15. 3. L’analogia di Joseph Butler
Nell’Analogia del vescovo Butler il principio tomista della capacità dell’uomo naturale di giungere alla verità della religione cristiana mediante “l’uso ragionevole della ragione” fu rivitalizzato e gli fu data la sua classica formulazione protestante, una formulazione che determinò la maggior parte delle apologetiche successive. La ragione è considerata arbitro e giudice su significato, moralità ed evidenza della rivelazione e della Scrittura. Come risultato dell’esame delle evidenze Tommaso d’Aquino e Butler conclusero entrambi che Dio probabilmente esiste. Nell’alfa e omega di questa metodologia, l’auto- consapevolezza umana è assunta essere autonoma, capace di sedere in giudizio su Dio e la sua rivelazione, e intelligibile senza fare riferimento a Dio come creatore e interprete. Il fatto cospicuo di questo pensiero è il suo mancare di considerare l’uomo come creatura o di prendere sul serio la relazione Creatore-creatura e le sue implicazioni. Se il loro pensiero fosse verace, Dio sarebbe irrilevante per la situazione umana perché non è né creatore né determinatore delle cose ma solo un comune partecipante nell’essere e nella storia. Il pensiero assume inoltre l’imparzialità e la neutralità dell’uomo il trasgressore del patto. Come risultato, l’apologetica basata su tale approccio non riesce a presentare più che un Dio probabile il quale è una pallida ombra ed imitazione del Dio della Scrittura indipendentemente da quanto siano ben intese le sue speranze e quanto calvinista sia la sua teologia. Il metodo apologetico della vecchia Princeton era largamente indebitato a Butler che a sua volta era indebitato a Tommaso D’Aquino.
Il sillabo di Van Til su Christian-Theistic Evidences (1947) esplora la fallacia di questa posizione in modo completo. Come egli evidenzia: “I fatti e l’interpretazione dei fatti non possono essere separati. È impossibile discutere persino qualsiasi fatto particolare se non in relazione a qualche universale” [1]. Butler distingue tra evidenze probabili e dimostrative, con le evidenze probabili che conducono dalla mera presunzione alla certezza morale, e quelle dimostrative che danno immediata ed assoluta certezza. Butler credeva che il cristianesimo fosse più probabilmente vero. Secondo questa prospettiva, la ragione poteva determinare “Ciò che ci dovremmo aspettare da un essere sapiente, giusto e buono” e avendolo determinato, procedere a vedere se tale Dio sia presentato nella Scrittura o compaia in natura. In questo modo, Butler si dichiarò pronto a rinunciare alla Scrittura o a qualsiasi porzione di essa, purché “la ragione sia mantenuta”. Ad ogni modo, cominciando con questo concetto di ciò che la ragione debba aspettarsi, si trovò inevitabilmente ad interpretare tutta la realtà nei termini di quell’aspettativa e a trovare un Dio certamente probabile nell’immagine della propria ragione.
Come ha evidenziato Van Til, Butler effettivamente suppone che l’ “Autore della Natura” esista perché pensa che l’argomento razionale stabilirà ragionevolmente l’esistenza di Dio. Ma, nella sua metodologia, egli ignora ciò che suppone, come se questo fosse possibile. Egli assume un mondo di cruda fattualità, senza ordine o significato, e poi assume che una ragione autonoma e sconnessa sia capace di stabilire un mondo che nella sua assunzione di autonomia non può esistere.
Che significato dunque c’è nell’idea che noi “supponiamo” un “Autore della Natura”? Dal lato pratico non lo stiamo allora ignorando? In altre parole, se esiste un Dio presupposto, quella presupposizione non dovrebbe controllare il nostro ragionamento? E in quel caso possiamo essere empirici nel nostro metodo di argomentare? [2].
Questo empirismo trovò rapidamente il proprio risultato finale nello scetticismo di Hume. Come ha chiaramente dichiarato Van Til: “Butler fece appello ai crudi fatti. Ai crudi fatti Hume lo costrinse ad andare” [3]. Se egli stava ragionando dalla cruda fattualità non avrebbe potuto assumere i fatti che intendeva provare; se egli aveva cominciato come empirico, non poteva per sua convenienza assumere a priori idee per tenere assieme i suoi dati empirici in qualche conveniente universale. Hume, in quanto empirista più coerente forzò la questione, e l’apologetica dell’Aquinate e di Butler non può sfuggire l’alternativa che egli costringe tale apologetica ad affrontare. “Per Hume il concetto basilare di pensiero è la nuda possibilità, mentre per uno che tiene fede a un ‘Autore della Natura’ il concetto basilare di pensiero dovrebbe essere la completa razionalità di Dio. Butler mancò di vedere questa basilare alternativa” [4]. L’empirismo coerente conduce ad un numero infinito di possibilità che, come ha dimostrato Van Til, cancellano ogni numero infinito di probabilità. Butler non poteva neppure ripiegare su un apriorismo non cristiano perché conduce allo stesso risultato finale.
Coloro i quali cercano di provare l’esistenza di Dio mediante un argomento a priori di genere non cristiano, provano troppo. Se provano la necessaria esistenza di Dio, provano anche la necessaria esistenza di tutto ciò che esiste d’altro. La necessaria esistenza di Dio è detta essere implicita nell’esistenza finita dell’uomo. Ciò è in effetti inteso significare che quella necessaria esistenza è un correlativo all’esistenza relativa. Ma questo a sua volta implica che l’esistenza relativa sia un correlativo dell’esistenza necessaria. In questo modo Dio viene all’esistenza mediante l’ipostatizzazione dell’uomo. Le cose temporali, insieme al male che c’è in esse, sono prese come correlative di Dio. Ciò distrugge l’immutabilità di Dio. Dio, come l’uomo è in questo modo fatto soggetto al cambiamento. In questo modo si ritorna al caso come il concetto più fondamentale in filosofia. Il ragionamento a priori su assunti non-cristiani, non meno del ragionamento a posteriori su assunti non-cristiani, porta all’apoteosi del Caso e quindi alla distruzione del predicato [5].
Le apologetiche di Tommaso D’Aquino e di Butler e dei loro seguaci hanno avuto le loro conseguenze naturali e i loro sviluppi in conclusioni infelici. E tuttavia fioriscono, non in successi filosofici, ma in un continuato fascino per nuove generazioni di pensatori. La ragione è ovvia. L’Arminianesimo non può cercare altro fondamento e deve cercare di trovare qualche tipo di sicurezza nella sua insostenibile posizione. Dentro la chiesa cattolico-romana il Tomismo può dominare per mezzo di un decreto ufficiale che ne arresta lo sviluppo; dentro al protestantesimo Arminiano, senza fiat papale, uno sviluppo bloccato è all’ordine del giorno. Cominciare con una posizione cristiana, cominciare col presupposto che il Dio della Scrittura è il vero Dio ha, come osserva Hackett, infelici conseguenze, perché cala una persona in “un’atmosfera estremamente calvinista” [6]. Sembrerebbe meglio evitare Dio e il calvinismo che resistere il pessimo corso delle probabilità impossibili. Ecco perché l’apologetica Arminiana continua, non malgrado i suoi difetti, ma grazie a loro.
In termini di ciò, la teologia modernista nel seguire il pensiero kantiano ed esistenzialista è stata più onesta nei confronti dei propri assunti di quanto abbia fatto il Fondamentalismo nel rimanere con Butler. Se Tommaso D’Aquino e Butler sono nel giusto, allora è meglio che l’uomo ottenga il massimo dalla sua autonomia, che faccia di sé la misura della realtà e che dichiari che sia significativamente reale solo quanto egli stesso può categorizzare.
C’è una sola spiegazione assolutamente vera di ogni fatto e di ogni serie di fatti nell’universo. Dio possiede questa spiegazione di ogni fatto assolutamente vera. Di conseguenza, le varie ipotesi che sono attinenti alla spiegazione dei fenomena devono essere coerenti con questo presupposto fondamentale: Dio è il presupposto dell’attinenza di qualsiasi ipotesi [7].
Ma perfino la teologia modernista, avendo seguito Kant, rifiuta di essere onesta nella sua rivendicazione di autonomia. La terminologia biblica,
specialmente con la neo-ortodossia, deve essere presa in prestito per rivestire il lupo della cruda fattualità. E ancora una volta ciò non sorprende. L’auto-consapevolezza epistemologica è l’impetuosa direzione della storia, accanitamente resistita ad ogni passo e tuttavia forzata avanti proprio dalla stessa resistenza ad essa. E, di fronte a questo, ogni tentativo di tornare allo sviluppo arrestato di d’Aquino e di Butler diventa più irrilevante per la storia dell’apologetica.
Note:
1 C. Van Til: Christian-Theistic Evidences, p. i. 2 Ibid., p. 9.
3 Ibid., p. 22.
4 Ibid., p. 23.
5 Ibid., p. 27.
6 G. C. Hackett: The Resurrection of Theism, p. 158, 174 (Moody Press) 7 C. Van Til, op. cit., p. 63.