INDICE:

16.

Appendice

1. Il Nuovo Testamento come Legge

 

Secondo H. L. Hoeh, la chiesa per qualche tempo celebrò, non la moderna Pasqua, ma la Pasqua ebraica come la sua pasqua annuale (o comunione), e la festività della resurrezione cadeva nei termini della pasqua ebraica, indipendentemente dal giorno in cui cadesse [1].  Ci sono molte prove che la prima chiesa continuò a celebrare la pasqua ebraica e a trovare nel rito del Vecchio Testamento i requisiti del Nuovo. Bingham fornisce prove che la prima chiesa osservava effettivamente la “festività pasquale” nello stesso giorno in cui lo facevano gli ebrei [2].  Beda il Venerabile citò rimproveri papali agli scozzesi nel settimo secolo perché continuavano a festeggiare la pasqua ebraica quale sola valida occasione per “osservare la pasqua” [3].  L’ostilità tra cristiani e giudei contribuì a separare le due festività e l’apostasia di alcuni cristiani al giudaismo [4] favorì la rottura con la legge. Un’anonima “Epistola a Diogneto” offre un eccellente esempio di questa ostilità e della serietà del problema per alcuni ecclesiastici del giorno:

Capitolo IV. 1. Non penso che tu abbia bisogno di sapere da me intorno ai loro scrupoli per certi cibi, alla superstizione per il sabato, al vanto per la circoncisione, e alla osservanza del digiuno e del novilunio: tutte cose ridicole, non meritevoli di discorso alcuno. 2. Non è ingiusto accettare alcuna delle cose create da Dio ad uso degli uomini, come bellamente create e ricusarne altre come inutili e superflue? 3. Non è empietà mentire intorno a Dio come di chi impedisce di fare il bene di sabato? 4. Non è degno di scherno vantarsi della mutilazione del corpo, come si fosse particolarmente amati da Dio? 5. Chi non crederebbe prova di follia e non di devozione inseguire le stelle e la luna per calcolare i mesi e gli anni, per distinguere le disposizioni divine e dividere i cambiamenti delle stagioni secondo i desideri, alcuni per le feste, altri per il dolore? 6. Penso che ora tu abbia abbastanza capito perché i cristiani a ragione si astengono dalla vanità, dall’impostura,
dal formalismo e dalla vanteria dei giudei. Non credere di poter imparare dall’uomo il mistero della loro particolare religione [5].

C’era molto altro di questo tono — tentativi di scoraggiare l’obbedienza cristiana alle pratiche del Vecchio Testamento mettendole in ridicolo, e scoraggiando la partecipazione dei cristiani tanto alla chiesa che alla sinagoga, un’usanza che Bingham notò. È assai ovvio che i cristiani non stavano osservando le leggi riguardanti i cibi ma che osservavano anche le leggi riguardanti il sabato e la circoncisione. È chiaro che, mentre la chiesa aveva qualche problema con l’antinomismo, aveva anche molti membri desiderosi di osservare l’intera legge di Dio senza alcun scostamento dalle pratiche ebraiche.

La ragione è facile da comprendere. La legge era senz’altro sottolineata dalla letteratura apostolica [6].  Così, in Barnabas si legge:

Allenta ogni legame d’ingiustizia, slega i nodi di accordi ottenuti con la forza. Libera gli angariati col perdono e straccia ogni contratto ingiusto. Distribuisci il tuo cibo agli affamati e, se vedi qualcuno nudo, vestilo. Porta il senzatetto a casa tua e, se vedi qualcuno di modesta estrazione, non disprezzarlo, né disprezza alcuno della tua casa. … Da’ il tuo cibo agli affamati senza ipocrisia, ed abbi compassione per la persona di bassa estrazione [7].

Inoltre, per citare le parole di Kraft, Barnabas evidenziò il fatto che “I cristiani hanno ricevuto il patto (non un nuovo patto) per mezzo di Gesù” [8].  Il patto rimase lo stesso, ma un “nuovo popolo” sostituì quello vecchio [9].  Discutendo la tipologia della circoncisione Barnabas non rigettò la circoncisione in quanto tale; semplicemente argomentò che “la circoncisione è una questione di comprensione e obbedienza” (Kraft) [10]. Discutendo le restrizioni alimentari del Vecchio Testamento Barnabas è similmente dedito alla tipologia. Effettivamente condanna Israele perché crede che il significato essenziale delle leggi alimentari sia “il cibo in sé” piuttosto che il significato spirituale, ma non può chiamare bene ciò che tipologicamente significa male, o viceversa [11].  Della questione la Didache dice: “Ora, riguardo ai cibi, osservate le tradizioni meglio che potete” [12]. Questo non rappresenta un abbandono; segue il requisito Paolino che le leggi alimentari non siano usate per creare barriere con i non credenti che si stanno evangelizzando ma che siano piuttosto osservate come un pio consiglio.

La tipologia, inoltre, evidenzia l’importanza della legge originale e pertanto, malgrado la disapprovazione, la legge originale non scomparve mai del tutto. La circoncisione fu chiaramente sostituita dal battesimo, ma fu praticata ampiamente per “ragioni mediche” che hanno un’autorità semi- biblica. I tentativi di far rivivere il sabato ebraico sono stati luogo comune lungo i secoli quanto gli sforzi per trasferire le severità ebraiche al sabato cristiano.

Due impulsi sono stati un fattore continuativo. Primo, l’ostilità verso il giudaismo ha portato all’ostilità verso la legge e ad una reiezione di alcune o di tutte le leggi, ovvero all’antinomismo in gradi diversi; secondo, un rispetto per le Scritture in quanto parola di Dio ha portato a una riluttanza a considerare alcun aspetto della legge come superato dalla venuta di Cristo o alterato dalla sua re-interpretazione. Come risultato, a volte è capitata un’enfasi veterotestamentaria e una ritenzione di pratiche nella loro forma pre-neotestamentaria.

Negare che il sabato ebraico ci governi ancora non significa abbandonare il sabato. Negare la circoncisione come rito pattizio non deve necessariamente oscurare il suo valore medico. Il riconoscimento della centralità e dell’autorità della legge richiede che la legge sia intesa nei termini dell’interezza delle Scritture. Nei primi secoli i vangeli stessi erano considerati libri di legge perché erano le parole di un Re. Come ha evidenziato Derrett, il Milindapanha, un’opera buddista del 150 d. C. circa, citò i Vangeli e le parole di Gesù sulla tassazione (Mt. 17:24-27) come precedente giuridico nel lontano oriente [13]. La parola del Re è sempre una parola-legge, e in quanto tale è inevitabilmente parte del corpo di legge. Con le attestazioni miracolose date agli apostoli, quella parola e potere regale fu dichiarata essere anche in loro. In questo modo, l’intero Nuovo Testamento parla come un tutt’uno con quella legge data nel Vecchio Testamento.

È un aspetto della regalità che è stato negletto in anni recenti perché la regalità negli stati moderni è più decorativa che operativa. L’antico potere del re, invece, era inseparabile dal suo potere di emanare leggi. La sua parola era legge letteralmente. Per Gesù, asserire d’essere il Messia-Re su tutto il mondo significò che egli stesso considerava ogni propria parola come legge ineludibile. Per i convertiti nel mondo antico la parola di Cristo era legge, e disprezzare la legge del re era un reato serio. Perfino il ladrone sulla croce ebbe fiducia nella parola-legge di quel Re (Lu. 23:39-43), e la sua fiducia fu registrata da Cristo e dall’uomo. Il fatto che questo Re avesse posto la sua autorità alla base della legge di Mosè (Mt. 5:17-19; Lu. 16:17) rese difficile per la chiesa accantonare quella legge. Come risultato, in molti settori della chiesa rimase per secoli la più rigida osservanza.

È stato fatto riferimento alla pratica di molti cristiani di attendere ambedue la sinagoga e la chiesa e di osservare ambedue il sabato giudaico e quello cristiano. Il Sinodo di Laodicea (348-381 d.C.) nel canone XXIX, si fece riferimento a questa pratica:

I cristiani non devono giudaizzare riposando nel Sabbath, ma devono lavorare in quel giorno, onorando piuttosto il Giorno del Signore; e , se lo possono fare, riposare in quel giorno come cristiani. Ma se chiunque sia trovato a giudaizzare, sia anatema da Cristo [14].

Questo canone non solo rivela la continuata pratica ma riflette anche il cambiamento dell’osservanza del sabato notata da san Paolo. “Se lo possono fare”, i cristiani devono riposare, ma la loro vita sotto uno stato e un’economia alieni rese a volte o usualmente difficile la sua osservanza. La forza della legge, comunque, era sufficientemente forte tra i cristiani talché molti errarono sul versante dell’obbedienza osservando tanto il sabato giudaico che quello cristiano.

Pure d’interesse è la risposta di Timoteo di Alessandria, al Primo Concilio di Costantinopoli, 381 d. C., alla Domanda XIII di una serie di domande propostegli:

Quando devono marito e moglie astenersi dall’atto coniugale? Risposta: Nel sabato e nel Giorno del Signore; poiché in quei giorni è offerto il sacrificio spirituale [15].

La fonte di questo precetto è Esodo 19:5, un comandamento che quando fu dato era designato per prevenire qualsiasi confusione della religione biblica con le pratiche dei culti di fertilità. Ancora una volta abbiamo un’illustrazione della convinzione, per quanto a volte male applicata, che la legge fosse ancora vincolante per i credenti.

Note:

1 Herman L. Hoech, “Four Thousend Years of Easter”, in Tomorrow’s World, vol. III, n° 3 (marzo 1971), pp. 42-46.

2 Joseph Bingham, The Antiquities of the Christian Church, vol. II, libro XX, cap. V, sez. 1-4.
3 The Venerable Bede, The Ecclesiastical History of the English Nation; London: J. M. Dent, 1913, 1939, II, 19: p. 100.

4 Bingham, op. cit., II, libro XVI, cap. VI, sez. 1-3.

5 “The Epistle to Diognetus” in Ante-Nicene Christian Library, vol. I, The Apostolic Fathers; Edimburgh: T. & T. Clarck, 1867, p. 306 s. La citazione sopra è da http://ora-et-labora.net/ A%20DIOGNETO.pdf

6 “The First Epistle of Clement” in ibid., Cap. I, II, XXI, p. 8 s, 22 s.
7 “Barnabas” III:3, 5; in Robert A Kraft, The Apostolic fathers, A New Translation and Commentary, vol. 3, Barnabas and the Didache; New York: Thomas Nelson & Sons, 1965, p. 86 s.

8 Ibid., p. 90 s.
9 Ibid., V, 7, p. 94.
10 Ibid., IX:I-X: 12, pp. 106-109.

11 Ibid., 10:1-12; pp. 109-114.

12 Ibid., “Didache”, 6:3; p. 163.

13 John Duncan Martin Derrett, Law in the New Testament; London: Darton, longman & Todd, 1970, p. 255.

14 H. R. Percival, The Seven Ecumenical Councils, p. 148. 15 Ibid., p. 613.

15 Ibid.. p. 613.


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