Appendice A

La Scrittura e i patti

“Ecco, verranno i giorni”, dice l’Eterno, “nei quali stabilirò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda, non come il patto che ho stabilito con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, perché essi violarono il mio patto, benché io fossi loro Signore”; dice l’Eterno. “Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d’Israele dopo quei giorni” dice l’Eterno: “Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo”.

(Geremia 31:31-33)

 

È un fatto triste che oggi molti cristiani professanti non prendano sul serio la porzione più grande della Scrittura. Tre quarti della bibbia è stata relegata a virtuale oscurità. Sto parlando del Vecchio Testamento. È opinione comune che gl’insegnamenti del Vecchio Testamento siano stati superati dagli insegnamenti del Nuovo e non siano più applicabili alla vita cristiana. La dottrina veterotestamentaria, in particolare la legge, è considerata inadeguata e barbarica, o quantomeno inadatta per i tempi moderni. Quest’attitudine non è confinata ai cristiani nominali che vanno in chiesa ogni settimana per abitudine o senso del dovere, o desiderio di mantenere una tradizione. Non è neppure un’attitudine che si trova solo tra gli elementi teologicamente liberali della vita cristiana. La realtà dei fatti è che questo concetto della Scrittura ha guadagnato una forte influenza sugli elementi presumibilmente Riformati o evangelicali all’interno delle nostre chiese. Mi spingerei anche oltre per dire che, a vergogna dei cosiddetti evangelicali, quest’attitudine è sempre più una caratteristica distintiva del moderno evangelicalismo.

Certamente, la maggior parte degli evangelicali lo negherebbe e sosterrebbe che essi si attengono alla visione tradizionale dell’infallibilità di tutte le Scritture. Ma questa giustificazione è in gran misura un riconoscimento solo verbale della dottrina dell’autorità plenaria delle Scritture. In pratica la storia è assai diversa. La Scrittura è praticamente abbandonata in favore della sapienza degli uomini. Benché sia così specialmente riguardo agli insegnamenti del Vecchio Testamento succede anche con quelli del Nuovo. Oggi questo andamento si può osservare in tutti gli aspetti della vita cristiana. Individualmente e nell’organizzazione e funzionamento della maggior parte delle chiese, sia amministrativamente che pastoralmente, la fedeltà alle Scritture è a un livello molto basso. La maggior parte dei cristiani oggi sarebbe probabilmente in difficoltà a nominare una chiesa che non si trovi in qualche tipo di crisi o controversia debilitante dovuta a problemi di personalità, o disciplinari, o semplicemente per cattivo governo da parte di anziani negligenti e ministri poco adatti al compito di guide.

Bisogna dire che questo deplorevole stato di cose è ampiamente riconducibile alla riluttanza di molti cristiani a prendere seriamente la parola di Dio nella sua interezza. Nei fatti, si può comunemente trovare che tanto anziani quanto congregazione sono in aperta ribellione contro la parola di Dio, mostrano indifferenza e perfino disprezzo verso il chiaro insegnamento della Scrittura. Eppure, se una chiesa voglia essere edificata correttamente deve essere edificata sul fondamento della parola di Dio. Se si abbandona quel fondamento, sia individualmente che corporativamente, nelle nostre relazioni reciproche e nella vita di chiesa, allora l’esito inevitabile sarà il giudizio di Dio. Lo stato della chiesa oggi in Inghilterra è una vivida testimonianza di questa verità. La condizione spirituale della chiesa oggi nella nostra nazione è spaventosa, e questo è un giudizio su di noi per la nostra infedeltà alla parola di Dio. E la responsabilità principale di questa situazione è di chi è in posizione di guida.

Davanti alla serietà della situazione è vitale che comprendiamo ed apprezziamo l’importanza dell’adesione alla Scrittura. Per quanto riguarda il Nuovo Testamento penso che la maggior parte dei cristiani sarebbe d’accordo su questo punto. In principio — benché certamente non sempre nella pratica — il Nuovo Testamento è accettato come guida dalla maggior parte dei cristiani, quantomeno tra quelli che si definiscono Riformati o evangelicali. Il problema diventa più acuto per quanto riguarda le scritture del Vecchio Testamento. Molti semplicemente non credono che il Vecchio Testamento sia importante. Il più delle volte viene letto allo scopo di fare illustrazioni o analogie, o altrimenti i suoi insegnamenti sono depotenziati spiritualizzandoli. Oggi l’applicazione delle Scritture del Vecchio Testamento è virtualmente inesistente nella maggior parte delle chiese.

Avendo questa realtà, considererò qui in termini molto generali: 1. Cosa il Nuovo Testamento ha da dire circa la natura degli scritti del Vecchio Testamento. 2. Perché le Scritture del Vecchio e Nuovo Testamento devono essere considerate un insieme. 3. Qual’è il contenuto dell’insieme delle Scritture, e 4. Perché è così importante che comprendiamo e applichiamo alla nostra vita e alla nostra cultura l’insegnamento di tutta la Scrittura incluso il Vecchio Testamento.

1. Il concetto neotestamentario delle scritture del Vecchio Testamento.

Che prospettiva possiamo ricevere circa la natura e la permanente validità del Vecchio Testamento dagli scritti del Nuovo?

In primo luogo, risulta molto chiaro, anche da una lettura superficiale del Nuovo Testamento che è stato scritto dalla prospettiva del Vecchio Testamento. Gli scrittori del Nuovo Testamento erano impregnati di scritture del Vecchio. Diedero per scontata la validità, autorità e affidabilità di quegli scritti e citarono da essi liberamente. Senza dubbio considerarono le scritture del Vecchio Testamento ispirate da Dio e pertanto infallibili. Ecco perché l’apostolo Pietro scrive: “Sapendo prima questo: che nessuna profezia della Scrittura è soggetta a particolare interpretazione. Nessuna profezia infatti è mai proceduta da volontà d’uomo, ma i santi uomini di Dio hanno parlato, perché spinti dallo Spirito Santo” (2 Pi. 1:20-21).

Secondo, Gli autori del NT consideravano le scritture del Vecchio Testamento una rivelazione della grazia di Dio sufficiente a portare persone alla salvezza mediante la fede in Cristo. L’apostolo Paolo scrive a Timoteo: “Tu però persevera nelle cose che hai imparato e nelle quali sei stato confermato, sapendo da chi le hai imparate, e che sin da bambino hai conosciuto le sacre Scritture, le quali ti possono rendere savio a salvezza, per mezzo della fede che è in Cristo Gesù” (2 Ti. 3:14-15). Queste Scritture non solo sono sufficienti per portare persone alla fede in Cristo, sono anche capaci di istruirci ed equipaggiarci con l’insegnamento e la guida necessari per una vita di giustizia e di buone opere, perché Paolo procede nel dire: “Tutta la Scrittura è divinamente ispirata e utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera” (2 Ti. 3:16-17). Le scritture a cui Paolo fa qui riferimento sono ovviamente quelle del Vecchio Testamento. I primi cristiani non avevano un Nuovo Testamento. La loro bibbia era costituita interamente dalle scritture del Vecchio Testamento e il loro rispetto per l’autorità di questi scritti è fuori discussione.

Da soli questi argomenti devono avere forza sufficiente per sgomberare il campo da qualsiasi idea che gli scritti del Vecchio Testamento siano di scarsa importanza. Ma c’è di più.

Terzo, e più importante, Cristo stesso convalidò le scritture del Vecchio Testamento, e in termini di assoluta certezza dichiarò che la loro autorità è permanente:

Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento. Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma colui che li metterà in pratica e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli (Mt. 5.17-19).

Qui Cristo insegna molto chiaramente che la legge e i profeti hanno validità permanente. I loro insegnamenti sono pertanto applicabili a noi oggi non meno che a quelli che vissero prima di Cristo. La fede cristiana è qui fermamente stabilita da Cristo stesso sulle scritture del Vecchio Testamento.

Pertanto gli autori del Nuovo Testamento considerarono gli scritti del Vecchio Testamento di origine divina, infallibili e pertanto autoritativi per l’epoca cristiana.

Quarto, nella sua seconda lettera Pietro parla di quelli che torcono le altre scritture a loro propria perdizione (2 Pi. 3:16). Bisogna dire che l’eccessiva spiritualizzazione del Vecchio Testamento che è tanto comune oggi non rende qui giustizia al suo contenuto. Semplicemente il Vecchio Testamento non è quel tipo di documento. Le scritture del Vecchio Testamento sono degli scritti molto terra-terra e concreti. Non furono scritti per essere spiritualizzati. La sana mondanità del Vecchio Testamento non sempre ci perviene nelle traduzioni con la forza che possiede nella lingua originale. Sia il linguaggio sia il contenuto di queste scritture hanno spesso un crudo impatto che non siamo in grado di apprezzare nella lettura di molte traduzioni, specialmente di quelle moderne. Spiritualizzare il Vecchio Testamento è in realtà svuotarlo del suo contenuto reale. Inoltre, tale spiritualizzare era alieno alla visione del mondo della nazione ebraica di quei tempi. Il tipo di spiritualizzazione che è applicato oggi sarebbe risultato estraneo alla mente ebraica, e pertanto leggere il Vecchio Testamento in quel modo è perdere il significato di ciò che sta dicendo.

Ciò non equivale a dire che il Vecchio Testamento non sia utile allo scopo di fare illustrazioni e analogie. Ma non dovrebbe essere visto solo in questi termini. I suoi insegnamenti sono utilizzabili ai nostri tempi per concrete applicazioni. Una corretta comprensione degli insegnamenti del Vecchio Testamento è vitale se vogliamo recuperare quella visione del mondo e della vita veramente biblica che è indispensabile per una effettiva e sostenuta ricostruzione della nostra vita, chiesa e nazione nei termini della fede cristiana.

2. L’unità della Scrittura.

Le Scritture contengono il progressivo dispiegarsi della rivelazione speciale redentiva di Dio. Quella rivelazione trova il proprio completamento nel vangelo di Gesù Cristo. Ma, la rivelazione della grazia salvifica di Dio in Cristo Gesù presuppone la rivelazione che venne prima di Cristo e, come abbiamo visto, Cristo confermò quella rivelazione e testimoniò della sua permanente validità. Così, la rivelazione di Dio deve essere vista come un insieme; e poiché le Scritture sono l’ispirata registrazione scritta di quella rivelazione le Scritture stesse devono essere viste come un insieme.

È dunque di estrema importanza che non spezzettiamo la Scrittura in parti che sono valide e altre che non lo sono, o che ne facciamo un’ingiustificata e forzata distinzione. Cristo accettò la scritture del Vecchio Testamento e vide la propria opera di redentore come la continuazione e il compimento del loro insegnamento. La legge e i profeti furono il fondamento su cui costruì, ed è così perché sono la legge e i profeti che parlano delle cose che lo riguardavano (Lu. 24:27). Sminuire l’insegnamento del Vecchio Testamento è quindi sminuire l’insegnamento e l’opera di Cristo stesso.

Le Scritture sono un insieme, che comprende il Vecchio e il Nuovo Testamento, ciascuna parte dei quali trova il proprio pieno significato solo in relazione al quadro completo della rivelazione scritturale. Nella nostra interpretazione di qualsiasi singola parte della Scrittura, perciò, dobbiamo essere guidati dall’insegnamento dell’insieme della Scrittura. Solo applicando questa regola alla nostra lettura della Scrittura saremo in grado di evitare l’errore di andare fuori strada e finire dentro a insegnamenti sbilanciati e non-biblici.

3. Il contenuto pattizio della Scrittura.

Le Scritture contengono la dottrina del patto e la storia del patto. Il patto è il modo di Dio di relazionarsi all’umanità. L’uomo è una creatura pattizia e la sua relazione a Dio è sempre in termini di un patto.

Questo patto può essere descritto, ed è stato descritto come un trattato [1]. Nel descrivere il patto come un trattato, comunque, bisogna avere la cura di non dare l’impressione che si tratti del risultato di un procedimento di contrattazione nel quale Dio e l’uomo giungono a una sorta di compromesso riguardante i rispettivi diritti e doveri. Tale procedimento può essere un aspetto dei trattati che gli uomini fanno tra di loro, ma c’è una differenza essenziale tra i trattati degli uomini e il patto che Dio ha stabilito col suo popolo [2]. Il patto non è un trattato negoziato tra Dio e l’uomo, è un fatto della creazione, e i termini del patto sono definiti e stabiliti esclusivamente per divina autorità. L’uomo fu creato un essere pattizio e non può essere definito adeguatamente se non nei termini della sua relazione pattizia a Dio. L’uomo può accettare o rifiutare i termini del patto ma non può sfuggire alla realtà del patto, né a quella della propria creazione come essere pattizio. In altre parole, può essere un osservante del patto o un trasgressore del patto, ma la sua relazione a Dio è inevitabilmente pattizia e l’uomo deve sostenere, in vita e in morte, la conseguenze della sua risposta a quel patto.

Il concetto del patto è centrale all’insegnamento della bibbia. Se non riusciamo a comprendere ed apprezzare il significato del patto non riusciremo a comprendere la bibbia. Le Scritture non possono essere comprese correttamente se non nei termini del patto. Il patto definisce la relazione che esiste tra l’uomo e il resto della creazione. La prima relazione è espressa nelle Scritture con termini quali “Camminerò tra di voi e sarò il vostro Dio, e voi sarete mio popolo” (Le. 26:12; cfr. 2 Co. 6:16); la seconda nei termini di dominio: “Siate fruttiferi e moltiplicate, riempite la terra e rendetevela soggetta” (Ge. 1:28). I termini del patto regolano ambedue queste relazioni. In questo modo, il patto abbraccia il tutto della vita dell’uomo.

Il patto che Dio ha stabilito col suo popolo è un patto di grazia e perciò vi si entra solo per fede. Era così nei tempi dell’Antico Testamento ed è così oggi. Il Vecchio Testamento non presenta un patto di salvezza per opere. Il credente del Vecchio Testamento era salvato per grazia mediante la fede quanto il cristiano oggi. Tuttavia, essere sotto un patto di grazia — in altre parole essere salvati per fede — significa essere sotto la legge di quel patto come modo di vivere, e questo è così oggi proprio com’era nei tempi dell’Antico Testamento.

Il Vecchio Testamento ci dà la storia delle relazioni pattizie di Dio col suo popolo prima di Cristo. Detta anche i termini, la legge di questo patto per ogni tempo, e Cristo lo confermò quando disse che non era venuto per abolire la legge ma per portarla a compimento (Mt. 5:17). Il Nuovo Testamento ci mostra come il patto sia applicato nell’era cristiana. Ma è lo stesso patto rinnovato in Cristo.

Il concetto del patto è qualcosa che scorre attraverso tutta la Scrittura. Dio stabilì il suo patto con i patriarchi e con la loro posterità

dopo di loro, e liberò il popolo d’Israele dalla schiavitù in Egitto e diede loro la sua legge sul Monte Sinai. Ma col passare del tempo la gente si allontanò da Dio e calpestò la sua legge. Praticarono l’idolatria e trasgredirono il patto nel quale erano entrati i loro antenati. Ne risultò il giudizio perché la legge del patto detta sia benedizioni e promesse per chi è fedele che maledizioni e giudizi su chi è infedele e ribelle (De. 28).

Egualmente Dio preservò un residuo fedele del suo popolo affinché i suoi propositi potessero diventare realtà e le sue promesse fossero compiute, e dopodiché Dio ristabilì o rinnovò il suo patto con questo residuo fedele. In questo modo quell’unico patto di grazia redentiva fu rinnovato con successive generazioni quando si rendevano conto di aver peccato e di essersi allontanati dal loro Dio, e quindi ritornavano a Dio in fede e pentimento.

Questo rinnovamento del patto con successive generazioni dà l’impressione di svariati patti; e certamente in un senso è corretto dire che ci sono stati vari patti, ad esempio quello con Abrahamo, quello con Mosè, quello con Davide, ecc. Ma questi patti sono diversi solo nella forma, non nella sostanza. Sono rinnovamenti dell’unico patto sotto il quale Dio redime il suo popolo mediante la sua sovrana grazia e stabilisce il proprio governo in mezzo a loro. Il nuovo patto, di cui parla Geremia al capitolo 31, è il rinnovamento finale di questo patto di grazia redentiva in Gesù Cristo, a cui tutti i patti precedenti avevano puntato, e nel quale trovavano il loro vero significato e scopo.

Obiezione.

Qui si può incontrare l’obiezione che se il patto cristiano o nuovo patto è la stesso patto in vigore ai tempi del Vecchio Testamento, perché dunque è chiamato un nuovo patto nella Scrittura, e in che senso è nuovo?

Ci sono certamente significative differenze e aggiustamenti tra i patti Vecchio e Nuovo e sono tutti imperniati sul fatto che la figura centrale dell’unico patto eterno di grazia redentiva, Gesù Cristo, ora è venuto nella carne e ha compiuto nella storia l’opera di redenzione. Queste differenze sono importanti ed è vitale che le comprendiamo. Ma dobbiamo anche ricordare che la sostanza o contenuto del patto rimane la stessa, solo la forma è cambiata. Il patto cristiano o nuovo patto, perciò, è il rinnovamento dello stesso patto di grazia redentiva che fu in vigore ai tempi del Vecchio Testamento.

Nondimeno, il fatto che Gesù Cristo sia ora venuto nella carne e abbia compiuto nella storia la redenzione del suo popolo significa che il patto cristiano è un patto nuovo in un senso molto speciale. Ci sono quattro modi in cui il patto cristiano può dirsi un patto nuovo o migliore.

La prima differenza è in relazione al fatto che con la venuta di Cristo c’è una piena rivelazione del proposito redentivo di Dio: “Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose” (Eb. 1:1-2).

Il proposito redentivo di Dio fu rivelato progressivamente attraverso tutto il periodo della storia del Vecchio Testamento. La rivelazione non fu data tutta in una volta, ma fu piuttosto dispiegata gradualmente dalla promessa di liberazione data ad Adamo dopo la caduta, e cioè che la progenie della donna avrebbe schiacciato il capo del serpente (Ge. 5:15). Qui c’è una promessa di liberazione ma il modo e il mezzo mediante i quali questa liberazione sarebbe stata compiuta sono quasi totalmente velati. Questa promessa è come un seme dal quale lo scopo redentivo di Dio cresce. A mano a mano che la storia si dischiude c’è anche un dischiudersi della rivelazione della grazia redentiva di Dio al punto che, infine, con la venuta di Cristo, abbiamo la piena rivelazione della grazia salvifica di Dio [3]. Perciò la rivelazione cessò dopo l’era apostolica perché in Gesù Cristo il proposito redentivo di Dio è completamente rivelato.

Il patto cristiano, perciò, è caratterizzato dalla completa rivelazione del proposito redentivo di Dio in Gesù Cristo. Il velo è stato tolto. Noi vediamo con maggiore chiarezza dei patriarchi e dei profeti e il canone della Scrittura è chiuso perché la rivelazione di Dio di se stesso e della sua grazia salvifica è dischiusa completamente in Gesù Cristo.

Il secondo modo in cui il nuovo patto è un patto nuovo o migliore è correlato alla legge cerimoniale del vecchio patto. La legge cerimoniale regolava i sacrifici e le cerimonie che venivano svolte sotto il vecchio patto. Presentava la necessità di un atto di espiazione prima che il peccato potesse essere perdonato. Specificava ciò ch’era accettabile come offerta e regolava in che modo quell’offerta dovesse essere fatta. Specificava inoltre chi potesse officiare quelle cerimonie, e cioè i sacerdoti.

Questi sacrifici tipizzavano Cristo, come lo tipizzava pure il sacerdote che li amministrava. Nella Lettera agli Ebrei ci è detto che “è impossibile che il sangue di tori e di capri tolga i peccati” (Eb. 10:4). Perciò non era il sacrificio di questi animali in sé che toglieva i peccati del popolo, ma il fatto che prefiguravano e quindi trovavano il loro vero significato in Cristo, il cui unico atto di espiazione toglie via i peccati effettivamente. Per fede essi ricevevano la promessa di Cristo e della sua opera di espiazione, e quindi il perdono dei peccati, benché questo fosse loro amministrato sotto le forme di ombre e figure dell’Agnello di Dio.

È vero, naturalmente, che l’opera di espiazione di Cristo sulla croce fosse velata in quelle cerimonie e sacrifici e perciò che la gente non vedeva con chiarezza ciò a cui puntavano. Tuttavia, il fatto che la piena rivelazione della grazia salvifica di Dio in Gesù Cristo non fosse venuta fino a che Egli non venne come uomo e dimorò in mezzo a noi non altera la sostanza o contenuto della rivelazione precedente, e l’obbedienza che sgorga dalla fede in Dio, il quale solo stipula ciò che sia un accettabile sacrificio per il peccato, è ciò che è richiesto al popolo di Dio. Senza fede quei sacrifici non significavano nulla. La salvezza non giungeva ai credenti del Vecchio Testamento per opere della legge più di quanto non lo faccia oggi per i cristiani. La salvezza è sempre stata solamente per grazia di Dio in Cristo mediante la fede. La differenza tra il credente del Vecchio Testamento e quello del Nuovo Testamento è solo nel fatto che prima dell’incarnazione di Cristo il suo sacrificio d’espiazione per i peccati era presentato e amministrato in modo velato sotto i sacrifici e le cerimonie che formano il contenuto della legge cerimoniale.

Ora che Cristo è venuto e ha compiuto la propria opera di redenzione nella storia questi sacrifici sono stati adempiuti nel suo unico atto d’espiazione sulla croce. Anche il sacerdozio che amministrava questi sacrifici è stato compiuto in Cristo. Il suo unico atto di espiazione ha validità permanente. Pertanto l’osservanza di cerimonie e sacrifici è ora cessata. Ma la sostanza della legge sacrificale è ancora valida e cioè che “senza spargimento di sangue non c’è remissione dei peccati” (Eb. 9:22). La differenza è ora che Cristo ha sparso il proprio sangue una volta per sempre. Lo scopo o significato della legge sacrificale è pertanto stata realizzata definitivamente nella morte di Cristo.

A partire dalla venuta di Cristo, perciò, la legge sacrificale è osservata solo quando guardiamo a Cristo in fede e poniamo la nostra fiducia sul suo sacrificio espiatorio per i peccati al posto nostro. In questo modo la sostanza o contenuto dei patti per quanto concerne la necessità di una espiazione per il perdono dei peccati e la riconciliazione con Dio è la stessa, ma nel patto cristiano l’efficacia di chi fa quell’espiazione è nuova ed eterna.

Terzo, benché la sostanza del nuovo patto sia la stessa di quella del vecchio, a partire dalla venuta di Cristo e l’effusione dello Spirito santo alla Pentecoste la dinamica è nuova. I profeti avevano promesso che sarebbe venuto un tempo in cui Dio avrebbe versato il suo Spirito su tutta l’umanità. Gioele dice:

Dopo questo avverrà che io spanderò il mio Spirito sopra ogni carne, i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri vecchi faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. In quei giorni spanderò il mio Spirito anche sui servi e sulle serve. Farò prodigi nei cieli e sulla terra: sangue fuoco e colonne di fumo. Il sole sarà mutato in tenebre e la luna in sangue, prima che venga il grande e terribile giorno dell’Eterno. E avverrà che chiunque invocherà il nome dell’Eterno sarà salvato, perché sul monte Sion e in Gerusalemme vi sarà salvezza, come ha detto l’Eterno, e fra i superstiti che l’Eterno chiamerà (Gl. 2:28-32).

Isaia dice: “La mia salvezza sta per venire e la mia giustizia per essere rivelata” (Is. 56:1). Ci sono ovviamente molte altre profezie che dicono la stessa cosa. La venuta di Cristo era il grande evento a cui i profeti del Vecchio Testamento guardavano con attesa. Ora che Cristo è venuto tutte queste profezie erano state adempiute. E con la piena rivelazione della grazia di Dio in Gesù Cristo è venuta una nuova dinamica e un’effusione dello Spirito di Dio più grande che mai. Il nuovo patto è caratterizzato da una nuova e più potente manifestazione dello Spirito santo, benché la sostanza del patto rimanga la stessa.

La quarta differenza tra il vecchio e il nuovo patto consegue direttamente della terza, e cioè che lo scopo della maggiore manifestazione dello Spirito nell’era cristiana è per poter abilitare il popolo di Dio a predicare l’evangelo con franchezza e così estendere il patto oltre i confini della nazione d’Israele nel mondo intero.

Prima di Cristo Israele era la sola nazione pattizia. Certo, individui dalle nazioni Gentili potevano diventare convertiti al giudaismo e lo fecero, ed era responsabilità dei giudei proclamare e rendere testimonianza al messaggio della salvezza che era stato loro affidato (Ro. 2:19-20; 3:2), perché Dio aveva scelto e designato Israele affinché fosse una luce alle nazioni gentili (Is. 42:6). Ma Israele era l’unica nazione in patto con Dio. Dalla venuta di Cristo, però, questo è cambiato. Il patto ora è per tutte le nazioni. Il Grande Mandato che Cristo ha dato ai suoi discepoli lo conferma. Cristo ci ha comandato: “Andate dunque, e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt. 28:19 CEI). Le versioni protestanti di questo verso non trasmettono comunque il vero significato. Tendiamo a leggere la frase come dicesse “Andate dunque e fate discepoli da tutte le nazioni”. Questo perché l’italiano non ha il verbo “discepolare” che viene reso con fare discepoli di. Il greco però lo ha e “tutte le nazioni” è il complemento oggetto di questo verbo. In altre parole, Cristo sta commissionando i suoi seguaci di fare discepoli delle nazioni stesse e non semplicemente discepoli provenienti da tutte le nazioni. Il patto perciò non è più confinato a Israele, è per tutte le nazioni in quanto nazioni.

Di nuovo, la sostanza del patto rimane la stessa, ma nell’era cristiana l’ampiezza e l’applicazione del patto sono nuove. Tutte le nazioni devono essere ora rivendicate per Cristo e disciplinate sotto il suo governo e la sua autorità. I regni di questo mondo devono diventare il regno di nostro Signore e del suo Cristo (cfr. Ap. 11:15).

Quindi, per riassumere: il patto è un contratto vincolante o trattato tra Dio e l’umanità che definisce la relazione dell’uomo con Dio e col resto della creazione, con le seguenti qualificazioni, che per l’uomo il patto esiste in virtù della sua creazione nell’immagine di Dio, cioè il fatto della sua creaturalità, non è un accordo nel quale egli entra come parte consenziente autonoma. Questo patto vincola tutti gli uomini e mediante l’uomo tutta la creazione. L’uomo ha trasgredito il patto col suo peccato, ma questo non altera la natura pattizia della vita e quindi deve comunque affrontare le conseguenze della sua relazione con Dio ora spezzata. Dopo la caduta Dio ha redento il suo popolo mediante la sua grazia e con ciò ha ristabilito o rinnovato il suo patto con loro. In questa rinnovata relazione pattizia si entra per fede che risulta in pentimento — cioè un voltare le spalle al peccato — e in obbedienza alla volontà di Dio come dettata nella legge del patto. Il nuovo patto è il rinnovamento in Gesù Cristo dell’unico patto di grazia redentiva che era prevalso fin dalla caduta e dalla promessa di liberazione data ad Adamo nel giardino d’Eden, ma è un patto nuovo o migliore in quattro aspetti significativi: (1) in Cristo abbiamo la completa rivelazione del proposito redentivo di Dio; (2) la legge sacrificale è stata adempiuta e resa perfetta dalla morte di Cristo quale espiazione per il peccato e perciò non deve più essere osservata; (3) a partire dalla Pentecoste e l’infusione dello Spirito la dinamica è nuova e ben più grande di prima, e quindi (4) l’ampiezza del patto è adesso tanto grande da includere il mondo intero e ogni nazione sulla terra.

Qui bisognerebbe dire anche che la novità del patto cristiano non intacca la permanente validità dei termini del patto, cioè della legge, perché è stata cambiata solo la forma del patto non la sua sostanza. Cristo non ha accantonato la legge. In principio, neppure la legge cerimoniale è stata accantonata, è stata completata nell’opera di Cristo sulla croce e questa è la ragione per cui i riti sacrificali del Vecchio Testamento non devono più essere osservati. La sostanza della legge sacrificale è stata resa esecutiva in modo permanente dalla morte di Cristo, e questo è risultato in un cambiamento nella forma in cui è osservata, vale a dire che noi adesso guardiamo a Gesù Cristo e alla sua morte sulla croce come propiziazione per il nostro peccato e quindi come mezzo per cui siamo riconciliati con Dio. In altre parole noi ora osserviamo la legge sacrificale in Cristo solamente. In questo modo, la croce, anziché abrogare la legge, testifica della sua permanente validità. Cristo è venuto ed è morto per il peccato precisamente perché la legge non poteva essere accantonata, e nel farlo ha sancito la sua inviolabilità. Pertanto la legge deve oggi essere la nostra guida per la vita proprio come lo era per la nazione d’Israele molto tempo fa.

4. Lo scopo del patto.

Perché è importante tutto questo? È realmente necessario sapere tutto questo per vivere la vita cristiana? La risposta è sì. Non è necessario sapere tutto questo semplicemente per diventare un cristiano, ma è necessario per poter vivere coerentemente da cristiano [4]. Cosa intendo dire?

È stato detto che sia possibile avere l’anima salvata e la vita sprecata. Non solo è possibile, è, sfortunatamente, un dato di fatto per molti cristiani oggi. È così perché la salvezza oggi è vista primariamente nei termini di una esperienza personale, o al massimo un’esperienza o modo di vivere che è delimitato dai confini della chiesa istituzionale. Ma questa è una visione seriamente distorta della fede presentata nella bibbia. È una visione che ha reso la comunità cristiana totalmente impotente e irrilevante nella nostra società di oggi e che deve pertanto essere sfidata e rifiutata se vogliamo vivere coerentemente da cristiani.

La fede cristiana è un sistema totale di vita. È un modo di pensare e di vivere che abbraccia ogni aspetto della vita e dell’essere di un uomo. Se dobbiamo vivere questa fede nella totalità della nostra vita dobbiamo comprendere ciò che la Scrittura ha da dire su come dovremmo vivere. Questo ci riporta al patto. La vita di fede ruota intorno al patto. Perché?

Il patto è il piano di Dio per la vittoria. Di che vittoria si tratta? È la redenzione di questo mondo decaduto. Questa redenzione è stata compiuta definitivamente nella morte e resurrezione di Cristo. Ma questa vittoria sul Calvario deve adesso essere elaborata nella storia nella vita degli appartenenti al popolo di Dio. Ci è comandato di rivendicare il mondo per Cristo. L’apostolo Paolo dice: “Infatti anche se camminiamo nella carne, non guerreggiamo secondo la carne, perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti in Dio a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le argomentazioni ed ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e rendiamo sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo” (2 Co. 10:3-5).

Questo è il mandato che Dio ha dato al suo popolo. Dobbiamo assoggettare il mondo al governo di Cristo. Questo è l’obbiettivo, il proposito che il patto ci presenta. Questo patto è un patto di grazia, che significa una relazione stabilita sull’opera di redenzione di Gesù Cristo nella quale si entra per sola fede: ma è anche un patto di dominio in Gesù Cristo. In altre parole, siamo stati salvati per grazia mediante la fede affinché possiamo sottomettere la terra alla gloria di Dio. La vittoria è già stata vinta. Rimane ora al popolo di Dio elaborare questa vittoria nella storia.

In questo modo, il patto ci dà un obbiettivo, uno scopo per vivere, ovvero il dominio in Cristo. Ma ci dà anche un mezzo per raggiungere quell’obbiettivo, ovvero la legge. È la legge che ci guida ed istruisce su come dovremmo vivere, sia come individui che come società. Siamo salvati per la grazia di Dio affinché viviamo per Cristo. La legge ci mostra come dobbiamo vivere per Cristo e quindi come dobbiamo conseguire il dominio al quale in Cristo siamo chiamati. Applicando la legge di Dio alla nostra vita e alla nostra società cominceremo un procedimento di riforma e ricostruzione nella nostra nazione.

Deve cominciare da noi stessi, dalla nostra vita e da quelle per le quali siamo responsabili davanti a Dio. Ma deve andare oltre il personale e includere anche la dimensione sociale della vita, e così infine abbracciare il tutto della vita e della società in tutto il mondo. Ci è stato comandato di andare in tutto il mondo e predicare l’evangelo ad ogni creatura (Mc. 16:15). In questo modo il regno di Dio crescerà e il governo di Cristo sarà esteso su tutta la terra.

Conclusione

La vittoria di Cristo sul Calvario viene elaborata nella storia a mano a mano che le nazioni sono evangelizzate e portate sotto la disciplina di

Cristo. Questo è il Grande Mandato a cui il popolo di Dio è stato chiamato. Ma non possiamo sperare di compiere questa missione se non cerchiamo di comprendere e applicare le Scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento entrambe, perché sono queste Scritture che definiscono il patto sotto il quale Dio ha determinato di redimere il mondo. Senza una crescita nella nostra conoscenza degli insegnamenti della Scrittura e una dedizione ad essi siamo al massimo anime salvate con vite sprecate.

Sono ora tornato dove ho cominciato, con le scritture del Vecchio Testamento. Le scritture del Vecchio Testamento sono vitali per la vita cristiana perché dettano i termini, o legge del patto, sotto il quale siamo stati redenti ed ora viviamo. Il Nuovo Testamento presuppone la permanente validità delle dottrine del Vecchio Testamento, e il nuovo patto in Gesù Cristo può essere compreso correttamente solo nei termini della prospettiva di queste scritture.

È pertanto impossibile vivere coerentemente da cristiani e compiere il nostro Grande Mandato di discepolare tutte le nazioni se non siamo preparati a studiare e applicare alla nostra vita e alla nostra società gli insegnamenti del Vecchio Testamento, e la legge del patto che detta per tutte le nazioni.

Note:

1 Sul patto come trattato vedi Meredith G. Kline: The Structure of Biblical Authority; Grand Rapids, Michigan: Eerdmans, [1972] 1978.
2 Ciò non significa che non ci siano similarità tra i patti o trattati degli uomini e il patto che Dio ha stabilito con l’umanità. Certamente, c’è una necessaria similarità e connessione tra loro. La propensione dell’uomo a fare trattati è un riflesso e una conseguenza del fatto che egli è, al più fondamentale dei livelli, una creatura pattizia — cioè creato ad immagine di Dio un essere morale e pertanto soggetto alla legge assoluta, sovrana di Dio. Ecco che, nonostante ci siano differenze ci sono anche similarità tra il patto di Dio con l’umanità e i trattati degli uomini. Quest’ultimi fluiscono e sono resi possibili dal primo perché un trattato tra uomini richiede per fondamento la natura pattizia dell’uomo. Le similarità tra i due sono radicate nel fatto tutti gli uomini sono creature di Dio e pertanto condividono la stessa natura pattizia. La differenza risiede nel fatto che come Creatore la relazione di Dio con l’uomo è di un ordine interamente diverso dalle relazioni dell’uomo con i suoi consimili.
3 Nel dire che c’è sviluppo o crescita nel contenuto della rivelazione biblica non sto comportando che ci sia in alcun senso uno sviluppo o una evoluzione nella mente di Dio. Suggerirlo sarebbe totalmente non-biblico. Dio conosce la fine dal principio, e conosce la fine dal principio perché ha pianificato la fine dal principio (Is. 46:10). Dio è totalmente auto-consapevole, a sé stante e onnisciente; non c’è crescita o sviluppo nella sua conoscenza tanto di se stesso che della creazione. Ma c’è sviluppo nel procedimento storico della rivelazione. Anticamente Dio ha parlato in svariati modi per mezzo dei profeti, ma ha ora parlato in modo definitivo nel suo Figlio, e il proposito redentivo di Dio è rivelato completamente in Gesù Cristo. Sulla natura progressiva della rivelazione biblica, vedi Geerhardus Vos: Teologia Biblica; Caltanissetta: Alfa e Omega, 2005.
4 Una conoscenza salvifica di Cristo, benché presupponga una conoscenza del peccato e perciò una comprensione basilare della dottrina della legge, non presuppone una conoscenza avanzata o dettagliata della Scrittura. La fede salvifica è ingenua. Però questo fatto non deve essere usato come scusante per la negligenza e indolenza nella comprensione della fede cristiana (Eb. 2:1-3). Quelli che predicano ciò che insistono a definire “il semplice vangelo” — che in realtà è la loro semplicistica versione del vangelo — e che rifiutano assolutamente di venire a termini col pieno contenuto della Scrittura e delle richieste che fa sul tutto della vita dell’uomo, non si possono nascondere dietro la natura ingenua della fede salvifica. Il progresso verso la maturità nella comprensione, in quanto aspetto essenziale del procedimento della santificazione, è necessario in coloro i quali sono veri credenti, e mancare di farlo indica un problema fondamentale nella vita cristiana.


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