Ottavo Comandamento
8. Rubare Libertà
Fin qui la nostra analisi dell’ottava parola-legge ha trattato essenzialmente con questioni riguardanti proprietà e restituzione. Certi studiosi tedeschi moderni, per nulla ortodossi, hanno evidenziato che l’ottavo comandamento si riferisce principalmente a qualcosa di altro dalla proprietà. Così, Noth, commentando su Esodo 20:15, ha scritto:
Nel comandamento che proibisce di rubare, l’oggetto non nominato non è così chiaro come nei due comandamenti precedenti. La collocazione di questo comandamento in mezzo a un gruppo di comandamenti che sono interessati alla persona del “prossimo”, e la differenza di contenuti che deve essere assunta tra questo comandamento e l’ultimo nel decalogo suggerisce che, come altrove quando compare questo particolare verbo, sia immaginato un oggetto umano (cfr. ad es. Ge. 40:15 Diodati). Ha perciò probabilmente in mente la perdita di libertà, in particolare di Israeliti liberi; è proibito rendere schiavi con la forza gli israeliti, o per uso personale o per venderli ad altri.[1]
L’osservazione di Von Rad su Deuteronomio 5:19 è anche più esplicita:
Oggi è considerato certo che la proibizione del furto si riferisse originariamente al rapimento di una persona libera (Es. 21:16; De. 24:7).[2]
C’è del pregio in questa conclusione. I comandamenti dal sesto al decimo concernono le relazioni dell’uomo con l’uomo: sono personali. L’ottavo comandamento può così essere esteso a significare “Tu non ruberai la libertà di un altro uomo schiavizzando con la forza la sua persona o la sua proprietà”. Lo scopo dell’esistenza dell’uomo è che eserciti il dominio sulla terra nei termini della vocazione di Dio. Questo compito implica la restaurazione di un ordine infranto mediante la restituzione. Sequestrare una persona e farla schiava è derubarla della sua libertà. Un credente non deve essere uno schiavo (1° Co. 7:23; Ga. 5:1). Alcuni uomini sono schiavi per natura; la schiavitù era volontaria, e uno schiavo insoddisfatto poteva andarsene, non poteva essere costretto a tornare, e agli altri uomini era proibito riconsegnarlo al suo padrone (De. 23:15, 16). Questo implicava una certa libertà da parte degli schiavi e un dovere di dare un trattamento giusto da parte dei loro padroni. Ben Sirac lo conferma parlando sia del dovere del padrone di correggere e disciplinare i propri schiavi sia di un trattamento giusto da parte dei loro padroni e d’evitare di defraudare gli schiavi della loro libertà (Ecclesiastico 42:1, 5; 7:21; 33:24-28). Cose confermate anche da san Paolo: “Padroni, fate ciò che è giusto e ragionevole verso i servi, sapendo che anche voi avete un Padrone nei cieli (Cl. 4:1).
Lo scopo della libertà è che l’uomo eserciti il dominio e sottometta la terra sotto Dio. Un uomo che abusa la propria libertà per rubare può essere venduto schiavo affinché compia col lavoro la propria restituzione (Es. 22:3); se non è in grado di usare la propria libertà per il suo vero scopo: dominio pio, ricostruzione e restaurazione, allora effettuerà la restituzione lavorando in schiavitù.
Il sequestro o rapimento era punito con la morte. Lo scopo era generalmente quello di vendere una persona come schiavo/a in un’altra nazione dove la schiavitù forzata era la regola. In ogni caso, qual che fosse lo scopo del rapimento, questo furto della libertà di un uomo era punito con la morte. La legge chiama il sequestratore specificamente un ladro:
Chi avrà rubata una persona, o sia che l’abbia venduta o che gli sia trovata in mano è trovato nelle sue mani, del tutto sia fatto morire (Es. 21:16 Diodati).
Se si sorprende un uomo a rapire uno dei suoi fratelli fra i figli d’Israele e lo maltratta (ne abbia fatto traffico — cioè l’abbia trattato come mercanzia; Diodati) e lo vende, quel ladro (NR) sarà messo a morte; così estirperai il male di mezzo a te (De. 24:7).
In queste due leggi compaiono chiaramente alcune cose. Primo, Esodo 21:16 proibiva il rapimento di qualsiasi persona, israelita o straniero, mentre Deuteronomio 24:7 proibiva il rapimento di israeliti. L’israelita rapito sarebbe stato quasi sicuramente venduto all’estero e questo secondo crimine sarebbe stato più difficile da scoprire perché sarebbe stata presa la precauzione di porre della distanza tra la nuova casa dello schiavo forzato e la sua patria, nel timore che lo schiavo fuggendo smascherasse i rapitori.
Secondo, la vendita di schiavi era proibita. Poiché gl’israeliti erano schiavi volontariamente, e poiché neppure uno schiavo straniero poteva essere obbligato a tornare dal suo padrone (De. 23:15, 16), sotto la legge biblica la schiavitù era su basi diverse che in culture non-bibliche. Lo schiavo era un membro della casa con diritti in essa. Un mercato degli schiavi non sarebbe potuto esistere in Israele. Uno schiavo che stesse lavorando per effettuare una restituzione per furto non aveva incentivi a fuggire perché farlo avrebbe fatto di lui un criminale incorreggibile punibile con la morte.
Terzo, per il rapimento è obbligatoria la pena di morte. Non è concessa discrezione alla corte. Derubare un uomo della sua libertà richiede la morte. Ad ogni modo, la legge non fa riferimenti a prigionieri di guerra.
Quarto, Deuteronomio 24:7 proibisce il furto di un uomo da parte di chiunque “lo maltratti o lo venda”. Il Diodati traduce “maltratti” con “ne faccia traffico” e la Traduzione Letterale di Young rende “faccia il tiranno su di lui”. Il significato è “crudeltà” o un trattamento crudele e fa riferimento ad un trattamento brutale, depersonalizzato di un essere umano. L’uomo deve essere trattato come uomo, sempre; le pene che gli possono essere inferte devono essere pene meritate come uomo, non pene intese a degradarlo o a distruggerlo come persona. La donna prigioniera di guerra aveva del diritti molto specifici sotto la legge (De. 21:10-14); questo tipo di relazione è rigidamente circoscritto dalla legge come lo sono tutte le altre relazioni.
Rylaarsdam dice che il Codice di Hammurabi ha una simile protezione contro il rapimento.[3] Non è interamente corretto. L’esatta lettura della legge, nel Codice di Hammurabi 14, è: “Se un uomo ha rubato un figlio minorenne di un altro uomo, sarà messo a morte”. Questo è radicalmente diverso dalla legge biblica per il fatto che solo un bambino ne è protetto. Inoltre, la schiavitù forzata era legale nel Codice di Hammurabi ed “Aiutare lo schiavo di un altro a fuggire e dare protezione ad uno schiavo fuggitivo era punibile con la morte (15-16).”[4] Inoltre, come ha notato il Gordon, nella legge di Hammurabi “L’intera popolazione è teoricamente in schiavitù al re”.[5]
Tornando all’interpretazione di furto come essenzialmente rubare la libertà ad un uomo: falsi pesi e misure, denaro fraudolento, e la distruzione, la compromissione o furto di proprietà, tutte, diminuiscono o distruggono la libertà di un uomo. La proprietà è fondamentale alla libertà di un uomo. Uno stato tirannico limita sempre l’uso che un uomo può fare della propria proprietà, la tassa o la confisca come mezzo efficace per rendere l’uomo schiavo senza necessariamente toccare fisicamente la sua persona. L’interpretazione di Noth e von Rad, anziché alterare le interpretazioni tradizionali dell’ottavo comandamento piuttosto le rinforzano per il fatto che il furto è visto come più che un’illegale confisca o distruzione di proprietà: è allo stesso tempo un attacco alla libertà di un uomo.
Né lo stato né qual che sia individuo hanno alcun diritto di trasgredire questa legge.
Lo stato la trasgredisce non solo con atti di confisca, manipolazione di denaro e con la tassazione, ma anche con qualsiasi indebolimento apportato alla fede e all’istruzione biblica. L’istruzione sostenuta e controllata dallo stato è furto, non solo a causa della tassazione ma anche in virtù della sua distruzione del carattere morale pubblico, talché una società pia viene trasformata in un mercato di ladroni. Nel 1860 gli Stati Uniti videro un declino della fede cristiana, l’ascesa dell’istruzione statale, e la nascita del darvinismo sociale. A Wall Street, Drew, Fiske, Gould ed altri uomini manipolarono il mercato e società per azioni con un radicale disprezzo per la moralità. Nondimeno c’era allora ancora sufficiente moralità biblica nelle persone in genere da rendere possibile qualche sorprendente evidenza di carattere morale pubblico. Bisognerebbe anche ricordare che a quel tempo, la città di New York rappresentava uno standard morale radicalmente inferiore di altre aree urbane degli Stati Uniti ed era ampiamente considerata un’altra Sodoma. Ciò nonostante, Sobel riporta, della moralità pubblica del tempo, a Wall Street, nel 1860:
Questo tipo d’integrità potrebbe essere illustrata notando che le rapine di oro che avevano portato alla formazione della Banca di Cambio terminarono e l’onore della Strada ritornò. Alla fine del decennio l’oro veniva trasportato apertamente, trasportato da corrieri in pesanti sacchi di iuta. Una volta ogni tanto uno dei sacchi si rompeva e il suo contenuto, di solito 5.000 dollari in monete, si sparpagliava per la strada. L’usanza in queste occasioni era che la folla formava un cerchio intorno intorno alla zona e non si spostava finché il corriere non avesse finito di raccogliere tutte le monete. Chiunque si fosse fermato per raccogliere una moneta d’oro avrebbe ricevuto un calcio nel sedere.[6]
Nella New York del diciannovesimo secolo i problemi di legge e ordine erano seri, inusuali e critici. Ma, in ragione di una base nazionale di carattere morale, poteva essere stabilita una certa misura d’integrità pubblica come testimonia quest’incidente. Oggi non potrebbe essere così. Sarebbe impossibile trasportare sacchi d’oro apertamente e regolarmente a Wall Street o altrove, e il contenuto di un sacco rotto sarebbe generalmente impossibile da recuperare.
Questa perdita di carattere pubblico deruba ogni uomo pio di pace e sicurezza considerevoli. Questo furto è imputabile allo stato e alle sue scuole anti-cristiane.
Durante i periodi di legalità nella storia d’Israele, le case non avevano porte. Al posto della porta veniva appesa una tenda. Le dimore pagane nelle zone circostanti avevano porte pesanti, talvolta di pietra, incastrate con cura nei muri di pietra, come necessaria protezione contro altri uomini. Questa differenza, scoperta dal lavoro archeologico, è straordinaria. Quando la moralità era prevalente, gli uomini in pace coi vicini, e la legge obbedita e implementata, lo scopo di una porta era meramente di garantire la privacy, e una tenda, in un clima moderato, era sufficiente. Nelle nazioni vicine senza legge erano necessarie porte di pietra e gli uomini vivevano come prigionieri dentro le loro case, in effetti assediati da un mondo senza legge.
La stessa condizione di vita assediata dall’illegalità prevale di nuovo. Con la loro distruzione dell’istruzione pia e della legge biblica, le nazioni hanno derubato il proprio popolo della libertà, e il popolo, con la sua apostasia si è negato la libertà. Il Salmista osservò molto tempo fa, di quelli che cercano di edificare una città e di proteggerla senza Dio, che:
Se l’Eterno non edifica la casa, invano vi si affaticano gli edificatori; se l’Eterno non custodisce la città, invano vegliano le guardie (Sa. 127:1).
Per tornare di nuovo alla definizione di furto come sottrazione di libertà, l’implicazione è chiaramente che la proprietà è libertà. Un uomo è libero se la sua persona e le sue possessioni sono sotto il suo controllo. Una persona è libera solo nella misura in cui è libera personalmente e ciò che possiede è libero da impedimenti. La vecchia parola ‘freeman’ (libero cittadino) ha come uno dei suoi significati più vecchi “membro di una corporazione”, un proprietario. Lo stesso vale per ‘freeholder’ “titolare di una proprietà assoluta”. La restrizione del suffragio a titolari di proprietà ha come proprio fondamento, in parte, la restrizione del voto ai liberi cittadini.
Note
1 Martin Noth: Exodous, A Commentary; Philadelphia: Westminster Press [1959], 1962, p. 165 s.
2 Gerhard von Rad: Deuteronomy, A Commentary; Philadelphia: Westminster Press [1964], 1966, p. 59.
3 Rylaarsdam: “Exodous”, Interpreter’s Bible, I, 998.
4 Cyrus S. Gordon: Hammurabi’s Code, Quaint or Forward-Looking?; New York: Holt, Rinehart and Winston, 1960, p. 5.
5 Ibid., p. 11.
6 Robert Sobel: Panic on Wall Street, A History of America’s Financial Dissenters; New York: Macmillan, 1968, p. 116.