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OPPOSIZIONE DEL NUOVO TESTAMENTO AGLI ABUSI DELLA LEGGE DI DIO
“Le parole di Paolo implicano che ci sia un uso illegittimo
della legge di Dio, un uso che va contro il carattere e l’intento della legge,
in modo tale che la buona natura della legge può
essere pervertita in qualcosa di malvagio”.
Il Nuovo Testamento, come fa la bibbia intera, sostiene con certezza la continua validità della legge di Dio. Dire questo è semplicemente sottomettere i propri pensieri al Legislatore stesso — non è “legalismo”. Eppure il Nuovo Testamento contiene passi che sembrano certamente prendere un’attitudine decisamente negativa nei confronti della legge di Dio. Paolo dichiara che egli “Era morto alla legge affinché potesse vivere a Dio” (Ga. 2:19). Dice: “Voi non siete sotto la legge ma sotto la grazia” (Ro. 6:14). Ancora: “Siamo stati sciolti dalla legge” (Ro. 7:6). Per quelli che credono sembra che possiamo concludere: “Il fine della legge è Cristo” (Ro. 10:4). Alla luce di tali passaggi, alcuni credenti sono portati a vedere la promozione della legge di Dio quale nostro standard di moralità come un vincolo legalista. Questa apparente ambivalenza della Scrittura nei confronti della legge di Dio, come può essere compresa in modo che la assolva dall’accusa di contraddizione? Come può la bibbia contenere due valutazioni della legge di Dio completamente differenti?
Paolo stesso fornisce la soluzione all’apparente problema quando dà la sua categorica conclusione riguardo alla posizione della legge di Dio per il cristiano oggi. Egli dice: “Or noi sappiamo che la legge è buona se uno la usa legittimamente” (1 Ti. 1:8). È incontestabile e fatto ben stabilito che la legge è una cosa buona in quanto riflette perfettamente il giusto standard del nostro Dio santo, il Creatore di tutti gli uomini e il Redentore del suo popolo che ha scelto. Paolo dice “Noi sappiamo” che la legge è buona. Dovrebbe essere conoscenza comune che ci è richiesta un’attitudine positiva e una sottomissione alla legge di Dio. La legge è buona per certo! Seguirla e sottoscrivere i suoi dettami non può essere disapprovato come cattivo. La legge di cui Paolo parla è chiaramente i comandamenti del Vecchio Testamento, come dimostra l’illustrazione menzionata nei versi 9-10. Questi comandamenti sono conosciuti da tutti per essere buoni (cf. Ro. 2:14-15; 7:12).
Eppure Paolo qualifica immediatamente la propria sottoscrizione del buon carattere della legge di Dio. Egli dice che la legge di Dio è buona se è usata legittimamente. Ciò vale a dire: quando la legge è usata in accordo con le proprie indicazioni e propositi — quando la legge è applicata legittimamente — è una cosa perfettamente buona. Ad ogni modo, le parole di Paolo implicano che ci sia un uso illegittimo della legge di Dio, un uso che va contro il carattere e l’intento della legge in modo tale che la legge può essere pervertita in qualcosa di malvagio. L’abuso della legge è indirettamente condannato da Paolo.
Esempi di abuso
Quale potrebbe essere un tale abuso? Dove troviamo un uso illegittimo della legge? Non dobbiamo andare lontano nelle pagine del Nuovo Testamento. Lungo tutto il ministero di Cristo e con persistenza nelle epistole di Paolo incontriamo l’attitudine farisaica e giudaizzante che uno possa, facendo le opere della legge, trovare giustificazione personale presso Dio. Orgoglio e auto-inganno allucinanti portarono i giudei a credere di poter apparire giusti nel giudizio di un Dio santo solo per essersi sforzati di osservare diligentemente i comandamenti (o quantomeno i loro requisiti esteriori). I Farisei amavano giustificarsi davanti agli uomini (Lu. 16:15); riponevano la fiducia in se stessi credendo di essere giusti di fatto (Lu. 18:9) — così tanto che non avevano più bisogno di un salvatore più di quanto un uomo sano non abbia bisogno di un medico (Mt. 9:12-13). Però, Dio conosceva il loro cuore fin troppo bene. Nonostante le apparenze esteriori di purezza e giustizia, internamente erano sporchi, spiritualmente morti, pieni d’iniquità (Mt. 23:27-28). Poiché procedettero nel cercare di stabilire la propria giustizia, i Farisei non poterono sottomettersi alla giustizia di Dio (Ro. 10:3).
All’interno della prima chiesa nacque presto un partito tra i farisei che insisteva che i Gentili non potessero essere salvati senza essere circoncisi e osservare in qualche misura la legge di Mosè (At. 15:1, 5). Costoro avrebbero insegnato che la giustificazione avrebbe potuto essere per grazia, ma non completamente; erano necessarie anche opere della legge. Poiché cercavano di forzare i gentili a vivere come giudei in questo senso (Ga. 2:14), furono chiamati “giudaizzanti”.
Paolo stesso poteva comprendere questo modo di pensare perché era stato il suo prima della conversione. Era stato allevato un fariseo per quanto concerne la legge (Fl. 3:5); era stato “educato nella rigorosa osservanza della legge dei padri” (At. 22:3) ai piedi di Gamaliele. La sua testimonianza di sé fu questa: “E progredivo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, essendo estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri” (Ga. 1:14). Si gloriava nella legge (Ro. 2:17-20, 23), e dalla prospettiva di uno spiritualmente morto poteva rivendicare che “quanto alla giustizia che è nella legge” egli era, in una parola — “irreprensibile” (Fl. 3:6). Ci fu un tempo in cui egli era, senza la legge, così ingannato da pensare di essere spiritualmente vivo e giusto, ma sotto l’influenza dello Spirito di Dio il comandamento si manifestò nella sua coscienza e uccise il suo auto-compiacimento. “Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge, ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita e io morii” (Ro. 7:9).
La reazione di Paolo
Ciò che Paolo scoprì è che semplicemente non aveva compreso la legge correttamente fin dal principio. Per questa ragione nel mezzo dei suoi scritti più convinti contro i giudaizzanti può appellarsi direttamente alla legge stessa (per esempio, Galati 3:6-14, alludendo a Genesi 15:6; 12:3; Deuteronomio 27:26; Habacuc 2:4; Levitico 18:5: Deuteronomio 21:23).
Il Vecchio Testamento, vedendo che davanti a Dio nessun uomo può essere giustificato (Sl. 143:2), promise la giustificazione fondata sul “Signore-nostra-giustizia” (Gr. 23:6). La giustizia dovette essere imputata anche al grande padre dei giudei: Abrahamo (Ge. 15:6). In questo modo, il Vecchio Testamento testifica abbondantemente che i santi di Dio furono uomini di fede (cf. Eb. 11), insegnò che il giusto vivrà per la sua fede (Ha. 2:4). Isaia proclamò: “Nell’Eterno sarà giustificata tutta la progenie d’Israele … Questa è l’eredità dei servi dell’Eterno, e la loro giustizia viene da me, dice l’Eterno” (Is. 45:25; 54:17).
La legge cerimoniale data da Mosè rese costantemente manifeste queste verità durante l’era del Vecchio Testamento. Gli uomini non erano giusti in se stessi ma avevano bisogno d’essere circoncisi. Perfino nelle loro abitudini più naturali, la loro peccaminosa lordura richiedeva la purificazione cerimoniale. Per essere trovati giusti davanti a Dio dovevano aborrire la loro peccaminosità e cercare perdono mediante la sostituzione sacrificale e l’intercessione sacerdotale. In queste cose la legge possedette “Un ombra della cose a venire” col ministero di salvezza di Gesù Cristo (Eb. 10:1).
Per l’opera di rigenerazione e illuminazione dello Spirito Santo, Paolo giunse a realizzare che la legge non intese mai che gli uomini cercassero la giustificazione personale con opere meritorie della legge. La legge stessa presentava la salvezza come un dono piuttosto che come salario. Di conseguenza, quelli che si gloriavano nella legge erano in realtà i più estremi violatori della legge! Paolo chiede: “La legge è contraria alle promesse di Dio?”. Insegna forse un metodo di giustificazione contrario alla via di salvezza per grazia che si trova nelle promesse di Dio? La risposta di Paolo è: “Così non sia!” (Ga. 3:21), “Perché se ci fosse stata una legge capace di dare la vita, allora veramente la giustizia sarebbe venuta dalla legge. Ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato affinché fosse data ai credenti la promessa per la fede di Gesù Cristo”. Lungi dallo sviare dalla giustificazione per grazia mediante la fede: “La legge è stata il nostro precettore per portarci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede” (v.24).
Torniamo quindi alla dichiarazione di Paolo in 1 Timoteo 1:8: “Or noi sappiamo che la legge è buona se uno la usa legittimamente”. Per implicazione c’è anche un uso illegittimo e distorto della legge — un uso che l’abusa, anche mentre finge d’onorarla. Paolo identificava sicuramente l’uso abusivo della legge con il tentativo farisaico e giudaizzante di fare delle opere della legge la base della giustificazione propria di una persona davanti a Dio. “Se la giustizia si ha per mezzo della legge allora Cristo è morto invano” (Ga. 2:21). Ma “Nessuno è giustificato mediante la legge” (Ga. 3:11). Il fatto che Dio giustifichi gli empi (Ro. 4:5) dimostra chiaramente che la giustificazione deve basarsi sulla giustizia aliena di Gesù Cristo (Mediante il suo sangue sparso e la sua resurrezione, Romani 4:25; 5:1-2; 2° Co. 5:21). Di fatto, il centro o l’obbiettivo dell’insegnamento della legge (“il fine”) fu Cristo, che porta giustizia a tutti quelli che credono (Ro. 10:4).
Conclusione
Come abbiamo visto, i passi negli scritti di Paolo che sembrano assumere un’attitudine negativa nei confronti della legge possono essere correttamente armonizzati con l’altrettanto forte sottoscrizione della legge da parte sua distinguendo almeno due (tra molti) usi della parola “legge” nelle epistole di Paolo [1]. L’uso rivelatore della “legge” è la sua dichiarazione dei giusti standard di Dio; in questo la legge è buona. L’uso legalista della “legge” fa riferimento al tentativo di utilizzare le opere della legge come base per meritare la salvezza; questo è un uso illegittimo della legge e riceve da Paolo la condanna più forte. Parafrasando 1° Timoteo 1:8, Paolo dice dice che noi sappiamo che la legge — come rivelatrice dell’immutabile volontà di Dio — è buona, fintantoché la si usa “legittimamente” (come è intesa che sia usata) anziché legalisticamente.
Note:
1 Confronta Daniel P. Fuller: “Paul and the Works of the Law”. Westminster Theological Journal, XXXVIII, autunno 1975, p. 28-42. Per una moderna dichiarazione della posizione pattizia che il Vecchio Testamento non insegnava la giustificazione per opere della legge (legalismo) vedi il fine studio esegetico di Fuller: Gospel and Law: Contrast or Continuum; Grand rapids, MI: Eerdmans, 1980).