Introduzione
Ecclesiaste è un libro stranamente affascinante. La sua apparentemente inesauribile riserva di “detti” o aforismi citati e citabili affascina le menti per le quali le uniche certezze sono costituite delle banalità moralistiche. Frasi fatte pescate dal libro affiorano ovunque tra una varietà di autori, in diversi contesti letterari, e per scopi diversi. Si incontrano riferimenti ad esse in opere di storia, psicologia, filosofia, teoria sociale, e romanzi, per citarne solo alcuni. In breve, i detti caratteristici del libro dell’Ecclesiaste sono sostanzialmente familiari alle nostre moderne élite acculturate e a letterati vari, e non sono appannaggio esclusivo di teologi e studiosi della Bibbia, e neppure di scrittori d’interesse esclusivamente etico. Le loro terse espressioni stereotipate si prestano facilmente a detti proverbiali e assiomi moraleggianti. Dove non sono riprodotte alla lettera, spesso sembrano trasmettere, in parole approssimative, l’essenza di ciò che si pensa significhino. Come sono familiari! E come facilmente vengono alla mente – “Vanità delle vanità, tutto è vanità”, “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”, “Poiché dove c’è molta sapienza c’è molto affanno e chi aumenta la conoscenza, aumenta il dolore.”, “Per ogni cosa c’è la sua stagione c’è un tempo per ogni situazione sotto il cielo”; “Infatti tutto ciò che succede ai figli degli uomini succede alle bestie … Come muore l’uno, così muore l’altra”; “Una corda a tre capi non si rompe tanto presto” ; “Tutta la fatica dell’uomo è per la sua bocca, tuttavia il suo appetito non si sazia mai”; “Quando crescono i beni aumentano pure quelli che li divorano”; “Getta il tuo pane sulle acque, perché dopo molti giorni lo ritroverai”; “Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza”; “Si scrivono tanti libri, ma non si finisce mai, e il molto studiare affatica il corpo.” – la lista sembra interminabile. Eppure, nonostante la nostra dimestichezza con gli aforismi geniali di Ecclesiaste, il libro nel suo complesso rimane un mistero incomprensibile, un enorme enigma nel bel mezzo della sacra Scrittura! Nel peggiore dei casi, esprime la stridente patologia di un uomo, un uomo amaramente negativo e pessimista per il quale sicuramente “il giorno della morte è meglio del giorno della nascita” (7: 1).
Per molti cristiani il negativismo che sembra avere il libro dell’Ecclesiaste è particolarmente turbativo. Di conseguenza, come succede in genere coi fornitori di moderno moralismo, quando smettono di moralizzare dal libro, non sapendo cos’altro farne, di solito lo evitano del tutto. La spiegazione di questo stato di cose non va cercata troppo lontano. Deriva dal preconcetto che molti cristiani hanno di ciò che il messaggio del “vangelo” contenga, e nella loro mente il libro di Ecclesiaste non trasmette lo stesso messaggio. Nella migliore delle ipotesi, Ecclesiaste è una preparazione al vangelo “buona novella”, ma non esso stesso portatore di quel messaggio. Il problema, tuttavia, è molto più profondo di questo, perché il concetto del vangelo nella mente di molte persone sembra un concetto molto umanistico. Il suo eccelso contenuto è diventato centrato sull’uomo e di natura esperienziale-soggettivista. Modelli melensi di amore e di buoni sentimenti sono venuti a sostituire la sostanza formidabile della fede cristiana. L’interesse principale è per l’uomo e le sue esigenze, piuttosto che per Dio e la sua volontà. E quando si parla di bisogni dell’uomo in realtà s’intendono le “voglie” dell’uomo. Con questo atteggiamento caratteristico difficilmente esitiamo a richiedere che la Scrittura venga incontro, sopra ogni altra cosa, alla nostra soddisfazione. Una volta che vediamo la nostra esperienza personale come fondamentale, il contenuto del “vangelo” è destinato a diventare niente più che un mezzo per gratificare quell’esperienza. Non importa che possa persino essere visto come il mezzo “più alto”, ciò che veramente conta è esclusivamente la sua “utilità” per la nostra esperienza.
Quando la nostra esperienza si misura dalle nostre percezioni, e non da ciò che Dio ci dice che dovrebbe essere, essa stipula come ci poniamo nei confronti della Scrittura nel suo insieme. Inevitabilmente condizioniamo ciò che pensiamo debba dire. I cristiani sono giunti ad insistere sul fatto che la Parola di Dio deve essere immediatamente “pratica”, cioè, un elisir adatto per nutrire l’autostima, un tonico per il tedio emotivo e sentimenti di noia e di alienazione, un narcotico felice per le vessazioni della moderna esistenza di massa. Effettivamente, la Parola di Dio ha della dottrina, anche. Questo è importante fino a un certo punto, ma non bisogna dargli troppa importanza. Inoltre, la dottrina è così divisiva. Non ci sono due persone, a quanto pare, che siano d’accordo su ogni dettaglio della dottrina. L’interesse per la verità è intellettualistico e gonfio d’orgoglio. A che serve allora? Esso non è di alcuna utilità. Non è meglio concentrare tutta la nostra attenzione su quelle questioni “pratiche” che sono una caratteristica comune dell’esperienza di ogni persona in questi tempi? Forse, questo potrebbe non sembrare così obbiettabile come diventerebbe se permettessimo alla Bibbia di dirci che cosa sia pratico che gli uomini facciano. Ma nella nostra cultura narcisistica abbiamo le nostre idee, e la Scrittura farà meglio a conformarsi alla nostra idea di ciò che è pratico. Quindi, se non possiamo discernere immediatamente la praticità di una porzione della Scrittura questa viene passata sotto silenzio o interpretata in modo da soddisfare il nostro previo senso di ciò che è utile. Forse nessun libro della Scrittura è stato trattato in questo modo più di Ecclesiaste.
Ecclesiaste non dice nulla circa “l’amore di Dio”. È muto riguardo alla sua compassione e simpatia per le ferite e le difficoltà degli esseri umani. Manca di qualsiasi indulgenza per la nostra attuale lagnosa auto-preoccupazione. Anziché essere caldo, edificante e positivo, il suo messaggio è freddo, duro e negativo. Come può qualcosa che è così insensibile ai nostro pre-definiti bisogni emotivi e psicologici aver qualcosa di utile da dire? Non sorprende che, mentre i cristiani possono accordargli un posto nelle loro Bibbie, stentino a trovargli posto nei loro cuori e le loro menti. Per la maggior parte di essi, rimane un libro chiuso.
Il problema nella comprensione di Ecclesiaste e nel discernere la sua importanza nella Scrittura è profonda e pervasiva. Essa deriva dal più generale fallimento nel comprendere Parola di Dio nel suo insieme la quale comunica un messaggio esauriente all’uomo nella totalità della sua esperienza della creazione ed esistenza nel mondo. Eppure, mentre la Bibbia parla all’uomo, il suo contenuto concerne principalmente Dio a cui l’uomo deve infine rendere conto. La Bibbia fornisce la spiegazione per l’esistenza dell’uomo, interpreta il tutto della vita. Dice che l’uomo è stato creato per servire e glorificare Dio e godere Lui per sempre. Questo è il fine dell’uomo; questo è il tutto della sua vita. Tutto ciò che egli è e fa dovrebbe essere radicato e scaturire da questo scopo. Dio ha inteso che l’uomo in ogni aspetto del suo essere elabori le implicazioni di questo che è il motivo principale per la sua esistenza.
La Bibbia è la parola pattizia di Dio all’uomo, sul quale egli reclama la sovranità esclusiva e l’autorità. Racconta della ribellione dell’uomo contro Dio, e di come questo sia risultato nella maledizione per l’uomo; che la sofferenza e la morte sono la sanzione che ha giustamente meritato per la sua disobbedienza. Nonostante questo, e perché il giudizio di Dio è stato ritardato, l’uomo procede con fiducia nell’erigere la sua cultura e la sua civiltà in un atteggiamento d’ostilità verso Dio e con disprezzo per il proposito originale di Dio per l’uomo. Invece di costruire il Regno di Dio per la gloria di Dio, l’uomo cerca ora di costruire il regno dell’uomo per la gloria dell’uomo. Si tratta di una delusione triste e profonda, perché la maledizione di Dio sulla sua vita vanificherà ogni tentativo da parte dell’uomo ribelle di raggiungere qualcosa di vero valore. È futile lottare contro Dio. Eppure, l’uomo ostinatamente e stupidamente persiste nella sua ribellione peccaminosa. È cieco sull’impossibilità che la sua ribellione possa avere successo. Questa follia e stupidità dell’uomo è il grande peso della “letteratura sapienziale” della Scrittura, soprattutto di Ecclesiaste. Una delle preoccupazioni principali di questa “letteratura sapienziale,” e certamente di Ecclesiaste, è quella di fugare all’uomo peccatore ogni possibilità che la sua vita possa essere feconda di alcunché di duraturo – di qui l’affermazione ripetuta del libro che “tutto è vanità e inseguire il vento”. Senza Dio questo è tutto ciò che questa vita può essere.
Per distruggere con successo la fede dell’uomo in se stesso e nei suoi sforzi separatamente da Dio, la “letteratura sapienziale” – Ecclesiaste in particolare, proferisce un messaggio fortemente negativo. Perché sia così forse può essere compreso da un commento di Cornelius Van Til: “In questo mondo di peccato nessun individuo cristiano e nessuna organizzazione cristiana può essere positivo e costruttivo fino a dopo che siano stati negativi e distruttivi. Negare o ignorare questo fatto è negare o ignorare il fatto del peccato”. Il negativismo e pessimismo dell’Ecclesiaste è diretto all’assunzione umanistica e la fiducia totale che l’uomo ha nella propria vita e nelle proprie opere. Infatti prende il fatto del peccato molto sul serio. La sapienza di Dio smantella l’ottimismo della pretesa sapienza autonoma dell’uomo peccatore. Demolisce la disinvoltura con la quale l’uomo secolare coccola tutti i suoi ideali. Ecclesiaste è un discredito implacabile dell’uomo umanista e di tutto ciò che la sua vita rappresenta nella sua rivolta contro Dio. Presenta la chiara affermazione che la parola-legge di Dio è la somma e la sostanza della vera sapienza. Il suo “vangelo” proclama che l’obbedienza ad essa “è il tutto dell’uomo” (12:13). Qualsiasi cosa inferiore a questo è “senza-significato” perché la fine dell’uomo è la morte e il giudizio. Tutto ciò che ha fatto sarà valutato dalla sua fedeltà alla parola-legge di Dio. Se fallisce, avrà veramente faticato “invano”. Ecclesiaste contiene un messaggio che è necessario che anche i cristiani prendano seriamente in considerazione. Infatti Ecclesiaste offre anche un solenne avvertimento contro la tentazione di lasciare i sentieri di giustizia e di seguire le vie della sapienza del mondo, che sono le vie della vanità, dell’assenza di significato, e della morte.
In Ecclesiaste la controversia è tra le vie dell’uomo e la via di Dio. L’esito del confronto non è in discussione. La dichiarazione “vanità delle vanità” non è solo una convinzione personale da parte dell’autore; è il verdetto che sotto la guida e l’ispirazione dello Spirito Santo, egli rende sulla pretesa sapienza autonoma dell’uomo caduto. Ecclesiaste mina ogni puntello su cui possiamo contare che non tenga conto di Dio e della sua parola sovrana. Il suo è un messaggio vitale per i nostri tempi.