E. SOMMARIO DELLA PROSPETTIVA SULLA LEGGE DI DIO DEL VECCHIO E NUOVO TESTAMENTO
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CONTINUITÀ TRA I PATTI RIGUARDO LA LEGGE
“Secondo l’insegnamento congiunto del Vecchio e Nuovo Testamento, la legge eterna di Dio è inalterabile”.
Lo scopo dei prossimi due capitoli sarà semplicemente comparare e giustapporre il punto di vista sulla legge che troviamo nel Vecchio e nel Nuovo Testamento. Concesso che ci sono molti modi per riassumere la teologia della legge in ciascun Testamento, quello presente è solo uno tra molti. Però, magari servirà ad un proposito utile: quello di sottolineare la continuità tra il Vecchio e il Nuovo Testamento riguardo la legge di Dio — in contrapposizione a idee sbagliate del contrario coltivate da alcuni insegnanti — e di indicare alcuni punti salienti di discontinuità — in contrapposizione agli infondati timori di alcuni che quelli che riconoscono la continua validità della legge di Dio oggi sopprimano o ignorino importanti differenze.
Continuità tra i Testamenti
La legge di Dio è perpetua nei suoi principi
I comandamenti di Dio non sono considerati un’amministrazione unicamente mosaica ma come vincolanti per l’uomo fin dal principio.
Prima che l’uomo cadesse nel peccato, Dio gli diede dei comandamenti che erano i suoi obblighi morali, per esempio gli statuti creazionali del matrimonio (Ge. 2:24), lavoro (Ge. 2:15), e del Sabato (Ge. 2:1-3), come pure il mandato culturale di dominio sulla creazione (Ge. 1:28). Anche Paolo avrebbe visto gli standard della moralità come in vigore fin dal principio, essendo comunicati costantemente attraverso la rivelazione generale (Ro. 1:18-21). In particolare, gli ordini creazionali (per es. Mt. 19:5) e il mandato culturale (per es. 1 Co. 10:31) sono applicati nel Nuovo Testamento.
Il Vecchio Testamento mostra che, come insegna il Nuovo Testamento (Ro. 5:13-14), da Adamo fino a Mosè, la legge era nel mondo. Il Patto con Adamo stabilisce un ordine matrimoniale (Ge. 3:16) e il requisito del lavoro (Ge. 3:19) che sono entrambi autoritativi nel Nuovo Testamento (1 Ti. 2:12-14; 2 Te. 3:10). Il patto Noachide riconfermò il mandato culturale (Ge. 9:1) e rivelò lo standard di Dio di retribuzione contro gli assassini (Ge. 9:6), che ancora una volta sono validi nel Nuovo Testamento (per es. Ro. 13:4). Nel patto con Abrahamo vediamo che egli aveva comandamenti, statuti e leggi da osservare (Ge. 18:19; 26:5), e il Nuovo Testamento ci segnala la fede ubbidiente di Abrahamo (Gm. 2:21-23; Eb. 11:8-19).
Inoltre, prima della rivelazione speciale della legge Mosaica possiamo osservare la perpetua validità dei suoi standard morali nell’esempio del giudizio di Dio su Sodoma (Ge. 19) che fu punita per la sua violazione della legge contro l’omosessualità (Le. 18:23) — per le loro “opere inique” secondo il Nuovo Testamento (2 Pi. 2:6-8). Infatti, secondo Paolo, tutti gli uomini conoscono gli standard morali di Dio per mezzo della rivelazione generale — dimostrando che “l’opera della legge è scritta nei loro cuori” (Ro. 2:14-15). Questa universale comunicazione della legge di Dio è ampia quanto le richieste etiche, non essendo ristretta di misura ai Dieci Comandamenti (Per esempio, Romani 1:32) dove degli omosessuali condannati è scritto che riconoscono “il decreto di Dio”).
I principi della legge di Dio sono perpetui perché riflettono
il carattere di Dio che è immutabile
Levitico 20:7-8 dichiara: “Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono l’Eterno il vostro Dio. Osservate i miei statuti e metteteli in pratica”; questo è il modo in cui il popolo di Dio si santifica — diventando santo come Dio è santo (1 Pi. 1:15-16) o imitando le sue perfezioni (Matteo 5:48 nel contesto dei requisiti della legge). Il Vecchio Testamento insegna che la legge di Dio è perfetta (Sl. 19:7), essendo santa, giusta e buona come Dio (De. 12:28; Ne. 9:13), e il punto di vista del Nuovo Testamento è uguale: la legge è perfetta (Gm. 1:25), santa, giusta e buona (Ro. 7:12).
La legge di Dio è completa nella sua estensione
I suoi comandamenti si applicano a questioni del cuore
e non semplicemente a vicende esteriori
Nel Vecchio Testamento Dio richiese al suo popolo di cercarlo con tutto il loro cuore (De. 4:29) e di circoncidere il loro cuore (De. 10:16), proprio come il Nuovo Testamento continua a mostrare che dobbiamo amare Dio con tutto il nostro cuore (Mt. 22:37) e sottometterci alla sua legge nei nostri pensieri, attitudini e intenzioni (Per esempio, Matteo 5:21-48).
La legge di Dio si applica ad ogni ambito di vita
I comandamenti di Dio chiamarono il suo popolo ad amarlo con tutto ciò che aveva (De. 6:4-6), in tutta la giornata (v.7), in casa e lontano da casa (v.9), in pensieri ed azioni (v.8). Di fatto, l’uomo doveva vivere per ogni parola che procede dalla bocca di Dio (De. 8:3, 6). Allo stesso modo il Nuovo Testamento richiede che ogni aspetto della vita dell’uomo sia totalmente devota all’amore di Dio (Mt. 22:37) e che quelli che appartengono a Dio dimostrino la loro santità “in tutta la vostra condotta” (1Pi. 1:15-16).
La legge di Dio è uno standard per tutte le nazioni (non solo Israele)
Deuteronomio 4:6-8 insegnò chiaramente che i comandamenti dati per mezzo di Mosè dovevano essere la loro intelligenza agli occhi dei popoli, che avrebbero esclamato: “Quale grande nazione ha statuti e decreti giusti come tutta questa legge?” Similmente Paolo indica che gli standard della legge di Dio sono dichiarati attraverso tutta la rivelazione naturale e che sono vincolanti per tutti gli uomini (Ro. 1:32; 2:14-15). Poiché le nazioni che un tempo occupavano Canaan violarono gli standard della legge di Dio, Dio le avrebbe punite espellendole dal paese (Le. 18:24-27) — proprio come avrebbe espulso Israele se avesse violato le sue leggi (De. 30:17-18). Lo standard morale e il giudizio sulla disubbidienza erano gli stessi tra Israele e le nazioni.
Di conseguenza, Paolo insegna che tutti gli uomini, Giudei e Gentili, hanno peccato violando la legge di Dio (Ro. 2:9, 19-20), e Giuda dichiara che Dio giudicherà tutti gli empi per le loro opere d’empietà (Gd. 14-15). Dove il Vecchio Testamento insegnò che: “La giustizia innalza una nazione, ma il peccato è la vergogna dei popoli” (Pr. 14:34), il Nuovo Testamento insegna che tutto ciò che Cristo ha comandato deve essere propagato alle nazioni (Mt. 28:20). La legge di Dio vincola tutti gli uomini in tutti i tempi in tutti i luoghi. A questo punto abbiamo visto che il Vecchio e il Nuovo Testamento concordano perfettamente che la legge di Dio è perpetua nei suoi principi — perché non è unicamente Mosaica, ma riflette l’eterno carattere di Dio — e totale nella sua estensione — perché va a toccare questioni del cuore, applicandole a tutte le aree di vita, e vincola all’ubbidienza tutta l’umanità. In questo frangente sarà importante aggiungere che:
La legge di Dio è complementare alla salvezza per grazia
La legge non doveva essere usata come mezzo di giustificazione
Il Vecchio Testamento insegna che davanti a Dio “Nessun vivente è giusto (o giustificato)”, perché se Dio dovesse tener conto delle iniquità nessuno potrebbe resistere (Sl. 143:2; 130:3). Invece: “Il giusto vivrà per la sua fede” (Ha. 2:4). Il Salmista vide che è: “Beato l’uomo a cui l’Eterno non imputa l’iniquità” e “Chi confida nell’Eterno sarà circondato dalla sua benignità” (Sl. 32:2, 10). I santi del Vecchio Testamento non erano salvati per ubbidienza alla legge ma per fede nel Salvatore che doveva venire, tipizzato nei sacrifici del sistema del Vecchio Testamento. Allo stesso modo il Nuovo Testamento dichiara in termini scevri da incertezze che: “Nessuna carne sarà giustificata davanti a lui per le opere della legge” (Ro. 3:20). Infatti: “Se la giustizia si ha per mezzo della legge, allora Cristo è morto invano” (Ga. 2:21). La legge di Dio è lo standard della giustizia (rettitudine), ma poiché i peccatori non si possono conformare a quello standard la loro salvezza deve provenire dalla grazia di Dio mediante la fede (Ef. 2:8-9). Questo era vero sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento.
L’ubbidienza alla legge di Dio è in armonia
con la grazia e la fede salvifica
Il Vecchio Testamento indica che la legge di Dio fu rivelata specialmente a Israele nel contesto del suo redimere e liberare il suo popolo dalla schiavitù (Es. 19:4; 20:2); quelli che avevano la volontà di osservare la sua legge erano già stati visitati dalla sua grazia. In questa vena Davide potè cantare: “dammi, per grazia, la tua legge” (Sl. 119:29) — non avendo nessuna sensazione che ci fosse tensione tra un uso appropriato della grazia e della legge. Quelli che furono giustificati per fede nel Vecchio Testamento, come Abrahamo e Rahab, furono quelli che furono rinnovati dalla grazia di Dio in modo tale che furono ben disposti ad ubbidire la sue richieste (cf. Giacomo 2:21-25). Quelli che furono giustificati e vissero per fede, per merito della grazia di Dio, desiderarono ubbidire i comandamenti di Dio per rispetto della sua autorità, amore per la sua purezza, e gratitudine per la sua salvezza.
Lo stesso vale per i santi del Nuovo Testamento. Paolo dice che non siamo stati salvati dalle opere buone, ma che siamo stati salvati per le opere buone — cioè in modo che viviamo obbedientemente davanti a Dio (Ef. 2:10). La grazia di Dio c’insegna a rinunciare all’empietà (Tt. 2:11-14), e per fede noi di fatto stabiliamo —piuttosto che annullare — ciò che fu insegnato nella legge di Dio (Ro. 3:31).
La legge di Dio è centrale al suo unico patto di grazia
La legge può riassumere o rappresentare il patto stesso. Leggiamo in Genesi 17:10, 14 che la circoncisione poteva rappresentare proprio quel patto stesso che Dio aveva fatto con Abrahamo
In modo simile, le stipulazioni della legge Mosaica potevano essere usate per rappresentare il patto stesso, come in Esodo 24:2-8 (cf. Eb. 9:19-20). Proprio come la circoncisione è il patto, così anche la legge è il patto di Dio. Questa è la ragione per cui le tavole della legge e di comandamenti che Dio diede a Mosè sul Monte Sinai (Es. 24:12) possono effettivamente essere chiamate “le tavole del patto” (De. 9:9, 11, 15). In conformità, quando Geremia parla del Nuovo Patto che era a venire, egli indica che la legge di Dio è centrale nelle sue disposizioni: “Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore” (Ge. 31:33). Questo è citato quando il Nuovo Testamento riflette sul carattere del Nuovo Patto (Eb. 8:10), usando quelle parole come sintesi del tutto (Eb. 10:16). L’interesse per il patto, dunque, comporta interesse per la legge di Dio in ambedue il Vecchio e il Nuovo Testamento.
La legge data per mezzo di Mosè servì il patto della promessa
con Abrahamo, anziché essergli antitetica
Secondo il Vecchio Testamento, è precisamente in quanto Dio di Abrahamo, e solo a motivo del patto fatto con Abrahamo, che Dio trattò con Mosè in modo pattizio (Es. 2:24; 3:6). L’esodo o liberazione concesso agli Israeliti per mezzo di Mosè fu una realizzazione della promessa fatta ad Abrahamo (Es. 6:1-8). Nel suo patto con Abrahamo Dio aveva promesso di essere Dio di Abrahamo e della sua progenie, che sarebbe diventata il popolo di Dio (Ge. 17:7-8). Questa stessa benedizione fu esibita nella liberazione operata da Dio per mezzo di Mosè (Es. 6:7). In particolare, questa promessa fatta ad Abrahamo sarebbe stata il premio per la conformità alla legge di Mosè: “Se camminate nei miei statuti, osservate i miei comandamenti, e li mettete in pratica … camminerò tra di voi e sarò il vostro Dio, e voi sarete mio popolo” (Le. 26:3, 12). Il Vecchio Testamento non riconobbe un antagonismo tra il patto della promessa con Abrahamo e il patto Mosaico della legge. E non lo fa neppure il Nuovo Testamento.
Paolo rifletté con ispirata accuratezza sulla relazione tra la promessa fatta ad Abrahamo e la legge Mosaica (cf. Ga. 3:17) e chiede: “La legge è dunque contraria alle promesse di Dio?”. La sua risposta è un deciso: “Così non sia!” (Ga. 3:21). La legge servì piuttosto a mettere in atto il compimento della promessa fatta ad Abrahamo (Ga. 3:19, 22, 29). La legge Mosaica che stabilì la repubblica (commonwealth) d’Israele al Sinai è considerata da Paolo uno dei “patti della promessa” (Ef. 2:12). Attraverso tutta la Scrittura la legge è congruente con la promessa.
In egual modo, la promessa fatta ad Abrahamo che è realizzata in Cristo serve gli scopi della legge Mosaica
La prospettiva del Vecchio Testamento era che il popolo che godeva la promessa doveva ubbidire la legge di Dio. L’aspettativa era che quando Israele avrebbe ricevuto ciò che “il Dio dei tuoi padri ti ha promesso” la gente avrebbe “osservato tutti i suoi statuti e i suoi comandamenti” rivelati da Mosè (De. 6:1-3). Similmente il Nuovo Testamento vede quelli che appartengono a Cristo — Colui al quale era stata data la promessa di Abrahamo (Ga. 3:16) — come progenie di Abrahamo ed eredi secondo la promessa (Ga. 3:7, 29). Essi ricevono la promessa per fede e quindi non dovrebbero desiderare di essere sotto la legge come metodo di giustificazione per non scadere dalla grazia (Ga. 3:2, 6-14, 24-26; 4:21; 5:4).
Però, quelli che in Cristo godono della promessa fatta ad Abrahamo, lo fanno per una fede che opera mediante l’amore (Ga. 5:6), che equivale a dire una fede che ubbidisce la legge (Ga. 5:13-14) — una fede che cammina per lo Spirito e che pertanto non viola la legge (Ga. 5:16-23). Il Figlio di Dio della promessa ci fa camminare secondo lo Spirito talché osserviamo il comandamento della legge (Ro. 8:3-4 NR). Pertanto, osserviamo che la promessa serve la legge proprio come la legge serve la promessa, e questa relazione reciproca è rivelata egualmente sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento. La legge esplica un ruolo integrale lungo tutto l’un patto di grazia di Dio.
La legge di Dio è ricevuta dal suo popolo come una caparra redentiva e una delizia
La discussione precedente sulla legge di Dio ha centrato l’attenzione sul suo carattere e funzione oggettivi. È importante che prendiamo nota anche dell’attitudine soggettiva che è espressa verso la legge di Dio in ambedue il Vecchio e il Nuovo Testamento. La polemica negativa contro la legge che si ode spesso oggigiorno, non può essere conciliata con il sentimento e la valutazione degli scrittori biblici ispirati. Secondo loro:
L’ubbidienza alla legge è pegno della loro redenzione, prova del loro amore, e segno della loro dedicazione al Signore
Il Vecchio Testamento insegnò che il significato proprio della legge di Dio e dell’ubbidienza ad essa era che Dio aveva salvato il suo popolo (De. 6:20-25; per esempio 5:15). Infatti, non osservare i comandamenti di Dio era identificato come aver dimenticato la propria redenzione (De. 8:11-17), ed era chiaro che la salvezza era lontana da quelli che non desideravano gli statuti di Dio (Sa. 119:155). Similmente, nel Nuovo Testamento, dove la vita eterna è “conoscere Cristo” (Gv. 17:3) noi dimostriamo di averlo conosciuto “se osserviamo i suoi comandamenti”, ed è una menzogna dire di conoscere Cristo e non osservare i suoi comandamenti (1 Gv. 2:3-4).
Il Vecchio Testamento disse che quelli che amano il Signore ubbidiranno i suoi comandamenti (De. 10:12-13) e l’amore per il Signore nel Nuovo Testamento è dimostrato nello stesso modo (Gv. 14:15; 1 Gv. 5:3). Nel Vecchio Testamento la dedicazione al Signore era indicata con l’adesione alla legge di Dio (De. 26:17; Gs. 22:5). Le cose non sono diverse nel Nuovo Testamento dove quelli che scelgono di seguire Cristo anziché la bestia sono identificati come “Quelli che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù” (Ap. 12:17; 14:12). Sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento sarebbe impensabile che un santo redento, che ami il Signore e sia dedicato a lui, respinga, critichi o disubbidisca la legge di Dio.
La legge di Dio era da amare come una delizia e una benedizione
Benché gli uomini possano farsi beffe di questo, il diletto dell’uomo pio sta nella legge del Signore (Sl. 1:2; 119:16); felice è quell’uomo, dice il Vecchio Testamento, che trova grande gioia nei suoi comandamenti (Sl. 112:1). Il punto di vista di Paolo nel Nuovo Testamento fu identico: “Io mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore” (Ro. 7:22). Per Giovanni la legge di Dio era una gioia tale che potè dichiarare: “I suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Gv. 5:3b). È il peccato – e cioè la violazione dei patti di Dio secondo ambedue i testamenti (Gs. 7:11; Isa. 24:5; 1 Gv. 3:4) ad essere detestato dal popolo di Dio, perché porta alla morte (Ro. 6:23). Se non fosse per l’incapacità peccaminosa dell’uomo, la legge stessa sarebbe anzi, per grazia, ordinata per far vivere (Le. 18:5; Ne. 9:29; Ez. 20:11, 13, 21; cf. Pr. 3:7-8).
Non è solo il Vecchio Testamento a riconoscere questo fatto. Paolo discerne il collegamento tra l’ubbidienza alla legge e la vita nello Spirito (Ro. 8:2-4, 6-7, 12-14) e confessa che, se non fosse per la corruzione del peccato, la legge è intesa a comunicare vita (Ro. 7:10). Qualsiasi cosa sia contraria alle richieste della legge, dunque, è anche contro la sana (datrice- di-salute) dottrina, secondo 1 Timoteo 1:8-10 (cf. 6:3). Dio ci ha dato la sua legge per il nostro bene e per questa ragione gli scrittori del Vecchio e del Nuovo Testamento gioiscono in essa. Non emulare la loro attitudine. è a nostra vergogna
La legge di Dio è eterna e non deve essere alterata
In un tempo in cui molti vedono la legge di Dio come arbitraria, sacrificabile, o temporanea nella sua autorità per la vita dell’uomo, è di immenso valore osservare la prospettiva degli scrittori ispirati. Mosè scrisse che il popolo di Dio avrebbe fatto bene ad osservare per sempre i comandamenti che Egli aveva rivelato (De. 12:28). Davide esclamò che “Tutti i suoi comandamenti sono fermi, stabili in eterno, per sempre” (Sl. 111:7-8; cf. 119:152). Infatti, l’eterna autorità dei comandamenti di Dio li caratterizza tutti: “Tutti i tuoi giusti decreti durano in eterno” (Sl. 119:160). Guardando al terribile giorno del Signore quando il malvagio sarà consumato col fuoco (Ml. 4:1), il profeta Malachia pronuncia tra le parole finali dell’Antico Testamento: “Ricordatevi della legge di Mosè mio servo” (4:4).
Ad ogni modo, nelle pagine del Nuovo Testamento ascoltiamo le parole di uno che è ben più grande di Mosè, di Davide, o di qualsiasi profeta dell’antichità. La loro testimonianza all’eterna autorità della legge di Dio è pallida in confronto alla dichiarazione assolutamente chiara e totalmente incontestabile di Gesù Cristo che i comandamenti di Dio — ciascuno e ogni uno — è eternamente valido: “Perché in verità vi dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto” (Mt. 5:18). Il Vecchio e il Nuovo Testamento si congiungono in questa dottrina.
La voce dei due Testamenti è unita ulteriormente nel dire che la legge di Dio non deve essere alterata. Davide riconobbe che Dio comanda solo ciò ch’è giusto e retto, e che perciò, allontanarsi dai suoi comandi è deviare dall’integrità morale: “Ritengo giusti tutti i tuoi comandamenti e odio ogni sentiero di menzogna …tutti i tuoi comandamenti sono giustizia” (Sl. 119:128, 172). Cambiare o ignorare uno qualsiasi dei comandamenti di Dio significa necessariamente creare per il comportamento un modello ingiusto o non retto. Perciò la legge stessa si protegge dall’interno contro le alterazioni: “Non aggiungerete nulla a quanto vi comando e non toglierete nulla, ma impegnatevi ad osservare i comandamenti dell’Eterno, il vostro DIO, che io vi prescrivo” (De. 4:2; cf. 12:32). Nessun uomo possiede la prerogativa di manomettere i requisiti dettati da Dio. Solo Dio stesso, il datore della legge, ha l’autorità d’abrogare o alterare i suoi comandamenti. Tuttavia, la testimonianza di Dio incarnato nel Nuovo Testamento è che la legge non deve essere cambiata, neppure con l’evento epocale della sua venuta: “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti … chi dunque avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli” (Mt. 5:17, 19). La legge giusta ed eterna di Dio è inalterabile secondo l’insegnamento congiunto del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Perciò, oggi siamo obbligati d’osservare tutta la legge
Chiunque suggerisca, senza autorizzazione dalla parola di Dio, che qualche legge del Vecchio Testamento non è vincolante per il nostro comportamento oggi, cadrebbe sotto la duplice censura degli scrittori del Vecchio e del Nuovo Testamento. Un tale suggerimento contraddirebbe la perpetuità e l’estensione della legge di Dio insegnate in ambedue i testamenti; evidenzierebbe la dimenticanza delle misericordie di Dio, violerebbe il patto, e priverebbe il popolo di Dio di una delle sue delizie. Un tale suggerimento si collocherebbe diametralmente opposto al carattere eterno e immutabile della legge come dettato nel Vecchio e Nuovo Testamento. Contestare la legge senza direttive rivelate biblicamente da Dio è rattristarlo e sfidarlo, talché quelli che lo fanno saranno degradati nel regno di Dio.
A meno che la Scrittura stessa non ci mostri qualche cambiamento con riguardo alla legge di Dio e alla nostra ubbidienza ad essa, il principio che governa il nostro atteggiamento e comportamento dovrebbe essere identico a quello del presupposto biblico categorico — e cioè che la nostra istruzione nel comportamento retto si trova in tutta la Scrittura del Vecchio Testamento (2 Ti. 3:16-17), in ogni punto della legge (Gm. 2:10), perfino nel minimo dei comandamenti (Mt. 5:19; 23:23), ogni parola (Mt. 4:4) e ogni apice e iota (Mt. 5:18). Ciò è chiaro dai punti principali ai quali entrambi il Vecchio Testamento e il Nuovo Testamento danno consenso — che sono stati riassunti sopra riguardo alla legge di Dio. Dati questi punti sui quali converge l’assenso, non abbiamo ragione di aspettarci che il Nuovo Testamento disimpegni il credente categoricamente o tacitamente dai suoi doveri morali verso la legge di Dio.
Conclusione
Per riassumere: noi dobbiamo supporre la continuità del dovere morale tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Di conseguenza, operando a partire da questo assunto biblico, l’onere della prova scritturale è posto direttamente e pesantemente su chiunque voglia negare la validità o l’attinente autorità per il nostro tempo di qualche particolare stipulazione del Vecchio Testamento. La prossima volta che udite qualcuno dire: “Non è necessario che noi seguiamo quel comandamento perché è legge del Vecchio Testamento”. Voi dovreste dire a voi stessi (se non anche a quella persona): “Questo tipo d’affermazione richiederà qualche spiegazione e chiara prova biblica prima che qualunque cristiano fedele la possa accettare”. Autori della Scrittura, fedeli e ispirati – di ambedue il Vecchio e il Nuovo Testamento — hanno scritto per ottenere proprio l’effetto opposto.