Questo libro è venuto in esistenza gradualmente. Durante i miei giorni da studente partecipai ad un corso che il Rev. J.C. Sikkel di Amsterdam tenne per gli insegnanti di scuola domenicale. Ogni sabato ripassava la storia della bibbia che avremmo dovuto raccontare il giorno dopo. In quelle sessioni ci dava alcuni spunti per aiutarci nel presentare la storia. Non li ho mai dimenticati.
Gli sono succeduto in quel corso anni fa e da allora l’ho sempre insegnato. Per alcuni anni ho anche scritto tracce per insegnare le storie della bibbia ai “club evangelistici” di ragazzi e ragazze. Le stesse storie sono state trattate sia nelle tracce che nel corso per studenti di scuola domenicale.
Durante questo lavoro sono stato ripetutamente costretto ad affrontare una certa domanda: In che modo raccontiamo la storia della bibbia? Quando ho trattato con questa domanda davanti ad una platea di insegnanti di scuola domenicale erano presenti anche insegnanti di altre materie. Di volta in volta ho discusso questa faccenda con questi insegnanti perché le storie sono generalmente collegate nello stesso modo tanto nella scuola primaria [1] che nella scuola domenicale. È un modo di procedere che intendo difendere in questo libro.
In quelle conversazioni gli insegnanti hanno ripetutamente cercato guida su come implementare in modo pratico i principi che proponevo, specialmente per le storie tratte dal Vecchio Testamento. In questo libro, perciò, ho dedicato poco spazio all’Introduzione. Il corpo del libro è invece costituito da lineamenti per guidare nell’effettivo racconto delle storie.
Questo libro non è per chi desideri imparare uno schema a memoria e poi “recitarlo”. Una tale procedura può portare solo al fallimento. Le tracce qui proposte non devono nemmeno essere considerate come modelli per i vostri racconti della storia. Sono intesi semplicemente come una guida per il viaggiatore che accompagnano carte geografiche e commenti perché sono intesi a sottolineare i vari elementi implicati nella storia. Dopo che si sarà studiata la guida per il viaggiatore, bisognerà vedere da sé. Questi lineamenti sono dunque intesi per persone che stanno guardando all’insieme delle Scritture per una comprensione della Parola di Dio prima di cominciare a raccontare la storia. Siccome mi rendo conto della difficoltà di raggiungere quella comprensione, sono ben consapevole dei molto limiti di questi lineamenti.
Poiché l’enfasi cade sul lato pratico del raccontare le storie, l’Introduzione non dettaglia tutti i principi che devono governare l’esposizione. L’applicazione del principio generale relativo a un miracolo o una parabola, per esempio, devono essere racimolati dai lineamenti stessi.
La forma della nostra narrazione. Non c’è bisogno di dire molto sulla questione della forma. Questa questione è effettivamente molto importante ma raccontare le storie della storia biblica [2] è in larga misura lo stesso che raccontare qualsiasi altro tipo di storia. Siccome è già stato detto abbastanza da altri su come esporre le storie saranno sufficienti alcune speciali osservazioni.
Voi dovete raccontare una storia, non tenere una lezione o portare un sermone. Raccontare una storia è farla diventare viva, fare che i bambini la vedano, riuscire a coinvolgerli. Per raggiungere questo obbiettivo fate uso di qualsiasi dettaglio la storia offra. Dovreste tracciare cartoline mentali e giocare con l’immaginazione.
Questo metodo è limitato, però, dal contenuto e la finalità della nostra narrazione. Il vostro scopo principale non è divertire i bambini ma portare loro un messaggio. Perciò, non lasciate che il punto principale si perda nei dettagli o sia seppellito dall’immaginazione. Dovete guardarvi particolarmente da quest’ultimo pericolo.
Nel raccontare una storia che porta un messaggio c’è sempre un pensiero centrale. Di conseguenza ci sarà anche un punto culminante. Quando si sia data l’enfasi appropriata al pensiero centrale non c’è bisogno di esagerarlo.
L’obbiettivo della nostra narrazione. L’obbiettivo è incoraggiare i bambini a credere, a “muoverli a fede”. Senza dubbio questo è lo scopo per narrare storie bibliche a qualsiasi incontro evangelistico, ma dobbiamo forse considerarlo anche lo scopo nel narrare storie bibliche nella scuola primaria?
Il nostro obbiettivo nel raccontare la storia biblica deve essere lo stesso del proposito di Dio nel registrarla per noi “affinché crediamo”. Di conseguenza, anche nella scuola primaria deve essere mantenuto questo scopo quando impartiamo conoscenza. Non fa alcuna differenza che i fanciulli nella vostra classe credano già. Anche nel loro caso la storia è raccontata per evocare la fede, per approfondirla, e per ampliarla.
Se la nostra narrazione debba sollecitare la fede nei fanciulli, ciascuna storia deve contenere un singolo pensiero principale. Dovete essere chiaramente consapevoli del messaggio che dovete portare. Questa consapevolezza vi permetterà di raccontare la storia senza leggervi alcunché che non vi sia contenuto o dare un taglio distorto (pregiudiziale). In ciascuna storia Dio rivela se stesso in una maniera particolare. La cosa importante è cercare di capire cosa Dio intenda rivelarci nella porzione di storia con cui stiamo trattando.
Il contenuto della nostra narrazione. Pensare all’obbiettivo del narrare storie bibliche ci porta immediatamente a considerare il loro contenuto. Dobbiamo vedere l’intera sacra Scrittura come niente di più e niente di meno che l’auto-rivelazione di Dio. A quel punto la storia inerente la Scrittura è parte dell’auto-rivelazione di Dio. Questa auto-rivelazione è pertanto il contenuto delle storie che narriamo ai fanciulli.
Dio rivela se stesso nella sua grazia solo nel Mediatore. Come risultato della caduta non c’è rivelazione di grazia separatamente dal Mediatore. Pertanto, le vostre storie dovranno parlare di Lui, che raccontiate una storia del Vecchio Testamento o del Nuovo. Questo è il secondo requisito per narrare queste storie dalla bibbia.
Cristo è non solo il Mediatore tra Dio e l’uomo, è anche il Capo del Patto in cui Dio vive col suo popolo. Qui vediamo un’altra sfaccettatura della relazione di Cristo con noi: è il Capo del suo popolo, il secondo Adamo. Quando presentate il Cristo delle Scritture dovreste anche parlare del Patto. Questo, dunque, è il terzo requisito per raccontare storie dalla bibbia. Ora svilupperò questi tre punti.
La rivelazione di Dio di se stesso. Ogni volta che narrate una di queste storie state parlando di Dio. E dovete dire non solo ciò che Dio ha fatto ma anche come ha rivelato se stesso con le sue azioni perché tutte queste cose sono state scritte per istruirci ed illuminarci.
Non pensiate che questa procedura sia automatica. Se non mettiamo da parte del tempo per una tranquilla riflessione prima di narrare la storia ma seguiamo semplicemente il corso più naturale, ci ritroveremo a parlare di uomini e delle loro azioni, di ciò che hanno creduto e di come hanno peccato. Dio entra nel quadro lo stesso, ovviamente: interviene qui e là e dispensa premi e punizioni. Prima che ce ne accorgiamo, arriviamo alla “morale” della storia. Diciamo ai fanciulli che Dio tratterà con loro secondo le loro azioni: se saranno “buoni”, li premierà, ma se saranno “cattivi” li punirà.
Mi permetto di dire che questo è di gran lunga il modo più popolare di raccontare storie della bibbia ai fanciulli. È anche lo stesso modo in cui sono messi insieme molti sermoni. Ma mentre alcune persone pensano che questa procedura mantenga la storia semplice e diretta, dimenticano che non stanno trasmettendo ciò che ci viene raccontato nella Scrittura: la registrazione della auto-rivelazione di Dio.
La Scrittura è profezia [3]. Vale anche per i suoi passaggi storici. In altre parole, ogni storia nella Scrittura rivela qualcosa del consiglio di Dio per la nostra redenzione benché ogni storia lo racconti in modo diverso. E in ogni storia Dio è il primo agente che si rivela in qualità di Redentore mediante le sue azioni. L’intera opera di redenzione è visibile in ciascuna storia.
Considerate come esempio la storia di Giuseppe. Potremmo concentrarci sui fratelli malvagi e su Giuseppe, il quale pose la sua fiducia in Dio e di rimando fu salvato da Dio. Ma quando facciamo così, stiamo omettendo un elemento che forma un’effettiva parte della registrazione scritturale: fu Dio a far sovranamente accadere queste cose per preservare la vita di un grande popolo. Raccontiamo ora di nuovo la storia da quest’ultimo punto di vista. Fin dal principio Dio e il suo popolo diventano il nostro principale interesse. In un certo senso, Giuseppe diventa secondario, un mero strumento.
Ora potete vedere perché contesto l’idea che i fanciulli non ricorderanno nulla se non facciamo di qualche personaggio particolare della bibbia il punto centrale della storia che viene raccontata. Secondo l’usuale filone di pensiero i piccoli fanciulli devono imparare ad identificarsi con una particolare persona nella storia. Ma a quel punto, quella persona con le sue azioni, la sua fede e i suoi errori diventa la figura centrale. Quando facciamo questo passo la storia che narriamo non è più la storia della rivelazione.
Devo ammettere che è molto difficile narrare le storie nel modo appropriato. È già sufficientemente difficile vedere le cose in questo modo nelle nostre menti. Prima dobbiamo sottometterci alle Scritture e al loro significato. Imparare ad ascoltare attentamente il passo delle Scritture che stiamo studiando ci costerà un paio d’ore di preparazione (o forse di più), ma che altro possiamo fare? Non abbiamo scelta perché stiamo trattando con la Scrittura! Se non siamo determinati a parlare di Dio primo e ultimo, di Dio come l’Alfa e l’Omega, non dovremmo neppure perder tempo a raccontare la storia dalla bibbia. Ma una volta che abbiamo deciso di procedere sulle basi della convinzione che Dio deve essere primo e ultimo nella nostra storia, dovremmo permettere che queste linee guida modellino la nostra narrazione della storia, facendo le debite concessioni, naturalmente, per l’età dei ragazzi a cui ci stiamo rivolgendo.
Il peccato tipico del fanciullo è mettere se stesso per primo. Il fanciullo ha posto per Dio nella sua vita — a patto che Dio venga per secondo. Stiamo agendo responsabilmente quando ci adeguiamo a questa peccaminosa inclinazione da parte dei fanciulli? O dovremmo contrastarla? Bisogna riconoscere che per il bambino e per il ragazzo è molto difficile afferrare il racconto biblico dal corretto punto di vista, non perché la sua comprensione sia limitata, ma perché il suo cuore dice no. I piccoli fanciulli non hanno nella loro vita più spazio per Dio degli adulti. Se faremo sì che questi fanciulli vedano la centralità di Dio nella vita umana avremo raggiunto il nostro obbiettivo principale.
Ovviamente nelle nostre storie parliamo anche di persone. Parliamo di ciò che Dio ha fatto per mezzo loro e in loro, e poi delle loro risposte alle azioni di Dio. Quando Giuseppe riceve la luce della rivelazione di Dio nei suoi sogni e diventa il portatore di quella rivelazione e il ‘preservatore’ del suo popolo, soffre molta tribolazione (in parte a causa dei suoi peccati). Questo ci mostra la grandezza dell’auto-rivelazione di Dio nella vita di Giuseppe. Un’enfasi di questo tipi insegna ai fanciulli a temere il Signore [4] anziché a guardare a Giuseppe come esempio morale.
Oh, se solo riusciremo a salvare i giovani dal loro fuorviato egoismo spirituale, che in fondo è completamente non-spirituale! Il nostro mestiere non è persuadere persone ad andare in paradiso! Pertanto dobbiamo assicurarci che non stiamo incoraggiando fanciulli e giovani ad adorare la loro propria salvezza anziché adorare Dio. Fin dal principio dobbiamo rendere Dio il centro delle storie della bibbia che narriamo ai fanciulli. I fanciulli devono imparare a vederlo in ciascuna storia.
La rivelazione di Dio di se stesso nel Mediatore. Una delle conseguenze del peccato è che non c’è rivelazione di grazia se non nel Mediatore. Questo è reso chiaro attraverso tutte le Scritture, non solo nel Nuovo Testamento ma anche nel Vecchio. La Scrittura è compatta. Il VT è il libro del Cristo che ha da venire, mentre il Nuovo Testamento ci parla del Cristo che è venuto.
Noi facciamo un’ingiustizia al Vecchio Testamento quando ripetutamente tracciamo linee dalla sua storia al Cristo. Noi diciamo, per esempio, che Dio salvò Israele o che mandò Giuseppe in Egitto per salvare il suo popolo affinché il Cristo potesse nascere da quel popolo. Certamente questo è un aspetto reale della rivelazione. È una linea che dobbiamo seguire perché è suggerita dalla Scrittura stessa. Ma non è sufficiente.
L’intera Scrittura è la rivelazione di Dio di se stesso come il Redentore. La redenzione nel Mediatore ci è rivelata in ogni storia. Noi crediamo nel progresso della rivelazione. Questo progresso è uno sviluppo in cui non è aggiunto nulla di nuovo. Il principio, l’intera redenzione è rivelata nella promessa-madre (Genesi 3:15). Perciò, il seme della redenzione è presente in ogni storia del Vecchio Testamento. Il nostro compito è usare la luce del Nuovo Testamento per svelarla. Non c’è velo a coprire i nostri occhi quando leggiamo il Vecchio Testamento (vedi 2 Corinzi 3:14:16), perché la testimonianza di Gesù è anche lo Spirito della profezia del Vecchio Testamento (Apocalisse 19:10).
Il Mediatore fu operativo attraverso tutta l’epoca del Vecchio Testamento. La sua opera non cominciò all’inizio del Nuovo Testamento. Egli aveva già penetrato la storia del Vecchio Testamento, muovendosi tra persone e ombre al fine di rivelare se stesso. Tutto è pieno di Lui e la storia è diventata un grande miracolo mediante il suo Spirito.
Avremo sempre un gran numero di problemi a spiegare la storia nella Scrittura — il Vecchio Testamento in particolare — se non procediamo dagli sforzi del Mediatore coi quali anelava rivelarsi. Perfino da una prospettiva psicologica, le storie del Vecchio Testamento ci rimarrebbero un mistero se rifiutassimo il corretto punto di partenza. Ma come si aprono meravigliosamente a noi le Scritture quando ci concentriamo sul Mediatore! Allora ci diventano chiare le azioni e le motivazioni delle persone del Vecchio Testamento che ci sono spesso così sconcertanti in se stesse.
Se non avete il senso di ciò a cui voglio arrivare, pensate al difficile libro di Ester. Il nome di Dio non compare nemmeno nel libro. Ma per una volta cercate di leggere Ester per vedere come il Mediatore è rivelato fin dal principio del libro. Allora, non solo i motivi di Mardocheo diventano comprensibili ma vediamo anche il Mediatore all’opera nella sua vita. Malgrado siamo ancora critici di alcune azioni di Mardocheo, impariamo anche ad apprezzarle, realizzando che ogni tipo [5] del Cristo è allo stesso tempo il suo opposto o anti-tipo in molti modi. Alla fine del libro leggiamo: “Il Giudeo Mardocheo era infatti grande fra i Giudei e ben voluto dalla moltitudine dei suoi fratelli; egli cercava il bene del suo popolo e aveva parole di pace per tutta la sua stirpe”. Qui abbiamo una descrizione quasi perfetta del Cristo.
Devo ammettere ancora una volta che è una vera sfida raccontare storie della bibbia in questo modo. Prima dobbiamo essere sicuri di aver noi stessi intravisto il Mediatore rivelato nelle Scritture e che ora lo vediamo nella luce corretta. Non possiamo estrarre testi dalle Scritture qui e là per usarli in modo arbitrario per presentare una certa veduta del Cristo. Giungere a conoscere Cristo come egli si rivela tanto nel Vecchio Testamento quanto nel Nuovo implica lavoro scrupoloso e disciplinato. Per “fortuna” noi abbiamo davvero la mente di Cristo (1 Co. 2:16).
Fin qui ho parlato principalmente del Vecchio Testamento. La gente assume che sia molto più facile narrare di Cristo dal Nuovo Testamento che sembra essere il posto più ovvio in cui cercare informazioni su di lui. Ma quando raccontiamo la storia di Zaccheo assicuriamoci che il punto principale sia l’auto-rivelazione di Cristo e non Zaccheo.
Naturalmente non possiamo evitare di parlare di persone come Zaccheo. Il Signore Gesù Cristo stesso ha detto che le gente di tutto il mondo avrebbe parlato di Maria di Betania. Ma noi dovremmo parlare principalmente di Colui che ha risvegliato un amore così grande nel cuore di Maria. Dovremmo prendere lo stesso approccio con la storia di Giuda: chi è questo Gesù che fu capace di suscitare un odio così grande nel cuore di un uomo?
Noi dovremmo essere molto più consapevoli di queste questioni se dobbiamo evitare di parlare principalmente di persone presentando la loro fede come un esempio da seguire e i loro peccati come un avvertimento. Dovremmo invece parlare della rivelazione della grazia di Dio in Cristo.
Dio rivela se stesso nel suo patto col suo popolo. Il Signore Gesù Cristo non è solo il Mediatore ma anche il Capo del Patto, il secondo Adamo. Quando parliamo di Lui, perciò, dovremmo parlare anche del patto (assumendo che si voglia presentarlo come la Scrittura ce lo fa conoscere). Magari siete alla ricerca di niente di più che una “semplice” storia su “Gesù e l’anima”. Se è così, permettetemi di ricordarvi che tale narrazione non ha niente a che vedere con la Scrittura perché la parola di Dio non è mai interessata soltanto di Gesù e l’anima.
Per certe persone, tutto ciò che il patto sembra dire è che i bambini sono in qualche modo annoverati coi loro genitori agli occhi di Dio e della chiesa. Essi allora parlano di una “dottrina” del patto, una dottrina contro la quale hanno più di qualche obiezione. Tali persone in realtà non hanno compreso cosa sia il patto.
Il patto può essere paragonato ad una relazione matrimoniale nella quale ci sono diritti e doveri da ambo le parti. Quando un uomo e una donna riconoscono questi diritti e responsabilità possono condividere i loro pensieri e sentimenti più intimi. Nella relazione pattizia, Dio e il suo popolo similmente si scambiano l’amore più profondo dei loro cuori (Salmo 25:14).
Dobbiamo anche tenere presente che mentre un patto è un contratto o accordo tra due parti, questo patto procede da Dio solo. Dando all’uomo certi diritti Dio lo ha elevato alla condizione di associato di fianco a Sé. Malgrado l’uomo non volesse, Dio si è legato all’uomo nel patto di Grazia, rendendosi responsabile per l’altra parte nel patto. Dio insegnò anche all’uomo cosa significhi essere fedele al patto e gli ha anche dato il Cristo come Capo del patto, come Colui che avrebbe detto sì a Dio al nostro posto. Mediante il suo Spirito anche noi impariamo a dire sì a Dio. La certezza del patto di grazia si posa pertanto su ciò che una delle parti ha fatto e continua a fare.
Non esiste possibilità d’un consapevole rapporto tra Dio e l’uomo se non nel patto. Fuori dal patto siamo senza diritti davanti a Dio e non si può parlare di comunanza o che l’uomo possa offrire il suo cuore a Dio e ricevere indietro una benedizione. La nozione che il patto sia stato stabilito la prima volta con Abrahamo è un’assurdità per chiunque abbia scoperto il significato di patto nelle Scritture.
Nel patto, Dio si avvicina sempre al suo popolo come un insieme, mai solo a individui. In ragione del patto, il popolo intero riposa sicuro nella fedeltà di Dio, e ogni membro individuale del patto condivide in quel riposo come membro della comunità. Non è necessario che utilizziamo sempre la parola patto, la bibbia al principio non lo fa, purché si parli ai ragazzi della relazione pattizia.
Temo che questo non avvenga sempre— nemmeno quando parliamo del Cristo. Possiamo essere proni a presentarlo come Redentore di certi individui, ma fatto questo non possiamo più presentarlo come Capo del Patto. Eppure è come Capo pattizio che lui compare nella Scrittura.
Ho già fatto riferimento alla storia di Giuseppe. Il punto principale di quella storia non è il significato che Dio ebbe per Giuseppe ma che significato ebbe per il suo popolo mediante Giuseppe, un popolo il cui sviluppo stava appena cominciando nelle tende di Giacobbe. Quando passiamo alla storia di Davide vediamo che la Scrittura non si concentra su di lui come persona. Davide è invece presentato come capo del suo popolo. La storia di Nehemia deve essere letta come la storia della restaurazione del popolo d’Israele. La storia di Zaccheo, a sua volta, deve essere compresa come un’auto-rivelazione di Cristo al suo popolo. La storia di Anania e Saffira tratta della comunione del popolo nello Spirito e della rivelazione a quel popolo e in quel popolo in Cristo. Il popolo, le persone servono sempre come sfondo, anche in quelle storie che a prima vista sembrano molto personali.
Anche questo fatto rende difficile narrare le storie. Per i ragazzi le storie saranno dure da comprendere non perché le loro menti non riescono ad afferrarle ma perché i loro cuori non le accettano. Poiché il peccato ci ha separati, ogni bambino nasce individualista. Stiamo nel mondo come individui separati e formiamo le nostre opinioni in autonomia.
Se, nel narrare le storie, vi adeguate a quell’individualismo, i ragazzi accetteranno prontamente ciò che dite. Ma possiamo permettere di farci governare da una situazione imposta su di noi dal peccato e vendere l’evangelo nello stesso modo in cui i pubblicitari vendono saponette? O non dovrebbe invece la nostra narrazione cercare di frantumare quell’in- dividualismo?
Quando parlate del patto e di Cristo come suo Capo, non è necessario che vi trasciniate dentro la chiesa perché starete parlando della chiesa automaticamente. Questo risolve una certa difficoltà che sentiamo fortemente oggi, ovvero: come parlare ai ragazzi della chiesa come il popolo di Dio. Una consapevolezza della chiesa viene incoraggiata mediante questo tipo di narrazione delle storie. Come risultato, i ragazzi non avranno più difficoltà a comprendere il significato del battesimo. I bambini che sono stati battezzati percepiranno il suo significato e quelli che non lo sono lo brameranno, concesso che ricevano la benedizione di Dio.
Non è vero che non si possa parlare del Patto ai bambini che ne sono nati al di fuori e non ne portano il suggello. Il Signore Gesù Cristo stesso lo ha dimostrato. Quando gli fu chiesto di guarire il servo del centurione replicò: “Verrò e lo guarirò(?)”, in effetti stava dicendo: “Aiuterò un pagano che non appartiene al patto?”. Il centurione allora riconobbe il patto nella sua risposta: “Come pagano non sono degno che tu venga sotto il mio tetto”. Quindi Gesù procedette ad aiutarlo. Vediamo la stessa forma nella storia con la donna canaanita: quand’ella riconobbe che i cani non hanno diritto al cibo dei bambini, Cristo le diede il suo aiuto. Egli cercò sempre un riconoscimento del Patto e noi dovremmo fare la stessa cosa nel nostro insegnamento. Quelli che sono nati “all’interno” dovrebbero essere consapevoli che questo privilegio è un beneficio della grazia e riconoscere la chiamata e l’elezione di Dio. Quelli che sono nati “al di fuori” del patto dovrebbero onorarlo e dimostrare di desiderarlo, in modo da entrarvi anche loro.
Esponendo queste condizioni per narrare ai ragazzi la storia biblica, non ritiro la mia precedente affermazione su come narrare le storie dalla bibbia. Quando raccontiamo una storia dovrebbe diventare viva; dovrebbe attirare i fanciulli e coinvolgerli. I bambini dovrebbero diventare avvolti non solo dalle avventure di certe persone ma specialmente nel dispiegamento storico dell’auto-rivelazione di Dio e della relativa risposta dell’uomo. Dobbiamo raccontare ai fanciulli le grandi azioni di Dio. Non rivendico che queste tracce soddisfino tutti questi requisiti ma vi posso assicurare che ho cercato di tenerli in mente.
Lo scopo di queste tracce. Benché queste tracce non siano intese a servire come effettivo materiale esegetico, sono state offerte soluzioni ad alcune particolari difficoltà esegetiche. Chi voglia ingaggiare questi problemi esegetici con maggiore profondità dovrà rivolgersi ai commentari biblici per ulteriore aiuto. Queste tracce sono effettivamente state scritte nella forma di storie ma devo enfatizzare di nuovo che non possono essere raccontate come compaiono in stampa. Tale procedura sarebbe completamente inadatta nel caso di fanciulli più giovani. Il mio suggerimento per l’uso di queste tracce si trova nella prefazione. Il narratore le deve adattare al mondo d’esperienza dei bambini. Ho effettivamente scelto la forma narrativa, comunque, per chiudere il divario tra queste tracce e l’effettivo raccontare le storie. Spero che questo renda più facile usare le tracce.
Per evitare che quest’opera già ampia diventasse ancor più voluminosa, è stato spesso necessario trattare con una considerevole quantità di storia biblica in un singolo capitolo. Confido che ciascuna suddivisione all’interno dei capitoli contenga materiale sufficiente per permettere una sessione narrativa separata se desiderato. I capitoli sono stati organizzati in raggruppamenti più ampi per provvedere un quadro generale.
Note:
1 Si tenga presente che De Graaf sta parlando delle scuole pubbliche cristiane come queste si sono sviluppate in Olanda.
2 Poiché il Dio rivelato nella bibbia agisce nella storia e nella vita di individui uomini e donne, la storia della bibbia è una serie di incidenti che possono essere raccontati come storie. Non c’è qui contrapposizione tra “storie” e “storia”.
3 Profezia è prima di tutto parlare a nome di Dio. Predire il futuro è solo un elemento della profezia.
4 Vedi la nota a pagina 54? Sul significato biblico della parola temere.
5 Per chi traduce il fascino di questo libro è la centralità di Cristo nei personaggi del Vecchio Testamento che sta al cuore della loro vocazione di tipi o figure che è descritta in 1 Pietro 1: 10-11, “Intorno a questa salvezza ricercarono e investigarono i profeti che profetizzarono della grazia destinata a voi, cercando di conoscere il tempo e le circostanze che erano indicate dallo Spirito di Cristo che era in loro, e che attestava anticipatamente delle sofferenze che sarebbero toccate a Cristo e delle glorie che le avrebbero seguite.” Qui Pietro chiama profeti, secondo la tradizione ebraica i vari Abrahamo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Davide, ecc., Tutte persone che nella loro vita sono stati tipi, figure del Cristo anticipandolo nella forma ‘sofferenza- gloria’.