INDICE:

Ottavo Comandamento

18. I diritti di stranieri, vedove e orfani

 

La legge parla ripetutamente di vari gruppi di persone i cui diritti sono più prontamente o facilmente messi in pericolo. Due tali leggi importanti sono le seguenti:

Non maltratterai lo straniero e non l’opprimerai perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Non opprimerai alcuna vedova, né alcun orfano. Se in qualche modo li opprimi ed essi gridano a me, io udrò senza dubbio il loro grido; la mia ira si accenderà e io vi ucciderò con la spada; le vostre mogli diventeranno vedove e i vostri figli orfani (Es. 22:21-24).
Quando uno straniero risiede con voi nel vostro paese, non lo maltratterete. Lo straniero che risiede fra voi, lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono l’Eterno, il vostro DIO (Le. 19:33, 34).

Queste leggi parlano, prima di tutto, di stranieri. Gli alieni cui si fa riferimento sono residenti permanenti della comunità. Il riferimento qui non è a un viaggiatore che stia passando attraverso la nazione: tali persone sono governate dalle leggi dell’ospitalità. E ancora, queste leggi non si riferiscono a uomini d’affari stranieri, temporaneamente nel paese per le loro transazioni commerciali: tali transazioni sono governate da tutti i requisiti d’onestà e dalla proibizione del furto. Il termine “straniero” come viene usato in Esodo 22:24 può riferirsi ad un alieno residente del paese, o a un connazionale israelita che sta nel territorio di un’altra tribù come i Beerothiti a Ghitthaim (2 Sa. 4:3). “La classificazione era tribale e sociale, non principalmente religiosa”[1]. Il termine sarebbe applicabile a un francese in California, o a uno del sud o uno di colore in California. La legge è ripetuta in Esodo 23:9, con qualche variazione: “Non opprimerai lo straniero, poiché voi conoscete l’animo dello straniero, perché siete stati stranieri nel paese d’Egitto”. A Israele fu rammentato delle persecuzioni e discriminazioni che avevano sperimentato in Egitto e perciò furono ammoniti di non porre altri uomini sotto simili sofferenze.

In Levitico 19:33, 34, il riferimento è in qualche modo più ristretto perché apparentemente fa riferimento ad un alieno che è diventato credente. Secondo Gisnburg, questo “straniero” è uno che è diventato circonciso, digiunava nel Giorno dell’Espiazione (Le. 16:29), e obbediva le leggi sacrificali (Le. 17:8, 9; 22:18; 22:10, 15), ed ha praticato le leggi di castità (Le. 18:26), come pure ha obbedito altre leggi morali (24:16-22). “Una volta che era stato ammesso nella comunità, agli israeliti era proibito rimbrottarlo per la sua nazionalità o rinfacciargli che originariamente era un idolatra” [2]. Al tempo di Salomone c’erano 153.000 “stranieri” in Israele [3].

Proprio lo stretto contatto in cui la vita come compagno credente poneva lo straniero in relazione con un israelita rendeva possibili tensioni maggiori che con uno straniero non-credente. Più è stretta una relazione, più possibilità ci sono d’avere tensioni e problemi. È più facile avere tensioni col proprio marito o con la propria moglie che con qualcuno lontano un chilometro. Di conseguenza la legge parla con maggiore attenzione e precisione ove le relazioni siano più strette.

Secondo, tali persone non devono essere vessate, oppresse, o maltrattate. La parola fa riferimento ad atti specificamente aggressivi o discriminatori. La discriminazione è un’azione non permessa dalla parola di Dio; pertanto, gli eunuchi non potevano diventare membri della congregazione benché potessero essere credenti; bastardi e certi canaaniti erano esclusi dall’appartenenza (ma non dalla fede) per alcune generazioni in ragione della loro natura o del basso retroterra morale (De. 23:1-6). La discriminazione proibita è quella di nostra fattura.

A Israele fu ricordata la sua esperienza in Egitto. La malvagità in quell’esperienza non fu la loro segregazione a Goscen; quello fu un favore e un vantaggio. La malvagità fu nell’oppressione e nella schiavitù, nella discriminazione giuridica contro di loro.

Precisamente perché questa è una legge, è di portata limitata. Richiede giustizia per lo “straniero”. La vita a quei tempi era vita famigliare e di clan. Alleanze e relazioni venivano stabilite per sangue e per matrimonio. L’ospitalità veniva estesa prontamente ad un grado notevole a stranieri di passaggio, ma normalmente le amicizie stavano in una ristretta cerchia governata dalla fede e dalla famiglia. Richiedere la società umanistica moderna con una relazione aperta a tutti sarebbe sembrata agli israeliti la peggiore tirannia. Questa legge non richiedeva un tale ri-ordinamento della vita privata di nessuno: Richiedeva semplicemente giustizia nel trattare con tutte le persone.

Il chiuso cerchio interno della vita biblica rendeva possibile il cerchio esterno aperto. Abrahamo era pronto, in modo biblico, a salutare e ricevere stranieri di passaggio con qualsiasi gentilezza possibile (Ge. 18:1-8). Era pure pronto ad andare a salvare i re canaaniti, quanto a salvare il proprio nipote Lot (Ge. 14); se la preoccupazione di Abrahamo avesse riguardato solo Lot avrebbe potuto facilmente riscattarlo senza correre rischi personali. La casa di un uomo era aperta a stranieri di passaggio che ne avessero bisogno, e la sua responsabilità nei confronti dei vicini in una difesa comune era grande. D’altra parte, il cerchio interno della casa era severamente ristretto. Abrahamo non divenne un amico stretto dei canaaniti, e fece cercar moglie per Isacco in Mesopotamia per assicurare un matrimonio pio (Ge. 24). Bisogna dunque notare che le amicizie personali e i contatti erano severamente limitati nella vita e nella legge biblica, ad un grado che sarebbe considerato illegittimo dall’umanismo, mentre l’ospitalità, l’assistenza ai vicini, e una legittima comune difesa erano richiesti ad un grado raramente riconosciuto oggi.

Terzo, è necessario notare che le violazioni di questa legge sono serie agli occhi del Signore. Questa legge contro l’oppressione è collocata in Esodo immediatamente dopo leggi contro seduzione, idolatria e stregoneria (Es. 22:16-20). Come notò Rawlinson:

La giustapposizione di leggi contro l’oppressione assieme a tre crimini dalle tinte più scure sembra intesa ad indicare che l’oppressione è tra i peccati più odiosi davanti a Dio. Il Legislatore, comunque, non dice che debba essere punita in modo capitale, né le allega infatti alcuna sanzione penale. Anziché fare questo, Egli dichiara che Dio stesso la punirà “con la spada” (v.24). Tre classi di persone particolarmente soggette ad essere oppresse sono selezionate per la menzione: (1) stranieri, cioè estranei alla nazione; (2) vedove; e (3) orfani [4].

Tale oppressione è seria perché indica che di fatto la legge non esiste. La vera legge dà una protezione comune a tutti quelli che sono ligi alla legge; se i deboli non riescono ad ottenere questa protezione, la legge non esiste. Se la legge discrimina contro i deboli perché sono deboli e contro i forti perché sono forti, cessa di essere legge ed è uno strumento d’oppressione. La vera legge discrimina contro chi fa il male cercando di implementare la restituzione e/o la morte contro di essi, ed è in favore degli onesti cittadini nel fatto che li protegge nella loro vita e proprietà e obbliga la restituzione per reati contro di esse. Se la vita e le proprietà di stranieri, vedove e orfani non sono protette dall’ordine civile, quell’ordine è diventato senza legge.

Non ci sono pene annesse a queste leggi, non perché non ce ne siano, ma perché la legge le provvede già: restituzione per il furto, morte per lo stupro e così via. Ogni forma particolare d’oppressione richiede la propria pena particolare.

Quarto, vedove e orfani sono inclusi in questa legge insieme agli stranieri come classi di persone deboli. In un senso molto reale, nessuna di queste, né nessun altro nella società ha alcun diritto in quanto debole: ciò che hanno è una legge comune che protegge tutte le persone che sono ligie alla legge e commina pene a tutti quelle che sono criminali 5. Perciò usiamo il titolo “I Diritti di Stranieri, Vedove e Orfani” per indicare il fatto che il solo vero diritto di ogni persona è la legge di Dio. Il punto della legislazione in questione è di dichiarare l’inclusività di quella legge: è il rifugio di stranieri e di persone deboli. Dove non c’è diritto non ci sono diritti; senza la legge di Dio non esistono diritti. Volumi di legislazione non possono conferire giustizia dove non esista il senso del diritto.

Quinto, un ordine senza giustizia è soggetto al giudizio di Dio. Nel comparare questa legge col Codice di Hammurabi, Rylaarsdam ha osservato: “Ciò che è qui evidenziato in modo unico è il ruolo immediato e dinamico che il Dio d’Israele svolge in questo interesse per la giustizia e per il suo compimento. Egli è in relazione diretta col procedimento storico e non ha, come una divinità assente, affidato il suo lavoro ad un agente, come Hammurabi, il quale può svolgere un ruolo indipendente”[6]. Nella legge biblica questo punto viene fatto enfaticamente e in molte occasioni. Pertanto, secondo Deuteronomio 10:17-19:

Poiché l’Eterno, il vostro DIO è il DIO degli dèi, il Signor dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non usa alcuna parzialità e non accetta regali, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero dandogli pane e vestito. Amate dunque lo straniero, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto.

Su quest’ultima frase in commento di Rashi fu appropriato: “Il difetto che hai su di te non lo noterai nel tuo prossimo”[7].

Ove le corti di giustizia siano senza legge, bisogna fare appello alla suprema corte di Dio: “Io udrò senza dubbio il loro grido” (Es. 22:23). Non dobbiamo confondere la sofferenza degli afflitti col loro interesse per la giustizia; gli afflitti possono essere disinteressati della giustizia quanto i loro oppressori, e altrettanto pronti a perseguitare ed opprimere se ne hanno l’opportunità. Ci deve essere pertanto un appello, non per la liberazione, ma per la giustizia. Dove non c’è appello alla giustizia non c’è interesse per la giustizia.

Note:

1 J. Coert Rylaarsdam, “Exodous” in Interpreter’s Bible, I, 1007.

2 C. D. Gisnburg, “Leviticus”, in Ellicott, I, 429.

3 Ibid.
4 George Rawlinson, “Exodous”, in Ellicott, I, 271.

5 T. Robert Ingram, “‘Right’ and ‘Rights’”, in The Presbyterian Journal, 26 Gennaio, 1970, p. 9s.

6 Rylaarsdam, op. cit., I, p. 1007.

7 Citato da C.H. Waller, in “Deuteronomy”, Elliott, II, 36.


Altri Libri che potrebbero interessarti