PARTE II: L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE DI DIO PER
SCOPI POLITICI
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LE IMPLICAZIONI POLITICHE DEL VANGELO TOTALE
“Se dobbiamo glorificare Dio perfino quando mangiamo e beviamo, allora sicuramente dobbiamo glorificarlo anche nel modo in cui votiamo e con ciò incoraggiamo statisti a governare la nostra società.”
Un tempo la prassi richiedeva che quando un autore che credeva la bibbia volesse scrivere su qualche aspetto della moralità sociale o di disposizioni politiche, dovesse fare un’apologia introduttiva ed una difesa per essere entrato in una tale area di discussione. Dato il retroterra del coinvolgimento liberal o modernista in politica, data la minaccia del vangelo sociale, e dato il ritiro evangelicale dal mondo incoraggiato da pietismo ecclesiocentrico e da dispensazionalismo che nega la legge, chiunque scrivesse sul soggetto dell’etica politica o sociale sarebbe stato facilmente sospettato di compromissione o di abbandono della fede. Così le pubblicazioni riformate ed evangelicali in queste aree sono state caratterizzate dalla reticenza.
I tempi sono ovviamente cambiati, basta prestare attenzione alla valanga di libri che hanno cominciato ad essere pubblicati negli ultimi anni sull’approccio cristiano (evangelicale o riformato) alla politica e all’etica sociale. Di fatto, il pendolo è ri-oscillato indietro talmente tanto nell’altra direzione da rendere assai probabile che qualche misura di sospetto circondi qualsiasi autore che crede nella bibbia che rinunci o ignori completamente un interesse talmente vitale. Fidati scrittori nella tradizione teologica conservatrice si sono impegnati a scrivere le loro opinioni riguardo alla moralità politica. Uomini con visibili connessioni politiche hanno scritto della loro conversione e del loro coinvolgimento cristiano nella guida della società. Problemi pressanti nel governo dello stato, dalla tolleranza nei confronti dell’omosessualità all’aborto legalizzato, hanno costretto a porre fine alla prassi del silenzio cristiano in questioni sociali d’attualità. Un crescente interesse nella nozione che la cristianità riguarda l’uomo intero (non semplicemente il suo destino interiore “spirituale”, che i suoi principi toccano tutti gli ambiti di vita (non meramente un’ora di d’adorazione la Domenica), e che la venuta del regno di Cristo ha implicazioni per il rinnovamento della creazione intera (e non solo la salvezza di anime dal fuoco dell’inferno) si è naturalmente risolto in un aumentato interesse per la visione cristiana di scienza, arte, economia, politica e di ogni altra cosa. Così, grazie a molti fattori, nell’ultima generazione i cristiani sono diventati sempre più politicamente consapevoli e attivi.
Niente di tutto ciò dovrebbe legittimamente suggerire, naturalmente, che la cristianità sia primariamente o più cospicuamente una posizione politica. Deve non minimizzare la centralità della verità indispensabile della buona novella che Cristo è venuto per salvare il suo popolo dalla maledizione del peccato e dalla punizione del giudizio finale per la loro ribellione; la croce e la resurrezione, l’opera rigeneratrice dello Spirito santo, e la necessità della giustificazione per fede non sono state dimenticate o subordinate. Però, le piene implicazioni di queste verità sono nuovamente apprezzate, come lo sono state in tempi precedenti dell’esistenza della chiesa.
Re Gesù
Nel 1719 Isaac Watts scrisse un inno ora famoso che esprime alcune di queste implicazioni, un inno che i cristiani biblici hanno cantato (specialmente nel periodo natalizio, e perciò spesso accompagnati da molti non credenti) per più di due secoli e mezzo:
Joy to the world! The Lord is come:
Gioia al mondo il Signore è venuto
Let earth receive her King;
La terra riceva il suo Re
Let every heart
Ogni cuore
Prepare Him room,
Gli faccia posto
And heaven and nature sing.
Cielo e terra cantino.
Joy to the earth! the Saviour reigns:
Gioia alla terra! Il Salvatore regna
Let men their songs employ;
Gli uomini usino i loro cantici
While fields and floods
mentre campi e piogge
Rocks hills and plains
Monti, colline, pianure
Repeat the sounding joy
Ripetano la gioia cantata
He rules the world with truth and grace
Egli governa il mondo con verità e grazia
And makes the nations prove
E fa sperimentare alle nazioni
The glories of His righteousness
Le glorie della sua giustizia
And wonders of His love
E le meraviglie del suo amore
No more let sin and sorrow grow,
Peccato e dolore non crescano più
Nor thorns infest the ground;
Nè infestino la terra le spine
He comes to make the blessings flow
Egli viene a inondare di benedizioni
Far as the curse is found
Dovunque si trovi la maledizione (per il peccato originale)
La chiesa ha cantato già da anni le implicazioni politiche del vangelo! Ha cantato che la terra deve ricevere il suo Re — un Salvatore regnante che governa il mondo, facendo sperimentare la sua giustizia alle nazioni. E questo Re è interessato a più che l’anima interiore degli uomini e la loro esistenza celeste nel futuro. Come Salvatore dal peccato, Cristo è interessato in ogni aspetto della vita che è stato infettato dal peccato quando l’uomo cadde. “Egli viene a far fluire le sue benedizioni ovunque ci sia la maledizione”. Proprio perché l’esistenza sociale dell’uomo e i suoi sforzi politici sono stati maledetti dal peccato, Cristo il Re fa sperimentare la sua giustizia nell’ambito della politica umana, proprio come regna su ogni altro dipartimento di pensiero, vita, e comportamento dell’uomo.
La prima chiesa era ben consapevole delle implicazioni politiche di essere cristiani. Essere un “cristiano”, un discepolo o seguace di Cristo (At. 11:26) significava confessare Gesù Cristo come Salvatore, Messia e Signore. I cristiani dichiaravano che Gesù era il loro Salvatore o soter (greco), come vediamo in Atti 5:31 e 1° Giovanni 4:14 (“ E noi stessi abbiamo visto e testimoniato che il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo”). Malgrado il fatto che le monete romane del tempo spesso raffigurassero la faccia dell’imperatore con l’iscrizione soter (o “solo salvatore” in alcuni casi), i primi cristiani dichiararono che il nome di Gesù fosse il solo e unico nome dato tra gli uomini mediante i quale abbiamo da essere salvati (At. 4:12).
Era anche essenziale per un cristiano “Credere che Gesù è il Cristo” (o Messia), come dice 1° Giovanni 5:1. Poiché Gesù ammise apertamente di essere il Cristo, il Sinedrio lo condusse davanti a Pilato perché fosse processato, ove anche Pilato indagò e scoprì che Gesù si considerava un Re (Lu. 22:67-23:3), nel cui caso fu considerato che Gesù si opponesse a Cesare stesso (Gv. 19:12). Infine, il Nuovo Testamento ci mostra che è caratteristica di tutti i cristiani confessare con la loro bocca che “Gesù è Signore” (Ro. 10:9; 1° Co. 12:3), intendendo che la loro fedeltà in tutte le cose appartiene a Lui come “Signor dei signori e Re dei re” (1° Ti. 6:15; Ap. 17:14; 19:16) e questo proprio mentre sta combattendo contro la potenza politica della Bestia e dei re della terra. Pertanto, piaccia o no, i primi cristiani compresero che essere un cristiano ha ramificazioni politiche. Paolo e i cristiani a Tessalonica furono accusati di reati politici a motivo della loro confessione di Cristo; fu addotto che “Tutti costoro agiscono contro gli statuti di Cesare, dicendo che c’è un altro re, cioè Gesù” (At. 17:7).
Sappiamo che un giorno Re Gesù richiederà a tutti i re della terra di rendere conto del loro governo a Lui come sovrano Governante e Giudice. Tutti i troni furono creati per Lui, che deve avere la preminenza su tutte le cose (Cl. 1:16-18). Re che sono stati così stolti da non servire il Signore con timore e baciare il Figlio sperimenteranno la sua ira, perendo sulla via (Sl. 2:10-12). Perciò, possiamo vedere quanto sia importante e legittimo per i cristiani — per cristiani che credono la bibbia e che vogliono sottomettersi alla Scrittura dal principio alla fine —mantenere sulla politica e sull’etica sociale attitudini e convinzioni che onorino Dio. Se dobbiamo glorificare Dio perfino quando mangiamo e beviamo (1° Co. 10:31), allora sicuramente dobbiamo glorificarlo anche nel modo in cui votiamo e con ciò incoraggiamo statisti a governare la nostra società! Infatti, noi dobbiamo cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia (Mt. 6:33) in modo che la sua volontà sia fatta in terra (Mt. 6:10).
Incerti squilli di trombe
Ma qual’è la sua volontà per l’etica politica? Questa è la domanda cruciale; eppure è la domanda a cui i cristiani moderni che scrivono di politica e moralità sociale trovano così difficile (se non impossibile) dare una risposta chiara e specifica. Col rinnovato interesse con cui ai nostri giorni vediamo i cristiani precipitarsi nell’arena politica con una visione completa del mondo e della vita che tocca qualsiasi cosa d’interesse umano, con l’inondazione di libri ed articoli che si stanno ora pubblicando sull’approccio “cristiano” alla politica, cosa accadrebbe se il mondo improvvisamente dovesse fermarsi e semplicemente dire: “Va bene, vediamo come l’umanesimo abbia fallito disperatamente. Cosa dite voi cristiani che si debba fare in questioni di etica politica?” Una volta che fosse loro data la possibilità di esternare la prospettiva cristiana, gli scrittori evangelicali e riformati avrebbero qualcosa da dire al di là di generalizzazioni e ambigue banalità? C’è ragione di dubitare che ce l’abbiano. La spiegazione di quel verosimile fallimento non è difficile da trovare.
La ragione per cui i cristiani che vogliono scrivere o assumere una posizione su questioni d’etica politica hanno usualmente mancato di produrre risposte peculiari e valide che siano specifiche e chiare risiede nella loro riluttanza a sottoscrivere e render nota la legge di Dio, che è precisamente dove il Signore ha rivelato risposte ben delineate ai problemi socio-politici dell’uomo e delle sue civilizzazioni.
Che tipo di buona novella o “vangelo” porta il regno di Cristo secondo molti gruppi cristiani?
Il vangelo sociale
Un “vangelo sociale” è dominato da modernisti e da liberali, come la maggior parte dei credenti biblici oggi sa. Alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, il movimento della critica testuale sfidò molto dell’insegnamento biblico e minò la teologia più basilare della chiesa cristiana. L’opera e il messaggio di Cristo furono ridotti cosicché egli non fece alcuna opera sacerdotale con la sua morte e resurrezione e non guadagnò la salvezza eterna per gli uomini.
L’approccio modernista all’uomo divenne evoluzionistico e naturalistico, negando ulteriormente il messaggio cristiano riguardo all’eccezionale dignità dell’uomo in quanto immagine di Dio e creazione speciale della sua mano. Come risultato, il modernismo voltò le spalle alle verità del cristianesimo biblico e si concentrò quasi esclusivamente su temi e interessi moralistici, specialmente questioni che toccano la “fratellanza di tutti gli uomini” come si evidenziano nelle relazioni sociali. Così i teologi liberali non esitarono a propagare soluzioni umanistiche a questioni
politiche, tutto in nome del cristianesimo. Dobbiamo però ricordare che l’errore nel vangelo sociale non era che fosse sociale, ma che era modernistico e negava la bibbia.
La risposta fondamentalista
In reazione al liberalismo, nel ventesimo secolo il Fondamentalismo predicò per estremo contrasto un “vangelo individualistico”. L’enfasi fu posta sulla salvezza dell’anima degli uomini dalla dannazione eterna e il cambiamento del cuore degli uomini perché vivessero orientati sulla chiesa, aspettando l’imminente ritorno di Cristo a questo mondo in disperata degenerazione. Ironicamente, con tutto lo sforzo fatto per distanziarsi dagli errori del liberalismo, nel Fondamentalismo la lodevole insistenza su certe dottrine chiave fondamentali della bibbia tesero a creare una miopia nei confronti delle piene implicazioni del cristianesimo. Ancora una volta, l’opera e il messaggio di Cristo furono ridotti perché la piena salvezza che Cristo aveva compiuta fu ristretta agli aspetti “spirituali” dell’uomo e l’attuale regno e governo di Cristo furono posposti a una data successiva (quando le questioni sociopolitiche ricompariranno in agenda). La redenzione non fu vista applicarsi fin dove si trovi la maledizione, e la pietà fu definita in modo ristretto con l’astinenza dagli abusi mondani (come bere, fumare, cinema, ballo, ecc.).
Il conservatorismo del Fondamentalismo era fortemente necessario in teologia, naturalmente, ma gli effetti sociali furono meno che benefici. Gesù disse che se il sale diventa insipido a null’altro serve che ad essere gettato via e essere calpestato dagli uomini (Mt. 5:13). Nella misura in cui questo è avvenuto al Fondamentalismo lo è stato perché non fu predicato tutto il consiglio di Dio anche per la moralità socio-politica. L’etica di Paolo non era concentrata esclusivamente sulla vita futura in cielo e sul comportamento individualistico del presente. Egli disse: “Ma la pietà è utile ad ogni cosa, avendo la promessa della vita presente e di quella futura” (1° Ti. 4:8).
Luteranesimo e Romanismo
Fianco a fianco col vangelo sociale del modernismo e il vangelo individualistico del Fondamentalismo possiamo collocare il “vangelo dicotomico” del Romanismo e del Luteranesimo. La chiesa Luterana, certamente si pone in netta opposizione agli errori teologici della Chiesa Cattolica Romana. Di Lutero ricordiamo che inaugurò la riforma protestante della chiesa insistendo sulla dottrina della giustificazione per fede in contrapposizione alla nozione romanista di giustizia mediante opere della legge. Pure, per quanto strano, la prospettiva Luterana su questioni sociopolitiche si è sviluppata a diventare parallela a quella di Roma.
La chiesa Cattolica Romana riduce l’opera di Cristo (lasciando il completamento della salvezza ai preti e a sforzi umani), mentre la chiesa Luterana tende a ridurre il messaggio di Cristo (tracciando una forte opposizione tra legge e vangelo e ponendo un accento quasi esclusivo su quest’ultimo). La prospettiva Cattolico-Romana lungo gli anni è stata che c’è una distinzione da tracciarsi tra i reami di natura e di grazia, alcune questioni appartengono all’uno mentre le altre sono di pertinenza dell’altro. Le faccende politiche sono naturali per l’uomo e alla sua esistenza sociale e quindi, la prospettiva della grazia (rivelazione speciale) non è direttamente pertinente con queste. In quel caso, la ragione naturale e auto-sufficiente dell’uomo diventa l’arbitro in questioni di etica politica. In maniera parallela la dottrina Luterana classica insegna che c’è un regno della mano destra e un regno della mano sinistra, uno pertinente alla salvezza e alla chiesa mentre l’altro appartiene alla creazione e alla società. Ne risulta che quando dei credenti entrano in ragionamenti politici, lo fanno su una piattaforma comune coi non-credenti.
Nè il Romanismo né il Luteranesimo hanno una specifica parola da parte di Dio su questioni politiche ma solo su questioni concernenti la grazia e la salvezza. Ne risulta che ambedue promuovono un’attitudine neutrale nei confronti della politica che non può offrire alla società una direzione peculiare dalla Scrittura. Le dicotomie che stanno al centro di queste prospettive teologiche filtrano le orientazioni pienamente bibliche in etica politica impedendo la loro penetrazione.
Neo-Ortodossia
Oscillando verso un altro degli estremi, la neo-ortodossia e le susseguenti teologie radicali hanno proclamato il “vangelo incerto” che si rivolge a particolari problemi in società e politica, ma senza chiara e specifica parola da Dio. Karl Barth era convinto che i comandi della bibbia non fossero verità universali, applicabili a ogni epoca e cultura, ma meramente testimonianze temporanee della volontà di Dio. Emil Brunner andò oltre dicendo che la bibbia non poteva, per la natura del caso, fornirci delle norme di comportamento pre-stabilite perché i nostri obblighi (pensava lui) potevano essere determinati solo dalla situazione in cui ci troviamo — spalancando la porta allo sviluppo della moralità situazionale di Joseph Fletcher, in cui il dovere morale è relativistico. La Neo-ortodossia promosse niente di più che una grazia a buon mercato che non richiedeva che gli uomini si convertissero, si pentissero di peccati specifici e fossero santificati secondo un immutabile modello di santità. La neo-ortodossia non poteva offrire all’uomo altro che un vangelo nebuloso, perché a suo parere Dio non comunicò con proposizioni verbali infallibili. Perciò ci si poteva aspettare solamente che l’approccio neo-ortodosso ai problemi sociali fosse ambiguo, poco chiaro e privo d’autorevolezza. Non aveva un parola sicura da parte di Dio mediante la quale giudicare e guidare le questioni sociali degli uomini.
Il vangelo totale
In contrapposizione al vangelo sociale del modernismo, al vangelo individualistico del Fondamentalismo, al vangelo dicotomico di Luteranesimo e Romanismo, e al vangelo incerto della ne-ortodossia e del radicalismo, troviamo il benedetto e rinfrescate vangelo totale della teologia riformata, che è il retaggio del cristianesimo biblico. La buona novella del regno di Cristo è che Gesù Cristo per grazia a con potenza salva l’uomo nella pienezza della sua esistenza creata e peccaminosa. Egli è un profeta che dichiara la volontà di Dio agli uomini ignoranti. È un sacerdote che intercede presso Dio a favore di peccatori contaminati. Ed è un re, che governa su tutti gli uomini e tutti gli ambiti di vita. La venuta del regno, perciò, porta il progressivo governo di Cristo sul mondo, sulla carne e sul diavolo (1° Co. 15:25).
Le chiese riformate sono sempre state per la proclamazione di sola Scriptura e di tota Scriptura. La scrittura solamente deve essere lo standard della nostra teologia e della nostra etica, e noi dobbiamo predicare tutta la Scrittura nella sue rilevanza totale per la vita degli uomini. Solo la Scrittura ma totalmente la Scrittura! Di conseguenza, osserviamo che la predicazione del Nuovo Testamento non è a-politica. Gesù rimproverò Erode chiamandolo
una volpe e Giovanni Battista definì illegittimo il suo comportamento. Paolo mette in guardia contro un governante politico che è “l’uomo del peccato”, e Giovanni lo chiama “la Bestia”. Contrapponendosi a questi governanti malvagi i cristiani devono sostenere la legge di Dio (cf. Ap. 12:17; 14:12) perché Paolo insegnò che il magistrato civile era obbligato ad essere un “ministro di Dio” che vendica la sua ira contro chi fa il male violando la sua legge (Ro. 13:4). Poiché il Nuovo Testamento non è apolitico, neppure lo è la predicazione totale delle chiese riformate.
Ad ogni modo, in anni recenti c’è stata una crescente avversione nei confronti del mantenere l’ “uso politico” della legge di Dio al momento di dichiarare la volontà di Dio per la moralità sociopolitica. Di conseguenza solleviamo la questione se il magistrato civile oggi debba obbedire e far osservare la legge di Dio del Vecchio Testamento.