6. Apologetica e auto-consapevolezza

 

“L’apologetica è la difesa della filosofia cristiana della vita contro le varie forme di filosofia di vita non-cristiane” [1]. Nella tradizione di Princeton l’apologetica fu chiamata in causa per stabilire la verità del cristianesimo contrapposta alle affermazioni della miscredenza. Abraham Kuyper, però, sfidò quest’approccio tradizionale definendolo falso calvinismo per il fatto che assume che l’uomo naturale abbia la capacità di ragionare la sua via alla salvezza e che i presupposti dell’uomo naturale possano condurre a Dio. Lo sviluppo di questa tradizione di Amsterdam che Van Til ha dato è considerata da molti il suo più grande contributo alla fede riformata. Questo implica il presupposto che l’interezza della Scrittura e della fede cristiana siano vere. Anziché cercare di provare al non-rigenerato la verità della Scrittura ne assume la veracità fin dall’inizio e poi sfida l’uomo naturale dimostrando che sui suoi presupposti nulla è vero, nulla può essere spiegato, e il suo modo di pensare non è valido. Van Til in questo modo dimostrò coerentemente che l’uomo naturale non osa essere fedele (coerente) al proprio pensiero ma che il più delle volte deve utilizzare presupposti cristiani per rendere possibili scienza, filosofia e pensiero. Egli dimostra che gli Scolastici e gli Arminiani sono pensatori incoerenti e che o non vogliono seguire la fede cristiana coerentemente o sono ignoranti della natura della loro logica. L’apologetica di Van Til si può vedere chiaramente in The Defense of the Faith e in The New Modernism. In quest’ultima opera abbiamo una completa analisi della teologia di Barth e di Brunner che dimostra che il loro tentativo di superare i loro presupposti e la teologia della coscienza e di raggiungere un Dio assolutamente altro non è niente di più che un tentativo balistico terra-aria, che comincia e termina sulla terra, proprio come il loro Dio comincia e termina nella coscienza umana ed è più soggettivo del soggettivismo. Nel primo, i presupposti di Cecil De Boer, Jesse De Boer, Orlebeke, Val Halsema, Daane e Masselink sono dimostrati essere incoerenti con la fede riformata che propongono. Da lì in poi l’apologetica di Van Til opera sul principio pratico che la miglior difesa è un buon attacco. Ma la questione va ancor più in profondità. La sua apologetica pone fine alle illusioni e alle pretese degli uomini e mette a nudo i loro presupposti. Opera nella convinzione fondamentale che se non si presuppone l’insieme del cristianesimo non si può conoscere nulla logicamente e coerentemente: che o si comincia col Dio autonomo e il suo decreto eterno come ambiente ultimo dell’uomo, come derivato dalla Scrittura, o si assume che il caso sia il valore ultimo nel cui caso l’uomo non conosce nulla a meno che conosca tutto. E conoscere tutto è particolarmente un’impossibilità in un universo in evoluzione nel quale potenzialità e possibilità sono illimitate.

L’apologetica di Van Til, come la sua predicazione, e di fatto qualsiasi vera predicazione, ha uno scopo preciso: rendere epistemologicamente consapevoli tanto cristiani che non-cristiani, rivelare ad entrambi la natura dei loro presupposti e le loro incoerenze e portarli ad una più chiara responsabilità nei confronti della loro posizione come osservanti o trasgressori del patto. È impossibile apprezzare il successo di Van Til in questo compito senza prendere atto dell’angosciata e aspra opposizione che ha sollevato. L’auto-consapevolezza è un affare doloroso per l’uomo, il quale, epoca dopo epoca ha cercato di cullarsi nel sonno con l’oppio della religione, dell’economia, della politica e degli affari, e ha cercato un’affannosa fuga dentro a mille e una attività e rifugi. L’uomo prova risentimento nei confronti della propria auto-consapevolezza perché le è fondamentale un’ineludibile consapevolezza di Dio che cerca di sopprimere. Cerca di stabilire se stesso come autonomo, ma non solo tutta la creazione ma anche ogni fibra del suo essere fa rintronare la sua irreprimibile conoscenza di Dio. Erige un elaborato sistema di pretesti (finzioni), sperando che se finge per un tempo sufficiente che Dio non esista Dio sparirà! Il cristiano incoerente cerca di soddisfare entrambi, Dio e l’uomo, sperando di sfuggire la tensione della decisione o il conflitto del reclutamento soddisfacendo sia Dio che l’uomo naturale. Ma la metodologia di Van Til milita contro tutto questo. Richiede un esame dei presupposti e una coerenza nei loro termini. Richiama l’uomo ad essere epistemologicamente auto-consapevole.

Perciò, per l’apologetica di Van Til è fondamentale il principio che per l’uomo l’auto-consapevolezza di sé presuppone la consapevolezza di Dio. Calvino parla di questo come dell’ineludibile senso della divinità che c’è nell’uomo. La dottrina della creazione, e specialmente della creazione ad immagine di Dio, fa di questa consapevolezza di Dio un fatto ineludibile. Ma l’uomo non solo è una creatura, è creato anche un essere storico il che implica il concetto del patto. L’uomo ha una storica “responsabilità e compito di reinterpretare a se stesso individualmente e collettivamente il consiglio di Dio come espresso nella creazione. La consapevolezza dell’uomo di essere creatura può perciò essere particolarmente descritta come consapevolezza-pattizia”. Essendo il lavoro dell’uomo analogico, per questo compito era basilare la dipendenza da Dio e quindi, siccome “la rivelazione naturale è essa stessa incompleta” fin dal principio “proprio l’idea stessa di rivelazione soprannaturale prende correlativamente corpo nell’idea della corretta auto-consapevolezza dell’uomo” [2]. L’uomo pertanto sa di essere un trasgressore del patto, sa che, anziché amministrare se stesso e tutte le cose alla gloria di Dio, cerca di amministrare tutte le cose, se stesso incluso, per la propria gloria. Van Til non spreca tempo a comprovare Dio. Al contrario, egli dimostra, con la sua incisiva analisi delle filosofie rivali, che argomentare coerentemente che Dio non esiste, è distruggere tutta la scienza e la filosofia e rendere insignificanti tutte le cose. Come egli stesso lo enuncia:

La visione veramente biblica … applica la potenza atomica e i lanciafiamme proprio ai presupposti delle idee che l’uomo naturale ha di sé. Non teme di perdere un punto di contatto sradicando le erbacce anziché tagliarle a livello della superficie. Ha la certezza di un punto di contatto proprio nel fatto che ogni uomo è fatto ad immagine di Dio ed ha impressa su di sé la legge di Dio. In quel fatto da solo può stare sicuro riguardo al problema del punto di contatto. Perché quel fatto rende gli uomini sempre accessibili a Dio. Quel fatto ci assicura che ogni uomo, per essere effettivamente uomo, deve già essere in contatto con la verità. È talmente in contatto con la verità che molta della sua energia viene spesa nel vano tentativo di nascondere a se stesso questo fatto. I suoi sforzi di nascondere a se stesso questo fatto sono destinati ad essere auto-frustranti.
Solo trovando così il punto di contatto nel senso della divinità che si trova sotto il suo proprio concetto di auto-consapevolezza come di valore ultimo possiamo essere sia fedeli alla Scrittura che efficaci nel ragionare con l’uomo naturale [3].

Tutta la realtà creata è di carattere rivelazionale; che riveli Dio è inevitabile e ineludibile. Ma l’uomo naturale cerca di soffocare questa testimonianza quanto quella della sua propria natura. Come risultato, l’unico punto di contatto che tollera è uno che conceda la sua rivendicazione d’autonomia. Il solo modo in cui il cristiano può trattare con questa testardaggine e volontaria cecità è con uno “scontro frontale” mediante una sfida a oltranza all’uomo naturale. Deve ragionare per presupposto e, come insegnato in tutta la Scrittura, la trinità ontologica è il presupposto di ogni postulato umano.

Ogni modo di ragionare è per presupposti, ma troppo poco ragionamento è coerentemente e auto-consapevolmente presupposizionale. Alcuni anni fa, un commerciante occidentale, si trovò fortemente aiutato nel suo lavoro dal suo status di mezzo-bianco, mezzo-indiano. Tra gli indiani, egli parlava naturalmente la sua lingua madre, si comportava come uno di loro e ragionava nei termini della loro cultura e fede. Tra i minatori e gli allevatori bianchi prontamente ricadeva nei modi di fare di suo padre, nello scetticismo di suo padre nei confronti dei miti indiani, e nel senso di superiorità dell’uomo bianco. Benché spesso accusato di ipocrisia, un peccato assai comune tra questi sangue misto e per loro una fonte di vantaggio, ciò non era completamente vero nel suo caso. Egli condivideva ambedue le prospettive e viveva in una tensione e frustrazione non risolte. In un senso questa è la posizione dell’uomo naturale oggi. Una creatura creata ad immagine di Dio, il suo intero essere è rivelazionale di Dio. Per pensare coerentemente deve presupporre Dio. Per poter avere scienza deve cominciare con assunti cristiani e presupporre l’unità della scienza e della conoscenza. Ma, essendo decaduto, egli presuppone ora la propria autonomia e cerca di sopprimere, ovunque divenga consapevole delle sue implicazioni, questa basilare presupposizione di Dio. Come risultato, il suo pensiero è incoerente, rivela la sua tensione e frustrazione e manca di una auto-consapevolezza epistemologica. Vivere coerentemente nei termini della sua autonomia lo immergerebbe nell’oceano senza riva e senza fondo della relatività, ma vivere e pensare coerentemente nei termini del Dio autonomo implicherebbe una resa totale alla sua sovranità. L’uomo naturale cerca, come di fatto fanno anche molti rigenerati, di vivere nei termini di entrambi i presupposti, di tenere un piede in ciascun campo e d’avere i vantaggi offerti da ambedue Dio e Satana, ma i risultati di questo sforzo conscio e subconscio sono tensione e frustrazione. L’apologetica di Van Til cerca di far emergere questa consapevolezza epistemologica in ambedue il rigenerato e il non-rigenerato e di rendere ambedue consapevoli del loro modo di ragionare. Implica un riconoscimento della vera natura del ragionare. Come osserva Van Til: “Ammettere i propri presupposti e indicare i presupposti di altri è pertanto mantenere che ogni ragionare è, per la natura del caso, ragionare circolarmente. Il punto di partenza, il metodo e la conclusione sono sempre implicati l’uno nell’altro” [4]. Van Til riassume la faccenda in questione molto chiaramente:

Supponete che pensiamo di un uomo fatto d’acqua, in un oceano d’acqua infinitamente esteso e senza fondo. Desiderando uscire dall’acqua, costruisce una scala d’acqua. Pianta la scala sull’acqua e l’appoggia contro l’acqua e poi cerca di risalire fuori dall’acqua. Tale disperato e insensato quadro deve essere tracciato della metodologia dell’uomo naturale basata com’è sull’assunto che tempo o caso siano valori ultimi. Sul suo assunto la sua stessa razionalità è un prodotto del caso. Sul suo assunto perfino le leggi della logica che impiega sono prodotto del caso. La razionalità e lo scopo che potrebbe stare cercando sono ancora destinate ad essere prodotto del caso. Il teismo cristiano, che è stato in precedenza rigettato a motivo del suo carattere autoritario, è la sola posizione che da al ragionamento umano un campo per operare con successo e un metodo di vero progresso in conoscenza [5].

I non-cristiani sono capaci di scoprire del vero solo perché “non sono mai in grado e perciò non usano mai i loro metodi coerentemente”. A. E. Taylor ha ammesso che il concetto di uniformità della natura, così fondamentale per la scienza, non può essere provato se non su evidenza che presuppone questo stesso principio. Il cristiano dovrebbe cominciare il suo pensare consapevolmente impegnato a ragionare sistematicamente sul presupposto della trinità ontologica, il Dio autonomo la cui infallibilità ha ispirato la rivelazione finale all’uomo nella Scrittura. Non è possibile nessun assunto per gradi di teismo cristiano: deve essere presupposto il tutto, e il tutto deve essere dimostrato essere il solo presupposto che consente la razionalità e da la possibilità di una conoscenza coerente. “Un metodo di ragionare veramente Protestante implica un’evidenziare il fatto che il significato di ogni aspetto o porzione del teismo cristiano dipende dal teismo cristiano come unità” [6].

L’apologetica cristiana ha il proprio principio di discontinuità nella dottrina della creazione e il proprio principio di continuità nel Dio autonomo e nel suo piano per la storia. Ha un concetto dell’unità del vero mentre l’uomo naturale, come Eva, separa vero e realtà. Eva, nel soccombere alla tentazione di Satana, è caduta all’opinione “che nessuna asserzione nei termini di uno schema razionale potesse predire il corso di movimento della realtà controllata dal tempo. Satana praticamente spinse l’uomo a credere che la realtà doveva essere concepita come qualcosa che non è sotto il controllo razionale. Ogni filosofia non-cristiana fa l’assunto fatto da Adamo ed Eva ed è perciò irrazionalista [7]. Il risultato è che la metodologia non- cristiana è atomistica e ha una concezione di sistema (ordinamento) solo come una nozione e un ideale limitanti, non come una realtà. L’uomo naturale sa ciò che sa sulle basi di principi ai quali nega ogni validità e realtà, mentre professa principi sulle basi dei quali non può conoscere nulla. Il suo è di fatto un ballo di san Vito in terra di nessuno.

Come risultato, egli nega qualsiasi autorità eccetto quella che è consenziente al suo presupposto di autonomia. Il suo concetto di autorità è perciò basilarmente l’idea dell’esperto a cui aderisce in varie forme. Nel negare virtualmente che l’eterno decreto di Dio sia l’ambiente ultimo dell’uomo, l’uomo naturale distrugge se stesso per il fatto che fa del caso il valore ultimo. “Il caso è semplicemente il correlativo metafisico dell’idea dell’uomo autonomo”. Quando l’uomo cerca di detronizzare Dio, detronizza se stesso come vice-reggente; quando l’uomo dubita il consiglio di Dio distrugge il fondamento del proprio ragionare; quando l’uomo mette in questione la predestinazione di Dio nega il fondamento della propria libertà. Ma l’uomo naturale imbocca il corso mortale.

L’uomo autonomo non permetterà che la realtà sia già strutturale in natura per virtù dell’attività strutturale del piano eterno di Dio. Ma se la realtà non è strutturale in natura, allora l’uomo è colui che per la prima volta, e pertanto in modo assolutamente originale, dovrebbe portare struttura alla realtà. Ma tale struttura può essere solo “per lui”. Infatti, nella natura del caso, l’uomo in quanto essere limitato e pertanto temporalmente limitato, non può controllare l’intera realtà. Ma tutto ciò ammonta solo al dire che la moderna filosofia è assai coerente con i propri principi quando contende che in tutto ciò che l’uomo sa egli sia da che prende. Ciò che gli è dato è meramente il non razionale, egli stesso lo razionalizza per la prima volta. E così ciò che gli sembra una realtà collegata razionalmente è tale primariamente perché egli stesso l’ha razionalizzata [8].

Lo scopo dunque dell’apologetica e della predicazione di Van Til, come dovrebbe essere di ogni pensiero veramente cristiano, è di causare nell’uomo questa auto-consapevolezza epistemologica, di richiamare i rigenerati ai loro presupposti, e costringere l’uomo naturale a riconoscere il significato della sua posizione, di “strappare la maschera dalla faccia del peccatore” e obbligarlo a “guardare a se stesso e al mondo per quello che realmente sono” [9].Gli uomini detestano questa auto-consapevolezza epistemologica; preferiscono camuffare il loro desiderio cainitico che Dio non esista sotto un mucchio di razionalizzazioni. Preferiscono vivere in un mondo grigio di evasione e di irresolutezza. Per loro è un disservizio essere richiamati all’onestà e alla coerenza. Ma il richiamo deve essere fatto. E Van Til lo ha fatto.

Note:

1 C. Van Til: Apologetics, p.1. (Benché la definizione di Apologetica come “difesa” della fede sia usuale, l’A. altrove usa “defense” mentre qui la parola ancor più pregante “vindication”, n.d.t.).
2 Ibid., p. 55.
3 Ibid., p. 58.
4 C. Van Til: The Defense of the Faith, p. 118.
5 Ibid., p. 119.
6 Ibid., p. 132.
7 Ibid., p. 135.
8 Ibid., p. 157 s.
9 Ibid., p. 166.


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