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CRIMINE E PENA
“Se qualche governante pensasse che rubare due centesimi meriti la morte mentre uccidere un bambino innocente meriti una sanzione di due centesimi, molti insegnanti cristiani non avrebbero un modo oggettivo per dimostrare l’ingiustizia di questo provvedimento.”
La Scrittura ci ha insegnato che un approccio distintamente cristiano alla moralità politica richiede che il magistrato civile riconosca l’obbligo di governare secondo i dettami della legge di Dio rivelata. Abbiamo similmente osservato che la funzione chiave del magistrato civile, come Dio stesso la presenta nella sua parola scritta, è quella di portare la spada come vendicatore d’ira contro i malfattori. Il governo civile è un ministero di giustizia che punta a punire i criminali in accordo con la volontà di Dio rivelata. Quando si combini questa connessione col credo basato sulla bibbia che la legge di Dio è vincolante in ogni dettaglio fino a che, e a meno che, il Legislatore riveli diversamente, si giunge alla conclusione che il magistrato civile oggi deve applicare le sanzioni penali della legge del Vecchio Testamento ai criminali nella nostra società, una volta che siano stati debitamente processati e condannati mediante adeguate evidenze. I ladri dovrebbero essere costretti ad offrire restituzione, gli stupratori dovrebbero essere giustiziati, gli spergiuri fatti ricevere la pena che avrebbero fatto infliggere a quelli da loro falsamente accusati, ecc.
Molto semplicemente, i magistrati civili devono infliggere la punizione che Dio ha prescritto nella sua parola. Quando ci si fermi a riflettere su questa proposizione, essa possiede una verità e una giustizia fin troppo ovvie. “Il giudice di tutta la terra, non farà egli giustizia?” (Ge. 18:25). Se i magistrati civili sono di fatto “ministri di Dio” che vendicano la sua ira contro i malfattori, chi meglio del Signore potrebbe conoscere che tipo e che gradi di punizione sia appropriata per ogni crimine? E dove farebbe egli conoscere questo standard di giustizia se non nella sua parola? Le sanzioni penali per il crimine dovrebbero essere quelle rivelate nella legge del Signore. Questo è perfettamente ragionevole.
La necessità, equità, e agenzia di punizione
Dio non ha solo enunciato certe stipulazioni per come le persone dovrebbero vivere insieme nella società (per esempio proibendo che si rubi), ma ha anche sostenuto queste stipulazioni — facendole diventare più serie che semplicemente divine raccomandazioni —con sanzioni penali da imporsi su chi disobbedisca i suoi dettami (per esempio offrendo restituzione). Una legge priva di tali pene a sostegno non sarebbe affatto una legge. Ora, nel caso di certi comandamenti del Vecchio Testamento, era stata dettata una duplice sanzione contro il colpevole. Un omicida, per esempio, non avrebbe dovuto subire solo l’ira eterna di Dio dopo la sua morte, ma avrebbe dovuto anche subire la pena sociale e temporale che Dio aveva prescritto al magistrato civile di applicare (in questo caso la pena di morte). Non tutti i comandamenti di Dio erano accompagnati da questa duplice sanzione perché non tutti i peccati sono allo stesso tempo reati per lo stato. È malvagio concupire una donna ma il magistrato civile non può né condannare né punire la concupiscenza. Quando la concupiscenza diventi adulterio però, a quel punto Dio ha stipulato certe misure da prendersi da parte del suo rappresentante ordinato nello stato.
Se Dio le ha prescritte nella sua parola, tali punizioni civili per i reati sono assolutamente necessarie. Difatti, Paolo può dire che la legge di Dio fu promulgata precisamente per trattare con tali criminali pubblici: omicidi, spergiuri, omosessuali e simili (1° Ti. 1:8-10). La distruzione del malvagio è l’obbiettivo proprio di un magistrato pio (Sa. 101:8) cosicché possa sradicare il male (per esempio, Deuteronomio 17:12; 19:19) e proteggere i giusti del paese (Sa. 125:3; Pr. 12:21). Tali sanzioni penali contro il crimine devono essere eseguite senza misericordia o pietà verso il criminale (De. 19:13, 21; 25:12; Eb. 10:28), affinché i giudici non facciano differenze personali, guardando in faccia i criminali e decidendo secondo qualche standard diverso dalla giustizia categorica il prezzo che devono pagare per le malefatte. Tra l’altro, quando i giudici permettono che provati crinali rimangano impuniti, puniscono in effetti quelli che sono stati danneggiati dal crimine commesso. Come ha scritto Lutero: “Se Dio vuole avere ira, che interesse hai tu d’essere misericordioso? … Che bella misericordia sarebbe per me, avere misericordia del ladro e dell’assassino, e permettergli di uccidermi, abusare di me e derubarmi!” Così la Scrittura insegna che le sanzioni penali sono necessarie. Il magistrato non deve portare la sua spada invano.
Non solo tali sanzioni penali sono necessarie nella società, devono anche essere eque. La misura della punizione secondo il giusto Giudice di tutta la terra deve essere occhio per occhio, dente per dente, vita per vita — niente di meno, ma niente di più (per esempio, Esodo 21:23-25; Deuteronomio 19:21). La pena deve essere commensurata al crimine perché deve esprimere retribuzione contro il colpevole. Quanto giuste e sagge siano le leggi di Dio diviene evidente in modo speciale quando si paragonino le sanzioni penali bibliche con quelle delle antiche civilizzazioni; non sono mai eccessive, indulgenti, crudeli o inusuali. Lungi dall’essere arbitrarie, sono dettate con la prospettiva della perfetta giustizia nelle questioni sociali. Indirettamente, questa sanzioni penali diventeranno per altri un deterrente al crimine (per esempio, Deuteronomio 17:13; 19:20), ma sono designate a punire una persona retributivamente: “secondo la sua colpa” (De. 25:2). Questa è la ragione per cui, per esempio, nella bibbia si dice che quelli che commettono delitti capitali “hanno commesso un peccato che merita la morte” (De. 21:22). Dio prescrive sempre esattamente ciò che un delitto merita; la severità della pena è proporzionata all’atrocità del fatto. Le sue pene sono pertanto sempre eque.
L’agenzia che Dio arruola per eseguire nella società le sue pene giuste e necessarie è il magistrato civile. La ragione per cui il sangue di colpevoli può essere sparso da uomini è dato in Genesi 9:5-6, vale a dire perché l’uomo fu creato ad immagine di Dio. Uomini possono riflettere i giudizi di Dio contro criminali perché gli uomini — quelli ordinati a questo compito — sono l’immagine di Dio, capaci di comprendere e di applicare i suoi standard di rettitudine civica.
Paolo ha descritto il magistrato civile come ordinato da Dio, uno che “non porta la spada invano” perché è “un ministro di Dio, un vendicatore d’ira contro i malfattori” (Ro. 13:1-4). Senza tale autorizzazione, la punizione di un uomo da parte di un altro uomo sarebbe pura presunzione, sarebbe la perpetrazione di una malefatta da parte di un gruppo contro un altro individuo o gruppo. La nozione stessa di giustizia pubblica ( il “diritto” che supera le considerazioni di “forza”) è radicata nell’assunto che la direzione di Dio avvalora la funzione del magistrato civile nella società. Dato questo fatto, è solo naturale che lo standard mediante il quale il magistrato assegna pene a criminali debba essere la legge di Dio rivelata.
Mancata volontà di sottoscrivere la legge
Tuttavia non tutti gli insegnanti cristiani sono disposti a riconoscerlo. Quelli che negano la validità delle sanzioni penali che si trovano nella legge di Dio rivelata, però, raramente hanno da offrire alternative convincenti e chiare. Quando lo fanno, quelle alternative raramente nascono da una posizione cristiana. Inoltre, quelli che perorano sanzioni penali separate dalla legge rivelata di Dio non dimostrano quasi mai una volontà di sostenere o di difendere la bontà e la giustizia delle loro specifiche proposte. In breve, quelli che esprimono riserve verso l’idea che i magistrati di oggi seguano le sanzioni penali della legge di Dio lo fanno usualmente tenendo la posizione che non ci sono permanenti standard giusti di punizione perché ai magistrati è lasciato che elaborino i loro codici penali autonomamente. Se qualche governante pensasse che rubare due centesimi meriti la morte mentre uccidere un bambino innocente meriti una sanzione di due centesimi, molti insegnanti cristiani non avrebbero un modo oggettivo per dimostrare l’ingiustizia di questo provvedimento. Il loro insuccesso nel produrre un metodo che glorifica Dio ed è ancorato alla Scrittura per conoscere ciò che la giustizia richiede in casi particolari d’attività criminale ci lascerebbe in principio alla mercé di magistrati-despoti.
Quando non ci sia legge al di sopra della legge civile, che argini e guidi i suoi dettami, la volontà umana diventa assoluta e terrificante. Prima che qualsiasi lettore sia tentato di voltare le spalle alla fin troppo ovvia proposizione che la legge rivelata di Dio debba essere seguita dal magistrato civile quando tratta di crimine e pena, il lettore o lettrice abbia chiaro nella sua mente semplicemente quali siano le alternative. In molti casi quelli che criticano l’uso delle sanzioni penali di Dio conosciute oggettivamente dalla Scrittura non hanno altre alternative da offrire al suo posto se non la tirannia arbitraria.
Oltre a chiedere quali alternative abbia in mente il critico della legge di Dio, il lettore dovrebbe fare il punto di chiedere alcune evidenze dalla Scrittura che giustifichino la sua reiezione delle sanzioni penali della legge del Vecchio Testamento. Questo è di grande importanza perché Gesù avvertì che chiunque insegnasse di trasgredire perfino il più piccolo dei comandamenti del Vecchio Testamento (e i comandamenti penali sono sicuramente comandamenti che si trovano nella legge e nei profeti) sarebbe stato chiamato minimo nel regno dei cieli (Mt. 5:18-19). A meno che quelli che postulano l’abolizione di quelle sanzioni penali possano offrire una giustificazione dalla parola di Dio per la loro attitudine, la loro posizione viene a trovarsi sotto la pesante censura di Cristo stesso. Inoltre, Paolo insegnò che la legge di Dio era usata oggi legittimamente per reprimere i criminali, essendo lo standard che Dio si aspettava che i suoi ministri nello stato usassero quando usavano la spada (1° Ti. 1:8-10; Ro. 13:4). Alla luce di ciò, rigettare quegli standard sembrerebbe un pronunciarsi contro la parola di Dio stesso sul soggetto.
Le pene sono culturalmente variabili?
Che ragione potrebbe offrire qualcuno per rifiutare di sottoscrivere l’attuale applicabilità delle sanzioni penali della legge di Dio? A volte viene suggerito, senza la dovuta riflessione, che poiché le sanzioni penali della legge si trovano nella giurisprudenza (la casuistica) del Vecchio Testamento — leggi i cui dettagli culturali non sono universalmente vincolanti — quelle leggi ci insegnano semplicemente che certi crimini dovrebbero essere puniti ma non quale debba essere la punizione. Pertanto: “Non lascerai vivere la strega” e “Chi si accoppia con una bestia dovrà essere messo a morte” (Es. 22:18, 19) semplicemente insegnano che chi pratichi la stregoneria o si accoppi con animali dovrebbe essere punito in qualche maniera ma non che debbano essere puniti in una maniera particolare. Si adduce che il principio di base è meramente che queste azioni siano punibili, la pena di morte non è che un dettaglio variabile, culturale.
Per quanto questo suggerimento possa sembrare attraente in astratto (dopo tutto renderebbe molto più facile promuovere la legge di Dio in una cultura secolarizzata), è chiaro che il suggerimento non è difendibile alla luce di particolari realtà testuali e teologiche. Per esempio, i due testi elencati sopra sono specificamente formulati in modo da richiedere più che semplicemente qualsiasi tipo di punizione per quelli che praticano magia e sesso con bestie. Ciò ch’è proibito in Esodo 22:18 è che una strega sia lasciata vivere. Un magistrato che meramente sanzioni economicamente una strega (attenzione, una strega genuina come intesa biblicamente) avrebbe trasgredito questa proibizione, permettendo così ciò che il testo proibisce — vale a dire permettere a una strega di vivere. Esodo 22:19 usò un’espressione idiomatica ebraica per comunicare la certezza della pena di morte per qualcuno che avesse fatto sesso con bestie: “dovrà sicuramente [1] essere messo a morte”. Il punto qui è che questo crimine è così odioso che solo la pena di morte è la giusta ricompensa.
Qui l’arbitrarietà di alcuni commentatori lascia perplessi. Per esempio, R. A. Cole scrive: “Il nostro atteggiamento nei confronti delle perversioni dell’ordine naturale di Dio non può essere diverso da quello della legge, mentre il modo in cui trattiamo i colpevoli sarà oggi assai diverso” [2]. Eppure il testo ebraico insegna che il modo in cui trattiamo questo crimine non deve variare: “sicuramente” il colpevole di tale crimine dovrà essere messo a morte. Se quella non è la giustizia che sottoscriviamo, allora di fatto anche il nostro atteggiamento nei confronti della perversione stessa è diverso da quello prescritto dalla legge di Dio!
Qualcuno può persuasivamente argomentare che il metodo dell’esecuzione (per esempio la lapidazione) sia un dettaglio culturale variabile, ma il testo semplicemente non sosterrà la tesi che le sanzioni penali della legge siano variabili culturalmente. Non sosterrà che si possa insegnare un approccio variabile alla penologia — vale a dire, che si possa insegnare semplicemente che i criminali dovrebbero essere puniti, senza dire quale debba essere la punizione. Il principio insegnato in tale giurisprudenza è che i relativi crimini meritano questo o quell’altro trattamento specifico.
Le varie alternative per il trattamento dei crimini non possono essere stravolte come se un omicida potesse essere multato e un ladro giustiziato. È precisamente l’equità delle sanzioni penali di Dio che preclude qualsiasi interscambio; tuttavia questo interscambio di pene è ciò che il suggerimento che ci è posto davanti permetterebbe (col dire che la giurisprudenza non insegna sanzioni definite ma solo che ci dovrebbe essere qualche tipo di sanzione). Tale stravolgimento viola il principio di occhio per occhio, dente per dente, vita per vita, ecc. Abbiamo già visto sopra che l’equità caratterizza le sanzioni penali della legge di Dio. A ciascun crimine è comminata precisamente la pena che la giustizia dice che merita. Questo è l’approccio biblico alla penologia, e allontanarsene è (nel principio) accogliere nella società di chi lo faccia, arbitrarietà, tirannia, ingiustizia.
Niente di più, niente di meno
Stiamo osservando che le pene bibliche non sono mai troppo clementi e mai troppo severe per il caso a cui fanno riferimento. Di conseguenza, se un magistrato si allontana dalla rigorosa giustizia e dall’equità delle pene biblicamente prescritte per i crimini, a quel punto il magistrato richiederà di più o richiederà di meno della legge di Dio. In ambedue i casi, comminando ciò che un crimine merita, si allontanerà dalla norma d’equità e pertanto sarà ingiusto nei suoi giudizi essendo o troppo duro o troppo morbido sui criminali. Ebrei 2:2 ci dice, contrariamente all’errata supposizione di molti, che le sanzioni penali del Vecchio Testamento non erano punizioni “acuite” o “intensificate”, che andavano oltre ciò che la rigorosa giustizia per la società detterebbe. Il verso dichiara, cosa fondamentale per un argomento a fortiori a favore dell’eterna giustizia di Dio nei confronti di apostati, che secondo la legge mosaica (“la parola pronunziata per mezzo degli angeli”, cf. Atti 7:53) “ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione”. Le pene date da Dio non furono eccessive lì, e pertanto i suoi giudizi devono essere considerati equi anche nei confronti degli apostati. Dio non punisce mai in modo ingiusto, un modo che sia troppo remissivo o troppo severo; egli prescrive sempre esattamente ciò che l’equità richiede. Si può stare sicuri che stipuli una giusta ricompensa o remunerazione per ogni crimine. Quindi sono ingiusti quelli che si allontanano dalle sanzioni penali di Dio. Se Dio dice che un certo crimine deve essere punito dal magistrato con la morte, allora, per usare una frase biblica (per esempio Deuteronomio 21:22) il crimine in questione “merita” effettivamente la morte. Una delle sottoscrizioni più forti della giustizia delle sanzioni penali della legge si trova nelle parole dell’apostolo Paolo in Atti 25:11. Quando fu accusato dai giudei di molte cose incresciose, Paolo rispose: “Se ho fatto del male [cf. la stessa espressione in Romani 13:4] e ho commesso qualche cosa degna di morte [la terminologia della legge per crimini capitali], non rifiuto di morire”. Paolo non discusse che queste sanzioni penali del Vecchio Testamento fossero state abrogate, né che fossero appropriate solo per i giudei della teocrazia. Insistette anzi che erano valide al tempo presente e che non avrebbe cercato di evitarne il requisito. Egli era disposto a sottomettersi alla giustizia divina, la giustizia della legge di Dio — concesso, ovviamente, che avesse realmente trasgredito quella legge. Se la bibbia abbia da essere il fondamento della nostra etica politica cristiana, confermiamo anche noi la giustizia del codice penale di Dio.
Tentativi non validi di aggirare la penologia biblica
Alcuni cristiani hanno tentato di sfuggire i requisiti biblici inerenti le sanzioni penali sul crimine. Senza rispondere alle considerazioni positive che sono state espresse sopra, hanno suggerito varie ragioni per le quali non dovremmo avvallare le sanzioni penali della legge del Vecchio Testamento. Possiamo esaminare velocemente alcune di queste ragioni.
Alcuni dicono che l’uso della pena di morte ridurrebbe le possibilità per l’evangelismo. Potrebbe essere vero, ma noi dobbiamo evitare di
rappresentare la parola di Dio come se fosse in conflitto con se stessa (come se il mandato evangelistico della chiesa potesse scavalcare la giustizia richiesta dallo stato). “Le cose occulte [per esempio chi sarà convertito] appartengono all’Eterno, il nostro Dio; ma le cose rivelate [per esempio i requisiti della legge] sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge” (De. 29:29).
Altri fanno appello alle emozioni, dicendo che le sanzioni penali del Vecchio Testamento porterebbero ad un bagno di sangue nella società moderna. Una simile considerazione è per propria natura una preoccupazione pragmatica piuttosto che una considerazione a favore della verità e della giustizia. Ma più importante ancora, contraddice frontalmente l’insegnamento stesso della bibbia per quanto riguarda quale sarebbe l’effetto di seguire il codice penale di Dio. Lungi dal portare a un numero maggiore di esecuzioni, tale pratica farebbe sì che altri “verranno a saperlo e ne avranno timore” (per esempio, Deuteronomio 17:13) talché pochi commetterebbero tali crimini e avrebbero bisogno di essere puniti. Le sanzioni di Dio portano sicurezza, protezione, integrità e vita ad una comunità — non un bagno di sangue.
Alcuni insegnanti hanno assimilato le sanzioni penali del Vecchio Testamento alle leggi cerimoniali del Vecchio Testamento che non sono più seguite nello stesso modo in cui lo erano prima in ragione dell’opera di Cristo. Tuttavia, tali pene non avevano carattere cerimoniale prefigurando la persona e l’opera del Redentore (per esempio come il sistema sacrificale); non avevano scopo redentivo e non avevano carattere religioso. Mentre il Nuovo Testamento dimostra che i sacrifici, il tempio, ecc., sono stati messi da parte, il Nuovo Testamento avvalla la continuazione e l’autorità delle sanzioni penali. Questi semplicemente non sono nella stessa categoria teologica delle leggi cerimoniali.
Le pene sociali prescritte dalla legge del Vecchio Testamento non possono essere considerate compiute nella morte di Cristo, nella disciplina scomunicante della chiesa, o nel giudizio finale — perché nessuna di questa tratta con la giustizia sociale all’interno della storia. Cristo non ha rimosso le pene per le malefatte sociali altrimenti i cristiani potrebbero argomentare che possono fare ameno di pagare le multe per infrazioni al codice della strada! La disciplina della chiesa non toglie la necessità che lo stato abbia giuste linee guida per le pene nella società. E lungi dal confermare le pene sociali, aspettare il giudizio finale rimuove completamente le pene sociali per il crimine. Anche se si potrebbe argomentare (con degli indicatori biblici) che le sanzioni penali del Vecchio Testamento prefiguravano il giudizio finale, sarebbe completamente diverso argomentare che queste pene non fecero altro che prefigurare il giudizio finale. Dopo tutto, trattarono anche con questioni storiche di crimine e pena, e pertanto continuano a farlo oggi (mentre ancora prefigurano il giudizio finale a venire).
Possiamo abrogarle tutte eccetto una?
Se l’argomento di cui sopra si è dimostrato imbarazzante alla luce dell’insegnamento biblico e della coerenza logica, si può comprendere quanto più difficile sarebbe difendere la posizione che le sanzioni penali sono state oggi abrogate, eccetto una (vale a dire la pena di morte per omicidio). Tale posizione non riesce a dimostrare che le sanzioni penali siano state accantonate in generale. Al massimo si appella ad un fallace argomento dal silenzio, dicendo che tali pene sociali non furono menzionate, per esempio, da Paolo quando parlò alla chiesa di Corinto riguardo al fornicatore incestuoso. Ovviamente Paolo non disputò di queste sanzioni visto che stava parlando alla chiesa circa le sue (della chiesa) responsabilità nei confronti del peccatore (non dell’intervento del magistrato). Il suo silenzio sfida forse o sostiene la validità delle sanzioni? Nessuna delle due, realmente, perché una considerazione sul silenzio è logicamente fallace. Ciò che è importante è la presunzione di continua validità insegnata altrove da Cristo (Mt. 5:19) e da Paolo (At. 25:11; Ro. 13:4; 1° Ti. 1:8-10; cf. Eb. 2:2). Il silenzio non può abbattere quella presunzione perché quella presunzione può essere rovesciata solo da una parola definitiva di abrogazione.
Conclusione
Nel Nuovo Testamento non c’è un ripudio generale delle sanzioni penali. E se ci fosse, non esisterebbe un maniera testualmente legittima di salvare la pena di morte per omicidio. Il tentativo di limitare il nostro obbligo morale al patto noachide (Ge. 9:6) è mal concepito, non solo perché il Nuovo Testamento non riconosce una tale limitazione arbitraria (vedi Matteo 5.17-19), ma anche perché la legge mosaica è necessaria per comprendere e applicare correttamente la stipulazione noachide riguardante gli omicidi (per esempio, la distinzione tra omicidio colposo e omicidio premeditato non è tracciata in Genesi 9). Che Paolo in Romani 13 non stesse limitando il potere della spada alla guida di Genesi 9 è chiaro dal fatto che Paolo riconosce il diritto di tassare, che rimane senza menzione in Genesi 9. Se le sanzioni del Vecchio Testamento sono state abrogate (e non abbiamo ragione di credere che lo siano state), a quel punto non sembra esserci la possibilità di recuperare neppure la pena di morte per omicidio. Eppure pochi evangelicali sarebbero contenti di accettare quella conclusione, specialmente perché lascia senza alcuna applicazione le parole di Paolo circa la “spada” del magistrato.
Dobbiamo concludere che la parola di Dio, anche per quanto riguarda materia di crimine e pena è affidabile e immutabile. Senza la sua guida il magistrato userebbe sicuramente “la spada invano”.
Note:
1 Quasi tutte le traduzioni in Inglese aggiungono la parola “sicuramente” o “certamente” per enfatizzare la necessarietà di tale pena. (n.d.t.)
2 R. A. Cole: Exodous; Tyndale Old Testament Commentaries, D. J. Wiseman editore, Downers Grove, IL, Inter-Varsity Press, 1973, p. 174.