INDICE:

 La Chiesa

6. Disciplina

 

Un aspetto importante e basilare della legge ecclesiastica è la disciplina; è anche un soggetto molto travisato nella vita di chiesa, scuola e famiglia. Per illustrare questo travisamento, si può citare il caso di una pia coppia con una figlia vagabonda e seriamente delinquente. Nel lamentarsi a causa del suo comportamento, della sua condizione di nubile e gravida, e del suo disprezzo della loro autorità, i genitori insistettero che l’avevano “disciplinata” regolarmente, che era stata privata di vari privilegi ed era stata frequentemente sculacciata da giovane. Tutto questo era vero, ma il fatto rimaneva che la figlia era cresciuta radicalmente indisciplinata. I genitori avevano confuso, come fanno fin troppe persone, il castigo o punizione con la disciplina, e i due sono marcatamente differenti. La disciplina è educazione sistematica e sottomissione all’autorità, ed è il risultato di tale educazione. Il castigo o la punizione sono la pena o la battitura amministrata per la rottura con l’autorità. È chiaro che disciplina e castigo sono soggetti correlati, ma è altrettanto chiaro che sono distinti.

Ciò che le chiese intendono quando si vantano d’avere una “rigida disciplina” è usualmente nient’affatto disciplina, ma rigida punizione. Ad ogni modo, una chiesa che è continuamente implicata in questioni di punizione è anche assai probabilmente una chiesa indisciplinata. La stessa osservazione vale per scuole e famiglie. Nel caso della figlia delinquente menzionata sopra il caso era decisamente così. La ragazza, quasi ventenne, era incinta e in cattiva compagnia, dedita a sperimentare droghe e molto altro, ma non era capace di cucinare, cucire studiare o lavorare, o obbedire un semplice ordine. I suoi genitori s’erano infuriati con lei e lei con loro, e l’avevano punita, ma la disciplina era stata radicalmente mancante in quella casa. Dove non c’è disciplina, il castigo è inefficace e si avvicina più all’abuso che alla correzione.

La mancata comprensione di questa distinzione tra la disciplina e la punizione è responsabile per molto del disordine che c’è in chiesa. In quasi ogni chiesa, dove si parli di disciplina, in realtà s’intende punizione. Nella confusione tra le due usualmente è la disciplina ad andare perduta. Così, il “Libro della Disciplina” della Orthodox Presbyterian Church è, tipicamente, un libro sulle procedure giuridiche per accertare e punire peccato e cattivo comportamento. Non dice niente della vera disciplina. Lo stesso vale per una chiesa dopo l’altra.

Cos’è la disciplina in essenza? Abbiamo usato la definizione del dizionario, ovvero che la disciplina è educazione sistematica e sottomissione all’autorità, ed è il risultato di tale educazione. Bisognerebbe aggiungere che disciplina proviene da discepolo, che è la parola latina discipulus, a sua volta derivata da disco: apprendere. Essere un discepolo ed essere sotto disciplina è essere uno sotto istruzione in un procedimento di apprendimento. Se non c’è apprendimento, e non c’è crescita nell’apprendimento, non c’è disciplina.

Primo, e più importante nel considerare la disciplina della chiesa è il fatto che l’apprendimento o disciplina avviene mediante la parola di Dio, mediante la Scrittura. Una chiesa indisciplinata è una in cui c’è una mancanza nella proclamazione e insegnamento della Scrittura. Una chiesa che nega la parola non può avere disciplina. Una chiesa che predica semplicemente per conversioni ma non per crescita non può avere disciplina. Una chiesa che sia antinomiana ha negato la premessa della crescita e pertanto non può avere disciplina. San Paolo ha dichiarato che “la fede vien dall’udire e l’udire viene dalla parola di Dio” (Ro. 10:17). La rigenerazione è inseparabile dalla parola di Dio. Una chiesa vivente è una chiesa che ascolta la parola, cresce nei suoi termini, ed è pertanto da essa disciplinata.

Secondo, la punizione ecclesiale, per quanto necessaria e scritturale, non può sostituire la parola di Dio come strumento di disciplina. Poiché la parola è sempre accompagnata dalla potenza di Dio, ha una capacità di disciplinare o d’insegnare che è completamente mancante in qualsiasi atto di sinodi o concilii senza la parola. La parola di Dio raggiunge il suo scopo senza fallire, ci è assicurato:

Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, in modo da dare il seme al seminatore e pane da mangiare,

così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l’ho mandata (Is. 55:10-11).

Alexander identifica qui “parola” come “qualsiasi cosa Dio pronunci tanto in via di predizione che di comando” 1].  Plumptre identifica “parola” con “il proposito di Dio” [2].  Calvino riconobbe l’identicità di questa parola con la Scrittura, e col “potere ed efficacia della predicazione” quando è pienamente fedele alla Scrittura: condannerà il malvagio e salverà e rafforzerà l’eletto nei termini del proposito di Dio [3].

Per una chiesa riporre la propria confidenza nel potere disciplinare della propria parola e nel proprio potere punitivo è aggirare il potere d’istruzione della parola di Dio, è abbandonare la vera disciplina e andare verso l’anarchia. C’è un insegnamento soprannaturale o potere disciplinante inerente la parola del Dio soprannaturale che manca nelle parole e nelle azioni degli uomini. Ovunque la chiesa abbandona, trascura o limita la parola, lì la chiesa abbandona anche il potere divino della parola di Dio per un insegnamento puramente umanistico. Non sorprende, perciò, che le chiese antinomiane abbiano prodotto cristiani impotenti e umanistici e che il mondo intorno ad esse sia costantemente collassato dentro all’umanesimo.

Terzo, nella vera disciplina, il processo d’apprendimento è guidato e fatto avanzare dallo Spirito santo che è dato agli eletti affinché possano conoscere le cose che sono da Dio. Come lo ha dichiarato san Paolo:

Ma come sta scritto: “Le cose che occhio non ha visto e che orecchio non ha udito e che non sono salite in cuor d’uomo, sono quelle che Dio ha preparato per quelli che lo amano”.

Dio però le ha rivelate a noi per mezzo del suo Spirito, perché lo Spirito investiga ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Chi tra gli uomini, infatti conosce le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Cosí pure nessuno conosce le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio.

Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, affinché conosciamo le cose che ci sono state donate da Dio (1 Co. 2:9-12).

Volgendoci ora al castigo della chiesa, il passo centrale si trova in Matteo 18:15-20, che usualmente  si suppone essere la base della disciplina. In realtà, la procedura delineata determina semplicemente se il malfattore sia arrendevole al castigo, cioè se ci sia qualche disciplina della parola nella sua vita. Il presupposto è che ci sia un’effettiva trasgressione da parte di un membro o di un ufficiale della chiesa. Il primo passo (vs. 15) è confrontare le persone con la trasgressione nei termini della legge di Dio. Conoscono la legge di Dio, e sono pronti a sottomettervisi? Se si sottomettono a quella legge di Dio, allora essi sono di fatto un “fratello” nel Signore.

Secondo, se trascurano la parola e rifiutano d’ascoltarla, il loro rifiuto deve essere confermato dalla bocca di almeno un altro testimone in modo che almeno due testimoni possano testimoniare della loro apostasia e/o incredulità (vs. 16). Qui il riferimento è ancora una volta alla legge di Dio, un reato contro di essa, un rimprovero nei termini della legge, e la mancata accettazione di quella legge.

Il terzo passo consiste nel dichiarare alla chiesa il rifiuto della parte colpevole “se poi rifiuta di ascoltare la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (vs. 17). Il solo procedimento giudiziale possibile che può avvenire in questa terza fase è se la parte accusata nega che la accuse siano vere. Un’udienza può determinare se se la accuse siano vere o false, cioè se la legge di Dio sia stata trasgredita. Il rifiuto di qualsiasi parte di accettare la legge di Dio deve portare ad una rottura con lui/lei: alla scomunica. Deve essere considerato un pagano e un pubblicano.

La premessa e il fondamento dell’autorità dell’individuo che confronta la parte colpevole, e della chiesa nel suo potere di scomunicare, è la parola-legge di Dio. Ove gli uomini “leghino” sulla terra le coscienze degli uomini in fedeltà a quella parola, le loro azioni sono valide in cielo. Ove in fedeltà a quella parola perdonino uomini su pentimento e restituzione, ciò che sciolgono sulla terra è sciolto in cielo (vss. 18, 19). Questa autorità è ministeriale, non legislativa, ovvero: l’uomo è legato alla parola di Dio, non Dio a quella dell’uomo.  Ove l’uomo agisce in fedeltà alla parola di Dio, lì può aspettarsi pienamente la fedeltà supportiva di Dio. “Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (vs. 20). Il riferimento primario qui è all’azione giudiziale di castigo e perdono, ma il riferimento è pure generale, di modo che, qualsiasi cosa credenti e chiese facciano in fedeltà alla parola-legge di Dio, possono contare sulla presenza e sul potere di sostenere e di revocare del Signore in persona.

Matteo 18:15-20 fa riferimento e si basa su leggi date nel Vecchio Testamento: Levitico 19:17 richiede la riprensione; Deuteronomio 17:6 e 19:15 richiedono almeno due testimoni. Cristo riaffermò questa legge, e le epistole apostoliche la confermano ripetutamente: in Luca 17:3; Giacomo 5:20; 1 Pietro 3:1; Giovanni 8:17; 2 Corinzi 13:1; Ebrei 10:28; 1 Timoteo 5:19-20; Romani 16:17; 1 Corinzi 5:9; 2 Tessalonicesi 3:6, 14; 2 Giovanni 10; Matteo 16:19; Giovanni 20:23; 1 Corinzi 5:4-5; Matteo 5:24; Giacomo 5:16; 1 Giovanni 3:22; 5:14. Tutti questi versetti confermano chiaramente la piena validità delle leggi dell’Antico Testamento. In Giacomo 5:16 e in 1 Giovanni 3:22; 5:14 la relazione tra l’obbedienza alla legge e la preghiera efficace è fortemente evidenziata.

Pertanto, non può esserci vera disciplina in una chiesa, o scuola o casa, se non ci sia anche una piena e fedele predicazione della parola-legge di Dio. L’antinomismo non può produrre disciplina.

Si deve aggiungere, comunque, che come la disciplina non può essere eguagliata al castigo, neppure può essere eguagliata all’ordine. L’ordine per così dire può anche essere il risultato della stagnazione e della morte, il cimitero di solito è un luogo ordinato, molto più ordinato della migliore delle città, ma il suo è un ordine di vita scarsamente encomiabile. Il falso ordine è estraneo alla disciplina quanto il disordine. L’espressione comune: “Legge e ordine” riassume la questione. Il vero ordine è il prodotto della vera legge. Solamente la disciplina della parola-legge di Dio è produttiva del vero ordine.

Bisognerebbe aggiungere che in alcuni casi c’è un’alternativa al castigo. Si tratta della separazione. In Atti 15:36-41, leggiamo di un serio disaccordo tra Paolo e Barnaba. La risposta a questo conflitto non fu Matteo 18:15-20 seguito da processi ecclesiastici ed appelli. Se Paolo e Barnaba avessero scelto questo corso, nessuno dei due sarebbe stato in grado di portare a termine gran che. Paolo sarebbe stato immobilizzato da infiniti appelli e processi dall’accusa di aver calunniato Giovanni Marco, oppure egli avrebbe potuto accusare Barnaba d’aver mancato di punire Marco per negligenza del suo dovere.  Se i moderni uomini di chiesa avessero ottenuto la loro via, al posto del vangelo di Marco e delle lettere di Paolo avremmo ricevuto infiniti documenti giuridici da ambedue. Invece,  Paolo e Barnaba si separarono, e ambedue portarono a compimento molto nei loro percorsi separati.

Note:

1. J. A. Alexander, Isaiah, p. 332.

2. E. H. Plumptre, “Isaiah” in Ellicott, IV, 554.

3. John Calvin, Commentary on the Book of the Prophet Isaiah; Grand Rapids: Eerdmans, 1956, IV, 172.


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