Capitolo XX 

La Resurrezione dei Morti

 

La dottrina della resurrezione di Gesù Cristo e della resurrezione generale è fondamentale per i credi e per la testimonianza apostolica. S. Paolo ha esposto la questione chiaramente: “Difatti, se i morti non resuscitano, neppure Cristo è stato resuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la nostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che sono morti in Cristo, sono dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miseri fra tutti gli uomini. Ma ora Cristo è stato resuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti. Infatti, poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la resurrezione dei morti ” (1 Co. 15:16-21).

L’atteggiamento di molte persone è che il cristianesimo, ponendo la fede e la religione su una base materiale come la resurrezione, è colpevole di un prospettiva materialistica ed egocentrica. Si afferma che la vera religione dovrebbe richiedere la nobiltà in nome della nobiltà, senza altra ricompensa che la soddisfazione di essere ciò che uno è. Ma questo atteggiamento è di per se stesso l’epitome del peccato nel fatto che innalza l’autonomia morale ad essenza della vera vita. L’uomo è il proprio Dio, si appaga della propria autonomia, non abbisogna di altra ricompensa che la soddisfazione di essere se stesso. La religione biblica chiama all’obbedienza a Dio e promette il premio per l’obbedienza e maledice la disobbedienza. La dottrina della resurrezione è fondamentale per il sistema biblico delle retribuzioni, ma è anche centrale per la dottrina della creazione e redenzione.

Dal momento che Tertulliano, che è spesso accusato di avere un atteggiamento negativo verso il corpo e di manifestare fortemente aspetti ascetici, è istruttivo esaminare gli scritti di Tertulliano per stabilire la dottrina cristiana della resurrezione e le sue conseguenze.

Prima di tutto Tertulliano chiarì che non c’è autentico cristianesimo senza la dottrina della resurrezione. “Non sarà un cristiano, quindi, colui che negherà questa dottrina che è confessata dai cristiani” [1]. La dottrina è aliena, affermava Tertulliano, al paganesimo, ma “La resurrezione dei morti è la fede dei cristiani” [2].

Secondo, la dottrina della resurrezione è la logica conclusione della dottrina della creazione. Per il paganesimo, la mortalità e quindi la carne è un turpe fatto. Sia gli eretici che i pagani, sebbene confessino di essere assai più adatti alla vita che gli ortodossi, odiano il corpo.

Non è il loro fardello dall’inizio e ovunque un’invettiva contro la carne – contro la sua origine, contro la sua sostanza, contro le fatalità e l’invariabile fine che l’attende; sporco per la sua formazione primordiale delle scorie della terra, sporco poi per il fango della sua trasmissione seminale; inutile, debole, coperto di colpa, afflitto dalla miseria, pieno di guai; e dopo questo elenco di degradazioni, tornando alla sua terra originale assumendo l’appellativo di salma e destinato a degradare da quel momento in poi da questo ripugnante nome al nulla – nella vera morte dell’intera designazione? [3].

Per i pagani, la vita era tormentata da un’eterna ricorrenza, per mezzo del cambiamento e della decadenza in un ciclo senza fine e senza significato. Per essi, l’orrore della carne era la sua inevitabile decadenza. La carne era perciò una specie di trappola per l’umanità. Il pensiero greco primordiale si rivolse anche alla trasmigrazione delle anime, come con Pitagora. Fu affermato da alcuni “che, tenuto conto di questo, non dovrebbero anche astenersi dal mangiare la carne degli animali? Potrebbe qualcuno essere persuaso di doversi astenere per paura di mangiare per caso nel suo manzo uno dei suoi antenati?” A tutte queste assurde opinioni viene attribuita rispettabilità intellettuale “Ma se un cristiano promette il ritorno di un uomo da un uomo e proprio il vero Gaio da Gaio, le urla della gente lo sommergeranno; essi pure non gli rivolgeranno più l’attenzione” [4].

Questo è un punto significativo: il mondo dell’antichità, imbevuto di umanesimo, tollerava qualsiasi assurdità riguardo alla vita futura ma rigettava, spesso senza ascoltare, o chiedendo che il predicatore venisse ucciso, la dottrina della resurrezione. Il motivo è ovvio. Ciascuno di questi credi alternativi, cioè l’immortalità dell’anima, reincarnazione o trasmigrazione, ecc., affermano tutti la sostanziale divinità dell’uomo e la sua autonoma salvezza. La dottrina biblica fa dell’uomo un creatura e di Dio il sovrano. Essa ha posto l’intera vita dell’uomo sotto un Dio globale, e questa fu ed è l’offesa della dottrina della resurrezione. L’immortalità dell’anima, in qualsiasi forma, è una dottrina che fa dell’uomo il proprio dio e salvatore; essa offre all’uomo un universo “aperto”, cioè libero da Dio, che è compito dell’uomo esplorare nel tempo e nell’eternità.

Dio, avendo creato tutte le cose a propria gloria, non permette al peccato e alla Caduta di frustrare il proprio scopo; per questo Tertulliano disse: “tutta la creazione tende al rinnovamento”. Lo scopo di Dio è la restaurazione e il compimento di tutte le cose. “Il complesso, quindi, di questo rivoluzionario ordine di cose testimonia la resurrezione dei morti” [5].

Terzo, non solo il destino dell’uomo è la resurrezione e la gloria della vita eterna, ma la sua vita presente nel corpo non deve essere compresa in modo falsato. È l’uomo il peccatore, non il corpo.

Noi manteniamo, inoltre, che ciò che è stato da Dio abolito non è il carnem peccati, “carne peccatrice”, ma peccatum carnis, “peccato nella carne”, – non la cosa materiale, ma la sua condizione; non la sostanza, ma il suo difetto; e noi questo affermiamo sull’autorità dell’apostolo che dice: “egli ha abolito il peccato nella carne” [6].

Inoltre Tertulliano sottolineò: sono le “opere della carne”, non la sostanza della carne, che san Paolo condannava sempre [7].

L’uomo in realtà è stato creato con la polvere o argilla della terra. È sull’uomo, sulla creta umana, che Dio ha soffiato per creare un’anima vivente. “Io desidero imprimere questo alla vostra attenzione, con l’intenzione di farvi capire che qualunque cosa Dio avesse come scopo o promesso all’uomo, è dovuto non solo all’anima, ma anche alla carne; se non scaturente da una comunità alle sue origini, almeno posseduto per privilegio da quest’ultima nel suo nome” [8]. Dio ha eliminato l’argilla nell’uomo e l’ha assorbita nella carne; l’argilla è diventata un’altra sostanza, la carne [9]. Parlare del corpo come “sporco” e quindi spregevole significa disonorarlo; il corpo deve essere visto secondo ciò che Dio ne ha fatto nella creazione e ne fa nella resurrezione. Non c’è vergogna sulla terra, ma le cose devono essere viste nella loro giusta prospettiva: il corpo nella sua prima creazione era destinato ad essere il veicolo della gloria di Dio il Figlio:

Perciò, quell’argilla che anche allora si stava rivestendo dell’immagine di Cristo, che sarebbe dovuto diventare carne, non rappresentava solo l’opera, ma anche il pegno e la garanzia di Dio. E a che scopo si deve discutere del termine terra, come di uno squallido e abietto elemento, con l’intenzione di offuscare l’origine della carne, quando, anche se fosse stato disponibile qualsiasi altro materiale per formare l’uomo, sarebbe stato richiesto che la dignità del Creatore avrebbe dovuta essere messa in discussione, che anche per mezzo della sua scelta del suo materiale l’ha giudicata e per mezzo della sua gestione l’ha resa meritevole?… Alla carne è stato garantito il privilegio di essere più nobile della sua origine ed aver incrementato la sua felicità con il cambiamento operato in essa. Ora, anche l’oro è terra, per via della terra, ma non rimane terra anche dopo che diventa oro, ma è una sostanza completamente diversa, più splendida e più nobile, sebbene proveniente da un fonte che in confronto è scolorita ed oscura. In maniera simile, è ammissibile per Dio che egli debba pulire l’oro della nostra carne da tutte le macchie, come le ritieni, della creta nativa, purificando la sostanza originaria dalle sue scorie [10].

“L’oro della nostra carne!” Questo è certamente un elogio notevole del corpo e rappresenta un importante elemento dell’insegnamento della chiesa primitiva.

La visione greco-romana era ostile nei confronti del corpo. Essa vedeva il mondo secondo la dialettica di forma – materia, dove forma o idee erano la sostanza più alta e più autentica, mentre la materia era la sostanza o l’essere più basso. Non c’era alcun piacere nel o alcun rispetto per il corpo della cultura classica; c’era piuttosto diletto nei piaceri del corpo uniti con il disprezzo del corpo stesso. Di conseguenza, questa visione ellenica si prestò presto o ad una licenza totale o ad un ascetismo radicale. Fu questa influenza ellenica che introdusse l’ascetismo nella chiesa primitiva. L’ascetismo non aveva radici né nel Vecchio Testamento, né nel Nuovo, sebbene testi travisati siano stati usati per giustificarlo.

Il deprezzamento pagano per il corpo o la materia portò a due conseguenze. Primo, portò da un lato all’ascetismo, ai tentativi di trascendere il corpo rifiutando il corpo stesso. Secondo, portò ad un’aperta mancanza di moralismo e alla licenziosità. Il corpo era un fatto sub morale e quindi fuori dai confini dell’etica. Il corpo venne quindi rifiutato per mezzo di una studiata indifferenza morale agli atti del corpo, in modo che l’immoralità diventasse una via ascetica, un mezzo per rinunciare al corpo.

Ambedue forme di paganesimo continuano nel mondo moderno, sebbene il secondo sia specialmente diffuso nel ventesimo secolo.

Anche l’odio pagano per il cambiamento fu una forma di ascetismo ed è presente virtualmente in tutti i movimenti anti-cristiani. L’odio nei confronti del cambiamento conduce ai tentativi di fermare il cambiamento, di fermare la storia e di creare una civiltà di fine storia, un ordine finale che porrà fine alla mutabilità e darà all’uomo un mondo stabile. Parte di questo ordine coinvolge anche gli sforzi scientifici di sconfiggere la morte. Questo odio verso il cambiamento è odio verso la creazione e i suoi movimenti secondo i propositi di Dio. Diversamente dal pagano e dall’umanista, il cristiano ortodosso è chiamato al rispetto della creazione.

Il rispetto della creazione è la radice della scienza nell’Occidente cristiano. Non è una casualità della storia che la scienza nelle altre culture abbia avuto una crescita limitata e un veloce inaridimento. Tanto il fatto che l’eterno decreto di Dio sostiene tutta la creazione con leggi quanto il fatto della resurrezione che dà dignità ed importanza all’universo fisico, resero inevitabile l’interesse nei confronti dell’universo e lo sviluppo della scienza.

La prospettiva pagana è caratterizzata da un fondamentale disprezzo per la creazione e per l’universo. I problemi fondamentali per il pensiero ellenico furono il cambiamento e la decadenza e, ovunque il neoplatonismo e l’Aristotelismo abbiano influenzato la chiesa, quest’attenzione è riapparsa. Per il cristiano che sia portatore di una fede biblica, cambiamento e decadenza non sono problemi: il peccato esiste e la morte è la conseguenza del peccato. Quindi, quando lo scrittore di inni, Henry F. Lyte (1793-1847), scrisse, in “Abide Withe Me”:

Change and decay in all around I see,
O thou, who changest not, abide with me

stava mostrando un’influenza ellenica. Quando gli uomini cominciano a lamentarsi della mutabilità, essi si lamentano come greci, non come cristiani, perché per il cristiano la mutabilità porta verso lo scopo prestabilito da Dio. Isaia affrontò frontalmente il lamento della mutabilità, “tutta la carne è erba”, affermandolo nel contesto della onnipotenza di Dio ed eterno decreto (Is. 40:6-31).

L’affermazione biblica della dottrina della resurrezione, come assunta da san Paolo in 1 Corinzi 15:16-21, chiarisce parecchi fatti fondamentali per la fede. Primo, la resurrezione di Gesù Cristo è inseparabilmente legata alla resurrezione di tutti i credenti. Secondo, senza resurrezione la nostra fede è vana e siamo uomini miserabili. Non siamo autonomi, ed è l’epitome dell’insania immaginare che il nostro destino e salvezza siano nelle nostra mani. Terzo, Gesù Cristo, come vero uomo di vero uomo, ha aperto per la sua chiesa, per i suoi membri il glorioso destino che sono loro propri. Questo significa una vita redenta nel tempo, essendo stata la maledizione rimossa dal corpo e dall’anima, amore e lavoro, nella misura in cui siamo santificati. Significa inoltre, la gloria della resurrezione generale e la perfezione della vita fisica nel corpo risorto e con la vita eterna. Il destino dell’uomo è di essere una creatura sotto Dio, non di sfuggire dalla condizione di creatura. Coloro che sono stati redenti da Gesù Cristo gioiscono come creature sotto Dio e la vita nella carne è per essi benedetta e le prospettive della resurrezione gloriose. È perciò fondamentale per il credalismo affermare: “Io credo nella…. resurrezione del corpo e la vita eterna,” o come dichiara ancor più trionfalmente il credo di Nicea: “E io aspetto la resurrezione dei morti: e la vita del mondo che verrà. Amen”.

Questa è la fede cristiana, la resurrezione. L’antichità pagana, al pari delle culture “primitive” portava a credere in un’anima soprannaturale e immortale. Che si esprima nella sua forza ellenistica o con quella animista, questa visione è aliena alle prospettive bibliche. “L’immortalità” nella Scrittura è attribuita a Dio solo. San Paolo dichiarò che Dio “solo ha l’immortalità” (1 Ti. 6:16 cfr. 1:17), e quando il termine viene applicato all’uomo in 1 Corinzi 15:53,54 non viene detto che sia una condizione naturale dell’uomo, ma un miracolo della grazia: “Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità”. L’immortalità è citata da Paolo non come un condizione dell’uomo ma come un aspetto della grazia di Cristo nei confronti dei santificato (Ro. 2:6,7). È Gesù Cristo “che ha distrutto la morte e ha messo in luce la vita e l’immortalità mediante il vangelo” (2 Ti. 1:10). Questi sono gli unici versi della bibbia che usano le parole “immortale” (1 Tim. 1:17) e “immortalità” (Ro. 2:7; 1 Co. 15:53,54; 1 Ti. 6:16; 2 Ti. 1:10). La prospettiva ellenica concepiva l’anima immortale, fondamentalmente divina e in sostanza sotto limitazione per via della mescolanza con la terra del corpo. Nel neoplatonismo, il corpo era concepito come la prigione dell’anima e l’anima aveva il dovere di rinunciare al corpo e di trascenderlo. Quando e dove l’anima sia vista come una sostanza diversa dal corpo, diventa inevitabile il disprezzo di quest’ultimo. Il corpo, come se si trattasse di una sostanza inferiore, è un elemento di base e l’anima, o di fatto o potenzialmente, è divina. Ma questa prospettiva che ha notevolmente inquinato la chiesa e influenzato molti dei suoi padri, Tertulliano incluso, non è biblica. Essa è ostile al rispetto del corpo, contuttoché conduce alla licenza. La cultura greca fu congeniale alla licenza ma ostile all’autentico materialismo.

Per la bibbia, il corpo e l’anima sono ugualmente creati da Dio, ugualmente caduti, depravati, reprobi in Adamo, ugualmente redenti in Cristo e da considerarsi doni di Dio e la sorte dell’uomo. Sia il corpo che l’anima andranno ad assumere l’immortalità e godere delle gioie della resurrezione [11]. Sia il corpo che l’anima vanno quindi trattati con rispetto come creazione e benedizione di Dio, meravigliosi ora e gloriosi nel mondo a venire. La fede certa del Credo di Nicea afferma: “E io aspetto la resurrezione dei morti: e la vita del mondo che verrà”.

Note:
1 Tertulliano, “A Treatise on the Resurrection of the Flesh,” cap. III, Ante-Nicene Library, vol. XV. Writings ofTertullian, vol. II (Edinburgh: T&T Clark, 1874), 221.
2 Ibid., cap. I, 215.
3 Ibid., cap. IV, 222.
4 Tertulliano, “Apologeticus,” Ante-Nicene Library, Vol. XI, Writings of Tertullian, vol. I, (!872), 133.
5 Tertullian, “On the resurrection of the Flesh,” cap. XII, Writings, II, 235.
6 Tertulliano, “On the Flesh of Christ”. cap. XVI, in Writings, II, 198.
7 Tertulliano, “On the resurrection of the Flesh,” cap. XLVI, II, 295.
8 Ibid., cap. V; II, 225.
9 Ibid., cap. V; II, 225 e s.
10 Ibid., cap. vi; II, 226.
11 L’antica credenza egiziana nella resurrezione era radicalmente differente dalla fede biblica. Come chiarisce Il Libro dei Morti il credo egiziano era nella divinizzazione del corpo e quindi più vicino ad altre visioni di divinizzazione; la differenza consiste nel fatto che la divinità diventava una proprietà del corpo come dell’anima.


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