14. Un vangelo ampio quanto?
Una domanda pertinente a questo punto è: quanto ampio è l’evangelo che proclamiamo? È effettivamente la buona novella per il tutto della vita? È consuetudine per gli studiosi, tanto cristiani che non, rispondere a questa domanda con uno sguardo nostalgico alla visione del mondo del medio evo. Che il medio evo abbia posseduto, però in misura più limitata di quanto generalmente riconosciuto, una visione del mondo unificata si può concedere senza alterare il fatto che tale unità possa avere in essa poca buona notizia o vangelo.
Facendo della visione di Dio e della vita contemplativa lo scopo più alto della vita, enfatizzando lo spirituale come pio e il ritiro dal mondo come santo, il medio evo in un senso arrese il mondo al diavolo. Il mondo e la materia dovevano o essere rigidamente governati dallo spirito o erano oggetto di rinuncia, o ambedue. Il celibato sacerdotale fu emblematico del fatto che il regno di Dio e la vita comune erano incompatibili. Il regno doveva essere sovrapposto (sovraimposto) sul mondo; poteva governare il mondo, ma non poteva coincidere con il mondo.
Le dottrine riformate della giustificazione per fede, del sacerdozio di tutti i credenti, e della vocazione professionale del cristiano resero possibile la potenziale coincidenza del regno e del mondo come obbiettivo storico, e il fine appropriato dell’attività storica, ovviamente non da realizzarsi pienamente in questa vita ma da approssimarsi. Pertanto la Riforma fu liberazione e promessa di vita, ma una promessa fin qui non realizzata. Perché questo fallimento? Proprio come il cattolicesimo romano storicamente ha assorbito divinità locali a volte come santi, e ha assorbito le divinità femminili locali nell’immagine della Madonna, così il protestantesimo ha seguito una politica simile riguardo al secolarismo. Ha cercato di trasmutare il mondo nel regno di Dio battezzando il paganesimo e il secolarismo aspergendo qualche goccia di approvazione e di benedizione sul capo di filosofie e presupposti alieni. Ha operato sul principio del terreno comune anziché su quello del terreno riconquistato. Ha preso in prestito dal mondo le sue dottrine dell’istruzione, dallo stato le sue teorie politiche, da Fariseismo, secolarismo e Tomismo il suo concetto di legge. Nei primi anni 30 (1930) alcuni economisti del New Deal affermarono che la via alla prosperità e al benessere fosse attraverso la spesa illimitata e il debito. Simili ragionamenti sembrano prevalere in molti circoli cristiani: più permettiamo al mondo di prevalere nella chiesa più forte sarà la chiesa! Sembra che più buttiamo via i nostri presupposti cristiani più sarà robusta la nostra forza cristiana e il nostro fascino! Sembra che il vangelo non sia grande abbastanza o ampio abbastanza per affrontare il mondo nella propria forza: deve prendere in prestito l’armatura di Saul.
Ma come afferma Van Til: “È decisamente impossibile sfidare l’uomo moderno col vangelo di Cristo se questo vangelo non è posto nella sua collocazione più ampia” [1]. La nostra funzione non è venire incontro all’uomo moderno ma sfidarlo, non di confermarlo o battezzarlo nelle sue vie ma di convertirlo a tutto il consiglio di Dio.
C’è così poca buona novella in molta della predicazione del vangelo oggi. Nel definire la missione cristiana come esclusivamente salvare anime uno dei moderni predicatori fondamentalisti più prominenti ha dichiarato: “Non si lucidano gli ottoni in una nave che sta affondando”. Tale prospettiva è sicuramente una resa del mondo al diavolo quanto ciò che produsse il medio evo, e la crescente impotenza di tale cristianesimo nella sua influenza sulla scena mondiale è una conseguenza naturale della sua teologia. È facile per i grandi e potenti del mondo, quando fa comodo per i loro propositi, dare la loro benedizione a tale evangelismo: dopo tutto produce cittadini migliori e lascia loro incontrastati.
Il modernismo, battezzando il secolarismo, fallisce allo stesso modo. Il suo vangelo sociale è stabilito su sentimenti e sentimentalità vagamente cristiani, non su presupposti ben definiti e cristiano-teisti. Come risultato, può offrire solamente tematiche, mai fede. Cerca di identificare il regno col mondo anziché lavorare per la sua coincidenza. E troppo spesso il pensiero calvinista ha seguito tradizioni aliene anziché il proprio retaggio.
La Scolastica cerca di sovrapporre un regno spirituale su un mondo materiale alieno. Il Modernismo troppo frequentemente identifica il mondo e il regno perché opera sul presupposto dell’uomo naturale. Il fondamentalismo rende il regno puramente escatologico e “ferma il tempo” in termini di storia contemporanea.
Ma il vangelo è per il tutto della vita: la buona novella è precisamente che il tutto della vita è restaurato e compiuto per mezzo di Gesù Cristo, che, nel consiglio di Dio, il regno è destinato a trionfare in ogni sfera di vita. Questo vangelo non può essere proclamato e il dominio del regno non può essere esteso se non su presupposti cristiani. La risposta alla domanda: quanto ampio è l’evangelo che abbiamo, è semplicemente questa: ampio quanto la vita e la creazione, quanto tempo ed eternità. Poggia sul decreto del Dio autonomo; è una fede fondata su una teologia realmente sistematica.
Lo scopo del lavoro di Van Til è precisamente collocare il vangelo nella sua collocazione più ampia possibile. La chiesa prospererà nei termini di tale teologia, una nella quale possiamo parlare del trionfo di Dio e di tutto il consiglio di Dio. In tale teologia risiedono la nostra forza e la nostra pace perché, come ha osservato Calvino molto tempo fa: “La nostra sicurezza e l’onnipotenza di Dio sono eguali: essendo la prima non inferiore alla seconda” [2].
Note:
1 C. Van Til: Introduction to Systematic Theology, ed. 1952, p. 179.
2 John Calvin: Calvin’s Calvinism, traduzione di Henty Cole di “A Treatise on the Eternal Predestination of God”, Eerdman’s 1950, p. 54.