PARTE III: ANTAGONISMO ALLA LEGGE DI DIO
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AUTONOMIA E ANTINOMISMO
“Il ragionamento autonomo può rigettare la nostra sottoscrizione della legge di Dio per l’etica, ma in definitiva l’etica autonoma non ha niente da offrire al suo posto.”
La prospettiva teologica che è stata avanzata in questi capitoli non è stata formulata o determinata facendo un sondaggio popolare, o da un desiderio di sintetizzare la sapiente varietà di attitudini umane, e neppure cercando una “via di mezzo” tra le posizioni degli insegnanti della bibbia evangelici e dei pastori. Il nostro obbiettivo è stato di essere fedeli alla vasta gamma di rivelazioni bibliche concernente la validità oggi della legge di Dio nell’etica; abbiamo cercato di attenerci alla parola di Dio e non alle tradizioni degli uomini. Se questo sforzo ha ottenuto una misura significativa di successo — cioè, se abbiamo di fatto insegnato cosa la Scrittura insegna degli standard morali di Dio — non sorprenderà che esista un numero di altre posizioni sulla legge di Dio o sulla norma per l’etica che sono opposte a ciò che è stato presentato fin qui. Oggi stanno fiorendo molte teorie erronee sull’etica (e in realtà l’hanno sempre fatto). Alcune sono più pericolose di altre, naturalmente, ma in qualche misura tutte si allontanano da ciò che Dio dice della sua legge.
L’autonomia del non-credente
L’antagonismo più netto alla legge di Dio che incontriamo sarà naturalmente sollevato da coloro i quali non hanno fede in Cristo e rifiutano di sottomettere il loro modo di pensare e di comportarsi alla parola di Dio rivelata. Per principio i non credenti non cercano di conformarsi ai comandamenti di Dio, e per principio non hanno la convinzione di avere obblighi verso la legge di Dio. Tuttavia i non credenti non sono mai privi di presupposti etici, credenze, attitudini. Di conseguenza, il non credente riflessivo si sforzerà di formulare una filosofia dell’etica per se stesso (se non per altri), e il suo ragionamento etico sarà caratterizzato come autonomo.
La parola “autonomia” deriva da due parole del greco: autos (che significa “sè”) e nomos (che significa “legge”). Operare autonomamente è diventare una legge a se stesso. Il filosofo autonomo presume di poter definire il bene e il male secondo le proprie capacità di ragionare senza aiuti esterni. Non è sottoposto all’autorità di altri (specie a quella di Dio) ma anzi, in questioni morali crede di essere in grado di esercitare con competenza la propria autorità. Il non-credente vuole accantonare la legge di Dio in modo da stabilire la propria legge autonoma al suo posto.
Romani 1:18:32 e 2:12-26 insegna che mai nessuno che sia vissuto nella creazione di Dio è stato senza conoscenza degli standard di condotta dati da Creatore. Tutti gli uomini, anche quelli che non hanno mai sentito parlare della bibbia, avversano la verità con la loro vita ingiusta. Pure, nonostante possano non aver avuto il privilegio d’aver ricevuto una rivelazione scritta della legge di Dio (ad.es. gli “oracoli di Dio” dati ai Giudei: cf. 2:17, 27; 3:1-2), “I gentili che non hanno la legge … dimostrano che l’opera della legge è scritta nei loro cuori” (2:14-15). Nell’intimo più profondo di se stessi tutti gli uomini conoscono i requisiti della legge di Dio ma cercano di sfuggire a quella conoscenza che li condanna e di costruire per se stessi teorie etiche sostitutive. “L’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio” (1° Co. 2:14), e difatti, la mente controllata dalla natura di peccato “non è soggetta alla legge di Dio e nemmeno può esserlo” (Ro. 8:7). Per natura il non credente deve contrastare il concetto della legge di Dio che questo libro promuove. Come Adamo loro padre, i non-credenti cercano di “essere come Dio”, determinando da se stessi ciò che sia bene e ciò che sia male — accantonando l’auto-attestante rivelazione di Dio in natura e nella Scrittura, e procedendo lungo la strada della ribellione peccaminosa verso la dismissione dell’etica.
Platone e Sartre
Platone insegnò che l’etica è indipendente dalla religione, poiché la forma (o idea essenziale) di bontà e pietà esiste separatamente dal pensiero degli dèi, i quali approvano le azioni guardando al di sopra di se stessi agli standard assoluti, immutabili della bontà e della pietà. Platone pensò che tale prospettiva salvasse la teoria etica, sia dal relativismo scettico (perché la forma della bontà era immutabile e assoluta in quanto non dipendente dal fluttuare delle esperienze o dalle opinioni umane) sia dalla religione dogmatica (visto che bontà o pietà non ricevevano il loro carattere da ciò che gli dèi dicessero di esse). Ma accaparrando l’autorità assoluta per l’etica in questo modo, Platone perse simultaneamente la rilevanza etica, perché come ci si può aspettare che chiunque viva attraverso i cambiamenti della storia sappia cosa richiedano nell’esperienza quotidiana degli standard assoluti di bontà? Noi non incontriamo mai la forma immutabile dalla bontà nella nostra esperienza ordinaria e perciò per osservazione non possiamo sapere nulla di di essa (nulla specialmente della sua applicazione concreta a particolari problemi e questioni morali). Platone aveva un “bene celeste” che non aveva alcun “valore terreno”. Egli disse che gli uomini potevano conoscere “il bene” per intuizione razionale; ma ciò affoga l’etica nel caotico relativismo una volta che ci rendiamo conto che gli uomini differiscono radicalmente su ciò che “intuiscono” essere bene o male.
In molti modi la filosofia esistenziale di Sartre è piuttosto incompatibile con l’antico platonismo. Sia Sarte che Platone, però, cercarono di liberare l’etica dai dettami della religione dogmatica. Il punto di partenza di Sartre fu la non-esistenza di Dio, da cui inferì che non esistano valori fissi di sorta. L’uomo è totalmente libero di determinare da se stesso ciò che costituisca bene e male. Non c’è alcuna idea essenziale di bontà che preceda le sue decisioni e che le possa giudicare. Qualsiasi valore entri nella vita di una persona deve essere da questa liberamente scelta e definita da sé. Diversamente dal platonismo, dunque, l’esistenzialismo rende l’etica molto rilevante; lungi dall’essere inarrivabile, lo standard di giusto e sbagliato è immediatamente accessibile all’individuo essendo completamente sotto il suo volontario controllo! Può sapere immediatamente cosa fare in particolari situazioni etiche perché egli stesso decide ciò che sia giusto o sbagliato in ciascun caso. Ovviamente questa rilevanza etica è acquistata al prezzo estremamente alto di rinunciare ad un’autorità assoluta nell’etica. Per Sartre qualsiasi scelta fatta dall’uomo è assurda, ma qualsiasi scelta (purché si tratti di una scelta genuinamente libera) è giustificabile. Non esistono le scelte giuste o sbagliate, esistono solo le scelte. Ciò ch’è scelto come giusto da un individuo in una specifica situazione non dirime cosa dovrebbe essere considerato giusto da un altro individuo in una situazione simile. Ognuno “fa ciò che sembra giusto ai propri occhi” e di conseguenza non esiste uno standard di condotta universale, vincolante che possa guidare e correggere il nostro modo di vivere.
Platone aveva assoluti etici senza relative applicazioni. Sartre aveva le relative applicazioni senza un assoluto etico. Ambedue i problemi — alla fine distruttivi dell’etica ciascuno a modo suo — nascevano da un rigetto della rivelazione di Dio della sua legge divina per il comportamento umano. Al contrario, l’etica cristiana ha autorità assoluta, essendo basata sulla rivelazione della volontà di Dio. Ed è rilevante anche perché, ciò che il Dio onnisciente dal governo totale dice essere pertinente specificamente alla nostra vita e ai nostri problemi quotidiani, Egli ne ha chiaramente rivelato gli standard immutabili perfino per gli aspetti della vita più specifici. Il ragionamento autonomo può rigettare la nostra sottoscrizione della legge di Dio per l’etica, ma in ultima analisi l’etica autonoma non ha niente da offrire al suo posto. L’autonomia dichiara la morte di uno standard etico rilevante e assoluto.
Varietà di antinomismi
Gli oppositori della legge di Dio nell’etica cristiana non sono ristretti al mondo del pensiero non-credente, e così dobbiamo proseguire il nostro esame dell’antagonismo alla prospettiva avanzata in questi studi. Molti credenti cristiani rigettano similmente l’idea che la legge di Dio sia oggi normativa per l’etica. In un modo o nell’altro, in una misura o nell’altra, per una ragione o per l’altra, vorrebbero comunque ripudiare la vincolante autorità dei comandamenti di Dio rivelati. Quelli che lo fanno sono generalmente conosciuti come “antinomisti” perché sono contro (“anti”) la legge (“nomos”, benché bisogni riconoscere attentamente che sotto questa dicitura si colloca un’ampia varietà di attitudini diverse (che non condividono tutte gli stessi problemi). Dobbiamo tracciare delle distinzioni.
L’antinomismo licenzioso — la forma più seria di antinomismo — sostiene che, poiché siamo stati salvati per grazia, senza le opere della legge, siamo stati esentati dalla necessità di osservare qualsiasi codice morale di sorta. Leggi o regole non hanno posto nella vita cristiana, e in questo modo, in principio, è aperta la porta alla totale licenza nel modo di vivere del cristiano. Tale modo di pensare difficilmente si concilia con l’insegnamento del Nuovo Testamento. Paolo non solo ha insistito che la salvezza non è per opere, ha anche proseguito dicendo che la salvezza è al fine di produrre opere buone (Ef. 2:8-10). Egli riconobbe che la grazia di Dio c’insegna a vivere giustamente in questo mondo (Tt. 2:11-12). Giovanni disse con estrema chiarezza che “il peccato è violazione della legge” (1° Gv. 3:4).
L’antinomismo spirituale ammetterà che il cristiano abbia bisogno di guida per il santo vivere che Dio si aspetta, ma negherà che tale guida provenga da un codice scritto (o definito verbalmente). La direzione etica si trova piuttosto nel suggerimento interiore dello Spirito Santo. In questo modo questa posizione è contraria a che s’insista sulla normatività della legge di Dio rivelata, perché trova che quest’insistenza sia un soffocamento dell’opera spontanea dello Spirito in noi. Come ci si può aspettare, tale modo di pensare porta velocemente al soggettivismo nell’etica cristiana, con ciascuna persona che fa qualsiasi cosa dichiari che “lo Spirito” le ha suggerito di fare — malgrado il fatto che confligga con ciò che lo Spirito ha suggerito ad altri di fare e (peggio) con ciò che lo Spirito ha rivelato una volta per tutte nella Scrittura. La bibbia c’insegna che lo Spirito opera mediante la parola, non che parli o diriga da Se stesso (Gv. 16:13-15). Lo Spirito opera per adempiere la legge in noi (Ro. 8:4:9). La dimora dello Spirito nel credente produce obbedienza ai comandamenti di Dio (1° Gv. 3:24).
L’antinomismo dispensazionalista concederà liberamente che Dio abbia rivelato degli standard per cui vivere (in contrasto con l’antinomismo licenzioso) e che li abbia rivelati in forma scritta affinché siano osservati (in contrasto con l’antinomismo spirituale). Però rimane contrario alla legge di Dio del Vecchio Testamento come norma attuale di condotta del cristiano. Questa forma di antinomismo è chiamata “dispensazionalista” perché si contrappone alla legge della precedente dispensazione (La legge di Mosè del Vecchio Patto); oggi, si dice, i cristiani dovrebbero governare la loro vita mediante i comandamenti della nuova dispensazione (il Nuovo Patto).
Una tale prospettiva suggerisce alcune implicazioni teologiche piuttosto inaccettabili: per esempio, che il santo carattere di Dio non sia riflesso nella legge, o che il suo carattere sia cambiato (talché ha cambiato anche la legge). Inoltre, questa prospettiva sicuramente non conviene con la diffusa pratica degli scrittori del Nuovo Testamento che si appoggiano senza fare apologie sull’autorità dei comandamenti del Vecchio Testamento che essi presumono valida. Inoltre, abbiamo l’esplicita sottoscrizione della legge dell’Antico Testamento in affermazioni come Matteo 5:19: “Chi dunque avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli”, o 2° Timoteo 3:16-17; Giacomo 2:10, ecc.
Ci si interroga intorno alle norme etiche del Vecchio Testamento che il Nuovo Testamento non ha occasione di ripetere; non sono più dirimenti per il bene e il male (per dire, la proibizione del sesso con animali)? Ad ogni modo, la difficoltà più ovvia con l’antinomismo dispensazionalista è che non rende giustizia alla terminologia di quel Nuovo Patto che cerca di esaltare. Secondo la parola di Dio, il Nuovo Patto avrebbe significato, non la sostituzione della legge di Do o la sua abrogazione, ma anzi il conferimento spirituale in noi della capacità d’osservarla. Questo è il Nuovo Patto: “Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d’Israele dopo quei giorni dice l’Eterno: Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (Gr. 31:33) — non una nuova legge, ma la “mia legge”, la ben conosciuta legge rivelata per mezzo di Mosè e degli altri scrittori del Vecchio Testamento.
Infine, possiamo menzionare l’antinomismo latente come un’incipiente marca di opposizione alla legge di Dio. Gli antinomisti latenti non sono esplicitamente antagonisti alla legge; anzi sottoscrivono genericamente i comandamenti del Vecchio Testamento. Ma a questo punto assumeranno un approccio a buffet della collezione di leggi che si trova nel Vecchio Testamento, accettandone alcune e rigettandone altre come vincolanti oggi su qualche fondamento altro dell’insegnamento rivelato. L’antinomista latente è contrario ad alcune leggi del Vecchio Testamento, e non ha legittimazione biblica da offrire per la sua reiezione di quelle leggi. Questa non è una diretta reiezione della categoria della legge, né della legge scritta, né della legge del Vecchio Testamento. È solamente incipientemente antinomista perché in fondo il suo antinomismo avversa l’autorità vincolante di certi comandamenti del Vecchio Testamento su basi non bibliche; se il principio di questa pratica verrà portato avanti coerentemente e auto-consapevolmente, ammonterà a genuino antinomismo.
L’antinomismo latente generalmente vuole la legge del Vecchio Testamento, ma non certe categorie di essa (ad es. quella civile) o non tutti i suoi dettagli (ad es. la casuistica e le sanzioni penali). Se coloro i quali hanno questo sentimento potessero offrire qualche tentativo di giustificazione biblica per l’accantonamento di queste porzioni della legge, allora, potrebbero essere teologicamente in errore, ma non sarebbero latenti antinomisti. È il mancare di permettere che sia la parola di Dio decidere quali leggi prendiamo come vincolanti e quali leggi vediamo come accantonate a fare di questa posizione antinomismo latente, Gesù ha detto che l’uomo deve vivere per ogni parola che procede dalla bocca di Dio (Mt. 4:4). Non possiamo togliere dalla sua parola, dunque, senza la sua autorizzazione (De. 4:2).
In contrapposizione all’attitudine incredula dell’autonomia, questi studi hanno promosso la teonomia (legge di Dio). Anziché essere antinomisti (nei modi: licenzioso, Spirituale, dispensazionalista, o latente) hanno assunto una posizione pro-nomiana. Nell’etica noi presumiamo che la legge di Dio dall’Antico testamento rimanga normativa per il comportamento fino a che il Legislatore non riveli diversamente. La legge-fai-da-te o l’opposizione alla legge di Dio sono ambedue incompatibili con la genuina teoria e pratica etica.