Il Sesto Comandamento
16. Lavoro
Normalmente, il lavoro è considerato propriamente un aspetto del quarto comandamento: “Sei giorni lavorerai …” (Es. 20:9), e questa è nel modo più ovvio una valida classificazione. Qualche ragione convincente è pertanto necessaria per giustificare la collocazione del lavoro altrove. Questo proposito è da trovarsi nel mandato originale, di sottomettere o lavorare la terra, e di esercitare il dominio su di essa (Ge. 1:28). È ovvio che il lavoro continuò dopo la Caduta, ora con sopra una maledizione, e con frustrazione (Ge. 3:17, 18), ma ovviamente con una funzione di restaurazione. In origine, l’uomo fu chiamato a sottomettersi la terra con il lavoro; dopo la Caduta, l’uomo conobbe la frustrazione del peccato nella propria vocazione. Con la redenzione gli effetti del peccato vengono gradualmente superati mano a mano che l’uomo lavora per restaurare la terra e stabilire il proprio dominio sotto Dio. L’uomo, la vita e la terra sono stati danneggiati e uccisi dagli effetti del peccato. Rovesciare la Caduta, proteggere e far prosperare la vita sotto Dio, significa che, sotto il sesto comandamento, l’uomo ha un mandato di restaurare la terra mediante il lavoro e di inibire e limitare gli effetti dannosi e mortali del peccato. L’importanza della restituzione per la legge è il fondamento su cui il lavoro, un aspetto del quarto comandamento, è anche propriamente un aspetto del sesto. È anche un aspetto dell’ottavo, perché “Tu non ruberai” significa “Tu lavorerai” per guadagnarti qualsiasi cosa ti sia necessaria o desiderata. L’obbiettivo della restituzione è il restaurato Regno di Dio come descritto da Isaia 11:9: “Non si farà né male né distruzione su tutto il mio monte santo, poiché il paese sarà ripieno della conoscenza dell’Eterno, come le acque ricoprono il mare.”
Il lavoro ha quindi una posizione importante nel pensiero biblico. Proverbi evidenziò ripetutamente le sue necessità, dignità, importanza: “Ma chi accumula con fatica l’aumenterà (la ricchezza)” (Pr. 13:11). “ La mano degli uomini solerti dominerà, ma quella dei pigri cadrà sotto lavoro forzato” (Pr. 12:24). “L’anima del pigro desidera e non ha nulla, ma l’anima dei solerti sarà pienamente soddisfatta” (Pr. 13:4). “Hai visto un uomo sollecito nel suo lavoro? Egli comparirà alla presenza dei re” (Pr. 22:29).
Il lavoro ha quindi come proprio obbiettivo il restaurato regno di Dio; il lavoro pertanto è una necessità religiosa e morale.
L’effetto del lavoro come uno dei fattori usati nella riabilitazione dei ritardati mentali è enorme. Dove i ritardati sono stati tolti dagli istituti e messi a lavorare nelle fabbriche, i risultati sono stati complessivamente buoni. I ritardati hanno apprezzato il lavoro, l’anno svolto con successo, e talvolta sono stati considerati gli operai migliori dai datori di lavoro. I datori di lavoro hanno spesso risposto dichiarando che questi lavoratori sembrano essere altrettanto intelligenti degli altri.1
Tra gli Hutteriti, le persone nevrotiche o sub-normali sono trattate con pazienza cristiana ma senza relativismo. Autorità e differenze sono riconosciute.2 Gli Hutteriti hanno una religiosa sfiducia di psicologi e psichiatri.3 Accettando i sub-normali e i nevrotici e dando loro un posto disciplinato e accettato nella società, possono fare di loro membri utili e felici della loro cultura. Nell’insieme, gli Hutteriti, con la loro forte credenza nel lavoro da una prospettiva cristiana, sono mentalmente sani e mostrano un’assenza di malattie psicosomatiche o indotte da stress. L’elenco di problemi significativamente minori include insonnia cronica, dipendenza da sostanze, asma, allergie da cibi, febbre da fieno, suicidi, infezioni alle vie urinarie, impotenza maschile, paura della morte, malattie coronariche, obesità, cancro, costipazione, coliti spastiche, disordini mestruali, frigidità femminile e simili.4
La “psichiatria” hutterita insiste nel mettere il “paziente” nella “camicia di forza” della conformità culturale; richiede che la fede e la vita del gruppo sia rispettata e mantenuta. “La ‘psichiatria’ hutterita è orientata al futuro.” Guarda avanti al futuro e richiede che l’individuo pensi meno di se stesso e più dei requisiti di Dio.5 Poiché la società hutterita è una società che lavora, richiede lavoro propositivo da tutti i suoi membri.
Inoltre, nessun peso impossibile è posto sull’individuo: “Prendendo il loro spunto dal dogma che l’uomo è nato peccatore, non si aspettano la perfezione da nessuno.”6 Questo realismo nei confronti dell’uomo produce salute mentale. In questo modo gli Hutteriti guariscono i loro membri nevrotici e rendono utili e felici i loro membri ritardati per mezzo del lavoro.
La funzione ristoratrice del lavoro è ben stabilita. La sua utilità nel trattamento di persone nevrotiche o ritardate è chiaramente riconosciuta. Ma questa funzione del lavoro riflette semplicemente una parte della natura basilare del lavoro per ogni società, per tutti gli uomini: è il mezzo dato da Dio con cui l’uomo stabilisce il dominio sulla terra e compie la sua vocazione sotto Dio.
L’uomo dovrebbe quindi godere del proprio lavoro e deliziarsi in esso. Al contrario, invece, scampare dal lavoro è un desiderio comune tra gli uomini. L’attrazione del marxismo e di simili fedi è la loro dichiarazione che l’uomo è incatenato al lavoro e deve esserne liberato. Più recentemente si sente dire che l’automazione può abolire il lavoro e che una società libera è una società liberata dal lavoro. Due cose che sono in chiara contraddizione sembrano, malgrado tutto, fin troppo prevalenti tra gli uomini: primo, un riconoscimento della natura curativa del lavoro e, secondo, una fuga dal lavoro in quanto schiavitù.
Perché questa contraddizione? La contraddizione esiste prima di tutto nell’essere dell’uomo e poi nella sua società. Nel profondo del suo essere l’uomo sa che il lavoro è il suo destino sotto Dio, che è sia la sua auto- realizzazione quanto la sua vocazione. Che l’essere uomo di un uomo è legato essenzialmente alla sua abilità di lavorare e del proprio sviluppo nei termini del lavoro. Ma, allo stesso tempo, l’uomo giunge faccia a faccia col fatto del peccato, con la maledizione di Dio sul suo lavoro (Ge. 3:17-19), e l’uomo fugge da questa realtà. La maledizione è là, e lui lo sa, ma piuttosto che riconoscere che è un peccatore in rivolta contro Dio, l’uomo si irrita e si rivolta contro il lavoro perché il lavoro gli rivela il fatto della Caduta e della maledizione. Il lavoro è la sua vocazione, ma la sua vocazione mette a nudo l’effetto disastroso del peccato nella storia. Il ritardato può trovare la contentezza nel lavoro, ma la maggior parte degli uomini che sono in ribellione contro Dio progressivamente trovano che il lavoro sia la loro frustrazione e non ne affronteranno la ragione. A quel punto o cercano di annegare quella frustrazione in ulteriore lavoro, o si volgeranno al divertimento come sostituto del lavoro.
I sognatori socialisti capitalizzano sulle frustrazioni dell’uomo. Con questa frustrazione come loro capitale, offrono all’uomo un’utopia nella quale si suppone che la maledizione sia stata abolita con l’abolizione di certe classi di uomini che sono chiamate le classi sfruttatrici. Allora il paradiso sarà in qualche modo restaurato. Secondo Marx, l’uomo sarà liberato dalla maledizione sull’uomo e sul lavoro dal paradiso socialista, nel quale la divisione della manodopera scomparirà:
Perché non appena la manodopera è distribuita, ciascun uomo ha una particolare, esclusiva sfera d’attività, che è forzata su di lui e che egli non può sfuggire. È un cacciatore, un pescatore, un allevatore, o un critico censore, e deve rimanere tale se non vuole perdere il suo mezzo di sostentamento; mentre nella società comunista, dove nessuno ha un’esclusiva sfera d’attività ma ognuno può diventare esperto in qualsiasi branca desideri, la società regola la produzione generale e in questo modo rende possibile per me fare una cosa oggi e un’altra domani, cacciare al mattino, pescare al pomeriggio, allevare bestiame la sera, criticare dopo cena, come mi passa per la testa, senza mai diventare cacciatore, pescatore, pastore o critico.7
Come fa notare Gary North: “Il concetto di Marx dell’alienazione umana fu da lui usato come sostituto per la dottrina cristiana della caduta dell’uomo.”8 In tutte le cose come questa l’uomo è in fuga dalla realtà e perciò dal lavoro. Il lavoratore oggi, che sia un iscritto al sindacato, un colletto bianco, o un manager, fin troppo spesso vive per sfuggire al lavoro. Ma la fuga dal lavoro al divertimento non fa sfuggire dal problema basilare e, come risultato, la fuga dell’uomo continua, tornerà al lavoro, al gioco o al bere, da qualsiasi parte eccetto che alla responsabilità. L’effetto è che l’uomo dimostra una scontentezza cronica combinata con un senso di essere giusto in se stesso. Ma, come ha notato Brennan: “Rabbia, impazienza, giustizia intrinseca, sono tutti sintomi di un essere umano sconnesso dalla realtà. E essere sconnessi dalla realtà è solo una generica definizione di pazzia.”9 Quando l’uomo è in fuga dalla realtà, è meno interessato d’essere qualcuno che di sembrare d’essere qualcuno, con apparenze piuttosto che realtà.10 A quel punto la cultura diventa radicalmente dislocata, e questa radicale povertà spirituale rende l’ipocrisia e le apparenze più importanti della vita stessa. “I poveri possono soffrire dalla realtà, ma meglio quello che soffrire dalla finzione.”11
Poiché il mondo è mantenuto nel suo ordine sociale e culturale e progredisce mediante il lavoro, non mediante finzione, un mondo in cui la messinscena guadagna l’ascendenza è un mondo che va verso il collasso.
Un’epoca in cui attori e attrici sono idoli pubblici ed eroi è un mondo di finzione. Tra le due Guerre Mondiali, gli attori e attrici di Hollywood dominarono la mente di giovani adulti in modo assai esteso. Da allora hanno lasciato il passo a prominenti persone della mondanità e del jet-set, ma con queste nuove figure di primo piano, l’ideale rimane lo stesso, apparire e far credere. Essendo l’apparenza la loro nuova religione, il linguaggio della religione viene applicato alle tecniche dell’apparenza. Come ha riportato un prominente conte e membro di questi “nomadi internazionali”, la società del jet set:
“Tra il parrucchiere e la donna,” mi ha detto Alexandre, in modo assai articolato, carezzando più dolcemente che mai la sua barba, “è necessaria una completa comunione, come in una chiesa (sic). Per poter raggiungere questa relazione ci dev’essere piena confessione della cliente all’uomo di cui si fida con una delle sue cose più preziose: le sue ciocche.”12
Una società dominata da attori (e non è necessario che gli attori siano dei professionisti; possono essere un popolino innamorato delle finzioni) è una società centrata sui consumi: perde progressivamente la sua capacità di produrre. Nel suo folle auto-assorbimento e incantamento con le apparenze, commette un suicidio narcisista.
Il socialista trova facile contrastare l’attore: apparentemente è realtà contro sogni. Ma anche il socialista è in una fuga dalla realtà, egualmente innamorato della apparenze. L’attore è spesso e volentieri sia un attore che un socialista perché i due mondi sono basilarmente uno. Il sogno di Marx di un uomo “liberato” dal lavoro per fare il cacciatore, il pescatore, l’allevatore e il critico a proprio piacere è un sogno sociale quanto uno personale. Anziché fare i conti con la natura decaduta dell’uomo, Marx sognò un mondo nuovo per rimuovere la maledizione dal lavoro. L’attore e il socialista sono molto in pace l’uno con l’altro; sono uniti nella loro ostilità verso l’uomo pattizio. 13
Il declino della produttività e l’ascesa della finzione sono perciò segni di una società in declino. Se continuano per lungo tempo, conducono verso la morte di una società. “Tu non ucciderai” ha come propria formulazione positiva la protezione e l’avanzamento della vita sotto Dio e nei termini della sua parola-legge. Il lavoro è un aspetto importante di questa vita libera e restaurata.
Note:
1 Niall Brennan: The Making of Morons; New York: Shield and Ward, 1953, pp. 13-18.
2 Joseph W. Eaton and Robert J. Weil: Culture and Mental Disorders, A Comparative Study of the
Utterites and other Populations (Glencoe, Illinois: The Free Press, 1955, p. 121. 3 Ibid., p. 166.
4 Ibid., p. 234 s.
5 Ibid., p. 175-178.
6 Ibid., p. 192.
7 Karl Marx e Friedrich Engels: The German Ideology, Parts i & II; New York: International
Publisher, 1947, p. 22.
8 Gary North: Marx’s Religion of Revolution; Nutley; New Jersey: The Craig Press, 1968, p. 53. 9 Brennan, op. cit., p. 35.
10 Ibid., p. 183.
11 Ibid., p. 140.
12 Lanfranco Rasponi: The International Nomads; New York: G. P. Putman’s Sons, 1966, p. 153.
13 (L’uomo che vive consapevole di essere sotto il patto con Dio nel mondo di Dio. n.d.t.).