Il Sesto Comandamento
7. Responsabilità e la Legge
Un aspetto centrale della legge biblica è riassunto in una singola frase: “Non si metteranno a morte i padri per i figli né si metteranno a morte i figli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato” (De. 24:16). Questa legge è citata in II Re 14:6 e II Cronache 24:4 come il fondamento per la decisione di Re Amazia di risparmiare i figli degli assassini di suo padre. Geremia enfatizzò la stessa dottrina (Ge. 31:29,30), e lo stesso fece Ezechiele (18:20). Il commento di Wright su questa legge è interessante:
Una legge come questa sembra superflua nella società moderna perché l’individuo è l’unità primaria e il senso di solidarietà comunitaria è debole o interamente assente. Nella vita patriarcale e semi-nomadica però, il senso di responsabilità della comunità era molto forte, in particolare quello della famiglia. Una sanguinaria faida nomadica poteva annichilire un’intera famiglia per il crimine di uno dei suoi membri (per casi eccezionali di questo tipo in Israele si veda Giosuè 7:24,25; II Samuele 21:1-9).1
Wrigth è corretto nel dichiarare che una faida nomadica sanguinaria negava il principio inerente a questa legge, ma la stessa minaccia a questa legge esiste oggi in altra forma. In più, egli erra riguardo ad Achan (Gs. 7:24,25); nel caso di Achan, l’oro e l’argento sotterrati al centro della tenda richiese la complicità di tutti i membri della famiglia; anche la sua interpretazione di II Samuele 21:1-9 è fallace. Nell’antichità era pratica comune punire, penalizzare o giustiziare le intere famiglie di certi tipi di criminali.
Per analizzare la legge, è importante riconoscere certi suoi aspetti centrali. Primo, la responsabilità è un aspetto di ogni sistema giuridico. Qualcuno deve essere ritenuto responsabile per i reati; se non c’è responsabilità da qualche parte non è possibile far rispettare la legge. Chi sia responsabile è la questione importante e la risposta è una risposta religiosa. La responsabilità può essere collegata alla famiglia, alla comunità, all’ambiente sociale, agli dèi o alla persona. Dove sia collocata la responsabilità produce una differenza fondamentale nell’ordine sociale.
Secondo, la dottrina biblica è, come acclara Deuteronomio 24:16, una di responsabilità individuale. Secondo Genesi 3:9-13 il tentativo d’evadere la responsabilità individuale è l’essenza del peccato. Adamo ed Eva rifiutarono di riconoscere la propria colpa: passarono la responsabilità ad un altro, Adamo diede la colpa ad Eva e a Dio, Eva diede la colpa al serpente. L’uomo pio agisce responsabilmente ed assume la responsabilità per le proprie azioni.
Terzo, collegata alla questione della responsabilità c’è quella fondamentale: responsabilità verso chi? Se l’uomo è responsabile a chi lo è? Alla famiglia, alla comunità o allo stato? La dottrina biblica della responsabilità sostiene che la responsabilità primaria di un uomo è verso Dio, secondariamente verso i suoi simili. È Dio che confronta Adamo e che ogni volta confronta l’uomo con le sue richieste sovrane e la sua legge totale.
Quarto, nei termini di questa legge, la colpa non può essere girata ad altri o passata alle persone attorno ad un uomo. La colpa non è trasferibile; una disposizione o natura può essere ereditata ma non la colpa. L’uomo eredita da Adamo la depravazione totale della sua natura, ma la sua colpa davanti a Dio è interamente sua, proprio come Adamo dovette portare la propria. Questa distinzione tra colpa e natura è fondamentale per la dottrina e la legge biblica. È assente nei sistemi giuridici come quello dell’Islam. Poiché la legge tratta con la colpa e punisce il colpevole, la natura di non trasferibilità della colpa nella legge biblica è di centrale importanza. Dove la colpa è trasferibile anche la punizione lo è. Questa è l’essenza del principio della faide di sangue: se un Hatfield 2 commette un crimine, tutti gli Hatfield condividono la colpa e tutti sono puniti. Similmente, se tutti gli americani sono colpevoli dell’assassinio del presidente Kennedy, allora tutti gli americani, secondo questa teoria pagana, devono essere puniti. Responsabilità, colpa e pena sono inseparabili nella legge: dove c’è responsabilità per un crimine c’è colpa e lì deve essere applicata anche la punizione o la pena.
Oggi questa dottrina della responsabilità individuale è stata minata dalla teoria dell’evoluzione. Alla base della teoria dell’evoluzione c’è l’ambiente sociale; l’uomo è un prodotto del suo ambiente sociale e si è evoluto in relazione ad un ambiente in evoluzione e della sua influenza sull’uomo. Come risultato, non solo l’uomo è un prodotto del suo ambiente sociale, ma è anche una creatura dello stesso piuttosto che di Dio. L’uomo è ciò che un mondo in evoluzione ha fatto di lui e le azioni dell’uomo sono un prodotto di quell’ambiente e della forma che quell’ambiente ha dato all’uomo. Questo significa che la colpa per le azioni dell’uomo risiede nel suo ambiente, nel suo mondo personale e sociale, ed è questo mondo ad essere punito quando l’uomo pecca. In questo modo la società è colpevolizzata per il comportamento di delinquenti e criminali e i genitori per i peccati dei loro figli. La punizione dunque cade sulla società e sui genitori. In questo schema di cose, i trasgressori della legge vengono assolti dalla colpa, e i colpevoli sono resi innocenti.
La bibbia insegna nulla sulla responsabilità comunitaria? In realtà la legge biblica lo fa, afferma una responsabilità comunitaria, la responsabilità di assicurarsi che giustizia sia fatta. C’è colpa comunitaria se giustizia non è fatta.
Primo, discutere la responsabilità comunitaria nei confronti della giustizia. Immediatamente dopo la legge che riguarda la responsabilità individuale viene una delle molte leggi che riguardano la giustizia: “Non lederai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste dalla vedova” (De. 24:17). Dove ci sia una famiglia, la famiglia non può essere ritenuta colpevole per il reato del criminale. Dove non ci sia famiglia, la comunità non deve avvantaggiarsi dell’impotenza della persona. Se un forestiero (“lo straniero”) è sotto processo, solo e senza amici, il suo diritto alla giustizia rimane immutato. La sua impotenza non può essere sfruttata proprio come non può essere confiscata la ricchezza dei parenti di un criminale né essere attaccata la loro persona. La giustizia non è sociale: è individuale. La dottrina della giustizia sociale va mano nella mano con la dottrina della colpa sociale. La giustizia sociale non è solamente un assalto alla responsabilità individuale ma anche all’immunità dell’innocente.
Secondo, poiché responsabilità comunitaria significa che la giustizia deve essere amministrata, ne consegue che dove la giustizia non sia fatta c’è colpa comunitaria. Questa questione è trattata in Deuteronomio 21:1-9. Se un omicidio non può essere risolto, l’intera comunità ne porta la responsabilità insieme allo sconosciuto assassino. L’assassino porta davanti a Dio la colpa per l’omicidio, e la comunità per aver mancato di vendicare l’omicidio, per aver mancato di portare l’omicida alla giustizia. Poiché la trasgressione è contro Dio, i capi della comunità fanno espiazione a Dio per la trasgressione, in modo da non incorrere nella colpa essi stessi. In breve, una comunità non poteva essere indifferente a qualsiasi trasgressione nel suo mezzo, e i crimini che andassero impuniti dovevano avere un’espiazione rituale.
La forma di questa legge è quella del sistema sacrificale del Vecchio Testamento; non è più vincolante per noi. La sostanza della legge, però è ancora valida. La comunità ha una responsabilità davanti a Dio di assicurarsi che giustizia sia fatta, ed ha inoltre una responsabilità nei confronti delle vittime del crimine. Su questo è interessante un commento di Waller: “È sorprendente che per i nostri tempi il rimedio più efficace contro gli oltraggi dei quali non si riesca a scoprire il perpetratore sia una multa al distretto in cui avvengono.”3 Questo è in linea con lo scopo di questa legge; similmente, la restituzione alle vittime del crimine è una parte essenziale dell’espiazione della comunità, e lo è pure la richiesta in preghiera di misericordia da parte di Dio fatta dagli ufficiali dello stato. Quest’ultima è essenziale e basilare perché in ogni violazione della legge l’offesa principale è sempre contro Dio. Come ha notato Ehrich, la bibbia non usa la parola “crimine”. Ogni reato è chiamato una “trasgressione”. “L’assenza del termine ‘crimine’ indica che la volontà di Dio è la sola fonte di tutta la legge e che pertanto tutte le azioni punibili costituiscono peccati che sono in violazione della legge di Dio.”4 Il concetto di trasgressione è in via di sostituzione con la dottrina del condizionamento sociale e del comportamento compulsivo; la durata di tale concetto del contesto sociale è relativamente breve perché il suo impatto è suicida per qualsiasi società. Inoltre, alla base di questo concetto pagano c’è un completo impersonalismo; l’uomo essendo il prodotto evolutivo di un universo impersonale è basilarmente governato da un mondo impersonale e da forze impersonali. Nella legge biblica, l’uomo, in quanto creatura del Dio personale e trino, trasgredisce personalmente contro quel Dio in ogni suo peccato. Ogni reato è pertanto un’azione responsabile perché personale ed è una trasgressione. La legge che è orientata alla responsabilità personale è rispettosa delle persone; esse sono le figure centrali ed essenziali della società. Le cose non sono in carica; le persone sono responsabili. Le legge che è umanistica ed evoluzionista non rispetta le persone: le persone non sono in carica, le cose governano il mondo. Gli uomini sono pertanto trattati callosamente dagli scienziati sociali che cercano di assumere il ruolo di dèi governando cose e manipolando persone. Dopo tutto, perché delle persone che sono sempre state governate da cose dovrebbero obbiettare il governo di una élite di uomini? La decristianizzazione della società è anche la depersonalizzazione dell’uomo.
Note:
1 G. Ernest Wright: “Deuteronomy” in Interpreter’s Bible, II, 476s.
2 https://en.wikipedia.org/wiki/Hatfield%E2%80%93McCoy_feud
3 C. H. Waller: “Deuteronomy” in Ellicott, II, 58.
4 J. W. Ehrlich: The Holy Bible and the Law; New York: Oceana Pubblications, 1962, p. 49.