(I. La Sapienza nella Scrittura)

b. Sapienza e Redenzione

 

La Scrittura insegna chiaramente che, oltre a plasmare l’uomo a sua immagine in modo che lavorasse e costruisse il regno di Dio sulla terra, Dio intese che l’uomo fosse suo compagno e godesse della sua comunione. Una comunione personale tra Dio e l’uomo era posta al centro del programma di creazione di Dio. Tutta la vita dell’uomo era incentrata su questa relazione “pattizia”. Gli attributi originali di sapienza, conoscenza e intendimento potrebbero significare nulla per l’uomo se non comprendono la sapienza, la conoscenza e l’intendimento di Dio stesso. La nozione di associazione con Dio nella sua santità, giustizia e verità è fondamentale per la dottrina scritturale della sapienza. L’uomo non poteva aspettarsi di adempiere la sua vocazione d’avere il dominio se lo avesse cercato separatamente dalla collaborazione con Dio. Nessuna sapienza rimase possibile per l’uomo separatamente da una saggezza prima e sopra tutto nelle vie di Dio. È giustamente impossibile comprendere l’attinenza che la redenzione ha sulla sapienza, come la Scrittura la concepisce, senza capire la situazione originaria dell’uomo nel modo in cui Dio la intendeva, poiché la restaurazione nell’uomo dei veri sapienza, conoscenza e intendimento è subordinata ad un recupero della perduta comunione con Dio.

La sapienza (conoscenza e intendimento) riguardo a Dio, che l’uomo possedeva al momento della creazione, non avrebbe potuto essere raggiunta dall’uomo con mezzi propri; era stata impiantata nella sua anima da Dio. L’uomo è venuto al mondo dotato di una vera conoscenza di Dio; tuttavia, non era una conoscenza sviluppata e matura, ma doveva essere portata a compimento. Per raggiungere questo obiettivo Dio parlò all’uomo e gli disse quello che avrebbe richiesto da lui. In altre parole, Dio gli si rivolse con una parola-legge come stipulazione di tutte le sue attività. Gli fu acclarato che la sua sapienza, a tutti gli effetti, sarebbe dipesa da una fedele adesione alla parola di Dio. Se avesse obbedito avrebbe meritato la vita eterna; se si fosse rifiutato di obbedire, se avesse trasgredito il comando di Dio, avrebbe meritato la punizione eterna. L’uomo ha optato per la disobbedienza e di conseguenza ha raccolto le conseguenze della perdita dei veri sapienza, conoscenza e intendimento.

Ma la Scrittura è chiara quando afferma che Dio ha determinato, da prima della fondazione del mondo, di liberare e riscattare l’uomo dalla morte che ha così giustamente meritata a causa della sua ribellione contro la volontà di Dio. Questo programma di redenzione è stato annunciato all’inizio e spiegato gradualmente, nel corso della storia dell’uomo. Al suo centro si trova la chiamata e la formazione di un popolo che avrebbe imparato ad invocare il nome di Dio e che avrebbe proceduto nuovamente a basare tutta la vita sul solido fondamento della sua parola. La Scrittura afferma di essere quella parola. Il recupero di sapienza, conoscenza e intendimento è condizionata alla risposta fedele al suo messaggio e all’obbedienza alla sua verità solamente. Senza la luce della Scrittura l’uomo cammina nelle tenebre e perverte la verità. Siamo inevitabilmente costretti a sottometterci alla sua autorità e a dare ascolto alla sua ammonizione.

In primo luogo, la Scrittura insegna che la sapienza è una funzione della giustizia, e la giustizia una funzione della legge di Dio. Non esiste nessun’altra possibile base per la sapienza. La Scrittura è irremovibile su questo punto. L’acquisizione di sapienza non può essere vista come il risultato di una vaga adesione a qualche supposto bene “in quanto tale” come, per esempio, Platone l’immaginava. L’uomo è del tutto senza alcuna idea di ciò che sia veramente buono. Ciò ch’è buono gli deve essere detto da Dio, e la parola di Dio dice chiaramente che un uomo saggio è colui che vive secondo i suoi statuti e precetti: “La legge del Signore è perfetta, essa ristora l’anima. Gli statuti del Signore sono veraci, rendono saggio il semplice” (Sl. 19:7).

Tuttavia, l’osservanza della legge non deve essere considerata come la semplice dovuta applicazione meccanica di un comando esterno. Al contrario, a meno che non sia radicata nel cuore e scaturisca da genuina fedeltà a Dio non è una giustizia biblica. Al centro dell’obbedienza alla legge palpita un “timore di Dio” pulsante, un sentire che Dio ha il diritto di definire i parametri etici della vita di una persona, di dettare i termini che ne formano l’intera filosofia di vita. “Il timore dell’Eterno è l’inizio [cioè la fonte o scaturigine] della sapienza; hanno grande sapienza quelli che mettono in pratica i suoi comandamenti” (Sl. 111:10). “Il timore dell’Eterno è il principio [cioè, il motivo del cuore] della sapienza, e la conoscenza del Santo è intelligenza” (Pr. 9:10). Al popolo di Dio era stato detto che non dovevano mancare di capire che sarebbe stata la legge di Dio nella loro vita che li avrebbe evidenziati alle nazioni come un popolo saggio (De. 4: 5-8). La loro “grandezza” sarebbe stata la ricompensa per loro saggezza. L’esaltazione della loro reputazione e il dominio del loro potere sarebbero conseguiti come risultato della loro fedele sottomissione all’ordinamento giuridico di Dio. La sapienza nella Scrittura è inevitabilmente una proprietà della giustizia. Se la bocca del giusto proferisce sapienza e se la sua lingua parla ciò che è giusto, è solo perché la legge di Dio ha attecchito nel suo cuore (Sl. 37:30s.). Cercare una sapienza separatamente dalla legge di Dio è un’impresa vana. L’onere dell’Ecclesiaste è di trasmettere proprio questo pensiero. Il suo grido: “vanità, vanità, tutto è vanità!” non significa nulla di meno.

Ma, in secondo luogo, è importante notare che questa verità non implica che la sapienza non sia un dono della grazia di Dio. L’aderenza alla legge di Dio, quale direttiva di tutta la vita, non fa guadagnare la sapienza; piuttosto, l’osservanza della legge è il frutto di una sapienza che Dio concede all’uomo nella grazia e nella redenzione. La Scrittura insegna chiaramente che tutta la sapienza che l’uomo possiede gli viene da Dio. “Perché l’Eterno dà la sapienza, e dalla sua bocca procedono conoscenza e intendimento” (Pr. 2:6). “Ti ho ammaestrato nella via della sapienza, ti ho guidato per i sentieri della rettitudine” (Pr. 4:11). La sapienza è chiaramente un vantaggio dato dalla benevolenza divina e dal suo consiglio. Non esiste per l’uomo sapienza diversa da quella inculcata da Dio stesso (Sl. 51:6). Più di questo, la Scrittura afferma che la presenza di sapienza nell’uomo deriva dalla presenza in lui dello Spirito di Dio. Deuteronomio 34:9 dichiara che Giosuè era adeguato per l’attività di conduzione nel Regno e per la sua conquista perché era stato riempito con lo Spirito di Sapienza. Il riferimento è senza dubbio allo Spirito santo e distingue il modo in cui alla fine tutte le persone del popolo di Dio possono aspettarsi di prosperare nel sentiero della sapienza e dell’intendimento, e così anche nella loro realizzazione. Nella misura in cui lo Spirito di Dio abita nel suo popolo essi possono camminare in sapienza. Pure questo pensiero non manca nell’Ecclesiaste, anche se la sua presenza è meno evidente, più implicita.

Una terza caratteristica della dottrina biblica della sapienza è la distinzione che afferma tra l’uomo saggio e quello stolto. Queste categorie corrispondono alla differenza tra l’uomo che cammina nel timore del Signore, secondo la sua parola-legge e l’uomo che non lo fa. In altre parole, chiarisce ciò che separa la via del giusto da quella del peccatore. È l’unica differenza tra gli uomini che la Scrittura riconosce. Tutte le altre differenze (ad esempio, razza, nazionalità, sesso, ecc.) sono, in materia di sapienza, irrilevanti. Di volta in volta si incontrano parole come queste: “Il timore dell’Eterno è l’inizio della sapienza, ma gli stolti disprezzano la sapienza e l’ammaestramento”

(Pr.1:7). “Le labbra del giusto nutrono molti, ma gli stolti muoiono per mancanza di senno. Commettere una scelleratezza per lo stolto è come un divertimento; così è la sapienza per l’uomo che ha intendimento” (Pr. 10:21, 23). “L’uomo saggio teme e si allontana dal male, ma lo stolto si adira ed è presuntuoso. Gli sciocchi ereditano stoltezza, ma i prudenti sono coronati di conoscenza” (Pr. 14:16, 18). “La follia è gioia per chi è privo di senno, ma l’uomo che ha intendimento cammina diritto” (Pr. 15:21). “Il senno è una fonte di vita per chi lo possiede, ma la stoltezza è il castigo degli stolti” (Pr. 16:22).

Dal punto di vista della Scrittura tutta la vita si risolve nell’uno o nell’altro, senza terzo tipo d’uomo, poiché ogni uomo è o un adempiente o un trasgressore del patto. Qual’è dei due determinerà se è saggio o stolto.

Lo stolto è tutto ciò che il saggio non è. “Stolto” è un termine generico per descrivere una o tutte le seguenti designazioni: malvagio, maldicente, ingannatore, bugiardo, calunniatore, imbroglione, avido, pigro, altezzoso, arrogante, presuntuoso, instabile, inaffidabile, ingenuo (cioè, incapace di vero discernimento), per citarne solo alcune. È un po’ di queste cose o anche tutte perché rifiuta di sottomettersi a Dio e alla sua parola-legge. È consigliabile prendere attentamente nota dello stolto, perché le sue azioni hanno conseguenze deleterie. Lo stolto distrugge la vita; egli non la fa crescere. Il danno che fa colpisce non solo se stesso, ma la anche la società. Il suo comportamento è causa di rovina e di perdita per tutti. Quando gli stolti trionfano, la vita diventa breve, meschina, cattiva e brutale. Non sorprende che la Scrittura sia pressante nel mettere in guardia contro i pericoli della stoltezza. La vita dello stolto è, ed è sempre stata, il singolo ostacolo più grande al raggiungimento del dominio e della realizzazione del proposito per l’uomo nel regno di Dio. Egli è indicato come nemico del saggio. Gesù avrà qualcosa di importante da dire per quanto riguarda il saggio e lo stolto (Matteo 7: 24-27). Egli farà del mettere in pratica la sua parola l’unico criterio per distinguere tra lo stolto e il saggio. Su questo, ci sarà di più in un capitolo successivo.

Ogni dottrina della sapienza comporta immediatamente una nozione del suo opposto. Poiché l’uomo trasgressore del patto sostiene di possedere un ideale di sapienza, anch’egli distingue necessariamente tra il saggio e lo stolto. Ognuna delle grandi civiltà che fiorirono in prossimità d’Israele presunse d’offrire un messaggio di sapienza. Ciascuna di queste includeva idee di ciò che non sarebbe stato conforme all’ideale di saggezza che presentava, e quindi di ciò che sarebbe stato un male per l’uomo. L’uomo non-cristiano al presente continua a sostenere un ideale di sapienza che, a suo giudizio, è più importante di qualsiasi cosa non si conformi alla sua promessa di buona vita. Ma, dovemmo capire chiaramente che, qualunque sia la divisione che separa il saggio dallo stolto nella coscienza pagana, non ha nulla a che fare con la giustizia o meno di un uomo in conformità con la parola-legge di Dio. Si tratta di una concezione del tutto antropo-centrica.

In Occidente, abbiamo dovuto vivere in gran parte con una nozione umanistica (cioè, in opposizione a Dio) di “bene” che ha avuto le sue origini dai Greci e che ha cercato sempre di controllare la direzione della formazione culturale in tutta la nostra storia. Uno dei fondatori più influenti di questa tradizione umanistica fu il filosofo Platone il cui pensiero contiene un concetto consapevolmente sviluppato di sapienza per l’uomo. La visione di Platone, e persistentemente quella dell’uomo occidentale umanista, è stata una concezione della sapienza esclusivamente intellettualistica ed elitaria. Sapienza per lui è identica a un scientia autonoma, o ciò che egli definiva theoria. La sapienza è strettamente una questione di seguire i dettami di una Ragione divina! Una Ragione per nulla contaminata dalla caduta dell’uomo nel peccato, quindi non soggetta alla necessità di sottomettersi ad una autorità morale altra da sé stessa.

Non tutte le persone, tuttavia, possono essere in possesso di “scienza”, solo quelle particolarmente dotate per natura e formazione. Poiché senza di essa l’uomo non ha la sapienza, si pone la presunzione che, qualora la sapienza (la scienza) sia assente, la stoltezza debba automaticamente colmare il vuoto. La natura distribuisce questo suo dono più grande solo a pochi eletti. In ultima analisi, la distinzione platonica tra il saggio e lo stolto è metafisica, non etica. Gli stolti non avrebbero mai potuto aspettarsi di essere saggi. E dal momento che solamente l’uomo di sapienza potrebbe fornire un visione della buona vita, lo stolto deve essere costretto (dal potere politico) a sottoporsi alla guida dell’esperto saggio. La superiore conoscenza di quest’ultimo gli deve dare il diritto di essere responsabile di ordinare a tutta la società di seguire il suo progetto. Tale idea elitaria di sapienza ha portato tutti gli umanisti dopo Platone a trattare con disprezzo chiunque non fosse creduto in possesso degli attributi della sapienza, cioè, quelli che non appartenevano alla cerchia privilegiata degli iniziati. Platone ha tenuto il non-filosofo in poco conto, perché non avendo accesso alla “filosofia santa” tale persona era meno che vero uomo.

In contrasto con questa concezione pagana la Scrittura non parla mai in modo arrogante o dispregiativo dello stolto. Dio non considera lo stolto come al di sotto del suo disprezzo. Il problema dello stolto è religioso ed etico, non metafisico. Gli uomini non cessano d’essere portatori dell’immagine di Dio perché la stoltezza ha messo radici nella loro consapevolezza e nel loro comportamento. L’uomo non è uno stolto perché è un non-filosofo. Inoltre, un uomo sapiente non ha nulla in sé e per sé, che gli possa permettere, davanti a Dio, di avere un giusto diritto di vantarsi. Tutti gli uomini, dopo che Adamo ebbe fatta la sua stolta scelta, nascono con la natura di stolto indelebilmente impressa nelle loro anime. Se siamo saggi, è solo per la grazia di Dio e per la fedele sottomissione alla sua parola sovrana. Stoltezza e sapienza sono come povertà e ricchezza: la prima è quella in cui ogni uomo nasce, è la condizione normale delle cose da sempre per chiunque sia vissuto dopo la Caduta, dall’altro lato, la sapienza come la ricchezza devono essere prodotte e raggiunte mediante grande applicazione e di fronte alla continua minaccia di povertà e stoltezza.

Se Dio non avesse condisceso ad agire per nostro conto in misericordia e redenzione noi avremmo dovuto sopportare per sempre le conseguenze della nostra stoltezza. Ma per la sua grazia e compassione noi siamo di nuovo resi capaci di trovare vera sapienza. Perciò, se Dio disprezza qualcosa, questa è l’attitudine di chi pretende di avere sapienza e superiorità sugli altri quando di fatto tale boria è essa stessa la forma più alta di vanagloriosa stoltezza. Di conseguenza, con malcelata rabbia, Proverbi esclama: “Hai visto un uomo che si crede saggio? C’è maggiore speranza per uno stolto che per lui” (26:12). Il Signore può sopportare uno stolto, perché è possibile che un ordinario stolto si riconosca per quello che è e torni verso Dio in pentimento e fiducia; ma, quando il cuore diventa calloso e completamente cieco alla sua reale condizione, quando crede effettivamente di essere in possesso di una sapienza che non ha, allora, come indica la Scrittura, quell’uomo è passato al di là d’ogni possibilità d’aiuto e merita solamente l’ira di Dio. Si ha un’indicazione di ciò quando un uomo pone la sua fiducia nella propria giustizia e si sente giustificato ai propri occhi. Di conseguenza, la Scrittura emette un avvertimento urgente: “Guai a quelli che sono saggi ai loro occhi e intelligenti davanti a loro stessi” (Is. 5:21). Il grande problema per il popolo di Dio è stato persistentemente che hanno mostrato una volontà di adottare concetti pagani e di negare che sia la legge di Dio solamente a dover costituire il criterio del pensiero e della condotta savia. “Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me, e il loro timore di me è solo un comandamento insegnato da uomini” (Is. 29:13). Le regole dell’uomo non possono mai sostituirsi alla legge di Dio quali legittimi ideali di sapienza. Se la nostra adorazione è pervertita, saranno altrettanto pervertite la nostra vita e il nostro servizio. Chiaramente, la sapienza risiede nella via del fare la volontà di Dio e non nella fiducia che l’uomo ha in sé stesso. Il proposito di Ecclesiaste sarà di rendere evidente questo concetto con ineludibile chiarezza.


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