3.
Istruzione un aspetto del patto
(Seconda parte)
L’insegnamento del Nuovo Testamento
Quando andiamo specificamente al Nuovo Testamento troviamo che questa forma pattizia di responsabilità famigliare rimane immutata. Il Nuovo Testamento rende chiaro che la famiglia è ancora l’unità sociale basilare con le stesse funzioni pattizie di amministratore fiduciario delle proprie risorse con la responsabilità dell’istruzione dei propri membri (1 Ti. 5:4, 8, 16). La novità del patto cristiano non abroga assolutamente né le responsabilità pattizie né la natura basilare del patto che è orientata alla famiglia — neppure per quanto concerne la chiesa istituzionale visto che gli anziani, per esempio, dovrebbero essere capo famiglia, uomini di famiglia che hanno dato prova di essere capaci di governare tanto se stessi che la propria casa in modo pio prima di assumere il governo della chiesa (1 Ti. 3:2-13). Dio non stabilisce il suo patto con uomini meramente come individui ma come capi e rappresentanti della loro casa (Ge. 17:7, 9, ecc., At. 11:14; 16:31).
Ciò non intende implicare che individui non possano essere in patto con Dio o che la salvezza sia semplicemente una questione d’essere nati in una famiglia cristiana indipendentemente dalla fede personale. Ma la salvezza non deve essere vista nemmeno in termini puramente individualistici. In altre parole, la relazione pattizia stabilita da Dio con l’uomo non termina nell’individuo; piuttosto comincia con lui e procede ad abbracciare coloro per i quali egli è pattiziamente responsabile e che deve rappresentare davanti a Dio. La famiglia, inclusi i suoi membri adottivi, è parte contraente del patto perché rappresentata nel suo capo.
È così perfino dalla prospettiva soteriologica del Nuovo Testamento nella quale Gesù Cristo è presentato come capo e rappresentante della casa di Dio (1 Co. 11:3; Ef. 2:19; 5:23; Cl. 1:18). È mediante la nostra adozione come figli di Dio che condividiamo le benedizioni della comunione pattizia con Dio (Ef. 1:4-5). Dio trattò con Adamo in quanto capo federale dell’umanità, e con Gesù Cristo, l’ultimo Adamo, in quanto capo federale della nuova umanità. Noi siamo riconciliati con Dio mediante l’adozione o l’incorporamento nel Cristo (Ga. 3:26-29). Egli è il capo a cui stiamo attaccati e la fonte della nostra salvezza. La primaria importanza soteriologica della nostra partecipazione nella casa di Dio mediante l’adozione in Gesù Cristo non invalida comunque in alcun modo né diminuisce l’importanza della famiglia come unità pattizia. Tanto i credenti del Vecchio Testamento che quelli del Nuovo sono sotto lo stesso patto di grazia in Gesù Cristo e pertanto il ruolo e la responsabilità della famiglia rimane lo stesso sotto entrambe le amministrazioni. La famiglia è l’istituzione pattizia basilare, che esiste all’interno e sostiene la struttura pattizia di chiesa, società e nazione.
Perciò nel Nuovo Testamento come nel Vecchio, la promessa della salvezza — cioè della restaurazione a comunione pattizia con Dio — è fatta al credente e ai suoi figli (At. 2:39). Certamente questa promessa è immediatamente qualificata dalla clausola “per quanti il Signore Dio nostro ne chiamerà”. Però, questa qualificazione non dovrebbe essere intesa come una virtuale negazione della promessa che la precede che è di fatto implicita se presumiamo che il figli dei credenti non debbano essere accettati come cristiani finché non abbiano avuto qualche esperienza di conversione o non sembri che abbiano “preso la loro decisione di seguire il Signore”. È benché sia mediante esperienze di conversione che molti sono portati alla fede in Cristo dobbiamo ricordare che un’esperienza di conversione non è né un elemento essenziale né il test biblico di vera fede. Di sicuro tali esperienze non dovrebbero essere intese come l’obbiettivo dell’istruzione cristiana. Semmai, la norma biblica è che i nostri figli siano allevati nella cura e nell’ammonizione del Signore (Ef. 6:4). La Scrittura c’insegna: “Ammaestra il fanciullo sulla via da seguire, ed egli non se ne allontanerà neppure quando sarà vecchio” (Pr. 22:6). Bisogna dire con chiarezza che ciò che stiamo dicendo qui non vuole in nessun senso sottintendere la dottrina della rigenerazione battesimale [1]. Ma vuole intendere che Dio onorerà il suo patto e sarà fedele alla sua promessa. Questa promessa, però, implica l’assunzione di certe responsabilità da parte di coloro ai quali è fatta [2]. È una promessa pattizia fatta a genitori che richiede da parte loro fedeltà al patto. Noi dobbiamo allevare i nostri figli nel patto come servi di Dio in comunione con Lui. Perciò, è un grande incoraggiamento per i genitori cristiani sapere che la mano di Dio è sui loro figli e che essi devono essere trattati come eredi del regno a meno che o finché, con la loro professione o comportamento apostata, non dimostrino di essere altrimenti.
Siccome la promessa della salvezza è al credente e ai suoi figli è dovere dei credenti educare i propri figli nel Signore, che equivale a dire allevarli come cristiani, non come pagani che dovranno un giorno produrre una decisione autonoma circa il proprio destino eterno. Sfortunatamente, quest’ultimo è il modo in cui i figli dei credenti vengono educati oggi. Tuttavia è l’insegnamento della Scrittura a dire che i figli dei credenti devono essere accettati come membri della comunità pattizia e allevati nella conoscenza e timore di Dio (1° Co. 7:14), che significa, tra le altre cose, che devono ricevere un’istruzione che è centrata su Dio e che onora Dio, e che pertanto li prepara per una vita di servizio a Dio.
Qui è importante comprendere che i genitori cristiani sono responsabili non solo di provvedere ai loro figli un’istruzione, ma anche per il tipo d’istruzione che i loro figli ricevono. Per il cristiano lo scopo dell’istruzione è facilitare la maturazione ad immagine di Dio e quindi la crescita verso la vera mascolinità e vera femminilità, in modo tale che il figlio possa essere capace di compiere il proprio mandato creazionale in obbedienza alla parola di Dio. Ne consegue che il tipo di istruzione che diamo ai nostri figli deve essere una che sia completamente fondata nella visione cristiana del mondo e che cerca di assoggettare ogni materia all’autorità della parola di Dio com’è rivelata nella scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento. L’istruzione è in questo modo inevitabilmente un’attività pattizia; di fatto è un aspetto centrale del dovere pattizio dell’uomo. Di qui, negare ai nostri figli una tale istruzione è non compiere le nostre responsabilità come popolo pattizio di Dio.
L’obbiettivo primario dell’istruzione
È stato detto sopra che lo scopo dell’istruzione è agevolare il figlio a maturare ad immagine di Dio e così equipaggiarlo per compiere la sua vocazione nella vita come vice-reggente di Dio ed estendere il suo dominio sulla terra. Se si vorrà che il figlio realizzi questa vocazione egli deve ottenere sapienza. La bibbia presenta la sapienza come come l’obbiettivo primario dell’istruzione: “Acquista sapienza, acquista intendimento; … non abbandonare la sapienza, ed essa ti custodirà; amala, ed essa ti proteggerà. La sapienza è la cosa più importante; perciò acquista la sapienza. A costo di tutto ciò che possiedi, acquista l’intelligenza” (Pr. 4:5-7).
La Sapienza è più che imparare nel senso accademico e che “conoscenza pratica” nel senso popolare. Non è eppure mera intuizione, è intendimento nel senso più pieno della parola e quindi qualcosa che viene imparato (Sl. 34.11). La letteratura sapienziale è certamente letteratura educazionale, come di fatto lo è tutta la Scrittura; ma il perseguimento della sapienza è più che l’idea moderna secolare dell’istruzione. La Sapienza è in un senso più che la somma delle sue parti, quantomeno dal punto di vista del contenuto formale. Include, o meglio è caratterizzata da un orientamento nella vita, cioè un senso di servizio e dovere verso Dio, e sopra a tutto una consapevolezza del fatto che la vita è vissuta alla presenza di Dio e come mezzo per glorificare Lui. La Sapienza ha perciò come scaturigine ultima Dio (Gm. 1:5) ed è acquisita sottomettendo la nostra vita e la nostra mente alla sua parola in ogni materia e campo di studio e in ogni percorso di vita. Perciò “Il timore del Signore è il principio della sapienza e il timore del Santo è l’intelligenza” (Pr. 9:10).
Tuttavia, allo stesso tempo la sapienza non è pietistica. È intensamente pratica. La letteratura sapienziale nella bibbia è piena di sani consigli pii per come vivere — e quanto poco di questo c’è in molte scuole oggi! Di fatto, molta della moderna filosofia educazionale è poco più che studiata stupidità e pura stoltezza.
I Commenti di J. E. Adams sulla natura e il significato del concetto biblico di sapienza sono qui rilevanti e degni di essere citati in modo esteso: “L’etimologia della parola ebraica per sapienza – chokmah – che permea il pensiero degli scrittori del Vecchio e del Nuovo Testamento ha dato vita ad un genere di scritti che chiamiamo “letteratura sapienziale”, questa parola denota sapienza per esperienza, non solo per studio. Include anche l’idea di discriminazione tra bene e male, il recepimento di istruzioni, attitudine (o cornice mentale), e l’esercizio di corretti giudizi e abilità. Il campo d’applicazione della parola è ampio ad abbracciare la totalità dell’esperienza intellettuale, di vita e di comportamento. Non abbiamo un termine equivalente in inglese. La nostra parole ‘sapienza’ in confronto è impoverita, è una parola che sembra stia scomparendo dal nostro vocabolario. Fondamentalmente, la parola biblica sapienza unisce insieme tre fattori; conoscenza, vita e ministero. È conoscenza, intendimento dal punto di vista di Dio, resa utile per vivere quotidianamente per Lui, e (come parte di questo) condivisa con altri e usata per ministrare a loro”[3].
La filosofia biblica dell’istruzione, abbraccia perciò più che la meccanica acquisizione di conoscenza o di informazioni tecniche. Punta a molto di più che alla “auto-realizzazione” del fanciullo, e neppure è interessata meramente ad abilitare il fanciullo a “svolgere un ruolo utile nella società”. È interessata che venga ottenuta sapienza, e questo implica un’attitudine o orientamento di vita che è di sottomissione alla parola di Dio e di dedicazione alla verità ivi rivelata. Il suo scopo è di rendere capace il fanciullo di compiere la sua vera vocazione di vivere in comunione pattizia con Dio e in questo modo “glorificare Dio e godere di Lui per sempre”.
Il ruolo della scuola
L’assenza di scuole per l’istruzione di fanciulli nella società biblica non dovrebbe essere intesa implicare che le scuole come tali siano sbagliate o in contraddizione con la filosofia dell’istruzione presentata nella Scrittura.
È vero che la scuola non è in alcun senso un’istituzione biblica, vale a dire che non è un’istituzione ordinata da Dio con un definito ruolo da svolgere nella struttura pattizia della nazione [4]. L’istituzione ordinata da Dio responsabile per l’istruzione è la famiglia. Ecco perché la scuola non deve essere intesa come un’istituzione separata nella vita con un proprio ambito d’autorità in questioni legate all’istruzione. Semmai, la scuola offre un servizio alla famiglia nel perseguimento delle proprie responsabilità educazionali. Come servizio per una formazione specialistica in soggetti specifici la scuola è una valida struttura a disposizione dei genitori. Ma nell’usare i servizi offerti dalla scuola i genitori cristiani devono assicurarsi che la sua filosofia e pratica educazionale siano coerenti con, e sostengano ed incoraggino la, prospettiva pattizia cristiana che dovrebbe governare l’istruzione del fanciullo ad ogni livello.
Ad ogni modo, l’idea moderna che l’istruzione in quanto tale sia responsabilità della scuola — e nel senso più ampio della scuola in quanto agente dello stato paternalistico — e un’area della vita del fanciullo che è separata dalla vita pattizia della famiglia sotto l’autorità e la leadership del suo capo, è certamente in contraddizione con la filosofia biblica dell’istruzione. La differenziazione istituzionale nella quale le responsabilità e l’autorità per l’istruzione del fanciullo è trasferita dall’istituzione famiglia ordinata da Dio alla scuola come organo dello stato è il prodotto dell’umanesimo e un tentativo da parte dell’uomo di stabilire la propria indipendenza da Dio e dalla sua forma pattizia per la vita dell’uomo. È una forma di rivoluzione sociale contro il modello pattizio dettato dalla parola di Dio e in quanto tale deve essere resistita accanitamente dai cristiani e denunciata pubblicamente dalla chiesa.
La scuola privata, come strumento ancillare per i genitori da usarsi nell’istruzione dei propri figli, provvede un valido servizio nella società odierna; ma, di nuovo, non dovrebbe essere considerata un’istituzione in favore della quale i genitori possano abdicare le loro responsabilità educazionali.
Ovviamente, visto che Erasmo fu l’ultima persona a conoscere tutto quello che c’era da conoscere ai suoi tempi, non è possibile che i genitori oggi siano specializzati in tutti i campi di studio che possano desiderare d’offrire ai loro figli. Pertanto, la scuola è un servizio molto più necessario oggi di quanto fosse nei tempi della bibbia. L’ampiezza della conoscenza disponibile al popolo ebraico al tempo della bibbia era ben più limitata di quella che è a nostra disposizione oggi. Era possibile a un padre istruire i propri figli, quantomeno nei fondamenti della maggior parte dei soggetti, e magari anche di più ad un grado che oggi non è possibile [5]. Ecco che scuole e insegnanti freelance con abilità specialistiche come strumentisti musicali ed altri strumenti ancillari per facilitare l’apprendimento in ambiti al di fuori della competenza dei genitori, ad esempio corsi per corrispondenza, sono da usarsi secondo necessità. Ma nell’utilizzo di questi presidi i genitori non hanno la libertà di consegnare la formazione della visione del mondo dei loro figli a istituzioni o individui che abbiano una prospettiva pagana e anti-pattizia.
Conclusione
I genitori sono responsabili per il tipo di visione del mondo che i loro figli assorbono, e per il tipo di istruzione che ricevono su soggetti specifici. Nell’ambito educazionale complessivo tanto le finalità e la prospettiva, quanto le specifiche materie insegnate cadono all’interno dell’area di responsabilità genitoriale. Ecco perché gl’insegnanti sono definiti in loco parentis, cioè persone che prendono il posto dei genitori nell’istruire i loro figli. È perciò responsabilità dei genitori assicurarsi che i loro figli siano istruiti nei termini della fede cristiana, non nella religione dell’umanismo e dello stato Moloch. Dio ce lo richiederà.
Note:
1 Questi commenti non devono essere presi primariamente come contributo al dibattito tra Battisti e pedo-battisti riguardo la validità del pedo-battesimo. Sfortunatamente le linee non sono tracciate nettamente e opportunamente. Ci sono Battisti che allevano infatti i loro figli nella cura e ammonizione del Signore e che pertanto forniscono loro un’istruzione fedele al patto, e ci sono pedo-battisti che palesemente non lo fanno.
2 Necessita che sia sottolineato che questa promessa è fatta a genitori cristiani in quanto genitori. L’idea che uno possa avere fede per i propri figli, che è talvolta stata sostenuta come argomento a favore del pedo-battesimo, è assurda e non biblica. Chiaramente, uno può avere fede solo per se stesso. La nostra fede non può salvare un altro. Ma la promessa è fatta a genitori che sono membri del patto in Cristo. La loro fedeltà al patto ha chiaramente implicazioni per i figli che rappresentano davanti a Dio, non perché essi possano avere fede a nome dei figli, ma perché stanno agendo in fede e obbedienza ad una promessa fatta a loro come membri del patto nel ruolo di genitori. In altre parole, la promessa della salvezza per i nostri figli è fatta a genitori cristiani nel loro ruolo di genitori. Il testo dice: “La promessa è per voi e per i vostri figli”. Si tratta dunque di una promessa fatta a genitori cristiani che deve essere ricevuta e messa in atto in fede dai genitori cristiani; e questa è la ragione per cui è dovere dei genitori cristiani battezzare i propri figli nella fede e allevarli in conformità.
3 Jay E. Adams: Back to the Blackboard: Design for a Biblical Christian School; Phillisburg, New Jersey: Presbyterian and Reformed Publishing Company, p. 87 s.
4 Cfr. J. E. Adams, op. cit., p. 77 ss. Scuole elementari furono istituite nella cultura giudaica nel primo periodo post-esilico. Fino a circa la fine del secondo secolo d.C. furono generalmente istituti privati. Dopo quel periodo divennero strettamente affiliate con la sinagoga. Sullo sviluppo della prima istruzione elementare giudaica vedi Nathan Morris: The Jewish School, an Introduction to the History of Jewish Education; London: Eyre and Spottiswood, 1937.
5 Molti dotti sembrano assumere che la gente ordinaria al tempo della bibbia fosse illetterata (cfr. Morris: op. cit. p. 21-21 e 45). Si tratta però di una conclusione affettata, basata eccessivamente su ciò che era probabile in termini di modelli sociologici moderni. Al contrario, è evidente da testi come Deuteronomio 6:8-9; 11:20; Isaia 8:1; 10:19 che l’istruzione fosse più estesa di quanto gli studiosi moderni siano pronti ad accettare. Secondo A. R. S. Kennedy: “È oggi impossibile fare un’esatta stima dell’ampiezza in cui l’istruzione, comprovata con la capacità di leggere e di scrivere, fosse comune tra il popolo. Lo standard dell’apprendimento sarà ovviamente stato più elevato nelle città che nei distretti di campagna, più elevato di tutti nel circondario della corte. Tuttavia, il fatto che Amos e Michea tra i profeti letterati appartenessero al rango popolare; che Mesha, re di Moab potesse contare su lettori per la stele che commemorava le sue vittorie; che gli operai che scavarono il tunnel dalla sorgente della Vergine alla piscina di Siloe abbiano inciso sulla roccia il metodo usato per eseguire la loro opera, — questi fatti, presi assieme a più di un passo di Isaia (8:1; 10:19 ‘un bambino potrà scriverne il numero’; cfr. 29:11-12 la distinzione tra uno che sa leggere e uno che non sa leggere), dovrebbe farci riflettere prima di tracciare troppo in alto nella scala sociale il confine dell’analfabetismo.” (“Education” in James Hastings editore: A Dictionary of the Bible; Edimburgo: T & T Clark, vol. I, p. 647a. Non è quindi irragionevole sospettare che le riluttanza di alcuni d’accettare un livello più esteso di alfabetizzazione tra i giudei di quel periodo abbia a che vedere più con una dedizione a priori all’idea di evoluzione che a una seria investigazione delle fonti appropriate su cui basare le conclusioni, vedi ad es. la documentazione biblica e archeologica.