Capitolo III
Costantinopoli: Contro l’Odio alla Certezza
Un’intervista con l’attore Robert Walker Jr. fece scaturire un interessante commento:
Dopo un film, Walker si ritira nella sua nuova casa di Malibù, con sua moglie Ellie, una ballerina di teatro sposata nel 1961, e i loro due figli, Michael di 4 anni e David di 3. “Abbiamo una casa al mare” dice Walker. “Siamo gente di mare – sole, sabbia, e immersioni. Ma se mai questa casa ci deluderà o ci stancherà… beh, noi la bruceremo” [1].
Dando per scontato che questa affermazione dell’attore lo rivela come sbruffone, il fatto che egli ritenga un merito farsi passare per uno dedicato all’odio delle radici è significativo. Tutto ciò che sia associato ad origini o certezze viene oggi disprezzato da quella che si auto-promuove come nuova élite. Matrimonio, moralità, famiglia, legge, ordine, certezza e sopra tutto cristianesimo sono odiati con forza. La libertà dell’uomo consiste nell’evitare tutte le certezze eccetto se stesso; la ricerca della certezza è vista come la ricerca della morte. La vita di questi uomini esprime incertezza e mancanza di origini. Uno studente radicale ebbe a rimarcare: “Io odio coloro che sanno tutto”. L’avversione verso la certezza è la passione più grande dell’uomo esistenzialista.
L’avversione verso le radici e verso la certezza è basilare per l’attività rivoluzionaria. Il rivoluzionario distrugge le cose di valore precisamente perché hanno un valore che lo trascende. Solo ciò che egli stabilisce può sussistere. Il rivoluzionario distrugge radici, valori e legge perché parlano di certezza ed egli è in guerra con la certezza. Questo è il fondamento della distruzione rivoluzionaria. Sembra senza senso per coloro che mancano di rendersi conto che la distruzione è alla base della fede rivoluzionaria.
Questa avversione verso la certezza è il più importante elemento nell’Impero Romano e del suo anti-cristianesimo e fu l’aspetto più rilevante dell’umanesimo che si infiltrava e che si infiltra tutt’ora. I partiti umanistici fecero di tutto per portare incertezza nella fede, per rendere vaghe le dottrine di Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo, per annebbiare con l’incertezza le dottrine di creazione, salvezza e giudizio. L’avversione nei confronti della certezza dottrinale fu intensa e particolare. Ma l’avversione è una pretesa e una maschera per l’avanzamento di una nuova certezza: non Dio, ma l’uomo. È parte della ricerca per una certezza umanistica.
Un uomo quindi, che sia pronto a bruciare la sua casa se questa lo vincola, dice in realtà che non c’è responsabilità che lo possa impegnare, eccetto il suo desiderio di appagare se stesso. Se il suo matrimonio o la sua famiglia lo vincolassero, egli li “brucerà”. La sua libertà consiste nell’essere irresponsabile nei confronti di qualsiasi responsabilità datagli da Dio, come un modo per affermare la propria indipendenza e la propria divinità.
Fu questo odio per la certezza biblica che dovette essere combattuto dai primi concili. Lo scopo e la natura dei concili ecumenici della chiesa primitiva furono completamente differenti dai quelli dei moderni concili e delle fatiche ecumeniche della chiesa moderna. Primo i primi concili ebbero come obiettivo principale la difesa e l’affermazione della verità, non dell’unità. L’unità doveva essere stabilita sul fondamento della verità e non la verità essere un prodotto dell’unità. I concili si riunirono con lo scopo del conflitto, per la battaglia della verità contro l’errore e qualsiasi unità diversa dalla piena verità della Scrittura era anatema. Secondo, la preoccupazione dei concili fu in primo luogo la fede, non la chiesa. Dal punto di vista istituzionale la chiesa soffrì a causa del conflitto, ma fiorì teologicamente e si assicurò la sopravvivenza e la crescita. Il moderno movimento ecumenico e i moderni concili sono per quanto riguarda l’obiettivo e l’attività in netto contrasto con i primi concili: la loro preoccupazione riguarda l’unità e l’istituzione e non innanzi tutto la fede.
La chiesa primitiva arrivò a Nicea già segnata dalle cicatrici della battaglia con nemici interni ed esterni, delle contese con l’Impero e con gli eretici. I padri andarono a Nicea con i segni della battaglia: braccia rese inservibili dall’applicazione di ferri incandescenti ai nervi, storpiati e mutilati nel corpo. “Alcuni persero l’occhio destro, altri il braccio destro” [2]. La battaglia post-Nicea fu simile, ma più subdola. Ora l’Impero era un apparente alleato, ma solitamente era un alleato degli eretici nella chiesa contro la fede ortodossa.
L’Arianesimo fu, secondo Shaff, primo: “deista e razionalistico”, laddove l’ “Atanasianesimo” fu “teista e soprannaturalistico”. L’Arianesimo proveniva dalla ragione umana, l’Atanasianesimo dalla rivelazione divina. Secondo: “l’Arianesimo si associò con il potere politico secolare e col partito di corte; esso rappresentò il principio imperial-papale” e perseguitò la chiesa e le negò un’area di indipendenza dall’impero, mentre il partito ortodosso si interessava dell’integrità della fede [3].
Il secondo Concilio Ecumenico, il Primo concilio di Costantinopoli, si riunì nell’anno del Signore 381 per fronteggiare la continua sfida degli umanisti che stavano tentando di erodere le certezze della fede. Gli uomini che si radunarono avevano severamente sofferto per mano di uomini di chiesa apostati alleati con l’Impero. La lettera sinodale del concilio del 382 cita queste sofferenze in breve:
Le nostre persecuzioni sono appena di ieri. Il loro suono riecheggia ancora negli orecchi sia di coloro che le hanno sofferte, sia di coloro il cui amore ha spinto a fare proprio il dolore dei sofferenti. Fu appena un giorno o due fa, per dire, che alcuni in catene in terre straniere sono stati rilasciati e sono tornati alle proprie chiese attraversando molteplici afflizioni; di altri, morti in esilio, le spoglie sono state riportate a casa; altri ancora, anche dopo il loro ritorno dall’esilio, hanno trovato l’ira degli eretici ancora in ebollizione e, trucidati da loro con pietre come lo fu il benedetto Stefano, hanno incontrato una sorte più triste nella propria terra che in quella straniera. Altri, logorati da varie crudeltà, portano ancora sui loro corpi le cicatrici delle ferite e dei segni di Cristo. Chi potrebbe raccontare delle violenze, delle perdite di immunità, delle confische personali, di intrighi, oltraggi e prigioni? In verità su di noi furono compiuti oltre numero tutti i tipi di torture, forse perché stavamo pagando la pene per i peccati, forse perché il Dio misericordioso ci stava provando per mezzo della moltitudine delle nostre sofferenze. Per tutte queste ringraziamo Dio, che per mezzo di tali afflizioni ha ammaestrato i suoi servi e, secondo la moltitudine della sue misericordie, ci ha portato nuovamente ristoro. Noi in verità abbiamo bisogno di molto riposo, di tempo e duro lavoro per ricostruire la chiesa ancora una volta in modo da, al pari dei fisici 4 che guariscono il corpo dopo lunga malattia e liberano dal male con una terapia graduale, poterla riportare all’antica salute e alla vera religione. È vero che nel complesso sembriamo essere stati restituiti dalla violenza delle nostre persecuzioni e sembriamo aver appena ora cominciato la ricostituzione delle chiese che per lungo tempo sono state preda degli eretici. Ma i lupi sono molesti nei nostri confronti e, sebbene siano stati allontanati dal gregge, ancora lo tormentano su e giù per le radure, avendo l’ardire di condurre assemblee rivali, agitando sedizioni nel popolo e cogliendo qualsiasi occasione per danneggiare le chiese [5].
Questo non è il linguaggio di conciliazione. Il fondamento dell’ecumenismo di Costantinopoli non fu l’appianamento delle differenze e la costruzione di ponti verso gli oppositori, ma in base ad una fede scevra da compromessi, l’espulsione del nemico e l’impedimento della sua partecipazione se non attraverso la conversione. I nemici venivano semplicemente chiamati “lupi”; avrebbero dovuto diventare agnelli prima di poter essere affrontabili pacificamente.
La lettera sinodale riassunse il lavoro teologico del Concilio:
Questa è la fede che deve essere sufficiente per te, per noi, per tutti coloro che non distorcono la parola dell’autentica fede; perché questa è l’antica fede; è la fede del nostro battesimo; è la fede che ci insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. In coerenza con questa fede c’è un Dio, Potenza e Sostanza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; la dignità dei tre è uguale e la maestà è uguale nelle tre perfette ipostasi, cioè tre perfette persone. Perciò non c’è spazio per l’eresia di Sabellio sulla confusione delle tre ipostasi, cioè la distruzione delle personalità; perciò la blasfemia degli Eunomiani, degli Ariani, e dei Pneumatomachi è annullata, esse che dividono la sostanza, la natura, e la divinità e fanno derivare da una co-sostanzialità non creata e da una co-eterna Trinità una natura posteriore creata, e di una diversa sostanza. Noi in più conserviamo non corrotta la dottrina dell’incarnazione del Signore, difendendo la tradizione che la dispensazione della carne non è né senz’anima, né priva di intelligenza, né imperfetta; e conoscendo pienamente che la Parola di Dio fu perfetta prima dei tempi e divenne perfetto uomo negli ultimi giorni per la nostra salvezza [6].
La formulazione riassume sia la posizione dei nemici della fede che la parola del Concilio. La parola “tradizione” viene usata dalla lettera sinodale nel significato di fede biblica.
La prima eresia citata dal concilio ed esclusa dal credo esteso è “l’eresia di Sabellio”, o Monarcanismo. Il Sabellianesimo fu caratterizzato da tendenze gnostiche e giudaizzanti. Esso portò ad uno stretto monoteismo o “unitarianismo” in avversione al trinitarismo. Il Sabellianesimo negò qualsiasi distinzione tra il Padre e il Figlio: non sussiste che una sola persona [7]. Dio è la monade, la sostanza originale, inoperante e improduttiva finché si sviluppa. Il Padre è “senza Parola”, cioè non può generare il Figlio, dal momento che Dio è per definizione privo di sapienza e privo di parola, cioè fondamentalmente una incosciente sostanza originale. È il Dio muto. L’universo, al pari del Figlio, è la dilatazione o l’espansione della sostanza di Dio e alla fine la sostanza si ricontrae fino a far scomparire la creazione [8]. Perciò se la monade diventa una diade o una triade, altro non è che un’espansione della sostanza originale e l’espansione è temporanea e transitoria. Di conseguenza il Sabellianismo fu fondamentalmente panteismo e il suo dio semplicemente l’astratta sostanza che si evolve nel mondo della realtà. “Alcuni dei Padri fecero risalire la dottrina di Sabellio al sistema stoico” [9]. Il Sabellianismo ed i correlati Marcelliani furono condannati dal Concilio nel Canone I.
Il Concilio di Costantinopoli enfatizza la realtà della Trinità, dell’unico Dio e delle tre Persone. Al posto di un astratto concetto di sostanza originale, il concilio afferma il Dio veramente personale. Al posto di un Dio silenzioso, il concilio dichiarò il Dio della rivelazione. L’universo piuttosto che un’espansione di “dio” è sua creazione, egli è “Dio Uno, il Padre Governatore di tutto, creatore del cielo e della terra di tutte le cose visibili e invisibili”.
La seconda eresia contraddetta a Costantinopoli fu la nuova forma di Arianesimo, l’Eunomianismo. Eunomio, fondatore, guida e vescovo di una setta di Ariani, in realtà negò la divinità della Parola: di Dio il Figlio. In nome dell’esaltazione del Padre l’Eunomianismo respinse la divinità del Figlio, ma il Padre che pretendeva di glorificare era un dio incoerente che non poteva esprimere se stesso. In pratica l’Eunomianismo fu la negazione del Padre e del Figlio. Il figlio per Eunomio era solo una creatura e Dio solamente una remota sostanza. Il Canone I del concilio condannò gli Eunomiani e i Plotiniani (seguaci di Plotino, discepolo di Marcello, che affermò Gesù essere un mero uomo10). Il Credo di Costantinopoli, un’estensione di quello di Nicea, chiarì con forza che Gesù Cristo è vero Dio.
Il terzo tipo di eresia condannata fu quella dei Semi-Ariani, Macedoniani o Pneumatomachi. I Pneumatomachi (da pneuma, spirito e machomai, sparlare contro) furono seguaci di Macedonio, vescovo di Costantinopoli, che dichiarò che lo Spirito Santo è solo una creatura. Quanto al Figlio, i Semi-Ariani e Macedoniani evitarono di chiamarlo sia cosostanziale con il Padre o vero Dio, che chiamarlo una creatura. La negazione della deità dello Spirito Santo fu la negazione di qualsiasi immanenza in Dio. Perciò, anche se i Macedoniani fossero stati ortodossi nelle loro dottrine del Padre e del Figlio (e non lo furono e né avrebbero potuto esserlo perché la dottrina della Trinità è un tutto unitario), essi avrebbero comunque lasciato Dio nell’irrilevanza perché estraneo al mondo. Dio sarebbe stato il “completamente altro” che è incapace di rivelare se stesso all’uomo od operare nell’universo. Questo Dio assolutamente trascendente sarebbe pure un dio nascosto, un dio senza rivelazione e completamente tagliato fuori dall’uomo. Esso sarebbe perciò irrilevante se non come un concetto limitato e la conseguenza pratica di un tal Dio è che Dio non c’è ma c’è l’uomo.
I Pneumatomachi affermarono che non solo lo Spirito Santo era una creatura, ma anche una emanazione di Gesù Cristo, egli stesso una creatura. Che lo Spirito Santo fosse un essere creato lo prevedeva il credo Ariano. Fare di Cristo e lo Spirito emanazioni significava aprire la via e fare dell’uomo un’emanazione, visto che si negava l’unicità in favore di un processo inerente, emanativo. E’ ovvia la somiglianza con lo gnosticismo. Atanasio, che citò i Pneumatomachi, li chiamò anche Tropici, a motivo della loro interpretazione figurativa della Scrittura. Dal momento che per loro Dio era nascosto, non esisteva parola che provenisse da Dio, perciò la bibbia non poteva che contenere solo indizi, figure suggestive di Dio, ma mai un autentica rivelazione.
Al verso di Nicea: “Io credo nello Spirito Santo”, Costantinopoli aggiunse: “Il Signore a datore di vita, che procede dal Padre, che è adorato e glorificato assieme al Padre e al Figlio, che ha parlato per mezzo dei profeti”. Lo Spirito Santo è perciò vero Dio, la terza Persona della trinità.
Quarto, Costantinopoli condannò gli Apollinari nel Canone I e nel suo credo. Apollinare, nel tentativo di interpretare la dottrina di Nicene, enfatizzò la deità di Cristo, ma respinse parzialmente la sua autentica umanità. Apollinare era di conseguenza molto vicino alle posizioni degli Ariani, perché in effetti la sua posizione negava l’incarnazione. Inoltre Apollinare credeva che una completa natura umana in Cristo avrebbe implicato peccaminosità, fatto che in essenza era il credo pagano che la creazione e la finitudine è corruzione, laddove la fede biblica vede l’uomo come creatura, creato in origine completamente buono. Non la finitudine, ma la trasgressione morale alla legge di Dio è peccato. Se la finitudine è vista come peccato allora la salvezza è di necessità una deificazione. Per quanto buone possano essere state intese le intenzioni di Apollinare, i suoi presupposti erano ellenici ed anticristiani. La formula di Nicea sulla incarnazione di Cristo fu di conseguenza estesa per sottolineare la realtà dell’incarnazione.
Quinto, Costantinopoli aggiunse alla sua dichiarazione della consustanzialità della Trinità il suo Canone V, una confessione dell’ “unità della natura divina del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” [11]. Il subordinatismo fu perciò condannato e l’unità della natura divina riaffermata.
E’ interessante confrontare il Credo di Nicea (Credo di 318 Padri) con l’esteso credo di 150 Padri di Costantinopoli. La versione di Leith del credo di Nicea recita (tradotto dal testo greco e perciò recante il pronome plurale):
Noi crediamo in un Dio, il Padre che tutto governa (pantokrator), creatore (poiten) di tutte le cose visibili e invisibili;
E in un Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato dal Padre come unigenito, cioè dalla essenza (realtà) del Padre (ek tes ousias tou patros), Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato (poiethenta), della stessa sostanza (realtà) del Padre (homoousion to patri), per mezzo del quale tutte le cose sono venute in essere, sia nel cielo che sulla terra; Che per noi uomini e per la nostra salvezza scese e si incarnò, diventando umano (enanthropesanta). egli sofferse e il terzo giorno risuscitò e ascese ai cieli. Ed egli verrà a giudicare sia i vivi che i morti.
E (noi crediamo) nello Spirito Santo.
Ma coloro che dicono che un tempo egli non fu, o che non esisteva prima della sua generazione o che venne dal nulla, o coloro che affermano che è una creatura o mutevole, la Chiesa Cattolica e Apostolica li colpisce con anatema.
L’esteso credo di Costantinopoli recita:
Noi crediamo in un Dio, il Padre che tutto governa (pantokrator), creatore (poiten) del cielo e della terra, di tutte le cose visibile ed invisibili;
E in un Signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, l’unigenito Figlio di Dio, generato dal Padre prima dei tempi (pro panton ton ainon), Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato (poiethenta), della stessa sostanza (realtà) del Padre (homoousion to patri), per mezzo di cui tutte le cose sono venute in essere, che per noi uomini e per la nostra salvezza scese dal cielo, si incarnò per mezzo dello Spirito Santo e della vergine Maria e divenne umano (enanthropesanta). egli fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e soffrì e fu sepolto, e risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture, e ascese al cielo e siede alla destra del Padre . Ed egli verrà a giudicare sia i vivi che i morti. Il suo regno non avrà fine (telos).
E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, Che procede dal Padre, Che è lodato e glorificato assieme al Padre e al Figlio, Che ha parlato per mezzo dei profeti; e in una Chiesa santa, cattolica e apostolica. Noi confessiamo un battesimo per la remissione di peccati. Aspettiamo ansiosi la resurrezione dalla morte e la vita del mondo che verrà. Amen [12].
La formula originaria del Credo di Nicea si conclude con un anatema. Il Canone I di Costantinopoli fece la stessa cosa. Il moderno disgusto per gli anatemi è un rinnegamento della fede. Nessun uomo può dichiarare una fede se dichiara il suo contrario e neppure può difendere una fede senza intraprendere la guerra contro i suoi nemici. Nessun miscredente o eretico può venire convertito se prima non viene riconosciuto come un non credente piuttosto che come un fratello. Gli anatemi sono perciò essenziali per il confessionalismo.
A Costantinopoli si fissarono le certezze della fede contro i tentativi dell’umanesimo di renderla incerta. L’umanesimo è di nuovo dedicato alla realizzazione dello stesso desiderio, come sempre, di ridurre la Scrittura ad un groviglio di incertezze, miti, figure e simboli. Il suo proposito è di “liberare” l’uomo dalla fede biblica, di bruciare la casa della fede in modo che l’uomo sia totalmente senza radici e senza Dio. Ma è futile la fuga dalla certezza di Dio in quanto ogni fibra dell’essere umano, essendo stata creata da Dio, testimonia di Dio (Ro. 1: 18-25). L’attore Walker disse: ” Ma se mai questa casa ci deluderà o ci stancherà… beh, noi la bruceremo”. Il suo piano è futile. Nessun uomo può bruciare la creazione di Dio. L’uomo esistenzialista è un mito e l’unica distruzione col fuoco che l’uomo esistenzialista potrà conoscere sarà quella di Dio.
Note:
1 Jack Ryan, “Robert Walker, Jr. The Sorrow Behind The Smile” in Valley Times Family Weekly, January 22, 1967 (San Fernando Valley, California) 10.
2 Theodoret, “Ecclesiastical History” Libro I, vi, in Nicene and Post-Nicene Fathers, serie II, vol. III, 43.
3 Shaff, History of the Christian Church, III, 643 e ss.
4 fisici = medici
5 Decrees and Canons of the Seven Ecumenical Councils, 188
6 Ibid., 189.
7 Athanasius, “Four Discourses Against the Arians”, III, iv e “Statement of Faith”, ii in Nicene and Post-Nicene Fathers, IV, 395, 84.
8 Athanasius, “Four Discourses Against the Arians”, IV,13,14, in ibid., 437 e ss.
9 John M’Clintock and James Strong, Cyclopaedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, IX, “Sabellius”, (New York: Harper, 1839), 203.
10 Decrees and Canons of the Seven Concils, 172 e ss.
11 Decrees and Canons of the Councils, 181 e ss. 12 Leith, Creeds of the Church, 30 e s. , 33.