Il nono Comandamento
5. Corroborazione
Nel comandamento: “Non farai falsa testimonianza” è presente un aspetto fondamentale della legge biblica. Basilare per questa legge è il riferimento ai tribunali e allo spergiuro. I tribunali rappresentano la vendetta di Dio comandata e canalizzata mediante agenzie umane ma ordinata da Dio. Perché prevalga la giustizia è necessario che nei tribunali ci siano testimonianze fedeli e oneste. Però, poiché l’uomo è peccatore, e le agenzie della società umana riflettono il peccato dell’uomo, sono necessarie garanzie costituzionali. La deposizione di un testimone deve essere sottoposta ad esame incrociato e a corroborazione. Su questo punto la legge è chiara:
Un solo testimone non basterà ad incolpare alcuno per qualsiasi crimine o peccato abbia commesso; il fatto sarà stabilito sulla deposizione di due o di tre testimoni (De. 19:15).
Colui che deve morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; ma non sarà messo a morte sulla deposizione di un solo testimone (De. 17:6).
Se uno uccide una persona, l’omicida sarà messo a morte sulla deposizione di testimoni; ma non si metterà a morte nessuno sulla deposizione di un solo testimone (Nu. 35:30).
Questa legge viene ripetuta nel Nuovo Testamento:
Ora, se il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo; se ti ascolta, tu hai guadagnato il tuo fratello; ma se non ti ascolta, prendi con te ancora uno o due persone, affinché ogni parola sia confermata per la bocca di due o tre testimoni (Mt. 18:15-16).
Ecco, questa è la terza volta che vengo da voi. “Ogni parola sarà confermata per la bocca di due o tre testimoni” (2 Co. 13:1).
Non ricevere alcuna accusa contro un anziano, se non è confermata da due o tre testimoni (1 Ti. 5:19).
Chiunque trasgredisce la legge di Mosè muore senza misericordia sulla parola di due o tre testimoni (Eb. 10:28).
Come abbiamo notato in precedenza, non siamo sotto alcun obbligo morale di dire la verità ad un nemico che cerchi di danneggiarci o distruggerci. Il dovere di dire la verità è riservato per le relazioni normali che si collocano nella cornice della legge e ai procedimenti di tribunali in chiesa, stato e altre istituzioni.
Anche qui, comunque, ci sono limitazioni al potere dei giudici o alle richieste di altre persone. La legge biblica sulla testimonianza non permette la tortura o la confessione forzata. La confessione volontaria è possibile ma per arrivare alla condanna sono necessari due o più testimoni. Strettamente parlando la confessione non è mai citata nella legge; la sua collocazione in un tribunale sembra avere valore solo in collegamento con la corroborazione di evidenze. Ecco che la confessione di Akan richiese la conferma di evidenze prima ch’egli venisse sentenziato a morte e giustiziato (Gs. 7:19-26). Bisogna notare l’aspetto volontario della confessione di Akan. La legge biblica preserva l’integrità dell’individuo contro confessioni forzate; il diritto dei cittadini d’essere protetti dal potere dello stato di forzare la loro auto-incriminazione non compare al di fuori della tradizione giuridica biblica. Il Quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti del 1787 concretizza questa protezione: nessuno può essere posto doppiamente in pericolo, “né sarà obbligato, in nessun processo penale, a testimoniare contro se stesso”.
La contestazione dell’auto-incriminazione significa che un cristiano si deve opporre all’uso della macchina della verità come questione di principio. È dovere delle autorità giudiziarie provare la colpa quando una persona è accusata: chi si difende è innocente fino a che non sia provato colpevole. Richiedendo che un sospetto si sottometta a test della macchina della verità, questo principio viene negato: il sospetto è dato per colpevole ed è sfidato a dimostrare la propria innocenza sottomettendosi al test.
In altro punto importante rispetto al test della macchina della verità è stato citato da un poliziotto cristiano. Una persona innocente può sottoporsi al test nella speranza di chiarire la propria posizione ma, una volta che è sottoposto al test viene invasa la sua privacy totalmente. Gli può essere chiesto della sua fede religiosa (in una società anti-cristiana), opinioni politiche, il possesso di armi, e quasi qualsiasi altra cosa l’esaminatore scelga di chiedere. Il risultato è una confessione forzata.
Come per la macchina della verità, microfoni e intercettazioni telefoniche sono una forma d’invasione della privacy, una forma di confessione forzata, una distruzione dell’integrità della comunicazione che la rende chiaramente immorale e sbagliata.
Ci sono altre limitazioni alla testimonianza. Il diritto a non rispondere sulla base del segreto professionale è concesso in una certa misura a pastori e medici. In entrambi i casi il presupposto è lo stesso. Le affermazioni o confessioni fatte da una persona al proprio pastore o medico nel corso di una relazione professionale formale sono comunicazioni protette dal segreto professionale perché la persona in questione in effetti sta confessando a Dio nella forma di un suo ministro. Ambedue, medico e pastore sono interessati alla salute, l’uno di quella fisica, l’altro di quella spirituale. Salvezza letteralmente significa salute. La natura religiosa della vocazione medica è radicata in profondità. Un tempo i medici erano monaci e gli ospedali fino a non molto tempo fa erano istituzioni interamente ed esclusivamente cristiane. Il moderno divorzio di pastori e medici dalla fede biblica non altera la natura essenziale della loro vocazione. La tutela del segreto professionale si fonda sul presupposto della funzione religiosa di pastori e dottori come servitori di Dio nel ministero della salute. La relazione di una persona con essi è pertanto non proprietà dell’agente umano ma di Dio. Ciò non nega il dovere di pastore e medico di spingere una persona a fare restituzione dove sia dovuta, o di spingere perché sia fatta confessione ove dovuta. È loro dovere sostenere la legge di Dio spingendo perché sia osservata da tutti quelli che vengono da loro, ma non possono andare oltre il consigliarlo.
Attualmente ci sono ampie variazioni nello statuto giuridico della tutela del segreto professionale di un pastore [1]. Queste differenze in parte riflettono le incertezze e instabilità teologiche di varie chiese.
Ci sono altre limitazioni all’estensione della testimonianza. Ecco che conferire col proprio avvocato è comunicazione tutelata da segreto perché l’avvocato serve da difensore e rappresentante dell’indagato in tribunale. Costringere un avvocato a testimoniare è negare al difeso la sua libertà e la sua privacy. Su basi simili, una moglie o un marito di un accusato non possono testimoniare perché ciò implicherebbe auto-incriminazione. Ci sono eccezioni a queste regole in talune circostanze ma il principio basilare rimane. Una di queste eccezioni è quando un marito o una moglie aggredisce l’altro. Il normale proposito della restrizione alla testimonianza da parte dello sposo/a riguardo al compagno serve non solo a proteggere contro l’auto-incriminazione ma anche prevenire la distruzione del rapporto matrimoniale. In nazioni comuniste, l’obbligo che figli e partner matrimoniali si spiino a vicenda è distruttivo della vita famigliare.
Ci sono aree di conflitto sulla questione del segreto professionale. Generalmente alle società di capitali non è stata concessa questa immunità e i loro libri e registri possono venire indagati. Malgrado qualche conflitto nel passato, si sostiene che l’immunità del segreto professionale valga sia per processi penali che per quelli civili.
Se il segreto professionale e l’immunità dall’auto-incriminazione non esistessero, allora non esisterebbe neppure la corroborazione che è la premessa basilare della legge biblica sulla testimonianza perché il metodo di ordinaria amministrazione per ottenere “evidenze” sarebbe di coartare la testimonianza all’imputato. La legge richiede corroborazione perché proibisce l’auto-incriminazione forzata.
Pertanto, non solo noi non abbiamo l’obbligo di dire la verità ad un nemico empio che intende farci del male o distruggerci ma il comando di dire la verità in un tribunale è rigidamente governato dalla legge.
D’altro lato, i testimoni di un crimine hanno l’obbligo categorico di testimoniare. Come regola generale gli uomini hanno il dovere di dare la loro testimonianza in tribunale in tutte le inchieste in cui la loro testimonianza può essere determinante e se la loro testimonianza è determinante è valutato dal tribunale. Il disagio non è una scusante. Il giudice e la giuria hanno il dovere di considerare il valore della dichiarazione del testimone, non il testimone stesso. Il tribunale può anche valutare la credibilità del testimone. Per questa ragione, per molto tempo le corti degli Stati Uniti non hanno considerato ricevibile la testimonianza di un non-credente perché non poteva porsi sotto giuramento; tale persona poteva testimoniare solo a proprio nome e poi la sua testimonianza era soggetta a essere sottovalutata perché il timore di Dio non era una parte essenziale del suo carattere.
Il dovere di testimoniare è parte del potere poliziesco del cittadino, la sua parte nell’amministrazione della legge. “È una norma generale di legge e una necessità della giustizia pubblica che ogni persona possa essere obbligata a testimoniare nell’amministrazione delle leggi da parte dei tribunali della nazione debitamente istituiti”[2]. Il dovere di applicare la legge non è meramente una responsabilità della polizia e delle corti ma è un dovere pubblico. Il cittadino non è in sé la corte o il pubblico ministero, ma come testimone deve servire in qualità di agente di giustizia provvedendo quelle evidenze determinanti che sono necessarie per dirimere il caso. Il tribunale determina la loro validità. Fino a poco tempo fa, il tribunale poteva esaminare anche le convinzioni religiose del testimone per determinane la competenza, perché: “Chiaramente, un testimone deve essere sensibile dei vincoli di un giuramento prima che gli possa essere permesso di testimoniare”[3]. Fino a poco tempo fa, inoltre, il carattere criminale di un uomo era un fattore nel valutare la sua testimonianza, benché il pieno perdono potesse ristabilirne la competenza. I dettagli e le variazioni sono molte, ma il fatto centrale è la responsabilità di testimoniare da parte di tutti i testimoni non privilegiati.
Nella legge biblica non testimoniare significa essere complice nel crimine: “Se vedi un ladro, tu prendi piacere a stare con lui, e ti fai compagno degli adulteri” (Sl. 50:18).
La corroborazione non può esistere come strumento di giustizia se la cittadinanza non è consapevole delle proprie responsabilità nell’applicazione di un ordine giuridico.
Note:
1 Vedi William Harold Tiemann: The Right to Silence, Privileged Comunications and the Pastor; Richmond, Va.: John Knox Press, 1964.
2 William M, McKinney and Burdett A Rich, editori: Ruling Case Law, vol. 28, Witnesses; p. 419, 1921.
3 Ibid., vol. 28, para. 41; p. 453.