Capitolo VI
Efeso: condannato il culto dell’uomo
Sebbene i concili fossero convocati dagli imperatori, una delle caratteristiche più ovvie dei concili fu la loro indipendenza teologica. Allo Stato non venne mai permesso dettare ordini alla chiesa e la risoluta indipendenza dei teologi ortodossi fu fuori discussione. E, sebbene più tardi la vitalità teologica sia passata all’Occidente, all’inizio la preminenza dell’Oriente fu marcata.
Una delle persistenti richieste umanistiche nei confronti della chiesa era rivolta all’adorazione dell’uomo. Il culto dell’Imperatore fu ovviamente culto dell’uomo, ma in un senso più ampio, tutto l’umanesimo è culto dell’uomo e questa fu la fede basilare dell’antichità. Alcuni degli attacchi ai Cristiani cercarono di distruggere la fede della Cristianità orientata verso Dio insistendo che anche la chiesa fosse umanista e adorasse un uomo: Gesù. Perché quindi, si affermò, dovrebbe la chiesa assumere una posizione di ostilità nei confronti dell’Impero e del culto dell’imperatore?
In un documento siriaco riguardante il martirio di un diacono, Habib, un governatore sollevò la questione quando Habib si rifiutò di offrire il sacrificio al culto ufficiale:
Il governatore disse: Com’è che adorasti e onorasti un uomo, ma rifiutasti di adorare ed onorare Zeus?
Habib rispose: Io adoro non un uomo, perché le scritture mi insegnano: “Maledetto sia colui che ha riposto la sua fiducia nell’uomo”, ma Dio, che ha assunto un corpo ed è diventato uomo, (lui) io adoro e glorifico [1].
Ogni tentativo venne anche compiuto per fare penetrare il culto dell’uomo nella chiesa. Con l’incarnazione di Dio il Figlio, per gli umanisti l’uso di Gesù Cristo quale veicolo per giungere al culto dell’uomo fu un punto d’attacco. Questo tipo di umanesimo venne insinuato nella chiesa mediante molti mezzi, ma la strategia di base si scomponeva in due forme. Primo, la deità di Gesù Cristo poté essere negata, come fece l’Arianesimo e ciò nonostante si poteva insistere sul culto di Cristo. Questo significava semplicemente che l’uomo Cristo veniva adorato, non Dio il Figlio. Secondo si sosteneva che Gesù non era letteralmente Dio incarnato, ma un uomo che aveva compiuto un’unione di volontà con Dio, cosicché egli era uno con Dio. Secondo questa opinione Gesù era uno con Dio, non per nascita e natura, ma per volontà morale, sicché era avvenuta una deificazione della creatura.
Il terzo concilio ecumenico, il Concilio di Efeso del 431 d.C., dovette affrontare il problema del culto all’uomo nella forma del nestorianesimo. Chrystal sintetizzò in tre punti l’apostasia di Nestorio: primo, la negazione dell’incarnazione di Dio la Parola; secondo, il culto di un essere umano, cioè un uomo chiamato Gesù; terzo, “degradando l’eucarestia all’adorazione del pane e del vino quali umanità di Cristo e al cannibalismo del cibarsi del reale corpo di Cristo e dell’abbeverarsi del suo vero sangue nel corso del rito” [2].
Al nocciolo di questi errori si trovava quello fondamentale: il culto dell’uomo e la negazione della deità di Cristo. Secondo il Berkhof:
Invece che fondere le due nature in una singola auto-consapevolezza, il nestorianesimo le affiancava l’una all’altra con nulla di più che una unione morale e simpatetica tra di esse. L’uomo Cristo non era Dio, ma portatore di Dio, theophorus, un possessore della divinità. Cristo veniva adorato non perché fosse Dio, ma perché Dio era in lui [3].
Per Nestorio, secondo Landon: “la Parola era davvero unita all’uomo, ma non era fatta uomo. Cristo non nacque dalla vergine e non soffrì mai la morte” [4].
Nel 428 Nestorio era diventato patriarca di Costantinopoli. Nestorio cercò da subito di guadagnarsi una reputazione di zelante difensore della fede perseguendo le già condannate forme di arianesimo e altre eresie, mentre si intratteneva cordialmente con i Pelagiani. Lo storico della chiesa Socrate Scolastico non credeva che Nestorio in realtà “negasse la divinità di Cristo”, ma lo vedeva piuttosto come un uomo ignorante ed ambizioso “che, essendo un oratore naturale dalla parlata fluente, veniva considerato un uomo ben educato, ma in realtà era vergognosamente illetterato” [5].
Socrate potrebbe esser stato nel giusto, sebbene non sia credibile quanto all’ignoranza di Nestorio, ma rimane il fatto che, ignoranza o proposito che fosse, Nestorio era un umanista il cui motivo religioso di base era il culto dell’uomo. Il fatto che fosse anche vicino al trono e un uomo ambizioso si somma alla sua prospettiva antropocentrica.
L’atteggiamento del Concilio fu di totale rigetto verso il culto della creatura, sia che fosse l’Uomo Perfetto, Gesù, la vergine Maria, apostolo, profeta o santo. Il principio del culto della creatura fu respinto in toto [6]. La breve lettera di Cirillo, Vescovo di Alessandria, a Nestorio riproduce la posizione del Concilio:
Perché non è vero che egli sia prima nato come un uomo comune dalla santa Vergine e che poi la Parola sia discesa su di lui, ma essendo unito nella carne nel grembo stesso, di lui si dice che sia passato attraverso la nascita nella carne, perché egli richiede per se stesso la nascita della sua stessa carne. Quindi noi diciamo sia che egli ”soffrì” sia che “resuscitò”, non che la Parola di Dio abbia sofferto nella sua propria [divina] natura e neppure che, per la sua divinità e per il fatto di non avere un corpo, non abbia sofferto le frustrate, i fori dei chiodi e le altre ferite; ma siccome ciò che è diventato il suo proprio corpo ha sofferto queste umiliazioni, si dice inoltre che egli stesso ha in quel senso sofferto [quelle cose] per noi. Perciò il Verbo, insuscettibile di sofferenza, fu in un corpo sofferente. E nello stesso modo noi comprendiamo che egli sia morto. Perché nella sua Natura il Verbo di Dio è immortale ed incorruttibile ed egli è Vita e Datore di Vita. Ma siccome il suo proprio corpo, “per grazia di Dio” , come dice Paolo, ha gustato “la morte per ogni uomo”, egli stesso è detto aver sofferto la morte per noi, non che appartenga alla sua [divina] natura sperimentare la morte, (perché dirlo o pensarlo sarebbe pazzia) ma che, come ho appena detto, la sua carne ha gustato la morte. Quindi, di nuovo, siccome la sua carne è resuscitata, questa resurrezione gli viene attribuita [al Verbo], e non che egli [il Verbo] sia caduto sotto il potere della corruzione [Dio non voglia!]; ma perché il suo corpo è resuscitato di nuovo [7].
La distinzione è vitale: se Gesù Cristo può essere ridotto ad un uomo eccezionale che ha unito se stesso a Dio ed è diventato in tal senso Dio, allora la porta è aperta alla ri-divinizzazione di questo mondo, delle sue istituzioni e dello stato. A quel punto, gli Imperatori possono diventare dèi e i grandi uomini unirsi alla divinità e diventare espressione della volontà di Dio per la loro epoca. L’avvicinamento a Dio passa perciò attraverso l’uomo; l’uomo opera per raggiungere Dio e la questione non è la grazia, la condiscendenza di Dio verso l’uomo, ma le opere, l’ascesa dell’uomo verso Dio. La questione in gioco era la sopravvivenza della cristianità. Cirillo citò con precisione la differenza:
Perché la scrittura ebbe a dire, non che il Verbo unì una persona d’uomo a Sé, ma che egli “fu fatto carne”. Ma “il Verbo fu fatto carne” non significa altro che, come noi, egli prese parte alla carne e al sangue e fece un corpo come il nostro, il suo proprio, e nacque da una donna, pur senza aver rigettato il suo essere come Dio e la sua nascita da Dio il Padre, ma rimase, anche dal momento in cui assunse la carne, esattamente ciò che era prima. Questa, la dottrina della vera fede, è quella che la fede manifesta e conserva ovunque [8].
Il nestorianesimo significava una resa completa della Cristianità e il Concilio di Efeso ne fu acutamente consapevole. Nonostante l’eminenza di Nestorio e il favore imperiale, il Concilio scomunicò Nestorio.
Prima di questo atto, Nestorio rispose alla lettera di Cirillo e dichiarò che essa lo aveva insultato. egli accusò Cirillo di sostenere “che una Divinità consustanziale è esposta alla sofferenza”. Nestorio negò chiaramente l’incarnazione, distinguendo un uomo che per mezzo di un’unione morale divenne uno con Dio e divenne perciò “il Consacrato, l’Unto” e Dio:
Ovunque la Scrittura di Dio, quando fa menzione dell’incarnazione del Signore, ci trasmette una nascita ed una sofferenza non della Divinità, ma dell’umanità dell’Unto, così che la santa Vergine deve essere chiamata con un nome più appropriato “Figliatrice dell’Unto,” non “Figliatrice di Dio” [9].
Nestorio usò il termine incarnazione, ma solamente per negarlo. Attraverso una incomprensione ed una cattiva traduzione, sembrò che [il Concilio di] Efeso difendesse o rendesse possibile il culto della vergine Maria, mentre in realtà condannò il culto delle creature. Theotokos è stato tradotto “Madre di Dio”, e Nestorio è stato travisato come un oppositore dell’esaltazione di Maria. Ma Theotokos, come evidenzia Chrystal, significa “figliatrice di Dio”, cioè la vergine Maria partorì Dio il Figlio nella sua incarnazione. Nestorio avrebbe fatto di Maria semplicemente la generatrice di Cristo, l’Unto, un uomo che sarebbe stato adorato come Dio [10]. In luogo dell’incarnazione Nestorio sostenne la combinazione [o connessione] di Dio con l’uomo ed egli accusò i suoi nemici di essere ariani e apollinari e, peggio, pagani, dichiarando al contempo che la propria fede era quella dei padri e della Scrittura.
È perciò una cosa giusta e degna della trasmissione del Vangelo confessare che il corpo è il tempio della divinità del Figlio, un tempio unito da una certa, nobile e divina congiunzione al punto che la natura della Divinità si impossessa delle cose di quel corpo: ma attribuire di conseguenza all’espressione “appropriazione” anche le proprietà della carne congiunta, intendo nascita, sofferenza e morte, appartiene in verità, fratello, alle erronee opinioni dei pagani, o agli errori di Apollinare che era picchiato in testa e di Ario e di una mente malata di altre eresie persino peggiori di quelle. Perciò accadrà necessariamente che essi saranno spazzati via dal termine “appropriazione”, e a causa di quella “appropriazione” essi faranno di Dio il Verbo uno che succhia il latte dalle mammelle e uno che prende parte alla crescita graduale e alla paura nel momento della sofferenza ed uno che necessita di aiuto angelico. E tacerò riguardo alla circoncisione, al sacrificio, ai sudori, alla fame e alla sete; queste cose, dal momento che sono accadute alla sua carne per amor nostro, devono essere messe assieme per essere adorate. Ma queste affermazioni sulla Divinità saranno considerate menzogne e diventeranno anche il motivo della nostra giusta condanna come calunniatori. Queste sono le tradizioni dei santi Padri. Questi sono gli annunci delle Scritture di Dio [11].
Nestorio trovò impossibile accettare un’incarnazione letterale. Per Nestorio era offensivo credere che Maria avesse partorito Dio e lo avesse allattato e che questo Dio incarnato fosse stato circonciso, fosse cresciuto, e avesse preso parte alle prove dell’umanità. Secondo lui la risposta stava in un’unione morale.
La risposta di Nestorio alla sfida cristologica è significativa e genuinamente umanistica. L’iniziativa è riservata all’uomo: Dio è passivo, l’uomo è attivo. Non è Dio che raggiunge l’uomo nella incarnazione, ma l’uomo che con le sue opere raggiunge un punto di progresso ed una meta morale con cui è in unione con Dio. La storia viene determinata non da Dio, ma dall’uomo; dal tempo, non dall’eternità.
Nestorio depose alcuni uomini di chiesa ortodossi con l’accusa di Manicheismo ed accusò Cirillo di essere stato influenzato da questi uomini e dalla stessa loro dottrina [12].
In occasione del voto sulla lettera di Nestorio a Cirillo, l’ostilità del Concilio nei confronti di Nestorio fu marcata. Essi riconobbero chiaramente il suo ripudio dell’ortodossia. Come ebbe a notare Chrystal: “Era coinvolta la vera essenza del cristianesimo, che è : 1) La verità dell’incarnazione del Verbo; 2) La questione del servire un uomo, una creatura, cioè, un uomo vestito dal Verbo, il contrario della legge fondamentale lasciata da Cristo stesso in Matteo. 4:10 e Luca 4:8” [13].
La lunga epistola di San Cirillo a Nestorio esprime la decisione del Concilio di Efeso e fu messa agli atti. Dopo aver riesaminato il credo Cirillo dichiarò:
Seguendo in tutti i punti le confessioni che i santi Padri fecero (parlava in loro lo Spirito Santo) e seguendo lo scopo delle loro opinioni e seguendo, come era, la via maestra, noi confessiamo che l’Unigenito, il Verbo di Dio, generato della stessa sostanza del Padre, Vero Dio da Vero Dio, Luce da Luce, attraverso il quale tutte le cose furono create, le cose in cielo e in terra, scendendo dal cielo per la nostra salvezza, umiliando se stesso, si incarnò e si fece uomo; cioè assumendo la carne dalla santa Vergine ed avendola fatta propria [la carne] da sé nel seno, egli si sottomise alla nascita per noi e fu partorito da una donna, senza spogliarsi da ciò che era; ma sebbene egli abbia assunto la carne e il sangue egli rimase ciò che era: Dio nella essenza e nella verità. Non diciamo né che la sua carne sia stata trasformata nella natura della divinità, né che l’ineffabile natura della Parola di Dio abbia deposto la propria natura per assumere quella della carne: perché egli non è cambiato ed è assolutamente immodificabile, essendo sempre lo stesso, secondo quanto insegnano le scritture. Perché sebbene visibile e bambino in fasce e persino nel seno della Vergine Madre egli riempiva tutta la creazione quale Dio e fu co-regnante con colui che lo ha generato, perché la Divinità è senza quantità e dimensione e non può avere limiti.
Confessando che il Verbo è diventato uno con la carne secondo la materia, noi adoriamo un Figlio e Signore Gesù Cristo; non dividiamo il Dio dall’uomo e nemmeno lo separiamo in parti, come se le due nature fossero mutuamente unite in lui solamente attraverso una condivisione di dignità e autorità (perché questa è la novità e nient’altro) e tanto meno diamo separatamente al Verbo di Dio il nome di Cristo e lo stesso nome separatamente ad un qualcuno differente nato da una donna; ma noi riconosciamo un solo Cristo, il Verbo dal Padre con la propria carne [14].
Cirillo, non solo affermò la realtà dell’incarnazione, ma, con l’approvazione del Concilio, dichiarò che le due nature sono in autentica unione senza confusione; questo venne difeso in quanto conforme alla fede ortodossa. Perciò ciò che sarebbe stato formalmente definito al Concilio di Calcedonia apparteneva già alla fede ortodossa. Cirillo continuò per chiarire che Cristo non era un uomo deificato: “Noi non diciamo che il Verbo di Dio dimorasse in lui come in un uomo comune nato dalla santa Vergine, per paura che Cristo sia pensato come un uomo portatore di Dio”. Piuttosto, “egli divenne carne” si incarnò realmente, anche se senza confondere le nature. “Non fu come se un uomo avesse ottenuto solo una tal congiunzione con Dio al pari di una unità di sola dignità o di autorità”. La posizione di Nestorio fece del culto all’uomo il culto a Dio. “E’ orribile dire di questa congiunzione quanto segue: ‘L’assunto al pari dell’assumente hanno il nome di Dio’. Perciò affermare questo significa dividere nuovamente Cristo in due e mettere l’uomo da una parte e Dio dall’altra. Perciò questo dire nega apertamente l’Unità secondo cui l’uno non viene adorato nell’altro e Dio non esiste assieme all’altro; ma Gesù Cristo è considerato Uno, l’Unigenito Figlio di Dio, che deve essere onorato con un’unica adorazione assieme alla propria carne” [15]. La dottrina insegnata da Nestorio sembrava preservare l’essere di Dio a Dio stesso, ma in realtà rendeva l’uomo Dio, perché rendeva un uomo capace di diventare Dio con un atto di volontà.
La risposta di Nestorio alle convocazioni finali del Concilio fu di chiudere la porta in faccia ai vescovi in visita e poi di predicare ancora più ottusamente le sue singolari dottrine. Theodoto, Vescovo di Ancira, disse che Nestorio ebbe a dichiarare “che non dobbiamo sostenere l’allattamento riguardo a Dio, né il parto da una vergine. E così egli disse spesso qui che non dobbiamo dire che Dio ha due o tre mesi di vita” [16]. Per Nestorio era impossibile al “Motore immobile” diventare un agente attivo o incarnarsi. L’uomo avrebbe potuto diventare Dio, ma Dio non avrebbe potuto diventare uomo.
Il Concilio, nel leggere l’opinione dei padri della chiesa trovò l’opinione di Nestorio chiaramente definita come eresia. Perciò Gregorio nazianzeno, nella prima epistola a Cledonio, ebbe a scrivere: “Se qualcuno dice che l’uomo è stato creato e poi Dio se n’è rivestito, sia egli condannato: perché questo non è un parto di Dio [da una donna], ma una negazione della nascita” [17]. Nestorio mise in evidenza con chiarezza sia che Gesù era per natura solo un uomo, sia che doveva essere adorato: “Io adoro colui [l’Uomo, cioè l’umanità di Cristo] di cui è rivestito, per amore di colui [Dio il Verbo] che si veste. Io mi inchino a colui che si vede, per amore di colui [Dio il Verbo] che non è visibile. Dio non è separato da colui [l’Uomo] che appare. Per questa ragione io non divido l’onore di colui che è indiviso. Io divido le Nature, ma unisco l’inchino” [18]. Ma il Concilio chiarì che solo Dio poteva essere adorato; non pure l’umanità di Cristo, ma solo la sua deità. L’umanità di Cristo non è né può mai essere deificata. Le due nature non sono confuse, nemmeno nell’unica incarnazione. Nestorio arrivò alla “non-mescolata congiunzione delle [due] Nature. Adoriamo l’Uomo al quale ci inchiniamo col Dio onnipotente nella congiunzione divina” [19]. Essendo Cristo, attraverso un’ unione morale, diventato uno con Dio per mezzo della sua eccellenza morale e opere, egli andava perciò adorato come Dio. La porta era aperta a qualsiasi uomo o Stato che con eccellenza morale o per opere unisse se stesso a Dio per essere adorato come Dio. Nel nome della difesa dell’onore di Dio, Nestorio usurpò il culto a Dio a favore dell’uomo.
Quando l’umanesimo ellenico catturò la chiesa nel suo periodo medievale, in essa venne alla ribalta questa esaltazione dell’uomo. Innocenzo III affermò che “Il papa fa le veci del vero Dio” e Marcello nel Concilio Laterano, e con la sua piena approvazione, chiamò Giulio “Dio in terra”. Il Cardinale Bellarmino sostenne che “il Papa può transustanziare il peccato in obbedienza e l’obbedienza in peccato,” piazzandolo quindi sopra Dio e la sua legge, rendendo l’uomo attivo e Dio passivo [20]. Il modernismo protestante ha similmente degradato Gesù ad una nestoriana unione morale con Dio e con ciò ha esaltato l’uomo (e se stesso) ad una posizione di unione potenziale con Dio ed effettivo reale giudizio (e quindi di superiorità) sulla parola di Dio.
Il Concilio quindi approvò i Dodici Anatematismi di Cirillo contro Nestorio. Il Primo Anatema o Capitolo dichiara: “Se uno non riconosce che l’Emmanuele è realmente Dio, e che perciò la santa Vergine fu partoriente di Dio, perché ha partorito per via carnale il Verbo, Colui che provenne da Dio e fu fatto carne, sia egli anatema”. Nestorio emise un Contro Anatema I:
Se qualcuno dice che Colui che è Emmanuele è Dio il Verbo e non piuttosto Dio con noi [Matteo 1:23], cioè che egli [Dio il Verbo] dimorò in quella natura che è uguale alla nostra, in quanto egli fu unito alla nostra massa [Rom. 11:16] che egli prese dalla Vergine Maria e chiama la Santa Vergine, Madre di Dio il Verbo, e non piuttosto di Colui che è Emmanuele e afferma che Dio il Verbo stesso fu trasformato in carne, che egli assunse per poter mostrare la propria deità, in modo che potesse essere trovato nella forma di uomo [Filippesi 2:8] sia egli anatema [21].
Il secondo Anatema recita: “Se uno non riconosce che il Verbo [che proviene] da Dio il Padre è stato unito per mezzo della sua sostanza alla carne, e che egli è Uno Unto con la sua propria carne, cioè che lo stesso è sia Dio che Uomo assieme, sia egli anatema”. In via di risposta Nestorio cercò di identificare la posizione ortodossa con l’Apollinarismo e il Sabellianesimo, affermando che “coestende infinitamente e senza limiti la carne alla Natura divina,” mentre Cirillo ed Efeso avevano chiarito che non v’era confusione tra le due nature. Il Dio disincarnato di Nestorio non era dissimile dal dio nascosto degli ariani: la totale lontananza e impossibilità di un tale dio rendeva inevitabile la ricerca di un dio reale in e per questo mondo. Nestorio respinse, primo, l’incarnazione e, secondo, diede il culto all’uomo Gesù direttamente e a Dio il Verbo solo indirettamente, cioè, relativamente, come è stato illustrato dal Chrystal. Il secondo anatema di Nestorio recita:
Se qualcuno in quella [meramente esterna] congiunzione di Dio la Parola che fu fatta carne, afferma che sia avvenuto un cambiamento da luogo a luogo dell’Essenza divina e che la carne è capace di contenere la sua Natura Divina e che fu unito alla carne nella nascita; o, ancora, coestende infinitamente e senza limiti la carne alla Divina Natura per contenere Dio e dice che proprio quella stessa natura è sia Dio sia Uomo, sia egli anatema [22].
La dottrina ortodossa sosteneva un’unione senza confusione delle due nature, un’unione per incarnazione. Nestorio sosteneva una unione morale, con una stretta e disincarnata separazione delle due nature, ma un culto e quindi una tacita deificazione della natura umana.
Il terzo anatema di Cirillo e del Concilio dichiarò: “Se qualcuno separa le [due] Sostanze nell’Uno Unto dopo l’unione e le unisce in una congiunzione di sola dignità, cioè di autorità, o potenza, e non piuttosto in una venuta assieme in un’Unione di Natura, sia egli anatema”. La posizione nestoriana rendeva Cristo per nulla differente dai profeti per natura, ma piuttosto il destinatario dell’adorazione dall’uomo e dell’autorità da Dio. Il terzo Contro Anatema di Nestorio recita:
Se qualcuno nega che Cristo sia Uno per una [meramente esterna] congiunzione, che è anche Emmanuele, [Emmanuele è spiegato nel Contro Anatema I essere un mero uomo] , ma che egli è uno per una Natura che è fatta di ambedue le Sostanze, cioè quella di Dio il Verbo e quella di Uomo assunta da lui e non confessa affatto quell’unica [meramente esterna] connessione di un Figlio, che anche ora noi preserviamo senza alcuna mescolanza [delle due Nature], sia egli anatema [23].
Per Nestorio, l’offesa principale era data dall’incarnazione ed è evidente la sua ostilità a riguardo.
Il Quarto Anatema di Cirillo dichiara:
Se qualcuno vuol dividere tra due persone o subsistenze le espressioni che sono contenute negli scritti evangelici ed apostolici, o delle quali è stato detto riguardo a Cristo dai santi, o da egli stesso, a vorrebbe applicare alcune a lui come ad un uomo separato dal Verbo di Dio e vorrebbe applicare altre al solo Verbo di Dio nel Padre, per il fatto che sono adatte ad essere applicate a Dio: sia egli anatema [24].
Questo anatema fu rivolto contro i due grandi teologi alessandrini, Atanasio e Cirillo, e contro gli attacchi ai concili da Nicea ad Efeso, a motivo della loro approvazione della dottrina della Appropriazione Economica. Questa dottrina affermava la reale unione delle due nature senza confusione. Essa vieta l’attribuzione di certi atti all’umanità di Cristo e altri alla sua deità, perché una tal attribuzione presumerebbe una consapevolezza alterna e non una vera unione. In questa reale unione “dobbiamo economicamente attribuire a lui, Dio il Verbo, tutti i nomi umani ed umane espressioni usate per quell’uomo nel Nuovo Testamento, in modo da evitare di essere sviati, come lo furono i nestoriani, ad adorare una mera creatura, all’incontrario di Matteo. 6:10” [25]. Siccome la natura Divina è quella in controllo ed infinitamente superiore nel figlio incarnato, dobbiamo economicamente attribuire a lui le attività e le parole del tutto perché, mentre Dio il Figlio fu realmente incarnato, la determinazione di tutte le cose non passò mai dall’eternità al tempo e nemmeno da Dio all’uomo. Questo fu sostenuto da Atanasio nelle sue argomentazioni contro gli Ariani. “Perché era giusto che la redenzione avesse luogo attraverso nessun altro che colui che è il Signore per natura, per evitare che, sebbene create (cioè come nuove creature in Cristo) dal Figlio, non ci rivolgessimo ad un altro Signore e cadessimo nella follia ariana e greca, servendo la creatura oltre a Dio creatore di tutto” [26]. Sarebbe stata la “follia greca”, umanesimo, se la salvezza umana fosse stata fondamentalmente l’opera dell’uomo Cristo. Con la dottrina dell’Appropriazione Economica, il valore ultimo di Dio e la sua sovranità e importanza furono mantenute. In aggiunta Atanasio affermò:
Convenne al Signore, nell’assumere la carne umana, assumerla in toto con le affezioni che le sono proprie; come diciamo che il corpo fu suo proprio, noi pure diciamo che le sofferenze del corpo furono proprie a lui solo, sebbene esse non lo abbiano toccato nella sua Divinità. Se il corpo fosse stato di un altro, a quest’ultimo pure sarebbero state attribuite le sofferenze; ma se la carne è quella del Verbo (perché il Verbo divenne carne) di necessità anche le sofferenze del corpo sono attribuite a lui al quale il corpo appartiene. E quello al quale le afflizioni sono state ascritte, cioè l’essere stato condannato, flagellato, aver patito la sete e la croce, la morte e le altre infermità del corpo, a lui pure appartengono il trionfo e la grazia. Per questo motivo quindi, conformemente ed opportunamente tali afflizioni sono ascritte non ad un altro, ma al Signore; perché la grazia provenga da lui e che possiamo diventare, non adoratori di qualcun altro, ma veri devoti verso Dio, perché invochiamo non una cosa originata, non un uomo normale, ma il naturale e vero Figlio da Dio, che divenne uomo, ma non meno Signore e Dio e Salvatore [27].
San Cirillo citò questo passaggio da Atanasio in difesa del suo dodicesimo anatema. Da Nicea in poi fu chiaro che il culto della creatura era intollerabile per l’ortodossia e fin dalle origini della chiesa, l’adorazione di Cristo come uomo era anatema. San Epifanio (in Ancoratus, sez.50) dichiarò l’inchino un atto di servizio religioso e quindi una prerogativa di Dio; non può essere fatto all’uomo. “E non lasciamo che accumulino vanamente blasfemie su se stessi. Perché se il Figlio è la creatura, a lui non ci si deve inchinare … Perché è folle inchinarsi ad una creatura e abolire il primo comandamento …” 28. Epifanio, in Ariomaniacs, eresia LXIX, sezione 31, accusò gli ariani di fare di Cristo un idolo, nel fatto che per loro Cristo era una mera creatura che loro avevano trasformato in un falso dio, un dio creato, quando l’unico vero Dio è il trino Dio e non creato.
È l’Unigenito così giudicato tra voi che avete un pensiero così distorto di colui che vi ha redento, dal momento che è stato lui a redimervi? Ma voi non siete più del suo gregge, perché voi respingete il vostro Salvatore e Redentore. Perché se egli non è vero Dio, allora non è degno di inchino: e se egli è una creatura, egli non è Dio. E se lui non è degno di inchino, come mai è chiamato Dio? Cessate di progettare nuovamente la creatura di Babilonia, perché avete elaborato l’aspetto e l’immagine di Nebukadnetsar e avete suonato la tromba per raccogliere i guerrieri e con musica, cembali e strumenti a corda avete fatto cadere i popoli mediante le vostre ingannevoli parole, perché li avete portati a servire un’immagine piuttosto che Dio e la verità. E cosa altro è reale [Dio] come lo è il Figlio di Dio? [29].
Nestorio non poteva legittimamente accusare il partito ortodosso di aver introdotto una innovazione. Fin dall’inizio era stato respinto il culto della creatura ed affermata l’unità senza confusione. In questa replica tuttavia egli persisteva nell’accusare Cirillo e il Concilio di Apollinarismo e nel negare l’incarnazione. Il IV Contro Anatema di Nestorio recita:
Se qualcuno intende, come se appartenessero ad un Unica natura, le espressioni nel Vangelo e nelle Epistole apostoliche che furono scritte riguardo al Cristo, che invece è di Due Nature e cerca di attribuire le sofferenze della carne come della Divinità anche al Verbo stesso di Dio, sia egli anatema [30].
Il Quinto Anatema stabilì: “Se qualcuno si permette di dire che L’Unto è un uomo ispirato e non invece che egli è realmente Dio, essendo Unico Figlio dalla [sua divina] Natura, poiché il Verbo fu fatto carne e condivise con noi sangue e carne, sia egli anatema [31]. Il Contro Anatema V di Nestorio recita: “Se qualcuno si azzarda a dire che, anche dopo l’assunzione dell’umana natura, c’è un Figlio di Dio, colui che è tale in natura, mentre egli (da quando ha assunto la carne) è certamente Emmanuele, sia egli anatema” [32]. Di nuovo, le implicazioni di questa alternativa vanno dalla unione morale di Nestorio ad una posizione Monofisita.
Il Sesto Anatema dichiara: “Se qualcuno osa dire che il Verbo che provenne da Dio il Padre è Dio o Padrone dell’Unto, e non confessa piuttosto che lo Stesso è sia Dio che uomo assieme, giacché il Verbo venne fatto carne secondo le Scritture, sia egli anatema” [33]. Il Sesto Contro Anatema recita:
Se qualcuno, dopo l’Incarnazione, invoca un altro che Cristo il Verbo e si azzarda a dire che la forma di un servitore è equivalente al Verbo di Dio senza inizio e non creato, e non invece che è stato fatto da lui, dal suo naturale Signore e Creatore e Dio, e che ha promesso di risuscitarlo nelle parole: ” Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò”, sia egli anatema [34].
Nestorio qui assumeva che i suoi oppositori sostenessero la transustanziazione della natura umana di Cristo nella sostanza di Dio il Verbo. Inoltre, egli assumeva che la natura umana venisse, non dalla Vergine Maria, ma direttamente da Dio ed era senza inizio e di conseguenza una carne non creata. Per Nestorio non ci poteva essere il primato di Dio nell’incarnazione senza la distruzione dell’uomo; di conseguenza egli negò l’incarnazione in favore della congiunzione o unione morale per conservare il primato dell’uomo. Gli anatemi VI e VII di Cirillo condannarono in primo luogo l’opinione di Nestorio che Cristo fosse semplicemente un uomo ispirato, non Dio da Dio, e che Cristo fosse semplicemente ispirato dallo Spirito Santo. In secondo luogo Cirillo condannò il trasferimento della gloria da Dio il Verbo all’uomo Gesù. Nel Settimo Anatema Cirillo dichiarò: “Se qualcuno dice che Gesù poiché [era] un [mero] Uomo, fu [meramente] energizzato da Dio il Verbo e che la gloria dell’Unigenito gli è stata attribuita [a quel mero Uomo] come fosse un altro a fianco dell’Unigenito Verbo stesso, sia egli anatema” [35]. Il VII Contro Anatema di Nestorio recita:
Se qualcuno dice che l’uomo che fu formato dalla Vergine è l’Unigenito, che nacque dal seno del Padre, che fu prima della stella del mattino (Salmo 109:3) e non confessa piuttosto che egli ha ottenuto la designazione di Unigenito a causa del suo legame con lui che in natura è l’Unigenito del Padre; e inoltre se qualcuno chiama Cristo un altro che non sia Emmanuele sia egli anatema [36].
Nuovamente l’accusa è rivolta contro la transustanziazione dell’umanità di Cristo nella deità. Nestorio interpretava la dottrina dell’Appropriazione Economica come transustanziazione. Nestorio aveva un’implicita dottrina di Appropriazione Economica di un’altra sorte. Secondo lui, primo, Dio non poteva incarnarsi. Secondo, tutte le caratteristiche che appaiono sulla scena del tempo e della storia devono essere economicamente appropriate dall’uomo, perché per definizione il principale agente non può essere Dio incarnato, o Dio in primis, ma Dio in unione morale con l’uomo.
L’Ottavo Anatema di Cirillo e del Concilio dichiara:
Se qualcuno osa dire che il supposto uomo debba essere adorato assieme a Dio il Verbo e glorificato assieme a lui e riconosciuto assieme a lui come Dio e ancora come due cose differenti l’una dall’altra (perché questo “assieme a” viene aggiunto, ad esempio dai nestoriani, per esprimere questo significato); e non adora piuttosto con un unico culto l’Emmanuele e gli rende una sola glorificazione, come è scritto “Il Verbo fu fatto carne”, sia egli anatema [37].
Nell’adorare il Figlio, noi adoriamo quindi non la sua umanità ma solamente la sua deità. Se ci viene proibito di adorare l’umanità di Dio incarnato, ne segue necessariamente l’assoluto divieto di culto di tutte le creature e l’inchino in adorazione verso qualsiasi di esse. Di conseguenza il Concilio si oppose fermamente alla venerazione di Maria a dei santi e sentì d’aver eretto una barriera teologica a qualsiasi culto di creature. L’Ottavo Contro Anatema di Nestorio affermava:
Se qualcuno osa dire che la forma di un servitore debba, di per sé, cioè in riferimento alla sua propria natura, essere venerata e che questo è il sovrano di tutte le cose, e non piuttosto che debba essere venerato a motivo del suo legame con la santa e universalmente regnante natura dell’Unigenito in se stesso, sia egli anatema [38].
Qui Nestorio nega palesemente l’adorazione della creatura dichiarando che sono nell’errore coloro che dicono che Cristo è il re di tutte le cose e che deve essere adorato; per Nestorio Cristo deve essere adorato o venerato, nonostante sia uomo, a motivo della sua “connessione” con Dio! Perciò per Nestorio Cristo non può essere adorato come Dio, ma può essere adorato come uomo legato a Dio! Come ebbe ad osservare san Cirillo in uno dei suoi lavori: “Dio solamente è libero ed assoluto. Quindi, per così dire, egli chiede il tributo a tutti e, così per dire, riceve come dovuto il culto da tutti. E se Cristo è il compimento della Legge e dei Profeti [Rom. 10:4], ma è un mero uomo ispirato, non potremmo noi dire che il proposito delle predizioni profetiche ci hanno portato il crimine di adorare un uomo?” [39]. Questo stesso argomento venne affrontato dal Quinto Concilio Ecumenico nel 553 d.C., nel suo anatema IX che dichiarò: “Se qualcuno dice che all’Unto ci si debba inchinare nelle due Nature, attraverso le quali vengono introdotti due culti, uno peculiare a Dio il Verbo ed un altro peculiare all’Uomo… ma non ci inchiniamo a Dio il Verbo incarnato con la propria carne, con un solo culto, come la Chiesa di Dio ha ricevuto fin dall’inizio, sia questo anatema” [40].
Il Nono Anatema dichiara:
Se qualcuno vuol dire che l’unico Signore Gesù Cristo fu glorificato dallo Spirito Santo, così che ha usato un potere che non gli apparteneva e da lui ha ricevuto la potenza contro gli spiriti malvagi e la potenza di operare miracoli al cospetto degli uomini e non confessa invece che fu per mezzo del suo proprio Spirito che egli ebbe a compiere questi segni divini, sia egli anatema [41].
Il Contro Anatema IX di Nestorio recita:
Se qualcuno dice che la sembianza di un servitore è della stessa natura dello Spirito Santo e non piuttosto che sia debitore della sua unione con il Verbo, che è esistito fin dal concepimento, alla sua mediazione per mezzo della quale egli opera miracolose guarigioni tra gli uomini e possiede la potenza di scacciare i demoni, sia egli anatema [42].
Chrystal ha sintetizzato molto abilmente le tre prospettive dell’adorazione dell’umanità di Cristo. Per i nestoriani, “ambedue le nature in Cristo devono essere adorate, la sua Divinità in modo assoluto, la sua Umanità solo in modo relativo. Ciascuna natura è separata e ciò non di meno il culto ad entrambi deve essere unito”. I monofisiti giunsero ad affermare che “C’è un’unica natura in Cristo fin dall’Unione, che è quella Divina e solo essa deve essere adorata. Ma l’Ortodosso risponde che, di fatto, tuttavia, la natura umana di Cristo rimane e perciò nell’adorazione dell’intero Cristo come assolutamente Dio, il sostenitore dell’unica natura era di fatto un adoratore della creatura”. L’ortodosso sostiene che “Una sola delle Due Nature di Cristo deve essere adorata, cioè quella divina e assolutamente quella. Come lo espone un vecchio scrittore: “Ci sono due Nature in Cristo, una divina alla quale ci si deve inchinare ed un umana al cospetto della quale non si deve farlo” [43]. Connessa era la questione riguardante lo Spirito Santo. Cristo dichiarò in Gv. 16:14 che “Tutte le cose del Padre mi appartengono”. Lo Spirito Santo perciò procede dal Padre come dal Figlio. Per Nestorio quindi, in luogo di un Dio incarnato che operava miracoli per mezzo del proprio Spirito vi era un uomo che li operava per mezzo del suo dominio morale sullo Spirito. Cirillo condannò l’opinione che fosse un Cristo meramente umano ad operare miracoli e riservò tale potere all’incarnato Figlio di Dio per mezzo del suo proprio Spirito.
Nel Decimo Anatema Cirillo e il Concilio si occuparono dell’opera di Cristo come mediatore e salvatore:
Chiunque voglia dire che non fu il divino Verbo stesso, quando fu fatto carne e divenne uomo come noi, ma altro da lui, un uomo nato da una donna, eppure da lui diverso, a diventare nostro sommo sacerdote e Apostolo; o se qualcuno vuole dire che egli ha offerto in sacrificio se stesso per se stesso invece che per noi, mentre, essendo senza peccato, non aveva bisogno di offrirsi o sacrificarsi, sia egli anatema.
Il X Contro Anatema di Nestorio recita:
Se qualcuno sostiene che il Verbo, che è fin dall’inizio, è diventato il sommo sacerdote e apostolo della nostra confessione e ha offerto se stesso per noi, e non dice piuttosto che è il compito di Emmanuele essere apostolo; e se qualcuno in tal modo divide il sacrificio tra colui che unì [il Verbo] e colui che fu unito [l’umanità] intendendo un comune rapporto di figliolanza, cioè non dando a Dio ciò che è di Dio e all’uomo ciò che è dell’uomo, sia egli anatema [44].
Dio il Verbo è il nostro Mediatore, non un semplice uomo. Aprire, come fece Nestorio, la porta all’uomo implicava permettere anche a qualsiasi creatura, santi, angeli o martiri, di diventare mediatori e San Cirillo lo sottolineò nei suoi Cinque libri di Contraddizione alle Blasfemie di Nestorio. Nestorio elevò l’opera dell’uomo a mediazione. La salvezza divenne quindi opera dell’uomo, non della Grazia di Dio. La dottrina ortodossa della Appropriazione Economica riservò a Dio la qualità Primaria♦, il primato, l’autorità e l’iniziativa in tutte le cose. La dottrina nestoriana dell’Appropriazione Economica riservava all’uomo la qualità primaria♦, il primato, l’autorità e l’iniziativa in tutte le cose e, aggiungendo al danno la beffa, sosteneva di farlo in difesa della Gloria di Dio. Nelle Confessioni della Riforma la dottrina, a lungo sovvertita, della mediazione venne ripresa e resa centrale.
L’Anatema XI di Cirillo e del Concilio dichiara:
Chi non confessa che la carne del Signore da vita e che appartiene al Verbo di Dio il Padre come sua propria, ma pretende che appartenga ad un’altra persona che è unita a lui (ad es. il Verbo) solo in virtù dell’onore e che è servito come dimora alla divinità; e non confessa piuttosto, come noi diciamo, che la carne da vita perché è quella del Verbo che da vita a tutto; sia egli anatema.
Il Contro Anatema di Nestorio recita: “Se qualcuno sostiene che la carne che è unita con Dio il Verbo è per potere della propria natura datrice di vita, mentre il Signore stesso dice, ‘È lo Spirito che vivifica; la carne non giova a nulla’ (Gv. 6:63) sia egli anatema” [45]. Il riferimento qui è al sacramento della comunione. San Cirillo chiarì nei suoi insegnamenti che la sua posizione non era quella della consustanziazione o transustanziazione, come sarebbero state chiamate più tardi. Inoltre, negli elementi (il pane e il vino) non è la sostanza della deità di Cristo che viene ricevuta e nemmeno c’è il mangiare e il bere del vero sangue e corpo di Cristo. Venne anche bandita l’idolatria dell’adorazione della deità o umanità di Cristo negli elementi. L’anatema condannò quelli che sostenevano che la mera carne e sangue umano potesse spiritualmente vivificare alcuno, quando è il Verbo che ci vivifica nell’Eucarestia per mezzo del suo Spirito donatore di vita. Cirillo insegnò che ricevere il mero sangue e carne non vivifica spiritualmente alcuno e mangiare la carne e bere il sangue è cannibalismo e perversione [46]. I nestoriani sostennero la reale presenza del corpo umano e del sangue di Cristo, sebbene negassero di farlo. Cirillo, tuttavia, non prese per buona quella negazione [47].
Il XII Anatema di Cirillo e del Concilio dichiara:
Chiunque non riconosce che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, e che egli fu crocifisso nella carne e che parimenti nella stessa carne ha gustato la morte e che egli è diventato il primogenito della morte, perché, siccome egli è Dio, egli è la vita ed è lui che l’ha data; sia egli anatema.
Il Contro Anatema XII di Nestorio come il solito dichiarò il suo umanesimo nel nome della difesa della dignità di Dio:
Se qualcuno, nel confessare le sofferenze della carne, le attribuisce anche alla Parola di Dio al pari della carne nella quale è apparso e perciò non distingue la dignità della nature; sia egli anatema [48].
Qui è la Dottrina della Appropriazione Economica ad essere nuovamente in gioco. Il contro anatema di Nestorio è preso di mira da queste dottrine. Non solo questa dottrina venne affermata dal Terzo Concilio, ma il Quarto Concilio Ecumenico ratificò il termine Appropriazione Economica approvando “L’epistola di Giovanni di Antiochia” di San Cirillo che recita in parte:
E, inoltre, noi tutti confessiamo che il Verbo di Dio non è soggetto a sofferenza, sebbene egli stesso nella sua pienamente saggia conduzione del mistero (della redenzione) sembra attribuire a se stesso le sofferenze che hanno interessato la sua propria carne. E per questa vera ragione il saggio San Pietro disse Cristo quindi ha sofferto per noi nella carne [1 Pietro 4:1] e non nella Natura dell’ineffabile divinità. Perciò, con lo scopo di essere lui stesso creduto come il salvatore di tutti, egli riferisce le sofferenze della propria carne a se stesso per Appropriazione Economica. Una cosa che implica quella dottrina è ciò che fu predetto attraverso la parola profetica, come da lui stesso: “Io ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva, e le mie guance a chi mi strappava la barba: io non ho nascosto il mio volto agli insulti e agli sputi”. Isaia 50:6 [49].
Perciò, mentre la deità non soffrì in se stessa, per Appropriazione Economica, la sofferenza gli viene attribuita.
Theodoto, vescovo di Ancira, nel riportare la risposta di Nestorio alle sessioni finali, ebbe a dire: “Sono veramente in pena per il mio amico. Ciò nonostante io onoro la pietà prima di qualsiasi amicizia” [50]. Il Concilio non fu caratterizzato da una personale ostilità nei confronti di Nestorio; fu marcato piuttosto dalla preoccupazione per la fede ortodossa e Nestorio, con il suo arrogante rigetto di essa, causò la propria condanna: “Vale a dire che il nostro Signore Gesù Cristo, nei cui confronti egli è stato blasfemo, decreta per mezzo del Santo Sinodo che Nestorio venga escluso dalla dignità episcopale e da tutta la comunione sacerdotale” [51]. Il concilio ebbe pazienza con l’uomo, sebbene ostile all’eresia. Nonostante l’imperatore abbia favorito Nestorio, alla fine egli fu escluso dal suo ufficio.
Quando il Concilio di Efeso fu convocato, sant’Agostino, vescovo di Ippona, avrebbe dovuto presiederlo, ma egli morì alla fine dell’anno 430. Il Concilio tuttavia, ottenne un risultato veramente importante per Agostino: il pelagianesimo fu condannato o, con le parole degli atti del Concilio, furono condannati i “pelagiani e celestiani”, riferendosi a Celeste, un seguace di Pelagio. Pelagio, un monaco nato in Bretagna, fece della salvezza una questione di opere morali dell’uomo, non della grazia di Dio. Il commento di Percival è appropriato: “l’unica ‘grazia’ di cui avrebbe ammesso l’esistenza è quella che noi potremmo chiamare grazia esterna, l’esempio di Cristo, l’insegnamento dei suoi ministri e così via” [52]. Questo era apertamente umanesimo. Pelagio e Celeste trovarono rifugio con Nestorio, mettendo assieme le loro eresie. In un primo momento il Vescovo di Roma non aveva scorto eresia in Nestorio, ma l’opera dei teologi ortodossi, di Agostino e altri misero efficacemente in guardia la chiesa da queste eresie. Il Canone IV di Efeso stabilì: “Se qualcuno degli uomini di chiesa indietreggia e pubblicamente o privatamente pretende di conservare le dottrine di Nestorio o Celeste, viene giustamente stabilito dal santo Sinodo che pure questi devono essere deposti” [53]. Il pelagianesimo era già stato condannato in Occidente ed Efeso quindi non entrò nei dettagli della questione come fece col nestorianesimo. Inoltre, essendo stato Nestorio condannato, anche le eresie che egli difendeva furono abbattute.
I duecento vescovi che si riunirono ad Efeso fecero un’opera importante. Il Concilio fu aspramente contestato e conseguentemente la sua storia è resa complicata dalla contestazione della sua autorità. Gli studiosi moderni hanno spesso preso le difese di Nestorio. Calcedonia (il Concilio di) confermò Efeso e condannò invece il falso concilio di Efeso del 449, il “Concilio Ladro”. Nel Concilio Ladro, a molti vescovi non fu concesso di prendere la parola nella riunione, dominata dal protettore Eutychio, Dioscuro di Alessandria, che convinse l’imperatore Teodosio II a convocare la sessione. Dioscuro fu apparentemente un seguace di Cirillo, ma in realtà era un monofisita e un leader di quel partito. Per i monofisiti era enfatizzato il divino; essi negavano che ci fossero due nature dopo l’incarnazione e anche il corpo di Cristo era un corpo divino. Le caratteristiche umane furono tutte trasferite al “Logos umanizzato”. Nelle parole di Shaff: Eutichio “affermò quindi, da un lato, la capacità di sofferenza e di morte della personalità del Logos, e dall’altro la deificazione dell’umano in Cristo” [54]. Questo era umanesimo in nome dell’anti-umanesimo. L’umanità venne assorbita nella Trinità in nome di una religione Teo-centrica! Al posto della Appropriazione Economica i monofisiti giunsero al reale assorbimento dell’umanità nella divinità.
Dioscuro presiedette i lavori con l’aiuto di monaci violenti e soldati armati. L’apparenza dell’ortodossia venne mantenuta adottando i dodici anatemi di Cirillo, mentre in realtà si affermava un’altra dottrina. La fede nelle due nature (diofisita) fu condannata e fu condannato Flaviano, il suo campione. Il proconsole, Proculo, con soldati armati e catene, intervenne per costringere i vescovi ad approvare. Alla fine di gravi violenze, novantasei di essi morirono e molti furono gravemente feriti. Flaviano, vescovo di Costantinopoli, morì in tre giorni per le ferite che aveva ricevuto. Si narra che i monaci lo abbiano presero selvaggiamente a calci e che Dioscuro gli sia saltato addosso quando, caduto, era steso a terra. Il Concilio Ladro ottenne una vittoria selvaggia e di grande effetto sul momento, ma si condannò da se stesso con la sua vergognosa condotta. Le vittorie del vero Concilio di Efeso vennero fissate nell’area della fede e del pensiero teologico che contava. Le vittorie del falso concilio si basarono sulla violenza ed ebbero vita corta. Nel giro di due anni il Concilio di Calcedonia le avrebbe denunciate, ma già dapprima l’opinione di tutti i veri cristiani aveva condannato il Concilio dei Ladri [55].
Il Concilio Ecumenico di Efeso portò a termine un compito veramente importante seppur difficile. Esso affermò la realtà dell’incarnazione e il primato di Dio il Figlio nella incarnazione. Questo punto sottile fu cruciale. Gli umanisti capirono chiaramente come il cristianesimo potesse essere convertito in umanesimo. Primo, la realtà dell’incarnazione poteva essere negata, come fece Nestorio. Secondo, l’incarnazione poteva anche essere affermata, ma si poteva dare all’umanità di Gesù Cristo la priorità sulla sua divinità. Se, nell’incarnazione, l’umanità avesse raggiunto l’ascendenza e il controllo sulla divinità, allora l’umanità sarebbe stata introdotta in una posizione di potenza eterna e di determinazione su Dio. Il tempo avrebbe quindi governato l’eternità e l’uomo avrebbe regnato su Dio. Affermando formalmente una dottrina centrale della fede, una tal dottrina dell’affermazione dell’incarnazione sarebbe stata in realtà un’affermazione dell’umanesimo, dell’uomo. Attaccando la fede su questo punto gli umanisti affermerebbero manifestamente la realtà dell’incarnazione contro il maltrattamento ortodosso di essa. La difesa della fede ebbe a che fare ovviamente con un punto estremamente sottile che, sebbene cruciale, può sembrare all’uomo semplice e non istruito un mera discussione teologica che vuole spaccare un capello in quattro. Ad oggi la dottrina della Appropriazione Economica è rimasta una vittoria quasi dimenticata; essa rimane tuttavia una vittoria necessaria. Contro i rinnovati assalti dell’umanesimo non ci può essere alcuna sicura difesa della fede senza l’armatura della Scrittura e i suoi difensori di Efeso.
Note:
1 “Martyrdom of Habib the Deacon, “ in Ante-Nicene Christian Library, vol. XX, Syriac Documents, p. 99 e ss.
2 James Chrystal, The Third World Council, Ephesus, A.D.431, vol. III (Jersey City, Chrystal, 1908), 91.
3 luis Berkhof, Reformed Dogmatics (Grand Rapids: Eerdmans,1937),109.
4 Edward H. Landon, A Manual of Councils of the Holy Catholic Church, I (Edinburgh: John Grant, 1909, revised edition), 255.
5 Socrates Scolasticus, “Ecclesiastical History,” VIII, 32, in Nicene and Post-Nicene Fathers, Series Two, vol. II, 171.
6 James Chrystal. The Third World Council, I, i. 1895.
7 Ibid., 74-78, Traduzione di Chrystal. In Percival, Seven Ecumenical Councils, 198.
8 Chrystal, I, 97-105. Percival, 198.
9 Chrystal, I, 161.
10 Ibid., I.
11 Ibid., I, 163-5.
12 Ibid., 165 e ss.
13 Ibid., I, 177.
14 Percival: Seven Ecumenical Councils, 202. Vedi Chrystal, I, 214-216.
15 Ibid., 203.
16 Chrystal, i, 409-412.
17 Ibid., I, 440 e ss.
18 Ibid., I, 461.
19 Ibid., I, 464.
20 Chrystal, I, 510.
21 Chrystal, I 314-317, 321.
22 Ibid., I, 318-321, 323.
23 Ibid., I, 322-325
24 Chrystal , I, 326.
25 Chrystal, I, 326.
26 Athanasius, “ Four Discourses Agaist the Arians,” II, xv, 142 in Nicene and Post-Nicene Fathers, Serie II, vol IV, 356.
27 Athanasius, ibid., Discourse III, capitolo xxvi, sezione 32; 411.
28 James Chrystal: Nicaea, A.D. 325, vol. I (Jersey City: Chrystal, 1891), 240. 29Ibid., I, 241 e ss.
30 Chrystal: Ephesus, I, 326.
31 Ibid., I, 327.
32 Percival, 212.
33 Chrystal, I, 328.
34 Percival, 213.
35 Chrystal, I, 329.
36 Percival, 213.
37 Ibid., 214.
38 Ibid.
39 Chrystal, I, 334.
40 Ibid., I, 335.
41 Percival, 214.
42 Ibid., 215.
43 Chrystal, I, 347.
44 Percival, 216.
♦ Traduzione di ‘ultimacy’ ‘il valore ultimo’. N.d. T.
45 Ibid., 217.
46 Chrystal, I, 407; cnf n. 606, 240-313.
47 Ibid., 408.
48 Percival, 217.
49 Chrystal, I, 409.
50 Ibid., 400.
51 Percival, 218.
52 Ibid., 229.
53 Ibid.
54 Philip Shaff, History of the Christian Church III, 737.
55 Gli uomini di chiesa contemporanei difendono questo concilio. Vedi Albert C. Outler, “Theodosius’ Horse: Reflections on the Predicament of the Church Historian,” in Church History, XXXIV, 3, September 1965, 251-261.