Nono Comandamento
16. Giudici
In qualsiasi ordine civile, una delle posizioni più importanti è quella del giudice. Le corti di giustizia non possono rappresentare alcuna vera giustizia se il giudice e la sua funzione sono difettosi per natura e autorità. Perché un ordine sociale prosperi e provveda al suo popolo stabilità e pace, è necessario: prima di tutto, che lo stato imponga che chiunque abbia serie rimostranze le sottoponga a una corte di giustizia. Non si può permettere che gli uomini si facciano giustizia da soli. Mentre la cittadinanza è importante e basilare per l’attuazione della legge e della giustizia, non può identificarsi con la legge senza distruggere la legge. La legge trascende il popolo e richiede un’agenzia separata dal popolo e immune ai suoi sentimenti parziali e personali.
Secondo, le corti di giustizia devono avere il potere dello stato per far osservare i loro decreti, altrimenti prevale l’anarchia. Ogni decisione della corte scontenterà almeno una delle parti. Mentre la corte non può mai essere infallibile, la decisione della corte deve essere protetta e l’appello contro la sua decisione deve essere fatto all’interno della struttura delle corti, non al di fuori o contro di esse, altrimenti prevale l’anarchia.
Terzo, la corte deve rappresentare un concetto trascendentale di legge e di giustizia, uno standard al di la e al di sopra dell’uomo, una struttura giuridica derivata, quantunque con metodi errarti, da Dio. L’intera idea di una corte e di un giudice implica trascendenza: per ottenere giustizia è richiesto qualcosa di più che la vittoria del più potente dei due litiganti. Se il giudice e la corte rappresentano un partito politico o un’idea, o una classe o una casta, anziché provvedere la trascendenza che una corte richiede, essi semplicemente magnificano il male originale cumulandolo. Se un uomo malvagio e potente, una classe o un gruppo, possono spingere un uomo fuori dalla sua proprietà, o in qualsiasi modo fargli violenza, il male è cumulato se possono comandare lo stato ad aiutarli nel loro furto. A quel punto la giustizia diventa più difficile. Similmente, se in una democrazia le masse dei poveri possono usare le corti per frodare chi prospera, in quella società la giustizia è ancora una volta resa più remota. La corte deve trascendere la passioni del giorno. Deve rappresentare un ordine giuridico che giudica l’intero ordine sociale, e ciò è possibile solamente se i giudici rappresentano Dio, non il popolo o lo stato.
Ciò significa, quarto, che l’elezione o selezione dei giudici non è la vera questione, ma il loro carattere e la loro fede, e il carattere e la fede della cittadinanza in generale. Negli Stati Uniti, i giudici federali sono generalmente nominati, e i giudici di ogni singolo stato sono normalmente eletti. Ambedue i metodi hanno prodotto la loro quota di giudici superiori e di giudici degenerati; il metodo di selezione non è stato biasimevole ed è stato basilarmente irrilevante. La vera questione è stata lo standard religioso del momento. Se una fede forte ha marcato l’ordine sociale, i giudici sono usualmente stati uomini superiori; se prevalgono relativismo e pragmatismo, le corti e i giudici li hanno riflessi. La qualità di giudici e corti non è un prodotto della metodologia.
L’istituzione di gradi di giudizio in Israele fu pragmatica; fu il sapiente consiglio di Jethro, disegnato per alleggerire a Mosè la pressione dei contenziosi (Es. 18:13-16). I diversi gradi di giudizio dovevano governare le decine, le centinaia e le migliaia d’Israele (Es. 18:21). Molti assumono che il riferimento a questa struttura decimale, e l’unità basilare di dieci, facciano riferimento a dieci uomini [1]. Poiché la struttura governativa di base d’Israele era per famiglie (e di qui per tribù di famiglie), si può dire con sicurezza che il dieci si riferisce a dieci famiglie. Per ogni dieci famiglie era stabilito un giudice per dirimere questioni minori e per rimandare altri contenziosi ad una giurisdizione superiore.
Mosè rese chiaro lo scopo delle corti di giustizia: “il popolo viene da me per consultare DIO. Quando essi hanno un problema, vengono da me, e io giudico fra l’uno e l’altro e faccio loro conoscere gli statuti di DIO e le sue leggi” (Es. 18:15-16). In questo richiamava il proposito di Dio (De. 16:18). Abbiamo in precedenza fatto riferimento alla Pentecoste civile nella quale Dio riempì di Spirito Santo i funzionari civili per significare che essi erano profeti di Dio, chiamati a parlare per Dio nel ministero della giustizia (Nu. 11:16).
Ogni riforma in Israele implicò in parte un ritorno alla natura profetica della funzione civile. Fu la consapevolezza di questo fatto che portò i riformatori Protestanti, come pure quelli medievali dentro la chiesa, a rivolgere il loro richiamo a riformarsi tanto alla chiesa che allo stato. È un’eresia moderna che una nazione possa avere un “risveglio” senza una riforma dello stato quanto della chiesa. La riforma di Giosafat implicò precisamente un passo di questo tipo. Dopo che Giosafat si fu alleato con Achab, nel tentativo di rafforzarsi contro la Siria mediante questa coalizione, un profeta lo rimproverò. Jehu, figlio di Hanani il veggente, dichiarò: “Dovevi tu dare aiuto a un empio e amare quelli che odiano l’Eterno? Per questo l’ira dell’Eterno è su di te” (2 Cr. 19:2). Riconoscendo che la sola vera difesa non è un’empia alleanza ma sta nella fede e nella giustizia, Giosafat riformò le corti, istruendo i giudici: “Badate a ciò che fate, perché non giudicate per l’uomo ma per l’Eterno, che sarà con voi quando amministrerete la giustizia. Perciò ora il timore dell’Eterno sia su di voi. Fate attenzione a ciò che fate, perché nell’Eterno, il nostro DIO, non c ‘è alcuna ingiustizia, né parzialità, né accettazione di doni” (2 Cr. 19:6, 7).
La funzione di giudice è pertanto chiaramente una funzione teocratica; il ministro dichiara la parola: il giudice l’applica ai conflitti della vita. Se il giudice rappresenta una classe o un partito anziché Dio e la sua legge, nella vita delle nazioni viene introdotta una radicale perversione della giustizia. Siccome l’uomo è un peccatore, perfino il giudice più pio sarà fallibile e soggetto a sbagliare, ma per virtù della sua fede, sarà guidato dalla parola- legge di Dio e dal suo Spirito santo. Il giudice empio, non avendo questo standard, sarà naturalmente di parte: rappresenterà una fazione o una classe. Per lui accettare un dono è pertanto logico, per quanto sia una malvagità: è lì per rappresentare il potere umano, non la legge di Dio e la sua giustizia. Così, in termini di legge biblica, mentre è un reato per un giudice accettare un “regalo” non è reato per un uomo corrompere un giudice. Il giudice pecca contro la propria funzione; l’uomo che lo corrompe tratta realisticamente con la situazione. Se un pezzo di carne gettato ad un cane pericoloso inferocito permetterà ad un uomo di passare in sicurezza, egli getterà la carne e risparmierà la propria persona.
Il giudice pio è messo in guardia contro la corruzione, lo spergiuro e l’errore giudiziario (Es. 23:6-8; Le. 19:15; 24:22; De. 1:12-18; 16:18-20; 25:1; 27:25). Egli è solo secondariamente un funzionario dello stato: è primariamente un funzionario di Dio. Se il giudice non rappresenta l’ordine giuridico di Dio, egli è in ultima analisi solo uno stratagemma politico e un tagliatore di teste il cui lavoro è tenere la gente in riga, proteggere l’establishment e, nel procedimento, riempirsi il portafoglio. I giudici empi sono da temere e da odiare: rappresentano una forma di male particolarmente paurosa e orribile, e il loro abuso della funzione è un cancro mortale per qualsiasi società.
Note:
1 George Rawlinson, in Spence and Exell, The Pulpit Commentary, Exodous, II, 92.