L’Ottavo Comandamento
3. Restituzione e Perdono
Un errore serio ed importante, che ha infettato il pensiero cristiano e non allo stesso modo, è che il peccato possa essere perdonato. Per peccato qui s’intende il principio del peccato (Ge, 3:5), la sfida dell’uomo a Dio e la sua insistenza nel voler essere il proprio dio. Il peccato inteso come questo principio d’indipendenza e autonomia non può essere perdonato. Custance ha dichiarato questo fatto con chiarezza:
Perché ereditario, come una malattia che infetta l’uomo intero, il peccato non è trattato con il perdono. Ha bisogno in qualche modo d’essere sradicato, o quantomeno aggirato nella costituzione dell’uomo nuovo. I frutti che sono la sua espressione hanno bisogno di perdono, ma la radice fondamentale deve essere trattata con qualche altro metodo. Questa radice è il locus dell’infezione.[1]
Un peccato e peccati particolari possono essere perdonati; il peccato come principio, il peccato originale, non può essere perdonato: deve essere sradicato. L’opera salvifica di Gesù Cristo implicò una nuova creazione (“Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura” 2° Co. 5:17), la restituzione, la perfetta osservanza della legge come nostro capo federale, e il perdono dei peccati particolari dei suoi.
Perdono e restituzione sono inseparabili. Noi dobbiamo perdonare il nostro fratello, cioè un fratello credente, sette volte al giorno (Lu. 17:4), ma questo perdono richiede sempre pentimento e restituzione. Ci sono due aspetti del perdono, quello religioso, o che concerne Dio, e poi l’aspetto sociale-criminale. Il peccato è sempre un’offesa contro Dio, e pertanto ci deve sempre essere un aspetto teologico per ogni peccato, cioè qualche tipo di aggiustamento o giudizio sull’uomo per la sua violazione dell’ordine di Dio. Ma il peccato coinvolge anche altri uomini, o la terra, e particolari peccati hanno particolari richieste di restituzione.
Torniamo al fatto che, ove il peccato sia perdonato, il riferimento non è al peccato come principio ma ad un’azione particolare. I riferimenti al perdono nella legge (Le. 4-5: Nu. 15:28; ecc.) fanno riferimento a particolari azioni di peccato. Gesù Cristo pronunciò il perdono dei peccati a quelli appartenenti al patto della fede, cioè di particolari peccati dei redenti (Mt. 9:2, 5; Mc. 2:5, 9; 3:28; 4:12; Lu. 5:20, 23; 7:47, 48; Ro. 4:7; Cl. 2:13; Gm. 5:15; 1° Gv. 2:12; ecc.). Per il peccato nella sua essenza l’uomo deve morire, anziché essere perdonato; noi moriamo in Cristo come peccatori che vivono nei termini del principio del peccato, e resuscitiamo con Lui come nuove creature. Contro il peccato come principio, la pena è la morte; per il peccato inteso come una particolare azione il perdono è possibile con pentimento e restituzione.
Se teniamo questo a mente, possiamo capire perché, per quanto concerne la legge penale, la pena di morte fosse obbligatoria per i criminali incorreggibili. Coi loro ripetuti crimini tali persone rendono evidente che il crimine è il loro modo di vivere, il loro principio, per così dire. Similmente, la restituzione richiede in altri casi la pena di morte per la parte colpevole come controparte necessaria per la morte della persona innocente: la vittima.
In Esodo 22:1-17, abbiamo una serie di leggi che riguardano la restituzione. Primo, viene stabilita la proporzione della restituzione:
Se uno ruba un bue o una pecora e li ammazza o li vende, restituirà cinque buoi per il bue e quattro pecore per la pecora (Es. 22:1).
La restituzione multipla è fondata su un principio di giustizia. Le pecore sono capaci di riprodursi rapidamente e hanno uso, non solo come alimento, ma per via della lana anche per il vestiario, quanto per altri usi. Rubare una pecora è rubare il valore attuale e futuro delle proprietà di un uomo. Il bue richiede una restituzione di proporzioni maggiori, cinque volte, perché il bue veniva addestrato a trainare carri, ad arare, ed era usato per una varietà di compiti agricoli. Il bue dunque, non aveva solo il valore della sua carne e della sua utilità, ma anche il valore del suo addestramento, perché addestrare un bue al lavoro era un compito che richiedeva tempo e abilità. Imponeva pertanto una maggiore proporzione di restituzione. È qui in evidenza un principio della restituzione. La restituzione deve calcolare non solo il valore presente e futuro della cosa rubata, ma anche la competenza specializzata coinvolta nella sostituzione.
Secondo, il furto poteva implicare problemi riguardo alla difesa contro il ladro:
Se il ladro, colto nell’atto di fare uno scasso, è percosso e muore, il proprietario non è colpevole di omicidio nei suoi confronti. Se il sole si era già alzato quando avvenne il fatto, egli è colpevole di omicidio. Il ladro dovrà risarcire il danno; se non ha di che risarcirlo, sarà venduto per il furto da lui fatto (Es. 22:2-3).
Uno scassinatore che entri di notte può essere legittimamente ucciso dai padroni di casa per difendere la loro proprietà; è parte della legittima difesa di se stessi e della loro proprietà. Non c’è motivo per assumere che questo non copra anche il fienile o, oggi, un garage. Con la luce del giorno, però, l’uccisione di un ladro è un assassinio, eccetto che in caso di auto-difesa. Il ladro può essere identificato e preso, talché questo è in sé una protezione. Se il ladro non può fare restituzione, viene venduto schiavo per soddisfare le richieste di restituzione. Questo significherebbe oggi un qualche tipo di custodia in cui il reddito totale del ladro condannato venga bonificato alla vittima fino a che non sia fatta piena restituzione.
Terzo, la legge specificava anche la restituzione richiesta da un ladro preso nell’atto di rubare o prima che si sbarazzasse della cosa rubata:
Se la cosa rubata bue o asino o pecora che sia, è trovata viva nelle sue mani, restituirà il doppio (Es. 22:4).
In tali casi, il ladro doveva restituire la cosa rubata più il suo equivalente, cioè esattamente il guadagno che si aspettava di ottenere dal furto. Questa è la restituzione minima. Un uomo che rubi 100 euro deve restituire non solo 100 euro ma anche altri 100.
Quarto, certe azioni, sia deliberate che accidentali, incorrono una responsabilità che richiede la restituzione perché danneggiare la proprietà di un altro è derubarlo di una certa misura del suo valore:
Se uno danneggia un campo o una vigna, lasciando andare le sue bestie a pascolare nel campo di un altro, risarcirà il danno col meglio del suo campo e col meglio della sua vigna. Se un fuoco si propaga e si estende alle spine si che viene bruciato il grano in covoni o il grano in piedi o il campo, chi ha acceso il fuoco dovrà risarcire il danno (Es. 22:5-6).
La restituzione in tutti tali casi dipende dalla natura dell’azione; se vengono danneggiati alberi da frutto o vigne, viene danneggiata la futura produzione e la responsabilità è proporzionata a questo. La legge penale oggi non ha più che dei residui del principio di restituzione; oggi la parte lesa deve fare causa civile per recuperare il danno e comunque senza alcuna considerazione per il principio biblico.
Quinto, in Esodo 22:7-13 Vine determinata la responsabilità per beni ricevuti in custodia. Rawlinson ha abilmente riassunto questa legge:
La proprietà depositata nella mani di altri perché fosse tenuta al sicuro poteva facilmente essere malversata dall’affidatario o persa a causa della sua negligenza talché alcune leggi speciali furono necessarie per la sua protezione. Per contro, l’affidatario doveva esser messo al sicuro se la proprietà affidatagli avesse subito danno o fosse sparita senza colpa da parte sua. La legislazione mosaica provvedeva per ambedue i casi. Da una parte, richiedeva che l’affidatario esercitasse una cura appropriata, e lo rese responsabile per la perdita se la cosa lui affidata fosse stata rubata e il ladro non trovato. L’appropriazione indebita è punita richiedendo all’affidatario che ne fosse colpevole di “restituire il doppio”. Dall’altra parte, in casi dubbi, permetteva all’affidatario di chiarire la propria posizione con un giuramento (verso 10), e in casi chiari di dare prova che la perdita fosse avvenuta a causa di un accidente inevitabile (verso 12).[2]
Sesto, in caso di affitto o di prestito, sono operativi alcuni principi di responsabilità:
Se uno prende in prestito dal suo vicino una bestia, e questa si ferisce o muore quando il suo padrone non è presente, egli dovrà risarcire il danno. Se il padrone è presente, non dovrà risarcire i danni; se la bestia è stata presa a nolo, essa è compresa nel prezzo del nolo (Es. 22: 14, 15).
Se un uomo prende in prestito e danneggia la proprietà di un altro, è responsabile dei danni; ha distrutto o danneggiato la proprietà di un altro uomo ed è con ciò colpevole di furto; la restituzione è obbligatoria. Se il proprietario era venuto ad assisterlo volontariamente, da buon vicino, il danno è del proprietario perché la sua proprietà è stata danneggiata sotto la sua supervisione. È ancor più così se stava lavorando a pagamento, perché l’affitto del suo servizio, con bue, asino, trattore, o qualsiasi altro equipaggiamento, include l’usura, la rottura, la manutenzione e i danni al suo equipaggiamento di lavoro.
Settimo, la seduzione non è solo una trasgressione del settimo comandamento, ma anche dell’ottavo, perché include il furto della verginità di una ragazza (Es. 22:16, 17). La compensazione o la restituzione significavano che egli “pagherà la somma richiesta per la dote delle vergini”. È significativo che la parola tradotta pagherà in ebraico è peserà; al tempo il denaro andava a peso, un peso di un siclo d’argento o d’oro.
La restituzione è citata nelle Scritture come un aspetto dell’espiazione. La legge della pasqua, la grande espiazione dell’era dell’Antico Testamento, implicava anche il requisito della restituzione. Ai peccaminosi egiziani, poiché avevano defraudato e avevano cercato di uccidere Israele, fu richiesto che facessero restituzione. La versione Berkeley rende Esodo 12:35: “E in accordo con le istruzioni di Mosè essi chiesero agli Egiziani degli oggetti d’argento, degli oggetti d’oro e vestiti”. Per Dio non fu sufficiente rettificare l’ordine distruggendo l’Egitto con le dieci piaghe; Israele dovette essere arricchito mediante la restituzione (Es. 12:36). Molto tempo prima ad Abrahamo occorse in Egitto un incidente simile. L’ordine di faraone era tale che un uomo non aveva protezione contro la confisca della propria moglie insieme con la perdita della propria vita se non mediante inganno (Ge. 12:11-13). Non c’è condanna di Abrahamo per aver cercato di salvare la propria vita: anzi, Dio giudicò Faraone duramente (Ge. 12:17) e ne fece uscire Abrahamo grandemente arricchito mediante la restituzione (Ge. 12:16; 13:2). Dio intervenne in modo simile a giudicare Abimelek (Ge. 20:3-6), malgrado Abimelek avesse potuto invocare la propria integrità; ciò nonostante, poiché aveva emesso un ordine malvagio, Dio lo tenne per responsabile, e ne conseguì restituzione (Ge. 20:14-18). In entrambe le situazioni, non c’è il più piccolo accenno di condanna per Abrahamo, tutte le indicazioni sono sul giudizio di Dio su monarchi per aver mantenuto ordini malvagi nei quali Abrahamo non osò muoversi onestamente e apertamente.
In tutti questi casi, non c’è solo il giudizio di Dio contro il colpevole ma anche restituzione alla vittima. La restituzione è pertanto strettamente concatenata all’espiazione, alla giustizia e alla salvezza. Solo le eresie che limitano la salvezza ad una nuova relazione con l’eternità mancano di vedere le conseguenze pratiche della salvezza di Dio. Calvino richiamò l’attenzione alle conseguenze sociali della redenzione. Commentando su Isaia 2:4, egli notò:
Perciò, siccome gli uomini sono per natura trasportati dalle loro passioni malvagie a disturbare la società, Isaia qui promette la correzione di questo male; poiché, proprio perché il vangelo è la dottrina della riconciliazione (2 Co. 5:18), che rimuove l’inimicizia tra noi e Dio, ecco che porta gli uomini ad armonia e pace l’uno con l’altro. Il significato ammonta a questo: che il popolo di Cristo sarà mansueto e, mettendo da parte la crudeltà, saranno devoti al perseguimento della pace.
Questo è stato impropriamente limitato da alcuni commentatori al tempo della nascita di Cristo perché a quel tempo, dopo la battaglia di Anzio, il tempio di Giano fu chiuso, come sappiamo dalla storia. Sono pronto ad ammettere che la pace universale che esistette attraverso tutto l’impero romano, alla nascita di Cristo, fu un pegno di quella pace eterna che godiamo in Cristo. Ma il significato del Profeta era diverso. Egli intendeva che Cristo opera una tale riconciliazione tra Dio e gli uomini, che esiste un confortevole stato di pace tra di essi, mettendo fine alle guerre distruttive. Perché se Cristo venisse tolto, non solo saremo estraniati da Dio, ma noi incessantemente gli facciamo guerra, che viene giustamente rigettata sulle nostre teste: e la conseguenza è che tutto nel mondo va in disordine.[3]
Ci sarà dunque un regno di pace sulla terra, nella misura in cui la parola di Dio regna tra gli uomini, benché Calvino sostenesse che il perfetto compimento di questa profezia “nella sua piena estensione, non si debba cercare sulla terra”.[4]
La salvezza è inseparabile dalla restituzione perché la redenzione di Dio dell’uomo e del mondo è il suo ripristino alla sua posizione originale sotto di Lui e alla sua gloria. L’opera di restituzione dell’uomo per il peccato di Adamo, per il proprio peccato originale nel modo in cui ha operato a rovinare la terra, è di riconoscere che, come nuova creatura in Cristo, egli deve fare della terra una nuova creazione sotto Cristo. L’opera di Cristo nell’uomo è quest’opera di restituzione.
L’uomo perdonato è l’uomo che fa restituzione. Perdono nelle Scritture è un termine giuridico. Ha riferimento a un tribunale di legge. Siccome la restituzione nella legge biblica è sempre basilare al perdono, al ristabilimento alla cittadinanza, la parola perdono nelle Scritture implica sempre restituzione. Quando il perdono viene separato dalla legge e fatto una questione di sensibilità, il risultato finale è il sentimentalismo. Molti teologi e cristiani moderni insistono per un perdono incondizionato di tutti gli uomini, indipendentemente dal pentimento e restituzione. Questa posizione è semplicemente un sussidio e un’accettazione del male in quanto tale. Questo è antinomismo.
Note:
1 Arthur C. Custance: The Development of Personality: The Old and the New; Ottawa: Doorway Papers, 1958, p.23.
2 George Rawlinson: “Exodous”, in Ellicott, I, 279.
3 John Calvin: Commentary on the Book of the Prophet Isaiah; Grand Rapids: Eerdmans, 1958, I, 100 s.
4 Ibid., p. 102.