7. La questione nella Grazia Comune

 

Una fallacia nevralgica nel pensiero Calvinista contemporaneo viene in risalto nella questione della grazia comune. Il problema, però, non è nuovo, e storicamente l’esito è stato monotonamente similare. Fu un problema nella teologia della Nuova Inghilterra, dove fu utilizzata l’espressione “la Grazia della Natura” o “qualche residuo dell’Immagine naturale di Dio, rimasta nell’uomo dopo la caduta” [1]. Il partito ortodosso spinse il concetto del peccato a gravi estremi per poter preservare la sovranità di Dio, mentre altri, cercando di rendere giustizia alle realtà della situazione umana, si spostarono stabilmente nell’Unitarianismo. Anche in Inghilterra ci fu una notevole deriva dal Calvinismo dentro l’Unitarianismo, una correlazione notata così spesso che alcuni studiosi hanno futilmente cercato di trovare in Calvino elementi di Socinianesimo che spiegassero questo fatto [2].

Se la risposta non si trova in Calvino, cos’è dunque nel Calvinismo che crea questo ricorrente problema, e un passaggio all’eresia e alla falsa ortodossia ogniqualvolta sorga la questione della restrizione del peccato negli empi e il loro compimento di opere di giustizia civile. Perché, mentre cominciano accettando la sovranità di Dio i calvinisti poi affondano nella questione della manifestazione di bontà dell’uomo naturale? E perché questo particolare problema è un segnale, storicamente, dell’imminente divisione del Calvinismo del momento? I Calvinisti apparentemente ortodossi vinsero il dibattito nella Nuova Inghilterra, ma non vissero abbastanza a lungo per festeggiarlo. Furono distrutti dalla natura della loro vittoria.

Per comprendere la questione e la sua gravità, esaminiamo la controversia come si è sviluppata dentro la Christian Reformed Church in America. Qui la lotta pervenne al suo punto focale nelle opere di Herman Hoeksema. Per Hoeksema il crescente interesse nella grazia comune condannava a morte il Calvinismo. Egli vedeva la questione così:

Bisogna registrare che, questo partito di ‘larghe vedute’, non sembrava avere alcuna simpatia per le vedute del Dottor Abraham Kuyper, finché scoprirono che la sua teoria della Grazia Comune offriva loro una filosofia che avrebbe sostenuto le loro vedute latitudinarie nel nome del Calvinismo. Essi disdegnavano completamente il concetto di antitesi di Kuyper. La grazia comune diventò la trama e l’ordito del loro concetto della vita. ‘Calvinismo’ e ‘Grazia Comune’ divennero sinonimi. Solo coloro che credevano ed enfatizzavano la teoria della grazia comune erano veri Calvinisti. E tutti quelli che li opponevano e rifiutavano di credere e di proclamare questa teoria delle grazia comune, essi marchiavano arrogantemente e sdegnosamente come Anabattisti! Con un abile gioco di prestigio, il Calvinismo, da sempre conosciuto in tutto il mondo per la sua dottrina della predestinazione e della grazia particolare, è stato trasformato da un giorno all’altro in una filosofia della grazia comune! Quelli che hanno fatto questa scoperta e hanno propagato questo concetto di calvinismo furono, genericamente parlando, gli uomini di Religione e Cultura, che era il nome di una rivista che essi pubblicavano e nella quale veniva fatta propaganda per le ‘più larghe’ vedute [3].

Hoeksema in questo modo credeva chiaramente che la fede Riformata fosse a repentaglio, e che quella fede potesse essere mantenuta solo con una negazione della grazia comune e della cosiddetta giustizia civile da parte dell’uomo naturale. La decisione, comunque, andò contro Hoeksema nell’azione del Sinodo del 1924, che formulò i Tre Punti sulla grazia comune. I tre punti asserirono: primo, che Dio ha un atteggiamento di favore verso il genere umano in generale, secondo, che c’è un “freno al peccato nella vita dell’individuo e nella società”, e terzo, che “nel toccare il compimento di cosiddette giustizie civili da parte del non rigenerato, il Sinodo dichiara che secondo le Scritture e la Confessione il non rigenerato, benché incapace di alcun bene salvifico, può compiere tale bene civico” [4].

La controversia, comunque, non ebbe fine con l’esodo di Hoeksema e con la formazione della Protestant Reformed Church, né fu circoscritto agli scritti di Hoeksema. L’efficace analisi della controversia fatta da Van Til portò di nuovo la questione in primo piano. Van Til sottoscrisse pienamente i tre punti, ma l’attacco fu lanciato con furia da alcuni di coloro che sottoscrivevano la teoria della grazia comune. Perché questo attacco fu così virulento se Van Til scrisse in difesa della grazia comune?

Non tenteremo qui di entrare nei dettagli della controversia, né di dare un compendio del pensiero di Van Til. Il suo pensiero sul soggetto si può trovare non solo nel suo libro Common Grace (1947), ma anche nei suoi susseguenti pamphlet: A Letter on Common Grace, Particularism and Common Grace, e Common Grace and Witness Bearing e su molti dei suoi sillabo. Noi tenteremo piuttosto di analizzare le presupposizioni fondamentali di entrambe le parti nei termini delle presupposizioni basilari di Van Til e anche della sua filosofia sviluppata.

In un senso, noi trattiamo con la questione nel considerare il problema dell’ispirazione e della dettatura, e anche col significato dell’ispirazione. Possono Dio e l’uomo agire entrambi, o la libera attività dell’uno elimina la possibilità della libera attività dell’altro? Se degli uomini sono predestinati alla dannazione, possono agire liberamente e possono compiere opere di giustizia civile? O, dall’altro lato, se il non rigenerato compie opere di giustizia civile ed agisce con apparente libertà, possiamo parlare di elezione a dannazione?

Storicamente, il problema ha ricevuto due diverse risposte, ed entrambe hanno affondato il Calvinismo. Gli uomini hanno avuto la sensazione che il solo modo di rispondere a questo problema fosse di obliterare o Dio o l’uomo, o, come minimo di limitarli seriamente, più di quanto facciano le Scritture. Questo è il dilemma di Hoeksema. Egli è disperatamente impegnato a conservare la fede Riformata e ad asserire la sovranità di Dio. Per lui la predestinazione è perciò giustamente il marchio della fede, e un’evidenza di sana teologia. Ma il suo concetto di predestinazione è meccanico ed esteriore. La predestinazione e la provvidenza di Dio, il suo decreto, non operano simultaneamente e co- estensivamente col tutto della vita e dell’essere dell’uomo, ma esternamente. In un discorso di apertura della conferenza pronunciato il 9 Giugno 1953, sul tema Libertà dell’Uomo e Responsabilità, Hoeksema dichiarò:

La reale e Scritturale concezione della relazione tra la libertà dell’uomo, da un lato, e il consiglio sovrano di Dio dall’altro, è questo, che la libertà e la responsabilità dell’uomo sono circondate da ogni lato dal consiglio di Dio. Immaginatevi un cerchio, che rappresenta il consiglio di Dio. In quel consiglio di Dio sta la creatura moralmente libera e responsabile che è chiamata uomo, e quel consiglio di Dio lo circonda da ogni lato [5].

Ancora, Hoeksema dichiarò chiaramente: “Io dico sempre, amati miei: se devo scegliere, datemi Dio. Se devo scegliere se perdere Dio o l’uomo, datemi Dio. Lasciate che io perda l’uomo. Mi sta bene: non c’è pericolo lì. Datemi Dio! Quella è cosa Riformata! E quella è specialmente cosa ‘Protestant Reformed’! [6] Per quanto nobile ciò possa sembrare, è chiaramente non-corretto e non-scritturale, certamente non-Riformato. La Scrittura rende piena giustizia a Dio e all’uomo; non ‘perde’ mai l’uomo, ne lo elimina. La posizione di Hoeksema, lungi dall’essere una difesa della fede, è ancora una volta la sua campana a morte. Solo il pensiero Biblico può sopravvivere, e solo il pensiero Biblico è realistico.

Qui vediamo chiaramente il ricorrente problema del Calvinismo difettoso. Crede che Dio solo possa agire liberamente; che l’uomo agisca liberamente sia un limitare Dio. Poiché non ha comprensione della natura analogica del pensare e dell’agire dell’uomo, e neppure della natura del decreto divino, continua a pensare in modo univoco, e tutto il pensare, umano e divino, e ogni agire, viene concepito come creativo. Così l’uomo ne viene fatto un rivale di Dio in un senso molto reale e ne consegue una lotta di vita o di morte, nella quale l’uno deve obliterare l’altro. Nella Scrittura, la ribellione etica dell’uomo e il suo tentativo di essere come Dio non costituisce un’effettiva rivalità metafisica, ne costituisce un’effettiva rivalità con Dio ma avviene all’interno del suo decreto e della sua provvidenza. Per quanto limitati siano la portata e la ragione dell’una o dell’altra fazione, la logica inerente la loro posizione conduce all’obliterazione di Dio o dell’uomo.

Perciò, argomentare con Hoeksema da un lato, o con Daane e Masselink dall’altro [7], nei termini delle loro idee è farsi coinvolgere nella loro follia; bisogna sfidare i loro presupposti.

Van Til fa proprio questo. Nel rispondere a Masselink egli richiama l’attenzione alla confusione tra l’aspetto metafisico e quello etico dell’essere umano e agli approcci metafisici ed etici alla questione della grazia comune. Egli sfida la falsa biforcazione tra l’attività umana e l’attività divina come due compartimenti a tenuta stagna, e indica chiaramente che ogni attività creata è rivelativa di Dio. “Se non si fa di ogni realtà creata, realtà rivelativa di Dio, la reazione etica dell’uomo avverrebbe in un vuoto” [8]. “Se l’uomo potesse schiacciare un tasto della radio della sua esperienza e non udire la voce di Dio egli schiaccerebbe sempre solo quel tasto e non gli altri. Ma l’uomo non può neppure schiacciare il tasto della sua propria auto-consapevolezza senza udire le richieste di Dio” [9]. La risposta non si trova in qualsiasi tentativo di obliterare o di limitare uno dei due, Dio o l’uomo, ma nel realismo biblico, che riconosce l’attività creativa di Dio e presuppone il decreto divino quale campo per qualsiasi attività dell’uomo, incluse la sua spontaneità e libertà. Su qualsiasi altra base, l’uomo e Dio sono fatti essere rivali in quanto ‘ultimi’ [10] e posti in metafisico conflitto. Come pone la questione Van Til: “O presupponi Dio e vivi, o presupponi te stesso come ‘ultimo’ e muori. Quella è l’alternativa con la quale il cristiano deve sfidare i suoi simili”. Questo costituisce l’una singola prova di Dio: “La prova che argomenta che a meno che questo Dio, il Dio della Bibbia, l’Essere ‘ultimo’, il Creatore, il direttore dell’universo, sia presupposto quale fondamento dell’esperienza umana, questa esperienza opera in un vuoto. Questa singola prova è assolutamente convincente” [11].

Con questo approccio, Van Til ha reso giustizia al pensiero Biblico, ha sostenuto la sovranità di Dio e l’integrità dell’esperienza umana, ed ha stabilito la grazia comune dentro al contesto del decreto divino. Ma quest’ultimo è precisamente la sua offesa. La Grazia Comune è nuovamente diventata uno strumento col quale l’uomo può mettere un piede eretico dentro la soglia Calvinista. Nel nome della Grazia Comune, viene limitata la sovranità di Dio sostenendo che la grazia comune non deve essere compresa nella cornice della predestinazione ma come un’area di libertà al di la di Dio e fuori dalla portata del suo decreto. Viene dunque concepita come un’area di autonomia per l’uomo. Van Til ha argomentato direttamente contro questo, ed ha enfatizzati il suo pericolo nel suo dibattito con Masselink, il quale ha tentato di utilizzare il concetto di grazia comune per creare territorio neutrale tra il rigenerato ed il non-rigenerato e con ciò stabilire una filosofia della scienza.

Io ho sostenuto che sulle basi di un’apologetica quale quella che il Vecchio Princeton ci ha fornito noi eravamo ancora su basi essenzialmente Romaniste piuttosto che su basi Riformate. Poiché fa parte dell’essenza del Romanismo discutere col non credente sul fondamento di una posizione che si suppone neutrale. Nessuna persona Riformata può sposare tale posizione e poi dichiarare onestamente che la propria posizione era unicamente Calviniana e come tale intesa a salvare la scienza.

In questo contesto io ho conteso che una dottrina della grazia comune che sia formulata in modo tale da appellarsi ancora una volta ad un territorio neutrale tra credenti e non credenti è, precisamente come l’apologetica del Vecchio Princeton, in linea con una teologia naturale di tipo Romanista. Perché dunque dovremmo pretendere di avere qualcosa di unico? E perché potremmo allora pretendere di avere un solido fondamento per la scienza? Niente che sia più ristretto della dottrina Calviniana della provvidenza di Dio che dirige ogni cosa, e del carattere indelebilmente rivelazionale di ogni fatto dell’universo creato, può fornire un vero fondamento per la scienza. E come possiamo pretendere di essere capaci di fare buon uso dei risultati degli sforzi scientifici di scienziati non cristiani se, poggiando su basi essenzialmente Romaniste, non possiamo fare buon uso neppure dei nostri propri sforzi?

Perché vivere in un mondo dei sogni, ingannandoci e facendo falsi pretesti davanti al mondo? La visione non Cristiana della scienza:

a)  presuppone l’autonomia dell’uomo

b)  presuppone il carattere non-creato, cioè il carattere dei fatti di
essere controllati dal caso, e

c)  presuppone che le leggi poggino non su Dio ma da qualche parte nell’universo.

Ora se noi sviluppiamo una dottrina della grazia comune in linea con gli insegnamenti di Hepp per quanto riguarda la testimonianza generale dello Spirito allora stiamo incorporando nel nostro edificio scientifico quelle stesse forze di distruzione contro cui quella testimonianza è tenuta a procedere [12].

Il concetto di terreno neutrale presuppone un area della creazione che è fuori dal governo di Dio e che può essere interpretata senza di lui e separatamente da lui. Per il pensatore cristiano coerente non può esserci possibilità separatamente da Dio, il Quale “non è circondato da, ma è la scaturigine della possibilità” [13]. Ogniqualvolta e ogni dove sia postulata un’area di possibilità separata da Dio, e un’area di pura casualità e di bruti fatti, e quest’area di conseguenza venga fatta essere l’area della grazia comune e il terreno comune tra uomo e uomo, a quel punto la dottrina della creazione è stata messa da parte, e la grazia comune è definitivamente considerata uguale alla divinità comune e all’essenza comune [14]. Non tutti i proponenti della grazia comune su queste basi sono consapevoli delle implicazioni finali della loro posizione, molti sono onestamente convinti che ciò che stanno difendendo sia la fede Riformata, ma ciò nonostante, questo è il significato della loro posizione.

Calvino, come indica Van Til, distinse tra cause immediate e cause ultime. “Le cause storiche hanno significato genuino solo in ragione (o a causa) del piano ultimo di Dio. Dio arriva giù a raggiungere l’auto- consapevolezza di ogni individuo”. A coloro i quali credono che l’attività umana e divina siano entrambe creative, e che non possono essere simultanee e co-estensive, è impossibile parlare in modo soddisfacente senza arrendere o la sovranità di Dio o la realtà di cause secondarie come l’integrità della volontà umana. La loro logica richiede la resa di uno dei due, o Dio o l’uomo.

Piuttosto che cercare di venire incontro all’oppositore che fa richieste di presunta coerenza logica, vediamo di non negare il fatto della rivelazione di Dio riguardo al suo favore generale a tutta l’umanità o il fatto della collera di Dio che grava sull’eletto. Per venire incontro all’oppositore e soddisfarlo dovremmo negare il significato di tutta la storia e di tutte le cause secondarie. Noi avremmo bisogno di spazzare via la differenza tra Dio e l’uomo. Per l’oppositore è contraddittorio dire che Dio controlli qualsiasi cosa avvenga, e dire anche che le scelte umane hanno significato[15].

Qualsiasi tentativo di limitare il particolarismo della grazia di Dio e del suo decreto, e di stabilire possibilità fuori di Dio dicendo che l’uomo può essere salvato o perduto separatamente da Dio, dice molto di più di quanto l’oppositore sia disposto a dire. O Dio è Dio, o non è Dio. O governa ogni cosa, o altrimenti, come l’uomo non rigenerato, egli lotta in un universo alieno cercando di imporre la propria volontà in un ostile area di possibilità. Van Til riassume così:

Su queste basi Dio stesso è implicato nel reame della possibilità. Come dunque può anche rendere possibile la salvezza per qualsiasi singolo uomo, figurarsi il renderla possibile a tutti gli uomini? Se Dio non è l’origine della possibilità allora non può rendere la salvezza possibile per l’uomo: e se è l’origine della possibilità allora egli è questa origine perché è in controllo di ogni realtà [16].

Abbiamo visto che dietro la controversia sulla grazia comune risiede la falsa alternativa: o Dio o l’uomo. La risposta di Hoeksema fu: “Se devo fare la scelta di perdere Dio o l’uomo, datemi Dio. Lasciate ch’io perda l’uomo”. Il Sinodo del 1924 rese impossibile questa scelta con la sua decisione. La sua decisione, comunque, per quanto saggia, è solamente una formulazione elementare. Come il Credo degli Apostoli fu una primitiva dichiarazione di fede, e pienamente valida, seppur non abbastanza definitiva da eliminare le opinioni eretiche sulla natura di Cristo, così sono i Tre Punti del 1924, validi, ma lungi dall’essere completi. I credi di Nicea e di Calcedonia furono necessari per darci più specificamente la Cristologia ortodossa. Allo stesso modo, i Tre Punti devono essere considerati solamente l’inizio, ma un valido inizio, della definizione della grazia comune. Tale sviluppo produce risentimento in chi non vuole pensare, proprio come nella chiesa primitiva molti ebbero il sentimento che Paolo complicasse inutilmente la semplice fede. Pietro, nel commentare il fatto che quegli uomini instabili torcevano gli scritti di Paolo, propriamente commentò che essi facevano la stessa cosa anche col resto delle Scritture [17].

I Tre Punti dunque sono un inizio. Come tale, hanno saggiamente eliminato, come richiese la controversia che fece precipitare la loro formulazione, quelli che con Hoeksema dissero: “Lasciatemi perdere l’uomo”. Proprio come il partito presunto ortodosso del New England, trasformando la depravazione totale in depravazione assoluta, e negando la grazia comune decise di “perdere l’uomo” così gli attuali difensori di una ortodossia legnosa e non Biblica sono pronti a mollare l’uomo. Dall’altro lato, però, i Tre Punti non trattano con l’altra parte, quelli che sono pronti a dire il contrario di Hoeksema: “Se devo fare una scelta di perdere o Dio o l’uomo, datemi l’uomo. Lasciate ch’io perda Dio”. L’offesa de La Grazia Comune di Van Til fu che, benché confermi la decisione contro Hoeksema, egli andò oltre e indicò che una dottrina Biblica della grazia comune significa anche l’esclusione di coloro che scelgono l’uomo limitando Dio. Su questo terreno l’ardore e la passionalità manifestati contro Van Til diventano comprensibili. Ravvivando la questione della grazia comune ed estendendone la portata, egli eliminò il nascondiglio di un gruppo di persone la cui discrepanza con la fede non era ancora stata affrontata.

Daane, nel nome del Calvinismo, obbietta il decreto eterno di Dio quale punto di partenza, e la Trinità ontologica quale basilare principio d’interpretazione [18]. Lungo tutto il suo libro, egli trova il Dio sovrano e autonomo (self contained) un punto di partenza astratto e incomprensibile, e ne preferisce invece uno cristologico o relazionale. Mentre presuppone egli stesso un punto di partenza esistenzialista, accusa ferocemente Van Til di essere esistenzialista, un Kantiano ed un seguace di Kierkegaard [19], un fatto che, se fosse vero, sarebbe certamente notizia ben accolta da Barth e da Brunner, che hanno in Van Til il loro oppositore più formidabile!

A Nicea e a Calcedonia, la Cristologia fu usata come linea di difesa per l’uomo naturale. Con la pretesa di difendere prima l’umanità, poi la divinità di Gesù Cristo, furono introdotte opinioni che tendevano alla paganizzazione del vangelo e alla riaffermazione dei diritti dell’uomo naturale con mezzi ambigui. A partire dalla Riforma, è in processo di formazione una nuova linea di difesa per l’uomo naturale: “la grazia della natura” o grazia comune. Il campo del combattimento è cambiato di epoca in epoca, ma la battaglia rimane la stessa.

In Daane abbiamo un’audace affermazione dei diritti dell’uomo naturale nei confronti di Dio. Il suo attacco ha due enfasi centrali, primo all’invalidità del concetto del Dio autonomo (self contained) e del suo decreto come definitivo per la teologia e come appropriato punto di partenza, e, secondo, che possibilità ed esistenza possono essere definite indipendentemente da Dio e che di conseguenza l’uomo ha possibilità separatamente dal decreto di Dio [20].

Facendo del decreto eterno di Dio il proprio punto di partenza, Van Til non può rendere giustizia alla propria raffinata enfasi che la grazia comune deve essere compresa in riferimento al fluire del tempo. I decreti eterni di Dio sono a-temporali (eterni), e quando questi siano costituiti il fondamento del problema della grazia comune e il punto di partenza per la nostra riflessione sul problema, l’intera questione rimarrà dentro la sfera del a-temporale [21].

Qui, nuovamente, come con Hoeksema, l’errore basilare è evidente e ovvio. Dio e l’uomo sono posti in compartimenti stagni, cosicché l’attività di Dio non può essere simultanea e co-estensiva a quella dell’uomo ed essere allo stesso tempo determinativa. Poiché il decreto eterno di Dio è a-temporale (eterno), la questione della grazia comune, trattando come fa col fluire del tempo: “deve essere compresa solo nei termini del tempo, perché il decreto eterno di Dio è senza speranze intrappolato nella ‘sfera a-temporale’!” Ma se Daane è corretto qui, allora il Dio del calvinismo, il Dio della Scrittura, è un mito, o al massimo, intrappolato senza speranze nella sfera del senza tempo riguardo a tutte le cose. Dio a quel punto diventa completamente irrilevante per l’uomo, e la sua esistenza o la sua non esistenza è meramente una questione accademica in considerazione della sua ovvia incapacità di entrare nella storia. La risposta di Daane a ciò, come la risposta di Kierkegaard e di Barth, è il Cristo-Evento. Al posto della Trinità ontologica, l’autonomo, sovrano e assoluto Dio al di la della storia, viene sostituito un Cristo che proviene, non dalla trinità ontologica e dal decreto divino, ma come un’affermazione di possibilità contro uno sfondo di bruta fattualità. Questo Dio esistenzialista non è il Dio della Scrittura, né il Dio delle Confessioni. Ma Daane cerca di dimostrare il bisogno per una tale teologia dichiarando che un Dio che fa un decreto eterno ed è la fonte di ogni possibilità è automaticamente uno che è limitato all’eternità (all’a-temporale) perché egli rende impossibile il tempo .

Perciò per Daane l’uomo deve avere un’indipendenza reale e metafisica da Dio per poter avere qualsiasi valida libertà. Il decreto eterno e la reale obbedienza o disobbedienza sono irreconciliabili, il decreto eterno e la libertà umana non devono essere mantenuti entrambi, la possibilità deve essere definita indipendentemente da Dio. Quanto chiaramente affermi questo si può vedere attraverso tutto il suo libro, così tanto che egli considera la stessa espiazione, non nei termini del decreto eterno, ma nei termini di possibilità separatamente da Dio.

È solo ignorando la reale possibilità dell’obbedienza al tempo della Caduta che Van Til può sostenere che lo scopo dell’offerta generale al tempo precedente la Caduta fu la differenziazione dell’umanità in eletti e reprobi [22].

Van Til ha definito ‘possibilità’ con ciò che è co-estensivo col consiglio di Dio. In questo modo, in questa concezione non ci sono reali possibilità eccetto quelle che già sono o saranno attualizzate. Van Til considera inconcepibile che il consiglio di Dio includa genuine possibilità che non diventano attualità nella storia. Tale concezione di possibilità è puro determinismo e non può essere riconciliata con la posizione tradizionalmente sostenuta che Adamo fu creato con la libertà di non peccare. Né la Bibbia parla come se tutte le possibilità non attualizzate siano possibilità irreali e non esistenti. Gesù nel Getsemani non agì col principio che non ci siano possibilità eccetto quelle che sono attualizzate nei fatti. Confronta anche la dichiarazione di Paolo in I Cor. 2:7-8: “Ma parliamo della sapienza di Dio nascosta nel mistero, che Dio ha preordinato prima delle età per la nostra gloria, che nessuno dei dominatori di questa età ha conosciuta; perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” [23].

Come commenta propriamente Van Til: “Qui di nuovo Daane presume, con Kierkegaard, che l’esistenza limitata (finitudine) sia un concetto che deve essere definito indipendentemente da Dio. Non deve essere definito in termini di Dio” [24]. Daane “vuole l’indipendenza dell’uomo separatamente dal consiglio di Dio” [25].

Per la sua deviazione, Hoeksema fu giustamente sfidato, e lasciò la Christian Reformed Church. Daane, per la sua deviazione, non è ancora stato chiamato a rispondere, mentre la chiesa ha visto molte voci alzarsi contro Van Til (che non è un membro di quella comunione). Questo è increscioso, ma non sorprendente, anzi caratteristico della chiesa in molti periodi fin dai giorni di Paolo, poiché c’è infelicemente motivo per credere che l’uomo spesso abbia nella chiesa più amici di quanti ne abbia Dio.

Benché la battaglia rimanga la stessa, il campo di battaglia è cambiato di epoca in epoca ed al presente è centrato, dipende dal settore, sulla grazia comune, sull’ispirazione, o sull’autonomia di Dio. Ma in qualsiasi punto l’intera questione venga riaperta; è in ballo l’interezza della fede. Mentre passate vittorie dei fedeli sono apparentemente riaffermate, nuove interpretazioni vengono usate per svuotarle del significato e per plagiare le vittorie e utilizzarle per cause aliene. Così Van Til giustamente valuta la piena portata della controversia sulla grazia comune.

Il significato della nostra discussione su dato di fatto, legge e ragione per la costruzione di una filosofia cristiana della storia può ora essere indicata esplicitamente. La filosofia della storia investiga il significato della storia. Per usare una frase di Kierkegaard, noi chiediamo in che modo il Momento riesca a possedere significato. La nostra affermazione come credenti è che non si possa intelligentemente dimostrare che il Momento abbia alcun significato eccetto che sulla presupposizione della dottrina biblica della trinità ontologica. Nella trinità ontologica c’è completa armonia tra un uno egualmente ‘ultimo’ e molti. Le persone della trinità sono mutuamente esaustive l’una dell’altra e della natura di Dio…

Noi manteniamo che a meno che possiamo attenerci alla presupposizione dell’aseità della trinità ontologica, la razionalità umana stessa è un miraggio [26].

Attraverso ogni epoca i filosofi hanno cercato un principio interpretativo come quello fornito dalle Scritture: la trinità ontologica, ma la natura umana peccatrice si ribella contro questo fatto ovvio perché odia Dio e, come dichiara Van Til, preferisce parlare di astratti principi di verità, bontà e bellezza, e di un Dio piuttosto che il Dio. Ma “Dio è il nostro universale concreto; in lui pensiero ed essere hanno la stessa estensione, in lui il problema della conoscenza è risolto” [27], e anche il problema del tempo e della storia.

Non è solo la grazia comune ad essere preservata con questo approccio; è l’interezza della fede, e l’interezza della realtà e dell’esperienza. Nella controversia sulla grazia comune, qualcuno, dalla propria parte, ha cercato di limitare o di obliterare l’uomo, e altri, Dio, come risultato dei loro principi non biblici. Ma in ogni deviazione dal pensiero biblico, non importa quanto ben intenzionata sia, c’è una limitazione o un’obliterazione di qualche aspetto dell’esperienza e della realtà. La difesa della fede di Van Til è perciò una difesa della validità dell’interezza della vita perché è una difesa e un’esposizione della dottrina biblica di Dio.

 

Note:

1 Experience Mayhew, citato in H.Shelton Smith: “Changing Conceptions of Original Sin, A Study in American Theology Since 1750, p. 21. New York, Scribner’s, 1955.
2 E.M.Wilbur: “A History of Unitarianism”, 1946, p. 15s.
3 Herman Hoeksema: “The Protestant Reformed Churches in America. Their Origin, Early History and Doctrine. Grand Rapids, Mich. 1936. p. 16
4 Vedi C. Van Til: “Defense of the Faith”, p.424 ss.
5 Citato in a.C. De Jong “The Well- Meant Gospel Offer: The Views of H Hoeksema and K. Scilder”. P. 79 s.
6 Ibidem. P.81.
7 Vedi james Daane: “ATheology of Grace”, 1954. Eerdmans, Grand Rapids, Mich.; W. Masselink: “Common Grace and Christian Education” sillabo ciclostilato 1951. e “General Revelation and Common Grace”, 1953.
8 C. Van Til “A Letter on Common Grace”. p. 39.
9 Ibidem; p. 41
10 (N.d.T.)‘ultimate’ non sembra traducibile in italiano. Potremo dire ‘qualità o principio ultimo (o primo) dell’essere’, oppure ‘L’ Essere non originato che è origine di ogni altra forma ( perciò subalterna) di esistenza’.
11 Ibidem, p. 61.
12 Ibidem, p. 65 s.
13 C. Van Til: “Commun Grace and Witness Bearing”, p. 9. 14 (N.d.T.) Partecipazione umana alla divinità e monofisismo.
15 Idem, p. 21s.
16 C. Van Til: “Particularism and Common Grace”; p.19
17 II Pt. 3:15s
18 James Daane “A Theology of Grace”: pp. 24s., 102s., 106, 111 ecc.
19 Idem. pp. 49, 59, 93, 101, 118, 120s., 130, 146.
20 Per un’analisi più estesa delle idee di Daane, vedi C. Van Til “The defense of the Faith”, pp. 398-423; Earl Zetterholm in “Torch and Trumpet”, Marzo 1957, Vol. 6, N° 10: “Is It Really Possible?”, Aprile 1957, Vol. 7. N° 1: “Unactualized Possibilities and the Confessions”, maggio-giugno, 1957, Vol 7, N° 2 e ottobre 1957, Vol 7, N° 5: “The inescapable Cross”.
21 Daane, op. cit. p. 24.
22 Ibidem, p. 68
23 Ibidem, Nota piè di pagina, p. 68. Per una critica estesa di questo aspetto del pensiero di Daane, vedi Zetterholm: op. cit.
24 C. Van Til: “Defense of the faith”, p. 417.
25 Ibidem, p. 422.
26 C. Van Til: “Common Grace”, pp. 7s., 9.
27 Ibidem., p. 64.


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