10. Dettatura e ispirazione
La teoria della dettatura dell’ispirazione mette in rilievo alcune delle questioni centrali che riguardano la dottrina dell’ispirazione. Il pensiero evangelicale s’è irritato alla parola dettatura tuttavia tende a gravitare intorno al concetto. Gli studiosi liberali hanno usato la parola per fare una caricatura della dottrina come meccanica, rigida e incredibile in termini di psicologia umana. Si afferma che è impossibile sostenere l’ispirazione verbale senza affermare la dettatura. Se Dio ha effettivamente ispirato ogni parola del testo originale della bibbia, allora ogni parola è in qualche senso dettata da Dio e gli autori della bibbia non sono perciò più che stenografi che meccanicamente e impersonalmente hanno preso nota della dettatura di Dio, parola per parola, in ogni apice e iota. Contro questo argomento i pensatori evangelicali sono stati stranamente impotenti. Se Dio è l’autore creativo nel senso che la Scrittura e il cristianesimo asseriscono, il testo è in qualche senso stato dettato. Ma la parola “dettatura” porta con sé una chiara implicazione di un uso meccanico dell’autore umano che è totalmente aliena al significato di ispirazione. Gli autori affermarono di essere posseduti e usati dallo Spirito di Dio, non di essere stati sottoposti a dettatura meccanica. La parola dettatura è descrittiva perché afferma la piena paternità (autorialità) di Dio, ma è discutibile perché implica l’uso meccanico di uomini il cui marchio si vede fin troppo chiaramente in ogni pagina della Scrittura. Qual’è dunque la risposta a questo dilemma?
Si dovrebbe notare che questo problema è correlato molto strettamente alla questione generale della sovranità di Dio. È una forma più specifica della più ampia questione che chiede se le azioni dell’uomo possano essere personali e libere quando allo stesso tempo sono asserite essere totalmente controllate, preordinate e predestinate da Dio. Più specificamente, come possono Dio e l’uomo essere gli autori liberi e personali dello stesso testo? Dobbiamo forse asserire che l’attività di Dio va fino ad un certo punto e non oltre, o dobbiamo asserire che l’attività di Dio e dell’uomo sono simultanee e coestensive eppure in qualche modo ambedue completamente personali?
Storicamente, il problema è sorto con particolare intensità ovunque l’assolutezza di Dio sia stata negata nella proporzione in cui sia stata preservata la libertà dell’uomo. È pertanto un sottoprodotto del problema basilare della teologia: la dottrina di Dio. Come risultato, non sorprende trovare che la risposta a questo dilemma si trovi nella filosofia di Van Til, dove tratta con i problemi basilari della dottrina di Dio e dell’epistemologia.
Il postulato comune degli uomini è che l’universo sia impersonale e che solo Dio e l’uomo siano personali. Inoltre, si assume che l’uomo cessi di essere personale nella misura in cui sia predestinato da Dio e determinato da cause all’interno dell’universo. Il altre parole, è dato per scontato che un’azione personale possa essere solamente un’azione individuale. Come lo enuncia Van Til, il postulato è che “un’azione personale dell’uomo non può allo stesso tempo, ma in un senso diverso, essere un’azione personale di Dio … assume che o Dio o l’uomo agiscano personalmente in un certo tempo e in un certo luogo, ma che non possano agire personalmente simultaneamente nello stesso punto di contatto … che l’attività personale da parte dell’uomo debba sempre essere a spese del carattere personale di ciò che lo circonda” [1].
In questa prospettiva è implicata una fallacia tremenda. Prima di tutto, de-personalizza l’universo che circonda l’uomo e assume che abbia un’esistenza che è indipendente da Dio. Ma, se Dio ha creato tutte le cose, allora tutta la creazione è comprensibile e ha significato solo in termini di Dio e non ha nessun dominio indipendente di significato o d’esistenza ma sono solo creature e creazioni e il Dio personale dà significato a tutte le cose. Noi viviamo perciò, non in un universo impersonale ma in uno altamente personale perché il Dio sovrano è un Dio personale. Ogni volta e ogni dove trattiamo con l’universo e le cose che contiene stiamo allo stesso tempo trattando col Dio personale. L’uomo non può mai lasciare l’universo personale. Ad ogni e qualsiasi punto egli tratta col Dio personale e, anche trattando con se stesso, tratta ancora con la creazione di Dio e col Dio personale che, avendolo fatto, tratta con lui personalmente in ogni fibra della sua vita e del suo essere. Secondo, se anche l’uomo è un essere creato la cui vita e il cui significato può essere interpretato solo in termini della personale volontà di Dio, allora anche l’uomo è personale precisamente perché è la creatura di un Dio personale e creato a sua immagine. L’uomo trova la propria vera personalità, non in un dominio indipendente da Dio, né dove si suppone che l’attività di Dio termini, ma precisamente in dipendenza da Dio e in armonia con la sua attività. L’uomo fu pertanto più pienamente e più realmente personale quando visse obbedientemente in Paradiso, pensando i pensieri di Dio nella sua cornice di pensiero ed elaborando le implicazioni della divina interpretazione della realtà. Terzo, è ora evidente che siccome tutta la creazione ha significato solo in termini della volontà creativa di Dio, tutta la creazione ci dà fatti personali. E siccome l’uomo è una creatura, l’uomo è veramente personale nella misura in cui accetta questo fatto concernente la creazione e se stesso. Agostino ha detto: “I nostri cuori sono senza riposo finché non riposano in Te”. Van Til rende chiaro che l’uomo è maggiormente se stesso, più libero e personale, quando più pienamente vive nei termini del proposito creativo di Dio. In questo modo, l’attività personale dell’uomo non è in conflitto con, né indipendente dall’attività personale di Dio, ma in subordinazione ad essa. L’uomo è perciò più veramente personale e libero quando meglio compie lo scopo per cui fu creato, quando più è ripieno di Spirito, più controllato da Dio; è personale e libero perché preordinato e predestinato. Il solo modo per asserire la libertà e la personalità dell’uomo è dichiarare l’assoluta sovranità di Dio.
Questo rende chiaro cosa implichi la dottrina dell’ispirazione. Gli scritti di Davide, Geremia, Ezechiele e Paolo sono completamente liberi e personali precisamente perché sono completamente ispirati. Se noi possedessimo scritti non biblici e non ispirati di questi uomini, sarebbero per certo interessanti ma marcatamente meno personali e meno rivelatori di questi uomini. In questo modo la parola “dettatura” è accurata nell’implicare la paternità (autorialità) di Dio, ma completamente erronea nella sua inferenza che il ruolo dell’uomo sia stato meccanico, rigido, impersonale. Poiché l’uomo è un essere creato, egli è libero nella misura in cui compie il proposito per cui fu creato: glorificare Dio e godere di lui per sempre. Più diventiamo pii più viviamo liberamente e personalmente. E gli scrittori delle Scritture furono più pienamente e liberamente se stessi, più personali quand’erano ispirati da Dio per scrivere le inerranti Scritture.
Mancare di comprendere questo significato della dottrina dell’ispirazione significa perciò un fallimento nel comprendere le dottrine di Dio e dell’uomo. Il tutto della vita dell’uomo è parte della personale attività creativa di Dio e come risultato lo è la libera e personale attività dell’uomo. Le loro aree di attività personali non sono esclusive e isolate me coestensive e simultanee. L’ispirazione quindi non è una procedura meccanica ma il lavoro autoritativo del Dio personale per mezzo dell’attività dell’uomo pienamente personale e libera. In quanto tale, la dottrina è di tremenda importanza, non solo in termini della nostra concezione della Scrittura, ma anche della nostra concezione di Dio e dell’uomo.
Note:
1 C. Van Til: Mataphysics of Apologetics, p. 64.