della legge del Vecchio Testamento tali matrimoni erano chiaramente fornicazione e un’offesa a Jehovah, una violazione del suo patto, e chiaramente proibiti. Paolo riaffermò questa legge chiaramente e incontestabilmente, parlando a credenti che contemplavano il matrimonio, non a quelli rigenerati dopo il matrimonio.
Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c’è tra la giustizia e l’iniquità? E quale comunione c’è tra la luce e le tenebre? E quale armonia c’è fra Cristo e Belial? O che parte ha il fedele con l’infedele? E quale accordo c’è tra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché voi siete il tempio del Dio vivente, come Dio disse: «Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo».
Perciò uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’immondo, ed io vi accoglierò, e sarò come un padre per voi, e voi sarete per me come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente (2° Co. 6:14-18).
In 1° Corinzi 7.11-24, Paolo affrontava una situazione differente, non una chiaramente contemplata dalla legge. Nel verso 12, Paolo attento a non parlare legislativamente, rende chiaro che sta parlando ministerialmente: “ma agli altri dico io, non il Signore”. Egli non rende con ciò meno autoritativa la sua affermazione: “e così ordino in tutte le chiese” (vs. 17). Nei termini della dottrina del patto, egli comunque rende chiara l’autorità ministeriale per la quale la sua affermazione è autoritativa. Qual era la situazione, e quale fu il giudizio ministeriale di Paolo?
In questo modo, la legge che concerne matrimonio e divorzio rimane una attraverso tutta la Scrittura. I particolari culturali riflessi nella legge possono cambiare e di fatto cambiano, ma la legge stessa non cambia. Qui, come altrove, in un senso molto profondo: “La Scrittura non può essere annullata” (Gv. 10:35).
Secondo Deuteronomio 4:2, la Scrittura consiste di una rivelazione, una “parola” fondamentale. Benché “parole” siano state aggiunte a quella “parola” prima che i canoni del Vecchio e del Nuovo Testamento fossero chiusi, un’altra “parola” non poteva essere aggiunta. “Non aggiungerete nulla a quanto vi comando e non toglierete nulla”. La rivelazione è una parola e non può essere spezzata.
In questo modo, la Scrittura, in ambedue l’Antico e il Nuovo Testamento, ha una legge concernente il matrimonio. Lo scopo del matrimonio non è umanistico; è pattizio, e pertanto le motivazioni per il divorzio non possono essere umanistiche e devono essere pattizie.
Sfortunatamente, le leggi che regolano il divorzio sono state radicalmente alterate dall’umanismo. La risposta, comunque, non è un ritorno al Montanismo. [9] La prassi di Calvino a Ginevra illustra che una visione rigida, pattizia, di matrimonio e divorzio è biblica, anziché avere solo l’adulterio come valida causa di divorzio.[10]
Gli standard biblici furono chiaramente in vigore negli Stati Americani per molti anni. È interessante notare che in molti stati l’aspetto del divorzio per morte fu ampliato ad includere criminali condannati all’ergastolo.[11]
Una parola finale: Deuteronomio 24:1-4 proibisce che un marito risposi la propria moglie divorziata dopo che ella si era risposata e divorziata. È chiamato un “abominazione davanti all’Eterno”. Se le ragioni per il divorzio sono valide, e la donna è due volte divorziata, l’uomo aumenta la malvagità riprendendosela; se le sue (di lui) ragioni erano state disoneste e non valide, è comunque malvagità e disprezzo della legge. Lo stesso vale per una donna che risposi il marito precedente. O il male che portò al divorzio è un male reale, oppure il malvagio disprezzo della legge che portò ad un divorzio nullo rappresenta un male eguale, ma in ciascun caso la relazione riesumata dopo che era intervenuto un altro matrimonio rappresenta un’abominazione perché il matrimonio che era intervenuto era dunque una contaminazione: era adulterio legalizzato che il nuovo matrimonio condona.
Note:
1 Vedi H. C. Leupold: Genesis, p. 798; vedi anche, Calvino: Commentaries on the First Book of Moses Called Genesis; Grand Rapids: Eerdmans, 1948, II, 133.
2 J. A. Alexander: Commentary on the Prophecies of Isaiah; Grand Rapids, Zondervan, [1947], 1953, p. 248.
3 John Murray: Divorce; Philadelphia: Committee on Christian Education, Orthodox Presbyterian Church, 1953, p. 21.
4 R. C. H. Lenski: The Interpretation of St. John’s Revelation; Columbus, Ohio: Warburg Press, 1943, p. 434.
5 John Peter Lange, editore, F. R. Fay: Commentary on the Holy Scriptures, Joshua, Judges, Ruth; Grand rapids: Zondervan [1870] p. 242.
6 Lenski: The Interpretation of St. John Revelation, p. 434.
7 A Eldersheim: The Life and Times of Jesus the Messiah; New York: Longmans, green, 1897, II, 333.
8 Ibid., II, 332.
9 Per un esempio moderno, vedi Otto A. Piper: The Christian Interpretation of Sex; New York: Charles Scribner’s Sons, 1941, p. 162 dove si critica perfino il nuovo matrimonio di persone rimaste vedove.
10 Vedi Philip E. Hughes, editore: The Register of the Company of Pastors of Geneva in the Time of Calvin; Grand Rapids: Eerdmans, 1966; vedi anche James G. Emerson, Jr.: Divorce, and Remarriage; Philadelphia: The Westminster Press, 1961, p. 84-108.
11 Carroll D. Wright: A Report on Marriage and Diverce in the United States, 1867-1886; Washington: Government Printing Office, 1891, p. 78 edizione riveduta.